04 ottobre 2011

Servi dell'Impero




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Dieci anni fa, di questi tempi, le parole d'ordine imposte dalla giaculatoria massmediale alla opinione del pubblico erano due. Dopo l'11 settembre, si diceva, il mondo non sarebbe stato «mai più come prima»: l'Occidente era stato ferito al cuore e avrebbe dovuto, di lì in poi, fronteggiare la tentacolare minaccia di un estremismo islamico che rischiava di metterlo in ginocchio. E per questo - ecco il secondo slogan - era venuto il momento del «siamo tutti americani», ovvero della solidarietà incondizionata con Washington, riassurta, a solo dodici anni dal crollo del muro di Berlino, al ruolo di baluardo del Mondo Libero contro l'Asse del Male, gli Stati canaglia e i loro sgherri, votati all'odio perché invidiosi del livello di vita e di ricchezza raggiunto dagli Usa e dai loro più fedeli alleati. Un'invidia che, non si mancava di aggiungere, si nascondeva dietro le invettive contro l'empietà e l'arroganza dei nemici dell'islam. Fummo tra i pochi, allora e dopo, che cercarono di opporre al frastuono della propaganda la voce critica della ragione, proponendo argomenti invece di proclami. Dicemmo chiaramente - chi vuole, può sincerarsene leggendo due libri (entrambi editi da Laterza) come il nostro Contro l'americanismo e La paura e l'arroganza curato da Franco Cardini - che, nei suoi tratti essenziali, la dinamica politica, economica e culturale del mondo non sarebbe stata modificata dall'attacco aereo alle Torri gemelle: la scalata all'egemonia planetaria degli Stati Uniti, in atto ormai da un abbondante decennio, ne avrebbe semmai tratto un ulteriore impulso; l'Europa avrebbe accentuato la già marcata sudditanza ai voleri d'oltre Atlantico, rinunciando a qualsiasi iniziativa indipendente; la tanto temuta propagazione di sentimenti antiamericani nell'ex Terzo mondo non ci sarebbe stata; il mondo islamico non avrebbe imboccato la via del radicalismo oltranzista. E, soprattutto, l'infiltrazione dell'american way of life, con il suo carico di precetti individualistici, materialistici e cosmopoliti, negli anfratti dell'immaginario collettivo delle popolazioni di ogni angolo del globo non solo non sarebbe rallentata ma avrebbe tratto nuova linfa dalla vittimizzazione degli States che gli attentati di New York e di Washington favorivano: rappresentare il paese della più potente, spietata e attiva macchina da guerra esistente nei panni del gigante buono e vulnerabile vigliaccamente colpito dai malvagi era un'arma formidabile per rafforzarne il mito e creare, sulla base della compassione, complicità verso le nuove imprese belliche che si annunciavano all'orizzonte.
A distanza di un decennio, è inevitabile constatare che avevamo azzeccato l'analisi. Sulle ali della retorica dell'11 settembre, che le attuali celebrazioni si incaricano di tenere ben viva con un intento politico celato, come di consueto, dietro il richiamo ai buoni e doverosi sentimenti, gli Usa hanno costruito un percorso lastricato di guerre, bombardamenti a tappeto, massacri di militari e civili dei paesi nemici, che soltanto in virtù degli accorgimenti tecnologici che consentono agli aggressori di distruggere dall'alto ogni bersaglio senza rischiare danni non hanno prodotto una contabilità di vittime equiparabile a quella dei maggiori conflitti del XX secolo. E nel loro sanguinoso itinerario verso il dominio, oltre a godere del plauso dell'apparato comunicativo dell'intera area di influenza occidentale, pronto a tacere, distorcere, negare, mentire a comando ogniqualvolta veniva ritenuto necessario, hanno potuto contare sull'efficace azione di una nutrita retroguardia economico-finanziaria, pronta a ricostruire ciò che era stato distrutto traendone e in parte distribuendo ai più servizievoli amici ampi profitti, e soprattutto sull'impegno di una fureria intellettuale, che nei paesi soggiogati a suon di bombe ha diffuso a piene mani, seguendo una tradizione consolidata, quei formidabili strumenti di condizionamento mentale che sono i gadgets della cultura di massa made in Usa.
La conquista dell'agognato ruolo di gendarme planetario è stata però, bisogna riconoscerlo, ostacolata dalla forte crescita economica di concorrenti inattesi, prime fra tutti Cina e India, e lo scenario unipolare disegnato dagli strateghi neoconservatori dell'amministrazione Bush si è rivelato sin qui impraticabile. L'esplosione della bolla economica interna del 2008 ha poi accentuato i problemi. Ma per assurgere a padroni del mondo, gli eredi dei Padri pellegrini ce l'hanno messa davvero tutta. E nella partita più importante, quella per il controllo delle mentalità collettive, il loro vantaggio è ancora straordinariamente consistente. Le aspettative che si sono create attorno alla cosiddetta "primavera araba", dalla quale ci si attende formalmente un'ondata di democratizzazione ma si esige sostanzialmente una robusta occidentalizzazione - dei costumi, dei consumi, delle leggi, degli stili di vita, delle credenze - ne sono una spia evidente. E non si può negare, come invece piace fare da sempre agli ambienti pervasi di un antiamericanismo pregiudiziale, rancoroso e sommario, mosso non dalla critica rigorosa di un modello di civiltà ma da un confuso mix di nostalgie ereditarie (di destra e/o di sinistra) e wishful thinking, che l'azione condotta dagli Usa e dai loro volenterosi complici sia stata, e sia, molto efficace. Tanto da rendersi pressoché impermeabile agli argomenti con cui coloro che non ne condividevano né le premesse né gli obiettivi hanno tentato di contrastarla.
I motivi di questo successo attengono sia all'ordine delle sue premesse teoriche sia a quello degli strumenti empirici incaricati di tradurle in realtà.
Sul primo di questi versanti, la carta vincente degli Usa è stata il ricorso sistematico e onnipervadente all'ideologia dei diritti dell'uomo, costruita ad immagine e somiglianza del loro modello di società e dei progetti di espansione imperiale connaturati al paese che aveva già partorito nel corso degli oltre due secoli di vita le dottrine del «destino manifesto» e del «cortile di casa» e che fin dalla nascita ha coltivato la convinzione di aver ricevuto da Dio il compito di adempiere ad una missione universale di conversione al Bene dei miscredenti, non esitando a ricorrere ai mezzi più crudeli per adempierla (gli ormai dimenticati nativi, ridotti dopo il genocidio a stereotipo per un genere cinematografico oggi non più di moda, ne sanno qualcosa). In nome e per conto dei dogmi contenuti in queste nuove Tavole della Legge, si è fatto strame del concetto di sovranità nazionale che per secoli aveva costituito un cardine del tentativo di imporre un diritto internazionale condiviso, si è negata la nozione di autodeterminazione dei popoli quando le scelte da questi compiute non andavano nella direzione auspicata, e soprattutto si è varata la mortifera formula della "guerra umanitaria" che ha derubricato le uccisioni di civili dei paesi aggrediti a "danni collaterali" riparabili a suon di scuse postume, ha legittimato l'uso di ordigni micidiali come i proiettili al fosforo e all'uranio impoverito. Insomma, si è celebrato il trionfo del principio per cui il fine giustifica i mezzi se ad utilizzare anche i più abietti fra questi sono i Buoni contro i Cattivi.
A far da velo a questa evidenza e a magnificare, per coprirla, la nobiltà del nuovo umanesimo sterminatore e devastatore ha provveduto un'armata intellettuale variegata, fatta perlopiù di convertiti dell'utopia comunista pronti a tutto pur di allinearsi al clima di opinione dominante e di goderne le rendite — si pensi a Bernard-Henri Lévy e André Glucksmann, esempi estremi di una specie molto diffusa e assai ben pagata dai giornali che ne pubblicano i periodici violenti sfoghi umorali —, mentre sui pochi critici (come l'Alain de Benoist di Oltre i diritti dell'uomo o il Danilo Zolo di Chi dice umanità) si è abbattuta la scure del silenzio, aggravata dallo stato semicomatoso in cui vegetano gli ambienti sedicenti nonconformisti, da tempo incapaci anche soltanto di leggere, far proprie e far circolare al di fuori delle rispettive nicchie le riflessioni attorno alle quali potrebbe essere costruita una linea di resistenza culturale all'omologazione sistemica.
L'imposizione di questa ideologia ipocrita e insidiosa, veicolata dalle migliaia di voci - dai conduttori di talk shows televisivi agli inviati sugli scenari bellici, dagli editorialisti dei quotidiani ai bloggers consenzienti, dai redattori radiofonici agli opinionisti, ai romanzieri, ai filosofi, sociologi e politologi accademici allineati allo spirito del tempo - di cui la odierna fabbrica del consenso dispone non sarebbe tuttavia stata sufficiente a raggiungere gli scopi che gli occidentalizzatori del mondo si proponevano se la declamazione teorica non fosse stata seguita dai fatti. Cioè dalle risoluzioni delle istituzioni internazionali, dagli embarghi, e poi dalle forniture di armi e denaro
a dissidenti e ribelli, dal lavorio dei servizi segreti, dalle incursioni aeree, dai bombardamenti, dalle invasioni di truppe. Delegittimazione del nemico e suo assoggettamento con la forza dovevano procedere di pari passo. E così è stato. Una volta dipinti i soggetti ostili come spietati tiranni e sfoderata la risorsa della demonizzazione dei "nuovi Hitler" - una galleria infinita, che dopo Milosevic, Saddam Hussein, Osama Bin Laden, non ha risparmiato né Assad né Gheddafi, inevitabilmente rappresentati con balletti e ciuffetto ribelle malgrado le evidenti incongruenze fisiognomiche, e ha sfiorato i capi di Hezbollah e Hamas e perfino Mubarak (I) -, si è potuti passare alle maniere spicce.
Un ruolo fondamentale è stato svolto, in questo quadro, dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, di cui gli Usa e i loro vassalli da decenni deplorano e neutralizzano le ripetute pronunce di Assemblea, quando sono dirette a deplorare gli atti di violenza perpetrati da Israele, ma utilizzano le opportunità quando è il ristretto Consiglio di Sicurezza ad avallare, grazie a bilanciamenti di interessi, ricatti e compensi, le loro decisioni. Dall'indecorosa sceneggiata di Colin Powell all'epoca dell'invenzione delle inesistenti armi di distruzione di massa irachene ai contorsionismi dialettici adoperati per giustificare i diversi atti di aggressione, gonfiando o nascondendo a seconda dei casi e dei soggetti implicati stragi e repressioni, fino alla grottesca risoluzione che ha dato il via alle migliaia di bombardamenti contro gli obiettivi libici che hanno consentito di vincere la resistenza di Gheddafi e dei suoi, il catalogo delle genuflessioni dell'organo supremo dell'Onu ai voleri statunitensi è vastissimo, e ancora una volta basterebbe leggere quanto ha scritto in argomento uno studioso libero da tutele e condizionamenti come Danilo Zolo, in libri come Cosmopolis, I signori della pace e La giustizia dei vincitori per rendersene conto.
Se l'Onu ha costituito l'elemento fondamentale del circuito legittimante che ha all'altro capo l'ideologia dei diritti dell'uomo, e ha consentito di far apparire come repressioni di regimi tirannici contro popolazioni plebiscitariamente insorte quelle che erano in realtà guerre civili tra contrapposte minoranze desiderose di conquistare o mantenere il potere con ogni mezzo, autorizzando forze estranee allo scenario dello scontro a scendere in campo militarmente a favore dell'una fazione contro l'altra, a fare da braccio armato all'interventismo umanitario (sul quale la lettura d'obbligo è quella degli studi di Alessandro Colombo: La lunga alleanza, La guerra ineguale e La disunità del mondo) è stata, come è noto, la Nato. All'organizzazione militare transatlantica spetta infatti il ruolo più pesante ed ambiguo nella trama dell'imperialismo statunitense tessuta nell'arco dell'ultimo ventennio, dall'Afghanistan al Kosovo alla Libia senza trascurare i molti scenari collaterali e minori, e la trasfigurazione dei suoi obiettivi originari - in realtà, un vero e proprio tradimento degli intenti proclamati alla sua nascita — è la prova più eclatante dell'inconsistenza politica dell'Europa, che per suo tramite si è soggiogata completamente ai disegni e agli interessi dell'alleato-padrone d'oltreoceano, rinunciando anche solo ad un motivato diritto a dissentire dalle sue iniziative. Il bombardamento di Belgrado ha reso trasparenti gli intenti che i promotori dell"'adeguamento strategico" dell'Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (la cui ragion d'essere si era estinta con lo scioglimento del Patto di Varsavia) si prefiggevano: riaffermare ed ampliare il dominio sul Vecchio Continente, legarlo completamente a sé con le buone o con le cattive (il soft e l'hard power) e poi trascinarlo, facendogli pagare costi salati, nelle proprie avventure bellico-umanitarie. La spedizione libica, che si è tradotta in migliaia di bombardamenti giustificati sino all'ultimo, con suprema ipocrisia, dalla necessità di «proteggere la popolazione civile» che soltanto le loro micidiali incursioni contro gli obiettivi urbani potevano minacciare, ha dimostrato che, con l'andar del tempo, il potenziale bellico della struttura l'ha resa utilizzabile per scopi ancora più vasti, nel contesto di un piano di addomesticamento agli interessi occidentali in genere — e a quelli di alcuni paesi dell'area più in particolare — dei residui paesi riottosi. Giunti a questo punto, non è azzardato immaginare che in futuro la Nato potrà servire sistematicamente da maschera di comodo degli Stati Uniti in ogni conflitto, potendo vantare quella parvenza internazionale, ormai a vocazione universalistica, che nell'ambito della strategia adottata dai governi di Washington è una carta cruciale da giocare.
Lultimo tassello di questo mosaico, a suo modo non meno efficace degli altri, è il meccanismo dei Tribunali internazionali, primo fra tutti quello de L'Aia, che consente di ricorrere ad un altro strumento di condizionamento psicologico dell'opinione pubblica mondiale, l'accusa di crimini contro l'umanità, sostituto ben più impressionante della precedente nozione di crimini di guerra. Celando il sempiterno Vae victis sotto le prescrizioni di una legislazione ad hoc, voluta, amministrata ed interpretata ad hoc dai vincitori, questo presunto sistema di giustizia si è finora distinto per il rifiuto di assoggettare a procedimenti giudiziari i responsabili di notori atti di violenza perpetrati dalla "parte giusta" e per il clamore mediatico offerto ai processi o ai mandati d'arresto che hanno avuto per. oggetto alcune "bestie nere" degli Usa, da Milosevic a Karadzic e Mladic, da Bashir a Gheddafi (con il supporto di qualche capro espiatorio croato o bosniaco, utile per un'equanimità puramente di facciata e comunque additabile come esempio delle colpe del-l'esecrato nazionalismo altrui). Appare sempre più chiaro che la sua funzione, nell'ottica degli ispiratori, non consiste nel cercare le prove delle colpe degli indagati, ma nel dissuadere esemplarmente chiunque osi contrastare i principi santificati dall'ideologia dei diritti umani e, soprattutto, ostacolare l'omologazione del pianeta alla volontà e ai valori di chi si refigge di controllarlo integralmente. Pur con qualche intoppo, e con una rilevanza massmediale variabile a seconda dei casi, il meccanismo ha svolto il compito che gli era stato assegnato.
Il combinato di questi fattori ha prodotto nell'ultimo decennio, pur con modalità diverse e non sempre riuscendo a controllare sino in fondo gli esiti delle mosse compiute, un notevole impulso del processo di occidentalizzazione del mondo pilotato dagli Stati Uniti d'America. I vaticini sull'imminente implosione degli States che si ripetono periodicamente ad ogni accenno di crisi economica, e hanno trovato rinnovato vigore dall'autunno 2008 in poi, hanno nascosto agli occhi di molti osservatori pur non prevenuti questo dato di fatto, ma la sua sostanza resta, ed occorre capire, come il dossier di «Eléments» che pubblichiamo in questo numero si propone, se i recenti sconvolgimenti del mondo arabo siano o no un altro decisivo passo avanti in tale direzione. Ce lo dirà, comunque, il prossimo futuro.
Quel che è certo è che il progetto imperiale coltivato a Washington ai tempi di George W. Bush non si è estinto con la pur più riluttante e incerta presidenza Obama. E che ha trovato, oltre ai molti entusiasti corifei, un numero crescente di servitori volontari, talvolta inconsapevoli, i quali, abbracciando la dottrina che ne è alla base, predispongono il terreno per nuovi gravi conflitti a venire (in Siria? In Iran? In Libano? Nell'Asia orientale?) proprio mentre vanno celebrando l'epopea di una presunta età di. Pace perpetua, di Giustizia e di Libertà. Come ha scritto Alessandro Colombo, uno studioso attento delle relazioni internazionali che, oltre a conoscerle, sa interpretare ed applicare all'attualità le analisi schmittiane, nel suo recente La disunità del mondo (Feltrinelli), dopo il 1989 «l'eccezionale coerenza del mondo bipolare ha lasciato il posto a un sistema internazionale nel quale le diverse aree regionali continuano a essere in contatto tra loro grazie alla globalizzazione dell'economia e dell'informazione, ma nel quale ogni regione tende sempre più ad abbracciare protagonisti, interessi, conflitti e linguaggi diversi. Tale scomposizione è un potentissimo fattore di instabilità: accentua le differenze istituzionali e culturali tra le diverse regioni, aumenta il peso delle gerarchie di prestigio e potere al loro interno e, in questo modo, apre la strada a nuove diffidenze e competizioni sulla sicurezza. Ma, soprattutto, tale scomposizione rende sempre più inadeguate le risposte di portata globale, anzi rischia di trasformarle da fattori di ordine in fattori di disordine internazionale».
Questo è il lascito velenoso che la predicazione universalistica dell'ideologia liberale reca dentro di sé e che il progetto di dominio planetario statunitense sta liberando. Sarebbe davvero tempo di accorgersene e di reagire. Questa sì, ben più di altre, è una ragione profonda per indignarsi dello stato di cose che siamo costretti a sopportare.

(editoriale di Diorama Letterario, n. 305)

di Marco Tarchi

03 ottobre 2011

Il Grande Inganno: l’oro e la guerra




Prima del 1914 un’oncia d’oro valeva 20 dollari in United States Note. Con una banconota da 20 dollari si comprava, al netto delle spese di cambio, una moneta d’oro del peso di gr. 31 circa. Oggi occorrono 50 banconote da 20 dollari (Federal Reserve Notes) per comprare la stessa moneta d’oro, ammesso che sia disponibile.

Il che sembra ovvio o, meglio, “fisiologico”. Tutto si spiegherebbe con la perdita, nel corso del tempo, del potere d’acquisto della moneta, ignorando il fatto che chiunque ne faccia uso deve simultaneamente farsi carico di un debito e assumere l’onere perpetuo di pagarne gli interessi.
Il che, beninteso, non è evidente, ma grazie alle alchimie politiche e alla scienza attuariale è economicamente corretto, anche se eticamente truffaldino.

La moneta a corso legale, infatti, non è soltanto un mezzo di pagamento, ma può diventare, con estrema facilità, lo strumento di speculazione del capitale privato.
Chi non ci crede, potrebbe dare un’occhiata al capitale di Bankitalia o della BCE in regime Euro (nell’anno Domini 2011). Ma dovrebbe anche chiedersi perché a Londra esiste il LBMA (London Bullion Market Association), inaccessibile luogo in cui viene quotidianamente fissato il prezzo dell’oro sul mercato mondiale.

Che la cosa avvenga dal 1919 (l’anno dei diffusi sospetti) è poco convincente, anche se rivestita di ufficialità. La pratica infatti risale al 1815, ma il vero precedente è del 1773. Allora l’idea di Mayer Amschel Bauer diventa tecnica finanziaria che condizionerà l’economia dell’età contemporanea.
Costui (Mayer Amschel) ha una piccola bottega a Francoforte sul Meno, ma non è artigiano, bensì mercante d’oro, come lo chiameranno più tardi almeno due generazioni di regnanti inglesi, cioè “The Goldsmith” (che significa anche “gold dealer”). Appellativo che gli resterà appiccicato anche quando suo figlio, Nathan Mayer, sarà nominato baronetto da Re Carlo III (dinastia Hanover) e da questi assunto in via permanente alla corte britannica, in qualità di consigliere economico di Sua Maestà.

L’idea (sulle prime assai peregrina) di Mayer Amschel Bauer consiste nel finanziare il Re (in oro) a patto che questi gli affidi il compito esclusivo di esattore delle imposte, ferma restando la facoltà del finanziatore di negoziare i certificati di deposito equivalenti su piazze diverse.
Il progetto è geniale, ma per realizzarlo occorre entrare nel giro della “Judengasse”, dove l’oro si scambia col denaro liquido in cospicue quantità e ben oltre la competenza di meno nobili strozzini che prosperano nei vicoli adiacenti.

Nel salto di qualità è anche opportuno assumere un nuovo cognome, che (per legge) si deve cambiare. Lo suggerisce uno scudo rosso (Roth-Schild), simbolo che troneggia sopra la vecchia bottega del banco dei pegni. Mayer Amschel diventa Rothschild. Ma è solo il primo passo. Occorre coinvolgere i grandi “Gold Dealers” di Francoforte, invitandoli a impiegare i loro sostanziosi capitali in operazioni più redditizie (rispetto a quelle correnti e limitate alla sola piazza della città sul Meno). Maestro nell’arte della persuasione e assai dotato di fiuto diplomatico, Rothschild instaura una sorta di colossale gioco senza frontiere, puntando l’intera posta sul tallone d’Achille delle grandi potenze, il bilancio.
Pretese imperialistiche e fermenti sociali non sono per lui che segnali indicatori del giusto investimento dei crescenti capitali di cui egli può gradualmente disporre.

L’oro è “moneta” internazionale, capace di comprare popoli e sovrani e di sostituirsi alle banconote correnti (lo sanno i monarchi sognatori e i rivoluzionari che rincorrono utopie). Ma può diventare un vincolo o costituire viceversa credenziale necessaria (e non sempre, sufficiente) alle manovre finanziarie che le circostanze politiche possono giustificare. Tutte cose che Rothschild intuisce, prevedendo possibilità di guadagno sulla convertibilità della moneta, ma lucrando anche sulla negoziazione dei certificati di deposito che l’equivalente in oro dovrebbero rappresentare. Fra controversie mai pienamente definite, nasce così il gold-standard.

Ma il dubbio sulla concreta esistenza d’una riserva aurea (corrispondente alla circolante moneta) è secolare, come del resto quello sulla variabilità del rapporto oro/moneta.
L’idea del Rothschild diventa comunque, nell’Europa rivoluzionaria e nei decenni a venire, criterio monetario, in base al quale si crea moneta e si lucra sul gettito fiscale.
Questo è possibile anche quando dell’oro non si dispone (o se ne è perso il possesso). Come?
Contrattando i certificati di deposito equivalenti alle Borse di Parigi, Londra e Francoforte, per farne fra l’altro riserva sostitutiva che giustifichi l’emissione di altre banconote (nel linguaggio Fed, “legal tender”), cioè denaro d’uso corrente.

Nella circostanza (al tempo dell’”illuminato” Mayer Amschel) si prospetta al Re l’opportunità di tutelare la difesa del Regno, acquistando armamenti.
L’oro, in caso di guerra, è garanzia reale, ma nei mercati finanziari si trattano i titoli che lo rappresentano. Lo impareranno, a loro spese, il Bonaparte a Waterloo e, centotrenta anni più tardi, Adolf Hitler.
S’inaugura così l’economia speculativa del libero mercato che mal sopporta gli equilibri politici e vede, nel conflitto armato, ghiotte occasioni di guadagno.

Rothschild si garantisce l’esclusiva competenza sulla negoziabilità dei certificati di deposito e l’eventuale agganciamento al gold-standard, costituendo Rothschild Houses, a Londra, Parigi, Vienna e Napoli, alla cui guida il neo banchiere colloca (Francoforte compresa) i suoi cinque figli.
L’ordine è imperativo: prima di cedere l’oro al Re, gli si fa sottoscrivere un contratto, in cui egli riconosce il debito (del regno) e autorizza il finanziatore ad emettere moneta, in quantità equivalente, attraverso una o più banche. Vale in tal senso il noto certificato di deposito, sottoscritto dal monarca, che dell’oro ha bisogno, per fare una guerra o soffocare una rivoluzione (oppure, come spesso accade, per risanare il bilancio). La convertibilità dell’oro in moneta corrente è utilissima nel caso in cui il Re diventasse insolvente o rifiutasse di seguire certi consigli politici. I cospiratori in tali evenienze si pagano in banconote, così come le rivoluzioni che, senza soldi, non si possono fare.

Nello stesso modo si finanziano anche le forze reazionarie, purché il successivo governo, nato dalla restaurazione, affidi a Casa Rothschild il controllo della finanza pubblica.
Il Network dello Scudo Rosso funziona alla perfezione, visti i tempi che corrono in Europa e nel Nuovo Mondo, dove la Corona inglese rischia di perdere il controllo politico e monetario della sua colonia nordamericana. Il capostipite dei Rothschild, oltre che astuto mercante, è attento osservatore di una società in fermento, in cui le tensioni fra classi s’avvicinano al punto di rottura, mentre si va affermando nel Vecchio Continente la forza del “Terzo Stato” o Borghesia.

Il Teatro europeo sembra ideale campo di applicazione della tecnica generatrice del debito pubblico permanente, per mezzo della quale si può trasformare il patrimonio nazionale in capitale privato.
Essa è suggerita dal principio secondo cui il denaro (alias certificato di deposito in oro, la cui concreta esistenza può anche essere ipotetica) è mezzo di pagamento liberatorio dai vincoli di un debito, che pur dipende dal… dove e quando. Cioè dalla diversa valutazione dell’oro o del certificato che lo rappresenta. Questo spiega, fra l’altro, perché Edoardo III nel 1345 rifiutò di aderire alle richieste del banchiere Bardi di Firenze. Infatti, perdurando allora la Guerra dei Cent’Anni, la quotazione dell’oro era alle stelle nel Regno Inglese (grazie all’alta richiesta del metallo prezioso, destinato all’acquisto di armi e alla costituzione di nuovi eserciti) e costituiva pretesto per non soddisfare le pretese del banchiere fiorentino (che chiedeva, documenti alla mano, la restituzione della stessa quantità d’oro a suo tempo prestata al Monarca).

Capitale che, convertito in fiorini, “valea un Regno” come ci racconta il Villani, perché riferito al prezzo dell’oro, ma in circostanze e tempi diversi.
Quattrocento anni dopo, grazie al suo intuito, Rothschild può ovviare all’inconveniente mettendo in gioco i mercati finanziari (Amsterdam, Londra, Francoforte e più tardi Parigi e New York), nei quali sono negoziati i certificati di deposito. Di mezzo c’è sempre “Re Mida”, che ha messo insieme un bel mucchio di questi documenti rappresentativi e intende investirli dove l’oro vale di più: sulla piazza in cui c’è maggiore richiesta, perché si prevede una guerra e un aumento di spesa per gli armamenti, oppure un moto rivoluzionario e la fornitura d’armi e denaro agli insorti. Il clima teso, originato da spinte imperialistiche e prospettive d’indipendenza, agevola l’impiego di capitali (oro o corrispondenti certificati).

Ma, come già osservato, se il Re deve fare la guerra, il prezzo dell’oro sale. Di conseguenza uno scaltro investitore, messo nelle condizioni di poterlo fare, favorisce lo scoppio del conflitto, nascondendo opportunamente i meno nobili intenti che lo causano.
Il banchiere del Re, che non può ignorare i rapidi sviluppi del razional-liberalismo, troverà infatti buone occasioni d’investimento nel finanziare anche quelli che al Re si oppongono, a condizione che l’”affidamento” (o debito) sia poi pagato sotto forma di tributo dai cittadini contribuenti. Il ruolo del banchiere prevede dunque l’eventualità ch’egli possa, all’occorrenza, farsi portavoce di masse oppresse, se ciò favorisce i suoi obiettivi finanziari, non escludendo l’ipotesi di un proprio decisivo sostegno al presunto oppressore, contro cui sarà legittimo finanziare una guerra di liberazione. Quest’ultima rientra in tal modo nel novero delle guerre giuste, finanziariamente sostenute, allo scopo di trarne comunque un profitto.

Casa Rothschild diventa specialista del settore e opera attraverso una rete di selezionati agenti, sparsi in Europa, Asia e le due Americhe.
Nella Francia di Luigi XVI si nota l’allarmante aggravarsi del debito pubblico che sfiora nel 1783 il picco insostenibile di 1.640 milioni di “livres”, grazie alle incaute manovre del Ministro delle Finanze Calonne, che già è ricorso al mercato dell’oro gestito dal Rothschild. Le tasse a carico dei contadini non bastano a pagare gli interessi. S’impone la famigerata “taglia”, classica goccia che fa traboccare il vaso. E il resto che segue è noto. I titoli del Regno francese sono trattati alla Borsa di Francoforte e Londra che ne determinano un sensibile calo, tanto da indurre Parigi a sospendere le contrattazioni. Al Re che non paga si taglia la testa e… nasce l’età contemporanea. A Londra si costituiscono le prime “Accepting Houses” nei cui forzieri è custodita gran parte del Tesoro della Corona francese. La regìa della finanza londinese è affidata a Nathan Mayer Rothschild, il quale propone l’immediato sganciamento della sterlina dal gold standard quando si forma la Settima Coalizione che a Waterloo dovrà porre fine all’aggressività e ai sogni utopistici del Bonaparte, che da anni saccheggia l’oro di mezza Europa, Nord Africa e Russia. Sono queste le due facce del gold standard, sorta di feticcio che nasconde da un lato le virtù del Sacro Graal e nel rovescio il codice della perfetta fregatura.

Gli Stati Uniti hanno conquistato l’indipendenza politica, ma l’economia americana è sempre più schiava del “Metodo Rothschild”, grazie ad un meccanismo funzionale alla pratica del noto Fiat Money, che molti già chiamano London Connection.
Qualcosa che ricorda il “Trick or trade?” e la tradizione di Halloween. Si tramanda anch’essa da padre in figlio, come le generazioni di banchieri internazionali.
Così, le crisi economiche, ricorrenti dal 1837, quasi eguagliano in frequenza gli scherzetti di fine ottobre, come l’ordine di richiamo, improvviso e ingiustificato, dei “crediti a breve termine” e simili stregonerie bancarie. È il trucco che negli States (e non solo) causa insolvenze a catena, crack finanziari e sindromi da panico collettivo. Il trade è l’ovvia fase successiva che, tradotta, significa aumento del tasso di sconto e del gettito fiscale, diminuzione del potere d’acquisto della moneta e ulteriore indebitamento pubblico.

In questo modo indipendenza e autonomia (politica ed economica) vanno a farsi benedire.
Nel complesso gioco imperialistico del primo Novecento, si misurano astuzia finanziaria e la potenza delle armi, perché la posta in palio è il controllo dei territori ricchi di materie prime e, in particolare come già ricordato, del petrolio.
L’indebitamento dello Stato precede dunque l’emissione di moneta, cioè un flusso di liquidità da impiegare con urgenza per non causare ulteriore inflazione e passivi insostenibili.
I mercati finanziari stimolano così gli investimenti pubblici, obbligando lo Stato ad aumentare le spese per gli armamenti.

Cosa fa uno Stato indebitato e ben provvisto di armi? Cerca di usarle, per limitare il passivo. E poi perché le armi non impiegate sono inutili – servono come deterrente, ma non migliorano i bilanci – il loro impiego, dietro i più banali pretesti e le più artefatte provocazioni, può trasformare un passivo in attivo, fino a quando non interviene un altro Stato, pieno di debiti, ma armato fino ai denti che è costretto a proporsi come belligerante. Una sorta di reazione a catena, come quella ben meditata dai Rothschild, nel periodo che precede la Prima Guerra Mondiale. Debito, economia instabile, passivi insostenibili, ampia disponibilità di armamenti, obbligo al loro impiego, guerra.
Ecco lo scenario che si delinea in Europa, all’indomani dell’entrata in vigore del Federal Reserve Act (gennaio 1914), quando inizia la piena attività della Federal Reserve Bank of New York, strumento operativo della Bank of England, che a sua volta è in stretta connessione con la House of Rothschild.

Woodrow Wilson è ottimo giurista che non prescrive rimedi, come egli stesso confessa. Lasciando intendere che corruzione e degrado morale possono serpeggiare al Congresso e alla Casa Bianca, sotto gli occhi del Presidente, come se non fosse sua competenza e dovere adottare opportuni provvedimenti per eliminarli. A Washington però come nell’Atene di Pericle, libertà e democrazia sono miti dell’Olimpo, che vendono bene. Basta confezionarli come pregiata merce d’esportazione.
All’uopo viene fondata l’American International Corporation, secondogenita del Federal Reserve System e gigantesca rete del Corporate Banking.
La politica americana, che non rinuncia al costante richiamo al suo breviario mitologico, inaugura così la grande missione di propaganda fede, secondo un nuovo, perfezionato rituale, capace di nascondere, all’ombra di un mito, il raggiro e la truffa, pur evidenti, ma tanto consueti da essere infine ammissibili, perché origine di un mortificante, colossale e inconfessabile equivoco.
di Gian Paolo Pucciarelli

02 ottobre 2011

Come cambierebbe la fisica se si andasse più veloce della luce


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L´esperimento del Cern è finito in prima pagina su tutti i giornali del mondo: se davvero il neutrino fosse più veloce della luce si aprirebbe una nuova era. Non solo per la comunità degli studiosi. Tre delle idee più importanti del XX secolo dovrebbero essere riviste: tra queste la relatività speciale. In attesa di conferme dai fisici, vediamo cosa succede quando la scienza cambia paradigma

Fino alla fine dell´Ottocento i fisici erano convinti che lo spazio fosse pervaso di un mezzo invisibile attraverso il quale si propagava la luce: l´etere luminifero. La sua esistenza era necessaria per conciliare le leggi della fisica, e in particolare il principio di relatività galileiano con le equazioni di Maxwell che descrivono il legame tra il campo elettrico e il campo magnetico, da cui emergono le onde elettromagnetiche, che comprendono la luce visibile. Così, nell´ultimo quarto del secolo, fiorirono gli esperimenti per verificare la natura dell´etere. E nel 1887 Albert Abraham Michelson ed Edward Morley misero a punto un sofisticato strumento per misurare l´esistenza del "vento d´etere".
econdo le congetture dell´epoca, infatti, il misterioso mezzo avrebbe dovuto influenzare la velocità di qualunque cosa vi fosse stata immersa, compresa la luce. Michelson e Morley suddivisero dunque un fascio di luce in due fasci che percorrevano cammini perpendicolari, per studiarne l´interferenza nel punto in cui convergevano nuovamente su uno schermo, ma il loro ingegnoso trucco portò a un esito allarmante: la velocità della luce sembrava indipendente dalla direzione, e perciò non ci sarebbe stato nessun etere a trasportarne le onde.
Ripetuto in laboratori diversi e con differenti modalità fino al 1906, l´esperimento di Michelson e Morley sarebbe stato definito, più avanti nel Novecento, "il più riuscito esperimento fallito della storia della scienza". Ma la sua realizzazione spalancò le porte all´elaborazione delle trasformazioni di Poincaré e Lorentz prima e, in ultimo, alla teoria speciale della relatività di Albert Einstein.
Questa lunga premessa per dire che, pur con importanti differenze sotto il profilo epistemologico e storico, se i risultati ottenuti con il rivelatore Opera sul fascio di neutrini in viaggio tra il CERN e il Gran Sasso fossero validati e confermati da altri esperimenti analoghi, saremmo davanti a un evento di quelli che la scienza produce una volta per secolo, o giù di lì. Il condizionale è indispensabile, perché in fisica una conferma è la realizzazione di un esperimento indipendente da cui emergono i medesimi risultati.
Perché i neutrini superluminali diventino davvero una svolta epocale per la fisica del XXI secolo, dunque, occorre che si realizzino tre condizioni. La prima è che i dati resi pubblici dalla collaborazione Opera reggano ad analisi indipendenti. I risultati sulla velocità dei neutrini sono espressi in forma statistica, e la loro affidabilità dipende dal margine di errore intorno ai tempi misurati. Se fosse più rilevante di quanto indicato, allora i neutrini potrebbero avere una velocità compatibile con quella della luce nel vuoto, o anche leggermente inferiore.
La seconda condizione è la verifica dei risultati da parte di esperimenti indipendenti. Non è un caso se l´esperimento di Michelson e Morley fu ripetuto in condizioni diverse e in laboratori diversi per quasi vent´anni, prima di abbandonare l´idea dell´etere. Così pure il risultato ottenuto tra il Cern di Ginevra e i laboratori del Gran Sasso dell´INFN occorre sia replicato da altri. Negli Stati Uniti sono già in corso misurazioni della velocità di un fascio controllato di neutrini all´esperimento MINOS, e in Giappone l´esperimento K2K potrebbe fornire ulteriori dati indipendenti. Ci vorranno mesi perché possano essere disponibili i primi dati da questi laboratori, ma da lì potrebbero venire le prime conferme del fenomeno.
Infine, se la velocità superluminale dei neutrini sarà confermata, occorrerà inserire questo sorprendente risultato sperimentale in un quadro coerente. Che, naturalmente, non cancellerà Einstein e la relatività speciale, ma permetterà di estendere la portata delle leggi fisiche a un fenomeno nuovo e inaspettato. Il risultato di Opera coinvolgerebbe infatti tre delle più prolifiche teorie del XX secolo. La relatività speciale infatti, è consistente con la teoria dei campi elettromagnetici proprio in quel valore della velocità della luce nel vuoto che fino a oggi è considerato un limite universale. E la teoria dei campi elettromagnetici è unificata alla teoria delle interazioni deboli, quelle in cui si producono i neutrini, dalla teoria elettrodebole, la cui verifica valse il premio Nobel a Carlo Rubbia. Tra le molte ipotesi che sono già state avanzate, l´esistenza del fenomeno potrebbe significare che esiste un limite di energia oltre il quale particelle come i neutrini, prive di carica elettrica e di massa minuscola, che interagiscono molto debolmente con la materia, possono violare la velocità della luce nel vuoto.
Sono già al lavoro anche gli specialisti della gravità quantistica, ovvero i teorici che da più di mezzo secolo tentano di riconciliare le due grandi rivoluzioni del Novecento, la meccanica quantistica e la relatività, in una descrizione coerente della gravità, la forza più appariscente eppure più enigmatica del cosmo. Perché questo risultato potrebbe avere a che fare con una struttura discreta dello spazio-tempo che è stata ipotizzata proprio nell´ambito della gravità quantistica. E, naturalmente, non poteva mancare la schiera dei teorici delle stringhe. In questo complesso edificio matematico, infatti, si potrebbe annidare la spiegazione del fenomeno, ipotizzando che i neutrini possano arrivare in anticipo "prendendo una scorciatoia" nelle dimensioni extra dell´universo.
Per il momento siamo sul terreno delle ipotesi più ardite, ma comunque vada l´esperimento della collaborazione Opera ha già prodotto due risultati di rilievo. Il primo è sotto gli occhi di tutti. La comunicazione pubblica dei risultati sta permettendo a noi comuni mortali di gettare uno sguardo nei processi della scienza. Nel dibattito, anche aspro, si scontrano posizioni a volte inconciliabili, ma sempre fondate sull´osservazione dei fenomeni. E, soprattutto, senza alcun equivoco, anche gli scontri più duri – come quelli che videro protagonisti Einstein e Niels Bohr sulla natura della teoria dei quanti – sono sempre volti a un obiettivo comune: il progresso nella conoscenza delle leggi di natura. Per questo la scienza è la più straordinaria impresa collettiva dell´umanità.
Il secondo è forse più materia per addetti ai lavori. Dopo decenni, infatti, un risultato inatteso, ottenuto con quella serendipity che spesso accompagna le grandi rivoluzioni scientifiche (la misurazione della velocità dei neutrini non era l´obiettivo primario dell´esperimento), spinge i fisici di tutto il mondo a ripensare i fondamenti di una materia che negli ultimi decenni pareva un po´ stagnante, tra la celebrazione del modello standard della fisica delle particelle e le astrusità matematiche della teoria delle stringhe. Da tutto questo potrà forse emergere una nuova fisica, che non cancellerà certo i risultati acquisiti nell´ultimo secolo e mezzo, grazie ai quali esiste molta della nostra tecnologia di uso quotidiano, ma spingerà un po´ più in là gli orizzonti della nostra conoscenza. O forse no, se il lungo processo di validazione non darà conferma di questi risultati preliminari. Ma soltanto con i tempi della scienza sapremo se Opera sarà stato l´esperimento di Michelson e Morley del XXI secolo
di Marco Cattaneo

28 settembre 2011

De-globalizzazione e recupero della sovranità nazionale




1. Un’organizzazione denominata Rivoluzione Democratica (cfr. sollevazione.blogspot.com) ha convocato a Chianciano per il 22 e 23 ottobre 2011 un incontro nazionale con parola d’ordine: Fuori dal debito! Fuori dall’Euro! Voglio qui riportare il mio contributo (sia pure non richiesto), data l’importanza del tema in questione.

2. Le possibilità concrete di ottenere a breve ed a media scadenza questi due obbiettivi (che condivido nell’essenzialità) sono pressoché nulle. E dicendo nulle intendo proprio dire nulle. In una simile situazione, non potendoci aspettare risultati anche solo parziali a scadenza ragionevole, è il come si devono impostare le rivendicazioni che diventa decisivo. Se esse infatti si impostano male o in modo inappropriato, presto o tardi se ne avranno le conseguenze. Farò fra poco il grottesco esempio del Movimento detto No Global, partito un decennio fa con grandi speranze e finito nel nulla e nel ridicolo. Le cause di questo esito poco glorioso devono essere approfondite.

3. Il settembre 2011 l’Unione Sindacale di Base (USB) è sfilata a Roma con rivendicazioni qualitativamente diverse da quelle della CGIL, Di Pietro, di Vendola, di Bersani e della stessa FIOM. E’ stato posto il problema della cancellazione del debito e della uscita dall’eurozona. Si tratta pur sempre di un’organizzazione che rivendica di avere circa 250.000 membri, e quindi di una forza piccola, ma reale. Si tratta di una relativa novità nella scena politica italiana, in cui l’Unione Europea è fino ad oggi rimasta un feticcio intoccabile, dall’estrema destra all’estrema sinistra “visibili”.

4. Nel numero di settembre 2011 di “Le Monde Diplomatique” (edizione italiana) è uscito un fondamentale articolo dell’economista francese Frèdèric Lordon intitolato “La deglobalizzazione ed i suoi nemici”. Questo testo è importante, perché pone con chiarezza i problemi fondamentali. Rimandando ad esso il lettore, ne svolgerò con autonomia un mio commento personale.

5. Così come la imposta Lordon (e la intendo io) la de globalizzazione non ha nulla a che vedere, e non è quindi una ripresa, di ciò che per un decennio è stato chiamato Movimento No Global. La debolezza strategica del Movimento No Global era di non essere affatto no global (al di là dei riti pittoreschi di piazza, dai lamenti pecoreschi ritmati alle simulazioni del black bloc), ma di essere un movimento no global di estrema sinistra, e cioè una caricatura ultra-global. La stragrande maggioranza delle sue rivendicazioni (per non cadere nell’autarchia, nel protezionismo, nello stato nazionale, eccetera, tutte cose viste a priori come di “ultradestra”) erano ricavate da una radicalizzazione di ultra-sinistra del paradigma neoliberale in politica e neoliberista in economia. Estensione in tutto il mondo dei “veri” diritti umani, abolizione delle frontiere, libera immigrazione, “superamento” del meschino orizzonte della sovranità dello stato nazionale, retorica contro i dittatori (distinti in semplicemente corrotti, ed in corrotti ed anche sanguinari), giovanilizzazione e femminilizzazione dei valori sociali, mitologia del progresso, eccetera. Un programma che sembrava stilato dalle stesse oligarchie liberali. In campo “marxista”, Negri e Hardt scrissero una trilogia che propagandava questa concezione liberista rovesciata (ma un dado rovesciato è sempre un dado), e non a caso questa trilogia divenne popolare presso i due estremi sociali apparentemente antitetici ed in realtà complementari del capitalismo, i centri sociali in basso e l’aristocrazia accademico-universitaria di sinistra in alto.

6. In Italia abbiamo vissuto una variante particolarmente pittoresca e provinciale del movimento no global, con il picconatore Bertinotti che sosteneva che con la globalizzazione spariva l’imperialismo. Il fatto che questa colossale sciocchezza potesse essere presa sul serio segnala la desertificazione del pensiero critico per opera degli apparati ideologici post-moderni mediatici ed universitari. Ed il fatto che il successore più astuto e rigoroso di Bertinotti, il poeta barese Vendola, abbia elettoralmente svuotato sia i “merli” di Ferrero sia i “passeri” di Diliberto, mostra come il non avere preso sul serio in tempo le sciocchezze porta poi a conclusioni distruttive. Quali lezioni trarre dagli esiti grotteschi del movimento no global dieci anni dopo?

7. La prima e pressoché unica lezione consiste nel capire che la sacrosanta lotta alla globalizzazione non può e non deve essere ripetuta e riproposta sulla base ideologica del movimento no global. Lordon chiarisce che i cantori del vecchio movimento no global (ad esempio l’organizzazione Attac, che ha definito la deglobalizzazione un concetto semplificato e superficiale) comincino già ad alzare le barricate, paventando poi “contaminazioni” con il protezionismo dell’eterna “destra”. Fa eccezione l’economista francese Jacques Sapir, che a mio avviso ha impostato le cose nel modo più radicale e anche meno estremistico ed avventuristico possibile: si tentino pure tutte le soluzioni possibili dentro l’euro e l’unità europea, ma se per caso fallissero, allora deve diventare “pensabile” anche l’uscita dall’euro.

8. Inutile dire che una simile prospettiva possibile, anche se posta solo come eventualità praticabile nel caso che tutte le altre opzioni “riformatrici” fallissero, viene virtuosamente rifiutata dal centro e dalla destra liberale. Il fatto è che ormai il liberalismo classico non esiste nemmeno più, divorato dal passaggio dalla sovranità politica alla governance economica. Ma anche la sinistra (con quella appendice patetica ed inutile chiamata “estrema sinistra”) la rifiuta, temendo virtuosamente che “un conflitto di classe venga trasformato in un conflitto di nazioni” (Jean Marie Harribey).

Ecco, questo è lo scoglio. Il voler negare il dato nazionale, rimuovendolo virtuosamente, aveva già portato Attac a passare dalla “anti-globalizzazione” al cosiddetto “altermondialismo”. Ma l’altermondialismo per ora non esiste, ed è una utopia futuribile come il comunismo o il comunitarismo universale. Ma il dato nazionale non significa automaticamente razzismo, protezionismo assoluto, autarchia totale o decrescita virtuosa agro-pastorale, anche se viene ovviamente così diffamato dai cantori (interessati) della cosiddetta irreversibilità della globalizzazione.

La globalizzazione è emendabile? Il futuro è ignoto, ma si può già rispondere: per ora, nelle attuali condizioni geopolitiche ed economiche, no. I quattro elementi intrecciati insieme (le sfide della globalizzazione, il giudizio dei mercati, il vincolo dei debiti, la sovranità delle agenzie di rating) ci fanno rispondere di no. E quindi bisognerebbe trarne le conseguenze.

9. Per ragioni che sarebbe lungo e noioso spiegare, mentre mi sono estraniato (e sono stato estraniato) dal dibattito italiano, sono invece attivo e presente nel dibattito greco (articoli, interviste, interventi, eccetera). Ora, tutti conoscono la situazione della Grecia, e di come il problema del debito e dell’eventuale uscita dall’euro sia in Grecia particolarmente acuto ed attuale, molto più che in Italia, dove è ancora per ora largamente “teorico” e virtuale. In Grecia è possibile studiare come in un laboratorio le conseguenze immediate del dibattito sul debito.

Il commissariamento della Grecia, che ha comportato la sua totale perdita di sovranità, ha comportato anche la completa distruzione di tutte le conquiste “socialdemocratiche” conseguite dopo la caduta della giunta dei colonnelli del 1974 (metapolitefsi), svuotando quasi quaranta anni di storia della Grecia moderna. Così come l’Italia dell’agosto 2011 è stata “commissionata” dal duopolio Draghi-Napolitano (un banchiere ed un ex-comunista riciclato), così la Grecia è stata commissionata da una “giunta economica” costituita da tutti partiti (destra, sinistra e centro) favorevoli alla sottomissione ai diktat della banca Centrale Europea e della Germania in primo luogo. A questo punto, come reagire?

Da quanto ho potuto capire partecipando al dibattito, ci sono stati fondamentalmente due modi. In primo luogo la rivendicazione di una autonomia nazionale è stato subito incorporata nel ribellismo ultra-comunista di estrema sinistra, che invita all’abbattimento del capitalismo. In secondo luogo, un modo più patriottico e nazionale, incarnato dal grande musicista Mikis Theodorakis e dal suo movimento, che non porta in piazza bandiere rosse ma soltanto bandiere azzurre greche, e lo fa per non dividere ideologicamente il popolo, che al di fuori di una ristretta oligarchia soffre indipendentemente dalle sue opinioni politiche, filosofiche o religiose.

Nonostante abbia amici soprattutto fra i “sinistri” greci, devo dire che a mio avviso la linea giusta è quella di Theodorakis. Il popolo non deve essere diviso ideologicamente, ma unito in nome della sovranità nazionale e di quella che Lordon e Sapir chiamerebbero deglobalizzazione. Cerchiamo di tirarne la conseguenze “italiane”. Anche in Grecia Theodorakis è stato accusato di essere “rosso-bruno”, di lasciare spazio alla destra, di essere ambiguo, eccetera. Accuse completamente false. Theodorakis ha le carte in regola, sia per la Resistenza (1941-1944), sia per la guerra civile (1946-1949), sia per il “lungo inverno” dell’autoritarismo successivo (1949-1967), sia per l’opposizione alla dittatura dei colonnelli (1967-1974). E’ solo la stupidità settaria che non ha le carte in regola, né in Grecia né in Italia.

10. Passiamo ora all’Italia. Se le considerazione fatte fino ad ora sul fallimento dei no global e degli altermondialisti, sulla deglobalizzazione (Lordon, Sapir), sulla corretta impostazione “nazionale” (non nazionalistica) di Theodorakis in Grecia, eccetera, sono corrette, che cosa fare in Italia?

In primo luogo, non lasciare spazio ai deliranti che dicono che “bisogna fare come in Tunisia”. Gli italiani se ne guarderebbero bene. Dalla Tunisia si scappa e si scapperà ancora a lungo, perché non c’è pane e non c’è lavoro (il che non significa che non fosse ovviamente sacrosanta la rivolta contro Ben Alì!). In questo momento una (non auspicabile) rivolta di tipo tunisino porterebbe soltanto alla fuga del puttaniere Berlusconi ed ad un governo degli “onesti”, e cioè dei funzionari del FMI e della BCE, che porterebbero a termine i programmi di liberalizzazione totale.

In secondo luogo, non bisogna in nessun modo attaccare al programma della deglobalizzazione (perché è ovvio che lo sarebbe sia l’uscita dall’euro che dal debito) i tradizionali (e deliranti) programmi di estrema sinistra, attraverso massimalistiche adunate di refrattari. Mi spiace scendere sui nominativi e sul personale, perché non sarebbe stata questa la mia intenzione. Ma che cosa ci fanno Rizzo, Ferrando e Babini dei CARC? I CARC vogliono la dittatura del proletariato. Ferrando vuole fare come in Tunisia, e lasciamo stare per carità di patria le sua posizioni sulla Libia e sulla Siria, in cui uno scontro tra masse divise da una guerra civile è stato magicamente trasformato in scontro tra le masse unite ed i dittatori burocratico-capitalisti. E Badiale? A mia conoscenza Badiale vuole la decrescita, programma del tutto legittimo, ma che è una fuga in avanti attaccare alla deglobalizzazione. Trattandosi di una sorta di “intergruppi” di estrema sinistra, il solo modo in cui molti vedono l’anticapitalismo, a mio avviso il fallimento è inevitabile. A breve scadenza, fallirebbe anche se ci fossero Gesù, Maometto, Marx e Lenin. Ma almeno porrebbe le basi per una lotta di lunga durata. Così avremo il solito intergruppi estremistico urlante.

A dire queste cose, si passa necessariamente per rompiscatole e guastafeste, ma in definitiva è meglio parlare che tacere

di Costanzo Preve

27 settembre 2011

Economisti pecoroni, politici imbroglioni




crisi-mondoPrima che sopraggiungesse la crisi economica, si dice la più dura dopo quella del ’29, eravamo circondati da migliaia di esperti del benessere perpetuo, da centinaia di vaticinatori della prosperità continua, da innumerevoli predicatori del capitalismo florido e progressivo che non conosceva confini. Arrivato il crollo finanziario gli stessi catechisti di questa realtà perennemente fertile e vigorosa si sono convertiti alla stregoneria borsistica, alla religione del default, allo spiritualismo monetario post-apocalittico. All’inizio era il verbo di Keynes o di Von Hayek, ora è il tempo di Nostradamus, nella sua versione liquido-catastrofistica alla Zygmunt Bauman o in quella gassosa-hegeliana alla Ulrich Beck. Per la verità c’è qualcuno che ha cercato di non saltare letteralmente di palo in frasca ma si è trovato ugualmente a commistionare stili e discipline per rimediare al suo mutismo di fronte all’imprevedibile (ma non troppo). Per aggirare l’inconveniente che ammutoliva e toglieva credito davanti alle platee bovine ci si è dati all’arte del dosaggio, tra scuole e pensatori, concetti e categorie, dottrine e teoresi. Meno Friedman e più Krugman, più statalismo e meno liberismo, maggiore sostegno alla domanda e più tasse per i ricchi, o viceversa, e la ricetta per l’avvenire veniva corretta almeno fino alla prossima previsione sbagliata. Ma in un caso come nell’altro si nota sempre più volentieri la presenza di un ingrediente che fa da amalgama al brodino economicistico, ovvero un fantomatico ritorno ad un’etica negli affari che, a quanto pare, in passato veniva snobbata e derisa (nonostante la filantropia di George Soros o di Bill Gates). Insomma, ci si arrampica sugli specchi della Storia e sui piani scivolosi dei cicli del capitale per ritornare in sella ai tempi che hanno disarcionato uomini e modelli dai loro piedistalli oracolari, ornati di biglietti verdi e di fama. Erano intellettuali strapagati e si ritrovano ad essere profeti altrettanto ben remunerati. Così mentre i titoli crollano, le fabbriche chiudono e i posti di lavoro saltano, cresce una nuova ideologia della parsimonia, della misura e del limite combinantesi con una morale globale che pone l’uomo al centro e la responsabilità tutto intorno. E dove questa non basta c’è anche la Marx renaissance, perché il barbuto di Treviri aveva tutto indovinato, dalla globalizzazione alla finanziarizzazione. Il denaro ci ha contaminati ma l’etica ci salverà. Questa la soluzione più efficace per superare la débâcle generale, almeno stando al pensiero dell’economista filosofo italiano Giovanni Reale. Per gettare il cuore oltre l’ostacolo del crac bisogna rigenerare l’uomo dalla testa ai piedi poiché “la finanza non basta alla finanza, l’economia non basta all’economia e la politica non basta alla politica”. Mentre, evidentemente, la confusione nel cervello di questi sedicenti professori basta a sé stessa. Dopo Sraffa e la sua produzione di merci a mezzo di merci, Toni Negri e la sua catena cognitiva che esita menti a mezzo di menti, il capitalismo trova la sua definitiva sublimazione nella generazione di chiacchiere a mezzo di chiacchiere. Ma è troppo facile dare addosso allo speculatore senza scrupoli quando poco fa il medesimo imbroglione era venerato e riverito in quanto si arricchiva e arricchiva chi gli stava accanto. Il fatto grave è che chi ora vuole fornire soluzioni per il domani non aveva capito nemmeno ieri il funzionamento della sfera finanziaria in regime capitalistico, ma non rinuncia analogamente a dire la sua a governi e cittadini per risalire la china. La prevalenza del capitale finanziario, come sostiene l’economista Gianfranco La Grassa, non è per niente “un aspetto o sintomo della decadenza del sistema. Non esiste il predominio dei rentier. Anche gli agenti dominanti dei settori finanziari non sono semplici percettori di “rendite”, bensì più spesso agenti del conflitto strategico. Gli apparati finanziari sono ineliminabili fino a quando non saranno superati i rapporti capitalistici. La finanza nasce dalla presenza del denaro, e quest’ultimo è un “riflesso speculare” della produzione di merci, il suo necessario “duplicato” monetario. La finanza è uno degli aspetti che assume necessariamente la competizione per la preminenza nella sfera economica, ed è strettamente connessa –in una società fondata sulla merce e dunque sull’investimento di capitali quale mezzo d’espansione della propria potenza– alla conflittualità tra gli strateghi del capitale, che si trovano ai vertici delle imprese come degli apparati della sfera politica e di quella ideologico-culturale”. In sostanza, dice La Grassa, la finanza produce mezzi per il conflitto strategico e quando essa si perde nel cielo della speculazione viene riportata sulla terra dagli agenti politici che utilizzano quegli stessi mezzi per approntare le loro azioni egemoniche, all’interno come all’esterno del Paese. Se stanno saltando regole e norme a livello economico è perché il sistema politico mondiale si sta riposizionando, stanno mutando i rapporti di forza tra le nazioni e si sta determinando un diverso ordine sulla scacchiera geopolitica. Non a caso la finanza produce più danni in Europa che non in America dove pure la crisi ha fatto il suo esordio. Quindi, gli aruspici delle caverne si mettano l’anima in pace, il capitalismo non crollerà sotto una montagna di cdo o di csa e non si riformerà placando i suoi animal spirits ma, piuttosto, diventerà un luogo sempre più rischioso e avvilente per i popoli che sono guidati da intellettuali pecoroni e da classi dirigenti inette e corrotte fino al midollo. Come in Europa. Come in Italia.

di Gianni Petrosillo

26 settembre 2011

Salta l'accordo transatlantico mentre il Titanic si inclina sempre più


La risposta delle banche centrali al crollo del sistema finanziario è stata di portata storica: la Federal Reserve ha deciso di affogare tutti i problemi con un'inondazione di dollari. Così, assieme alla BCE, la Bank of England e gli istituti di emissione di Giappone e Svizzera, la Fed ha annunciato il 15 settembre che sarà messa a disposizione per tutte le banche liquidità illimitata in dollari almeno fino al marzo 2012. Come ha commentato Helga Zepp-LaRouche, "le cinque banche centrali più importanti del mondo hanno deciso di applicare la stessa politica seguita dalla Reichsbank, la banca centrale della Germania di Weimar, nella seconda metà del 1923: espansione monetaria iperinflazionistica! Con la differenza che stavolta essa riguarda l'intera regione transatlantica, e non più un solo paese".

Come se non bastasse, il segretario al Tesoro USA Timothy Geithner si è presentato, senza invito, alla riunione dei ministri finanziari dell'UE in Polonia il 16 settembre, per pretendere che il fondo di salvataggio dell'Euro (EFSF) utilizzi la leva finanziaria per decuplicare il suo capitale e passare da 440 miliardi a 4,4 mila miliardi di euro, da usare per salvare le banche. Il modello di questa proposta dovrebbe essere il TALF (Term Asset-backed Securities Loans Facility), il fondo istituito nel 2008 dal Tesoro e dalla Fed, che ufficialmente ha elargito mille miliardi di dollari in prestiti per rianimare il mercato delle cartolarizzazioni immobiliari, ma probabilmente molto di più in realtà, secondo Neil Barofsky, ispettore generale di un altro programma di salvataggio, il TARP.

Giudicando dalle reazioni del ministro del Tesoro austriaco Maria Fekter e dal capo dell'Eurogruppo Jean-Claude Junker, la discussione tra Geithner e le sue controparti europee, che hanno respinto la proposta, deve essere stata piuttosto animata. Tanto che Junker (Lussemburgo), riferendosi agli Stati Uniti, ha dichiarato che l'Eurogruppo non discute di proposte con "stati non membri". Si sa, anche le pulci prendono il raffreddore. Che lo scontro sia stato favorito anche dall'ego ipertrofico dei protagonisti è pacifico. Resta il fatto che dopo il fallimento di Geithner non c'è accordo transatlantico e l'unica sana politica sul tavolo è la proposta "Glass-Steagall" di Lyndon LaRouche.

by (MoviSol)

24 settembre 2011

La fusione esplosiva della finanza globale


debitipilaGli analisti economici del Global Europe Anticipation Bulletin (GEAB) ci hanno abituato, un bollettino dopo l'altro, a punti di vista originali sulla Grande Crisi. Non fa eccezione il recente Bollettino n. 57, intitolato "Crisi sistemica globale - Quarto trimestre 2011: fusione esplosiva delle attività finanziarie globali", tradotto da informazionescorretta.blogspot.com. Al di là dell'effettiva capacità di predizione, sono interessanti le fonti e i collegamenti richiamati.

Come anticipato da LEAP/E2020 fin dal Novembre del 2010, e spesso ripetuto fino a Giugno del 2011, la seconda metà del 2011 è iniziata con un’improvvisa e più grande ricaduta nella crisi. Quasi 10.000 dei 15.000 miliardi di dollari di asset fantasma annunciati nel GEAB N. 56, sono già andati in fumo.

Il resto (e probabilmente molto di più) sparirà nel quarto trimestre del 2011, che sarà segnato da ciò che il nostro team chiama "fusione esplosiva delle attività finanziarie globali".

I due maggiori centri finanziari mondiali, Wall Street a New York e la City a Londra, saranno i "reattori preferiti" di questa fusione.

E, come predetto da LEAP/E2020 per parecchi mesi, è proprio la soluzione ai problemi del debito pubblico in alcuni paesi di Eurolandia che consentirà a questa reazione di raggiungere la massa critica, dopo la quale nulla sarà più controllabile; ma il carico di carburante che alimenterà la reazione e la trasformerà in un vero e proprio shock globale (1) si trova negli Stati Uniti. Dal Luglio del 2011 abbiamo solo iniziato il processo che ha portato a questa situazione: il peggio è davanti a noi, ed è molto vicino!

In questo numero abbiamo scelto di affrontare, molto direttamente, la grande manipolazione organizzata intorno alla crisi greca ed all'Euro (2), nel mentre descriviamo il suo legame diretto con il processo di fusione esplosiva delle attività finanziarie in tutto il mondo.

Sempre in questo numero, LEAP/E2020 presenta le sue previsioni per il mercato dell'oro nel periodo 2012-2014, così come l’analisi sul neo-protezionismo che sarà introdotto a partire dalla fine del 2012. In aggiunta alle nostre raccomandazioni mensili sulla Svizzera ed il Franco svizzero, sulle valute, sull’immobiliare e sui mercati finanziari, presentiamo anche la nostra consulenza strategica per i leaders del G20, a meno di due mesi dal vertice del G20 che si terrà a Cannes.


Indice della produzione economica USA (1974-2011) (ombreggiatura grigia: recessione; linea tratteggiata blu: allarme recessione; linea blu: indice della produzione economica e, in rosso, previsione per il 3° e 4° trimestre 2011) - Fonte: Streetalk/Mauldin, 08/2011


Crisi greca ed Euro: dettaglio dell’enorme manipolazione in corso

Ma torniamo alla Grecia ed a ciò che comincia ad essere una "ripetitiva vecchia storia” (3) che, come abbiamo già spiegato, torna sul palcoscenico dei media ogni volta che Washington e Londra sono in grave difficoltà (4).

Inoltre, ed in coincidenza, l'Estate è stata disastrosa per gli Stati Uniti, che ora sono in recessione (5); in effetti si è visto il taglio del loro rating (un evento ritenuto impensabile, solo sei mesi fa, da parte di tutti gli "esperti") e si è resa evidente, ad un mondo stupito, la diffusa paralisi delle loro politiche di sistema (6), pur essendo tutti gli altri incapaci di mettere in atto qualsiasi seria misura per ridurre i loro rispettivi deficit (7).

Allo stesso tempo, il Regno Unito sta sprofondando nella depressione (8), con scontri di rara violenza, una politica di austerità che non riesce a controllare il deficit di bilancio (9), mentre precipita il paese in una crisi sociale senza precedenti (10), con una coalizione di governo che non sa nemmeno perché governa insieme, con sullo sfondo lo scandalo della collusione tra i leaders politici e l'impero di Murdoch.

Nessun dubbio, in un tale contesto, che tutto era maturo per un rilancio dei media sulla crisi greca e sul suo corollario, la fine dell’Euro!

Se LEAP/E2020 dovesse riassumere lo scenario nello "stile Hollywood o Fox News" (11), avremmo la seguente trama: "Mentre l’iceberg Stati Uniti sta speronando il Titanic, l'equipaggio guida i passeggeri alla caccia di pericolosi terroristi greci che potrebbero avere nascosto delle bombe a bordo!".

In termini di propaganda, è una ricetta ben nota: si tratta di un diversivo per permettere, innanzitutto, il salvataggio dei passeggeri che si vogliono salvare (l'élite informata, consapevole che non ci sono terroristi greci a bordo), poiché non tutti possono essere salvati, e poi nascondere la vera natura del problema per tutto il tempo possibile, per evitare una rivolta a bordo (inclusi alcuni membri dell'equipaggio, che credono sinceramente che ci siano davvero delle bombe a bordo).

Concentrandosi sui retroscena, dobbiamo sottolineare che i "promotori" di una crisi greca, presentata come fatale per l'Euro, hanno ripetuto il concetto per quasi due anni, senza che nessuna delle loro previsioni si sia avverata (12 ).

I fatti sono chiari: nonostante il clamore dei media, che avrebbero visto la fuoriuscita di molte economie e delle loro valute (13), l'Euro è stabile, Eurolandia è cresciuta a passi da gigante in termini d’integrazione (14), e si appresta ad irrompere in modo ancor più spettacolare verso nuovi territori (15); i paesi emergenti continuano la riconversione dei T-bonds USA e comprano il debito di Eurolandia, mentre l'uscita della Grecia dall’Eurozona è ancora completamente al di là di qualsiasi considerazione, se non negli articoli dei media anglosassoni, i cui giornalisti non hanno in generale alcuna idea delle funzioni dell'Unione Europea, ed ancor meno delle forti tendenze che la determinano.



Confronto dei dati economici Eurolandia-USA (2010) (debito dello Stato, disoccupazione, crescita del PIL, saldo di conto corrente) - Fonte: Spiegel, 07/2011

Ora, il nostro team non può far nulla per coloro che vogliono continuare a perdere soldi scommettendo sul crollo dell’Euro (16), sulla parità Euro-Dollaro, o sull’uscita da Eurolandia dalla Grecia (17).

Queste persone sono le stesse che hanno speso molti soldi per proteggersi dalla cosiddetta "epidemia globale H1N1" che esperti, politici e media di ogni tipo hanno "venduto" per mesi alle persone di tutto il mondo, e che si è rivelata essere un’enorme farsa alimentata in parte da aziende farmaceutiche e dalle cricche di esperti ai loro ordini (18).

Il resto, come sempre, è autoalimentato dalla mancanza di pensiero (19), dal sensazionalismo e dal conformismo dei media tradizionali.

Nel caso della crisi Euro-Grecia, lo scenario è similare, con Wall Street e City nel ruolo delle aziende farmaceutiche (20).

Quando Wall Street e la City entrano nel panico davanti alle soluzioni ideate per Eurolandia

Infatti, ricordiamo che ciò che spaventa Wall Street e la City sono le lezioni che i leaders ed il popolo di Eurolandia hanno appreso da questi tre anni di crisi e dalle soluzioni inefficaci che sono state applicate.

La natura di Eurolandia crea uno spazio di discussione senza equivalenti nella capacità d’intendere dell’elite e dell’opinione pubblica americana e britannica. Ed è questo che disturba Wall Street e la City, che cercano sistematicamente di eliminare questo spazio di discussione, sia cercando di creare il panico annunciando la fine dell’Euro, per esempio, o riducendo questo spazio ad una mera perdita di tempo, evidenziando l’inefficacia di Eurolandia, la sua incapacità di risolvere la crisi.

Il che è un peccato data la paralisi prevalente a Washington!

Tuttavia, è proprio questo spazio di discussione che permette agli Eurolanders di procedere lungo la strada che porta alla soluzione duratura della crisi attuale.

Questo spazio di discussione è parte integrante della costruzione europea, dove visioni opposte sia sui metodi che sulle soluzioni si confrontano, prima di arrivare ad un compromesso finale (come dimostrato dalle importanti decisioni prese nel Maggio del 2010).

Così si allarga il dibattito a tutta una serie di partecipanti, provenienti da 17 paesi diversi (21), da diverse istituzioni comuni, e così il dibattito si radica nelle discussioni di diciassette opinioni pubbliche.

Ma è dallo scontro di idee che emerge la luce: riguardo lo scontro brutale delle idee, il filosofo greco Eraclito diceva, 2500 anni fa: "di alcuni fa degli dei, di alcuni degli uomini; di alcuni degli schiavi, degli altri degli uomini liberi". Ma i cittadini di Eurolandia si rifiutano di lasciare che questa crisi li trasformi in schiavi, e per questo il dibattito attuale in Europa è necessario ed utile.

In tre anni, tra il 2008 ed il 2011, essi hanno fatto due cose essenziali per il futuro:

- hanno rilanciato l'integrazione europea intorno ad Eurolandia, e d'ora in poi l’hanno posta su un percorso accelerato. Il nostro team si aspetta ora una forte ripresa della politica europea, a partire dalla fine del 2012 (simile al periodo 1984-1985), tra cui un trattato d’integrazione politica, che sarà sottoposto a referendum a livello Eurolandia per il 2015 (22)

- hanno permesso l'emersione graduale di due idee semplici, ma molto forti: salvare le banche private non è di alcuna utilità per risolvere la crisi, ed è necessario che i mercati (vale a dire essenzialmente i grandi operatori finanziari di Wall Street e della City) si assumano pienamente i loro rischi, senza alcuna ulteriore garanzia da parte dello Stato. Oggi, queste due idee sono al centro del dibattito in Eurolandia, sia nell'opinione pubblica che nell'elite ... e guadagnano terreno ogni giorno di più.

Questo è ciò che provoca paura a Wall Street, nella City e tra i maggiori operatori finanziari privati.

Questo è lo stoppino, quasi del tutto bruciato, che attiverà la fusione esplosiva delle attività finanziarie globali nel quarto trimestre (nel contesto prevalente della recessione degli Stati Uniti e della sua incapacità di ridurre il deficit pubblico).

Se i mercati cominciano a prevedere un calo del 50% dei titoli greci e spagnoli, è perché essi hanno veramente intuito la direzione che gli eventi stanno prendendo in Eurolandia.

Per LEAP/E2020 non c'è dubbio che le menti siano mature, per la maggior parte di Eurolandia, a che ai creditori privati ​​venga chiesto di pagare il 50%, o anche di più, per poter risolvere i problemi del debito pubblico.

Questo sarà senza dubbio un problema per le banche europee, ma riuscirà senz’altro a proteggere i depositanti. Gli azionisti dovranno assumersi la piena responsabilità: il che, poi, è veramente il fondamento del capitalismo!

Wall Street e la City, ed i loro intermediari nei media, vogliono disperatamente che questo dibattito non abbia luogo, che si concluda nel panico, in modo che i governi siano costretti ad ascoltare i loro "esperti", che li assicurino che l'unica via sia quella di continuare a ricapitalizzare le banche, di inondarle di liquidità (23) ... come per Washington e Londra.

Due paesi nei quali queste stesse istituzioni finanziarie regnano sovrane nel governo.

Tra l'altro, la battaglia infuria intorno alla BCE, come abbiamo accennato in un GEAB precedente: la nomina di Mario Draghi, un ex della Goldman Sachs, le dimissioni del Jurgend Stark (24) ... derivano da questi tentativi di mettere Francoforte sotto la stessa tutela di Londra e Washington. Ma sono condannati fin dall'inizio, in virtù di questo forum aperto, strutturalmente inscritto nella costruzione europea, dove le discussioni sono alimentate dalle politiche fallimentari del 2008, e dalla crescente irruzione dell’opinione pubblica nel dibattito.

"Chi va piano va sano e va lontano" (25), come dicono gli italiani.

Questa crisi è di proporzioni storiche, come abbiamo detto fin dal Febbraio del 2006.

I passi da intraprendere per attraversarla nel miglior modo possibile e per uscirne più forti (uomini liberi e non schiavi, per citare Eraclito), richiedono quindi una discussione seria e profonda (26) ... e quindi del tempo.

Ed il tempo impiegato dagli Eurolanders, è denaro perso per i mercati ... il che spiega le loro paure. LEAP/E2020 pensa, naturalmente, che è anche necessario agire, e noi abbiamo fatto notare dal Maggio 2010 che le azioni intraprese da Eurolandia sono state di una grandezza senza precedenti nella recente storia europea. E noi crediamo che sia necessario del tempo prima di attuare il secondo pacchetto di aiuti alla Grecia. Per il resto, sappiamo anche che i leaders attuali sono per lo più "al limite", e che sarà necessario attendere fino a metà del 2012 per assistere ad un nuovo, vigoroso impulso all’integrazione di Eurolandia (27).

Nel frattempo, con 340 miliardi di Dollari di rifinanziamento da trovare nel 2012 (28), le banche europee ed americane continueranno ad uccidersi a vicenda, cercando di mantenere la situazione pre-crisi, che ha dato loro l’illimitato sostegno delle Banca Centrali. Per quanto riguarda Eurolandia, esse potrebbero avere una brutta sorpresa.


Confronto dell’indice della Fed di Philadelphia e della produzione industriale USA (2002-2011) - Fonti: Philadelphia Fed, MarketWatch, 08/2011

Il quarto trimestre 2011 segna la fine dei due paradigmi-chiave del mondo pre-crisi.

La fusione esplosiva del quarto trimestre sarà così il risultato diretto di un incontro tra due nuove realtà che contraddicono due condizioni di base dell'esistenza del mondo pre-crisi:

  • uno, nato in Europa, consiste oggi nel rifiutare l'idea che gli ​​operatori finanziari privati, di cui Wall Street e City sono l’incarnazione per eccellenza, non siano pienamente responsabili dei rischi che corrono. Eppure, per decenni, era questa l'idea prevalente che ha alimentato l'enorme crescita dell'economia finanziaria: "testa io vinco, croce tu mi salvi". Anche l'esistenza delle grandi banche occidentali e delle compagnie di assicurazione è diventata intrinsecamente legata a questa certezza. I bilanci dei maggiori operatori di Wall Street e della City (e di molte grandi banche giapponesi e di Eurolandia) non sono in grado di resistere a questo tremendo cambiamento di paradigma (29).
  • l'altro, generato negli Stati Uniti, è la fine del motore americano come propulsore della crescita globale (30), nel contesto della completa paralisi politica del paese che, di fatto, chiuderà il 2011 come la Grecia ha chiuso il 2009: il mondo scoprirà a poco a poco che il paese ha un debito che non può più sostenere, che i suoi creditori non sono più disposti a prestare denaro, che la sua economia non è più in grado di far fronte ad una significativa austerità senza precipitare in una profonda depressione (31). In un certo senso, l'analogia può essere ulteriormente portata avanti: proprio come l'Unione Europea e le banche che, dal 1982 al 2009, hanno liberamente concesso prestiti alla Grecia ... e senza essere pressanti riguardo i conti, analogamente nello stesso periodo il mondo ha liberamente concesso prestiti agli Stati Uniti, credendo alle promesse dei suoi leaders riguardo lo stato dell'economia e delle finanze del paese.


Ed in entrambi i casi il denaro è stato sprecato nel boom immobiliare senza futuro, in politiche clientelari stravaganti (negli Stati Uniti clientelismo vuol dire Wall Street, industria petrolifera, fornitori di servizi sanitari) e nelle spese militari improduttive.

Ed in entrambi i casi, si scopre che pochi trimestri non possono riparare decenni di incoscienza.


La «tempesta perfetta» politico-finanziaria del Novembre 2011

Così, nel Novembre 2011, gli Stati Uniti si preparano ad una "tempesta perfetta" politico-finanziaria, che farà sembrare i problemi estivi una leggera brezza marina.

I sei elementi della futura crisi stanno già arrivando tutti insieme (32):

1 - il "super comitato" (33) responsabile delle decisioni sui tagli di bilancio sui quali non c'era accordo quest'Estate, si rivelerà incapace di risolvere le tensioni tra le due parti (34).

2 - i tagli di bilancio automatici da realizzare in caso di mancato accordo, si tradurranno in una grave crisi politica a Washington, ed aumenteranno le tensioni, soprattutto con i militari ed i destinatari delle prestazioni sociali. Allo stesso tempo questa "funzione automatica" (una vera e propria abdicazione al potere decisionale da parte del Congresso e della presidenza degli Stati Uniti) genera gravi perturbazioni nel funzionamento del sistema statale.

3 - le altre agenzie di rating si uniranno a S&P nel declassamento del rating degli Stati Uniti e la riconversione dei T-bonds USA accelererà, con la consapevolezza che gli Stati Uniti ora dipendono principalmente dal finanziamento a breve termine (35).

4 - l'incapacità della Fed di fare qualcosa, se non parlare e manipolare il mercato azionario e quello dei prezzi della benzina negli Stati Uniti (36), rende ora qualsiasi "salvataggio" last-minute impossibile

5 - nei prossimi tre mesi il deficit pubblico degli Stati Uniti aumenterà drammaticamente visto che le entrate fiscali sono già in procinto di crollare sotto l'impatto della ricaduta in recessione (37). In altre parole, l’aumentato tetto del debito pubblico votato poche settimane fa, sarà raggiunto ben prima delle elezioni di Novembre 2012 (38) ... e questa informazione si diffonderà a macchia d'olio nel quarto trimestre del 2011 ... rafforzando i timori di tutti gli investitori di vedere gli Stati Uniti seguire l'esempio di Eurolandia con la Grecia, forzando i suoi creditori a perdite pesanti.

6 - Il nuovo piano di Barack Obama per la lotta alla disoccupazione non avrà alcun effetto significativo. Da un lato esso non è all'altezza della sfida e, per questo motivo, non può chiamare a raccolta le energie del paese e, dall'altro, sarà fatto a pezzi dai repubblicani che manterranno solo i tagli fiscali ... L'unico risultato sarà quello di aumentare il debito del paese ancora di più (39).




I collegamenti del super-comitato per il debito USA con i lobbisti di Washington - Fonte: Washington Post, 09/2011


Così, per LEAP/E2020, è una combinazione di tutti questi elementi che, alla fine del 2011, attiverà questo importante shock finanziario ... una sorta di shock finale che spingerà il pianeta fuori dal mondo pre-crisi per sempre.

Ma il mondo post-crisi è ancora da costruire, perché sono molti i futuri possibili, a partire dal 2012. Come Franck Biancheri ha anticipato nel suo libro, il periodo 2012-2016 è un crocevia storico. Bisogna cercare di non sbagliare il percorso (40)!

di Global Europe Anticipation Bulletin

Note:

(1) Per ora, come abbiamo detto per diversi trimestri, l'isteria che circonda la crisi finanziaria greca riguarda soprattutto il campo della propaganda e della manipolazione. Per rendersene conto è sufficiente rilevare che, fuori della Grecia, nessun cittadino di Eurolandia si renderebbe conto che c'è una crisi in Grecia, se i media non ne facessero regolarmente oggetto nei loro titoli. Mentre negli Stati Uniti le devastazioni quotidiane della crisi non hanno bisogno della copertura mediatica per farsi sentire pesantemente dalle decine di milioni di americani.
(2) Visto che si cerca di confondere e manipolare la percezione della realtà mentre, al contrario, il nostro lavoro cerca di rivelare quella stessa realtà.
(3) Ogni 3 o 4 mesi, abbiamo un "puff" sulla crisi greca/fine dell'euro, che svanisce rapidamente esattamente così come è arrivata, quando tutti scoprono che non succede niente altro che la continuazione del tortuoso processo decisionale di Eurolandia riguardo la lenta uscita della Grecia dal buco nero del bilancio. I “grilletti” variano, naturalmente, altrimenti non avrebbero più funzionato con il pubblico: un trimestre si userà "la rivolta dei Greci contro l’austerità "per spiegare che tutto andrà in fiamme ... compreso l'euro (la sequenza che porta da Atene a tutta Eurolandia è sempre molto vaga e semplicistica, ma non importa, perché i giornalisti non fanno domande), quello successivo, come questa estate, per esempio, si userà un crollo del mercato azionario per identificare il colpevole ... la Grecia ... mille volte più importante, naturalmente, di eventi insignificanti come l'entrata degli Stati Uniti in recessione e il downgrade del credito degli Stati Uniti! E così via. Gli dei greci sono decisamente ancora vivi e molto potenti per far si che il mondo tremi in questo modo!
(4) Si guardi questo estratto dal GEAB N° 51
(5) Fonti: Market Watch, 2011/09/14, New York Times, 2011/09/13, USA Today, 2011/09/07, La Tribune, 2011/09/05, Mish’s, 2011/08/29; USA Today, 2011/08/29; CNBC, 2011/06/17
(6) Che non ha sorpreso i lettori GEAB, in quanto nel N° 49 del Novembre 2010 avevamo previsto "la diffusa paralisi politica e l'ingresso degli Stati Uniti nell’austerità nel 2011".
(7) Per rilassarsi su un argomento serio, date un'occhiata a questa clip rap di un tema molto politico "Alza il tetto del debito". Fonte: Telegraph, 2011/07/29
(8) Fonte: Telegraph, 2011/08/31
(9) Così, sommando debito privato e debito pubblico, il Regno Unito è il paese più indebitato del mondo. Fonte: Arab Money, 2011/08/28
(10) Le organizzazioni caritative ed umanitarie del Paese stanno attualmente lottando per la propria sopravvivenza economica, a causa della mancanza di donazioni e sovvenzioni. Fonte: The Guardian, 2011/08/02.
(11) I due trattano le notizie più o meno allo stesso modo.
(12) Anche la Svizzera, da ora in poi, "ancorerà" la propria valuta all'euro – il che dovrebbe portare gli euroscettici a pensare come in questo titolo dello Spiegel, il 2011/09/07.
(13) Immaginate lo stato del dollaro o della sterlina, se i media e gli esperti avessero dedicato la stessa energia a descrivere e fantasticare su tutti i problemi degli Stati Uniti o del Regno Unito. Se, per esempio, si traessero le stesse conclusioni riguardo la Gran Bretagna, in occasione degli scontri di questa estate, come quelle tratte per le manifestazioni greche, davvero ragionevoli (rispetto alla violenza inglese).
(14) Così, l'UE ha significativamente aumentato il budget per la ricerca, mentre la “stretta” è aumentata negli Stati Uniti. Fonte: Nature, 2011/07/05.
(15) Anche il Wall Street Journal del 2011/09/12, sospettato di acuta Eurofilia, riconosce che Eurolandia sta per passare ad una nuova fase d’integrazione, attraverso un nuovo trattato. Lo Spiegel del 2011/02/09 conferma questa tendenza.
(16) John Tammy ha chiaramente spiegato nel Real Clear Markets del 25/08/2011: «Il problema dell'Europa non è in realtà l'euro».
(17) Ribadiamo qui che la metodologia dell'anticipazione politica, su cui si basa il lavoro di LEAP/E2020, non si permette il lusso di confondere i suoi sogni (o incubi) con la realtà (l’approccio ideologico per eccellenza), ma è un processo decisionale saldamente radicato nel mondo reale. E consigliamo ai lettori di tenere in mente un test molto semplice per distinguere tra i due approcci, e quindi determinare quale grado di fiducia si può dare ad un'analisi sull'evoluzione della crisi: le analisi del passato hanno regolarmente permesso le previsioni sugli sviluppi della crisi in modo preciso? O realmente, al contrario, poco o nulla di quanto annunciato si è avverato? Tocca a voi, quindi, scegliere quello che si desidera utilizzare nel prendere decisioni, ma almeno lo farete consapevolmente!
(18) Per quanto riguarda l'attuale crisi, LEAP/E2020 ritiene che la crescente consapevolezza, tra i leader di Eurolandia e l'opinione pubblica, del fatto che ci sia, quanto meno, un’operazione di propaganda proveniente da oltre Manica e dall'Atlantico destinata ad “uccidere la fiducia nell'area euro", si tradurrà in una profonda revisione della credibilità dei giornalisti e degli esperti che si occupano della crisi, nel prossimo anno. Ed Eurolandia che credeva, fino a poco tempo fa, di trovarsi ancora in piena fratellanza con Stati Uniti e Regno Unito, sta trovando che le cose siano molto più complicate. Nel 2012 noi pensiamo, quindi, che alcuni media di Eurolandia cominceranno a mettere in discussione l'oggettività ed anche l'onestà di quei giornalisti, addestrati quasi esclusivamente negli Stati Uniti o nel Regno Unito e/o nei principali media anglosassoni, in prima fila nell'attacco contro l'Euro. France24, dove la situazione sopra descritta è molto comune, ha appena fornito un ottimo esempio. Intervistando il Presidente del MEDEF riguardo le sue affermazioni circa un complotto americano nei confronti dell'euro (France24, 2011/05/09), la giornalista Stéphanie Antoine lanciò dei dubbi, senza alcuna argomentazione, riguardo la posizione di Laurence Parisot, con l'aggiunta di eloquenti espressioni per dimostrare che non credeva ad una sola parola di quello che egli diceva. Stéphanie Antoine, CV su Wikipediaspeaks: ha lavorato a New York e Londra per la ABC, CNBC e Bloomberg. Dal momento che Laurence Parisot accusava i media statunitensi, in particolare, meglio si comprende l'obiettività della giornalista su questo argomento. Per il nostro team è chiaro che i giornalisti e gli esperti con questo tipo di background, principalmente statunitense ed inglese, saranno progressivamente messi da parte durante il prossimo anno in tutti i principali media di Eurolandia. Anche in questo settore il mondo pre-crisi è in corso di sparizione.
(19) C’è un buon esempio nel colloquio con l'ex ministro delle finanze tedesco, Peer Steinbrück, fatto da due giornalisti dello Spiegel il 2011/09/12. Il primo scambio di battute è significativo: i giornalisti dicono che l'euro non può essere salvato. L'ex ministro chiede loro da dove traggono questa "verità", ed i giornalisti si giustificano ripetendo il cliché sparso dagli euroscettici per anni: "perché, in realtà, non può funzionare a causa delle nostre economie che sono diverse". Due sono gli insegnamenti da trarre da questo esempio: la posizione stessa dei giornalisti intesi come "esperti" ... è infatti il politico che ha intervistato loro per porre domande circa la legittimità delle loro richieste; ed, in fatto di competenza, hanno solo ripetuto la retorica, senza alcuna analisi, del soggetto con cui sono chiamati ad avere a che fare. Si tratta, purtroppo, della situazione che ha prevalso per mesi sui media europei riguardo questo tema. In difesa dei giornalisti, diciamo che sono vittime della incapacità degli attuali leaders di Eurolandia di proporre una visione di lungo termine. Questo semplice fatto dissiperebbe la "nebbia di guerra" in un secondo. Inoltre, i commenti di Peer Steinbrück sono molto interessanti e descrivono, secondo l’ottica di LEAP/E2020, il processo dei prossimi mesi molto accuratamente.
(20) E gli euroscettici di destra e di sinistra, che lavorano attivamente sul continente europeo, credono di aver trovato la giustificazione per le loro analisi, anche se sono smentiti quotidianamente dai fatti e dal progresso dell'integrazione europea. Sarebbe più saggio concentrarsi su come ottenere una governance più democratica di Eurolandia, piuttosto che sognare la "torta in cielo", che è già stata consegnata all'oblio della storia.
(21) Si legga l'articolo molto interessante preso dal Vanguardia di PressEurop del 2011/09/08, riguardo due diversi modi di essere in crisi, con la messa a confronto di Italia e Spagna.
(22) Entro la fine del 2011 torneremo con una previsione dettagliata sui cambiamenti di Eurolandia, fino all'orizzonte del 2015, ma una cosa è certa: Londra non può più opporsi, e vedremo nelle prossime settimane che il Regno Unito può solo cercare di negoziare alcuni benefici, in cambio della sua inevitabile approvazione ad una maggiore integrazione di Eurolandia. Inoltre, Londra non può permettersi la minima scossa economica aggiuntiva per non vedere il crollo dell'economia britannica. Fonte: Telegraph, 2011/09/15
(23) La decisione delle banche centrali occidentali del 2011/09/15 di inondare ancora una volta di dollari le grandi banche, avrà un effetto più duraturo rispetto a prima. Ciò conferma solo lo stato molto fragile di tutte queste istituzioni finanziarie ... supposto che avessero superato lo "stress test" che garantisce la loro solidità. Per il resto, questa decisione spinge le banche dell'Eurozona a prestare in Euro: il 2012 dovrebbe vedere questa situazione stabilizzarsi rapidamente. Fonti: MarketWatch, 2011/09/15, Les Echos, 2011/09/12
(24) Ma non solo: con Weber e Stark, stiamo anche assistendo alla fine della generazione dei "Bundesbankers" della FRG. La loro visione delle cose era certamente appropriata per la gestione della Banca Centrale Tedesca Occidentale, ma le sfide della BCE per i prossimi anni sono di un ordine diverso. La generazione "Erasmus" dei banchieri centrali deve ora prendere il loro posto. E qualunque sia la sua fede, questa generazione conosce l'importanza strategica del dibattito tra gli europei, prima di intraprendere importanti riforme. Tra le urgenze della crisi ed il necessario sostanziale dibattito tra gli europei, è il momento di sostituire le elites francesi e tedesche, in particolare, dal momento che sono al centro del processo: non più certezze "scientifiche", per gli esperti/politici tedeschi, e la fine della lucida arroganza dei tecnocrati/decisori francesi. Su entrambi i lati, abbiamo bisogno di persone che sappiano lavorare con il team di Eurolandia: una qualità che tutti gli Eurolanders dovrebbero tenere a mente prima di entusiasmarsi per i loro prossimi leaders.
(25) «La lentezza vince la gara»
(26) Questo è il grande sviluppo, in Germania, del dibattito del 2011 sulla crisi: fine della delusione del 2010 riguardo il ritorno al marco, in Germania vi è ora un vero e serio dibattito sul modo migliore di garantire il successo al prossimo passo dell’integrazione di Eurolandia. E' un peccato che un tale dibattito non esista in Francia. Sarà necessario attendere l'elezione del candidato socialista, a maggio del 2012, per passare a questa fase. A quell’epoca, i due paesi potranno ancora assumere un vero ruolo di guida. Attualmente stanno giocando prevalentemente in posizione difensiva: è necessario, ma non sufficiente per il 2012.
(27) Detto questo, gli Eurobonds sono ora a portata di mano. Fonte: MarketWatch, 2011/08/30
(28) Fonte: International Financing Review, 2011/02/09
(29) Dall’estate del 2011 i maltrattati hedge funds se ne stanno già andando. Fonte: Les Echos, 2011/09/01
(30) Vale la pena leggere questo interessante articolo pubblicato sul The Nation del 2011/07/19, che descrive il passaggio degli Stati Uniti dalla prosperità di massa alla lunga recessione nel giro di 50 anni.
(31) Le famiglie americane hanno persino più debiti del loro Governo! Fonti: MSNBC, 2011/09/09, AlJazeera, 2011/09/04, Yahoo Finance, 2011/07/28
(32) Nel prossimo numero del GEAB, il nostro team espanderà le sue previsioni sugli Stati Uniti fino all'orizzonte del 2015.
(33) Fonte: Washington Post, 2011/09/14, La Collina, 2011/09/08
(34) Fonte: Washington Post, 2011/09/14
(35) Fonte: Financial Post, 2011/09/01, CNBC, 2011/08/08
(36) Un numero crescente di domande sorge sulla strana differenza tra il prezzo del greggio negli Stati Uniti e nel mercato di Londra. Anche il Financial Times ha aderito a questo partito. Ed il dito tende a puntare verso uno dei molti intermediari della Fed, che avrebbe mantenuto il prezzo di riferimento Usa artificialmente basso, per evitare un aumento del prezzo della benzina alla pompa. Le prossime settimane dovrebbero svelare ulteriori prove su questa storia intrigante, ma indicativa del clima di sospetto nei confronti delle istituzioni federali, che sono ora sotto controllo negli Stati Uniti. Fonte: Le Monde, 2011/09/06
(37) Fonte: Zerohedge, 2011/09/02
(38) Fonte: Zerohedge, 2011/08/08
(39) Fonti: USAToday, 2011/09/09
(40) Per inciso, questo sarà uno dei temi affrontati nel corso della conferenza «Quali relazioni transatlantiche dopo la crisi globale?» che si terrà a Houston il 3 e 4 ottobre prossimo con, soprattutto, il coinvolgimento di due leaders di LEAP/E2020, Franck Biancheri e Harald Greib

23 settembre 2011

Banche, la soluzione c'è, ma le lobby...

Il declassamento delle banche italiane non mi stupisce: era nell’aria da tempo.Se aggiungete un’altra notizia che in Italia ha avuto poco spazio ma che è molto importante, secondo cui Bank of China ha sospeso una serie di ordinarie transazioni in valute sul mercato cinese con alcune banche europee in seguito ai crescenti timori sui rischi finanziari dell’Europa (le banche sono BNP Paribas, Société Générale e UBS), il quadro è chiaro: siamo di nuovo daccapo. Tra il 2008 e il 2010 il governo americano spese oltre 4mila miliardi di dollari per salvare le banche, come ha ricordatorecentemente Maurizio Blondet su Effegieffe; soldi che hanno avuto un effetto tampone, ma non hanno interrotto le pessime consuetudini delle grandi banche.

La soluzione c’era, come ha ricordato ieri il leader dell’Udc svizzera Christoph Blocher, in un’intervista alCorriere del Ticino (la testata principale del gruppo TImedia che dirigo da qualche settimana): “Separare l’investment banking delle nostre grandi banche all’estero dal­la gestione patrimoniale e dai prestiti ipotecari e altre attività che si svolgo­no prevalentemente in Svizzera“. Blocher si riferisce in particolare all’Ubs, che ora è di nuovo nei guai, ma il principio vale per tutte le banche, anche per quelle italiane.

Fino alla fine degli anni Novanta negli Usa, le attività di Investment Banking erano nettamente separate da quelle cosiddette retail; con separazione dei rischi e delle responsabilità. Oltre dieci anni fa la lobby delle banche prevalse (con il decisivo appoggio di Bill Clinton) e da allora il mito della banca globale si è diffuso.

Oggi le banche sono troppo grandi per fallire e dunque possono ricattare il mondo. Tornare a quella norma rappresenta la soluzione, che naturalmente nessun governo e tantomeno nessuna organizzazione internazionale tipo Fmi, Banca Mondiale, Financial StabilityBoard riesce e nemmeno tenta di applicare, per ragioni che potete facilmente intuire.

Finchè non compieremo questo passo rimarremo per sempre in ostaggio delle banche e di un sistema che ci porterà alla malora.

di Marcello Foa

04 ottobre 2011

Servi dell'Impero




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Dieci anni fa, di questi tempi, le parole d'ordine imposte dalla giaculatoria massmediale alla opinione del pubblico erano due. Dopo l'11 settembre, si diceva, il mondo non sarebbe stato «mai più come prima»: l'Occidente era stato ferito al cuore e avrebbe dovuto, di lì in poi, fronteggiare la tentacolare minaccia di un estremismo islamico che rischiava di metterlo in ginocchio. E per questo - ecco il secondo slogan - era venuto il momento del «siamo tutti americani», ovvero della solidarietà incondizionata con Washington, riassurta, a solo dodici anni dal crollo del muro di Berlino, al ruolo di baluardo del Mondo Libero contro l'Asse del Male, gli Stati canaglia e i loro sgherri, votati all'odio perché invidiosi del livello di vita e di ricchezza raggiunto dagli Usa e dai loro più fedeli alleati. Un'invidia che, non si mancava di aggiungere, si nascondeva dietro le invettive contro l'empietà e l'arroganza dei nemici dell'islam. Fummo tra i pochi, allora e dopo, che cercarono di opporre al frastuono della propaganda la voce critica della ragione, proponendo argomenti invece di proclami. Dicemmo chiaramente - chi vuole, può sincerarsene leggendo due libri (entrambi editi da Laterza) come il nostro Contro l'americanismo e La paura e l'arroganza curato da Franco Cardini - che, nei suoi tratti essenziali, la dinamica politica, economica e culturale del mondo non sarebbe stata modificata dall'attacco aereo alle Torri gemelle: la scalata all'egemonia planetaria degli Stati Uniti, in atto ormai da un abbondante decennio, ne avrebbe semmai tratto un ulteriore impulso; l'Europa avrebbe accentuato la già marcata sudditanza ai voleri d'oltre Atlantico, rinunciando a qualsiasi iniziativa indipendente; la tanto temuta propagazione di sentimenti antiamericani nell'ex Terzo mondo non ci sarebbe stata; il mondo islamico non avrebbe imboccato la via del radicalismo oltranzista. E, soprattutto, l'infiltrazione dell'american way of life, con il suo carico di precetti individualistici, materialistici e cosmopoliti, negli anfratti dell'immaginario collettivo delle popolazioni di ogni angolo del globo non solo non sarebbe rallentata ma avrebbe tratto nuova linfa dalla vittimizzazione degli States che gli attentati di New York e di Washington favorivano: rappresentare il paese della più potente, spietata e attiva macchina da guerra esistente nei panni del gigante buono e vulnerabile vigliaccamente colpito dai malvagi era un'arma formidabile per rafforzarne il mito e creare, sulla base della compassione, complicità verso le nuove imprese belliche che si annunciavano all'orizzonte.
A distanza di un decennio, è inevitabile constatare che avevamo azzeccato l'analisi. Sulle ali della retorica dell'11 settembre, che le attuali celebrazioni si incaricano di tenere ben viva con un intento politico celato, come di consueto, dietro il richiamo ai buoni e doverosi sentimenti, gli Usa hanno costruito un percorso lastricato di guerre, bombardamenti a tappeto, massacri di militari e civili dei paesi nemici, che soltanto in virtù degli accorgimenti tecnologici che consentono agli aggressori di distruggere dall'alto ogni bersaglio senza rischiare danni non hanno prodotto una contabilità di vittime equiparabile a quella dei maggiori conflitti del XX secolo. E nel loro sanguinoso itinerario verso il dominio, oltre a godere del plauso dell'apparato comunicativo dell'intera area di influenza occidentale, pronto a tacere, distorcere, negare, mentire a comando ogniqualvolta veniva ritenuto necessario, hanno potuto contare sull'efficace azione di una nutrita retroguardia economico-finanziaria, pronta a ricostruire ciò che era stato distrutto traendone e in parte distribuendo ai più servizievoli amici ampi profitti, e soprattutto sull'impegno di una fureria intellettuale, che nei paesi soggiogati a suon di bombe ha diffuso a piene mani, seguendo una tradizione consolidata, quei formidabili strumenti di condizionamento mentale che sono i gadgets della cultura di massa made in Usa.
La conquista dell'agognato ruolo di gendarme planetario è stata però, bisogna riconoscerlo, ostacolata dalla forte crescita economica di concorrenti inattesi, prime fra tutti Cina e India, e lo scenario unipolare disegnato dagli strateghi neoconservatori dell'amministrazione Bush si è rivelato sin qui impraticabile. L'esplosione della bolla economica interna del 2008 ha poi accentuato i problemi. Ma per assurgere a padroni del mondo, gli eredi dei Padri pellegrini ce l'hanno messa davvero tutta. E nella partita più importante, quella per il controllo delle mentalità collettive, il loro vantaggio è ancora straordinariamente consistente. Le aspettative che si sono create attorno alla cosiddetta "primavera araba", dalla quale ci si attende formalmente un'ondata di democratizzazione ma si esige sostanzialmente una robusta occidentalizzazione - dei costumi, dei consumi, delle leggi, degli stili di vita, delle credenze - ne sono una spia evidente. E non si può negare, come invece piace fare da sempre agli ambienti pervasi di un antiamericanismo pregiudiziale, rancoroso e sommario, mosso non dalla critica rigorosa di un modello di civiltà ma da un confuso mix di nostalgie ereditarie (di destra e/o di sinistra) e wishful thinking, che l'azione condotta dagli Usa e dai loro volenterosi complici sia stata, e sia, molto efficace. Tanto da rendersi pressoché impermeabile agli argomenti con cui coloro che non ne condividevano né le premesse né gli obiettivi hanno tentato di contrastarla.
I motivi di questo successo attengono sia all'ordine delle sue premesse teoriche sia a quello degli strumenti empirici incaricati di tradurle in realtà.
Sul primo di questi versanti, la carta vincente degli Usa è stata il ricorso sistematico e onnipervadente all'ideologia dei diritti dell'uomo, costruita ad immagine e somiglianza del loro modello di società e dei progetti di espansione imperiale connaturati al paese che aveva già partorito nel corso degli oltre due secoli di vita le dottrine del «destino manifesto» e del «cortile di casa» e che fin dalla nascita ha coltivato la convinzione di aver ricevuto da Dio il compito di adempiere ad una missione universale di conversione al Bene dei miscredenti, non esitando a ricorrere ai mezzi più crudeli per adempierla (gli ormai dimenticati nativi, ridotti dopo il genocidio a stereotipo per un genere cinematografico oggi non più di moda, ne sanno qualcosa). In nome e per conto dei dogmi contenuti in queste nuove Tavole della Legge, si è fatto strame del concetto di sovranità nazionale che per secoli aveva costituito un cardine del tentativo di imporre un diritto internazionale condiviso, si è negata la nozione di autodeterminazione dei popoli quando le scelte da questi compiute non andavano nella direzione auspicata, e soprattutto si è varata la mortifera formula della "guerra umanitaria" che ha derubricato le uccisioni di civili dei paesi aggrediti a "danni collaterali" riparabili a suon di scuse postume, ha legittimato l'uso di ordigni micidiali come i proiettili al fosforo e all'uranio impoverito. Insomma, si è celebrato il trionfo del principio per cui il fine giustifica i mezzi se ad utilizzare anche i più abietti fra questi sono i Buoni contro i Cattivi.
A far da velo a questa evidenza e a magnificare, per coprirla, la nobiltà del nuovo umanesimo sterminatore e devastatore ha provveduto un'armata intellettuale variegata, fatta perlopiù di convertiti dell'utopia comunista pronti a tutto pur di allinearsi al clima di opinione dominante e di goderne le rendite — si pensi a Bernard-Henri Lévy e André Glucksmann, esempi estremi di una specie molto diffusa e assai ben pagata dai giornali che ne pubblicano i periodici violenti sfoghi umorali —, mentre sui pochi critici (come l'Alain de Benoist di Oltre i diritti dell'uomo o il Danilo Zolo di Chi dice umanità) si è abbattuta la scure del silenzio, aggravata dallo stato semicomatoso in cui vegetano gli ambienti sedicenti nonconformisti, da tempo incapaci anche soltanto di leggere, far proprie e far circolare al di fuori delle rispettive nicchie le riflessioni attorno alle quali potrebbe essere costruita una linea di resistenza culturale all'omologazione sistemica.
L'imposizione di questa ideologia ipocrita e insidiosa, veicolata dalle migliaia di voci - dai conduttori di talk shows televisivi agli inviati sugli scenari bellici, dagli editorialisti dei quotidiani ai bloggers consenzienti, dai redattori radiofonici agli opinionisti, ai romanzieri, ai filosofi, sociologi e politologi accademici allineati allo spirito del tempo - di cui la odierna fabbrica del consenso dispone non sarebbe tuttavia stata sufficiente a raggiungere gli scopi che gli occidentalizzatori del mondo si proponevano se la declamazione teorica non fosse stata seguita dai fatti. Cioè dalle risoluzioni delle istituzioni internazionali, dagli embarghi, e poi dalle forniture di armi e denaro
a dissidenti e ribelli, dal lavorio dei servizi segreti, dalle incursioni aeree, dai bombardamenti, dalle invasioni di truppe. Delegittimazione del nemico e suo assoggettamento con la forza dovevano procedere di pari passo. E così è stato. Una volta dipinti i soggetti ostili come spietati tiranni e sfoderata la risorsa della demonizzazione dei "nuovi Hitler" - una galleria infinita, che dopo Milosevic, Saddam Hussein, Osama Bin Laden, non ha risparmiato né Assad né Gheddafi, inevitabilmente rappresentati con balletti e ciuffetto ribelle malgrado le evidenti incongruenze fisiognomiche, e ha sfiorato i capi di Hezbollah e Hamas e perfino Mubarak (I) -, si è potuti passare alle maniere spicce.
Un ruolo fondamentale è stato svolto, in questo quadro, dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, di cui gli Usa e i loro vassalli da decenni deplorano e neutralizzano le ripetute pronunce di Assemblea, quando sono dirette a deplorare gli atti di violenza perpetrati da Israele, ma utilizzano le opportunità quando è il ristretto Consiglio di Sicurezza ad avallare, grazie a bilanciamenti di interessi, ricatti e compensi, le loro decisioni. Dall'indecorosa sceneggiata di Colin Powell all'epoca dell'invenzione delle inesistenti armi di distruzione di massa irachene ai contorsionismi dialettici adoperati per giustificare i diversi atti di aggressione, gonfiando o nascondendo a seconda dei casi e dei soggetti implicati stragi e repressioni, fino alla grottesca risoluzione che ha dato il via alle migliaia di bombardamenti contro gli obiettivi libici che hanno consentito di vincere la resistenza di Gheddafi e dei suoi, il catalogo delle genuflessioni dell'organo supremo dell'Onu ai voleri statunitensi è vastissimo, e ancora una volta basterebbe leggere quanto ha scritto in argomento uno studioso libero da tutele e condizionamenti come Danilo Zolo, in libri come Cosmopolis, I signori della pace e La giustizia dei vincitori per rendersene conto.
Se l'Onu ha costituito l'elemento fondamentale del circuito legittimante che ha all'altro capo l'ideologia dei diritti dell'uomo, e ha consentito di far apparire come repressioni di regimi tirannici contro popolazioni plebiscitariamente insorte quelle che erano in realtà guerre civili tra contrapposte minoranze desiderose di conquistare o mantenere il potere con ogni mezzo, autorizzando forze estranee allo scenario dello scontro a scendere in campo militarmente a favore dell'una fazione contro l'altra, a fare da braccio armato all'interventismo umanitario (sul quale la lettura d'obbligo è quella degli studi di Alessandro Colombo: La lunga alleanza, La guerra ineguale e La disunità del mondo) è stata, come è noto, la Nato. All'organizzazione militare transatlantica spetta infatti il ruolo più pesante ed ambiguo nella trama dell'imperialismo statunitense tessuta nell'arco dell'ultimo ventennio, dall'Afghanistan al Kosovo alla Libia senza trascurare i molti scenari collaterali e minori, e la trasfigurazione dei suoi obiettivi originari - in realtà, un vero e proprio tradimento degli intenti proclamati alla sua nascita — è la prova più eclatante dell'inconsistenza politica dell'Europa, che per suo tramite si è soggiogata completamente ai disegni e agli interessi dell'alleato-padrone d'oltreoceano, rinunciando anche solo ad un motivato diritto a dissentire dalle sue iniziative. Il bombardamento di Belgrado ha reso trasparenti gli intenti che i promotori dell"'adeguamento strategico" dell'Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (la cui ragion d'essere si era estinta con lo scioglimento del Patto di Varsavia) si prefiggevano: riaffermare ed ampliare il dominio sul Vecchio Continente, legarlo completamente a sé con le buone o con le cattive (il soft e l'hard power) e poi trascinarlo, facendogli pagare costi salati, nelle proprie avventure bellico-umanitarie. La spedizione libica, che si è tradotta in migliaia di bombardamenti giustificati sino all'ultimo, con suprema ipocrisia, dalla necessità di «proteggere la popolazione civile» che soltanto le loro micidiali incursioni contro gli obiettivi urbani potevano minacciare, ha dimostrato che, con l'andar del tempo, il potenziale bellico della struttura l'ha resa utilizzabile per scopi ancora più vasti, nel contesto di un piano di addomesticamento agli interessi occidentali in genere — e a quelli di alcuni paesi dell'area più in particolare — dei residui paesi riottosi. Giunti a questo punto, non è azzardato immaginare che in futuro la Nato potrà servire sistematicamente da maschera di comodo degli Stati Uniti in ogni conflitto, potendo vantare quella parvenza internazionale, ormai a vocazione universalistica, che nell'ambito della strategia adottata dai governi di Washington è una carta cruciale da giocare.
Lultimo tassello di questo mosaico, a suo modo non meno efficace degli altri, è il meccanismo dei Tribunali internazionali, primo fra tutti quello de L'Aia, che consente di ricorrere ad un altro strumento di condizionamento psicologico dell'opinione pubblica mondiale, l'accusa di crimini contro l'umanità, sostituto ben più impressionante della precedente nozione di crimini di guerra. Celando il sempiterno Vae victis sotto le prescrizioni di una legislazione ad hoc, voluta, amministrata ed interpretata ad hoc dai vincitori, questo presunto sistema di giustizia si è finora distinto per il rifiuto di assoggettare a procedimenti giudiziari i responsabili di notori atti di violenza perpetrati dalla "parte giusta" e per il clamore mediatico offerto ai processi o ai mandati d'arresto che hanno avuto per. oggetto alcune "bestie nere" degli Usa, da Milosevic a Karadzic e Mladic, da Bashir a Gheddafi (con il supporto di qualche capro espiatorio croato o bosniaco, utile per un'equanimità puramente di facciata e comunque additabile come esempio delle colpe del-l'esecrato nazionalismo altrui). Appare sempre più chiaro che la sua funzione, nell'ottica degli ispiratori, non consiste nel cercare le prove delle colpe degli indagati, ma nel dissuadere esemplarmente chiunque osi contrastare i principi santificati dall'ideologia dei diritti umani e, soprattutto, ostacolare l'omologazione del pianeta alla volontà e ai valori di chi si refigge di controllarlo integralmente. Pur con qualche intoppo, e con una rilevanza massmediale variabile a seconda dei casi, il meccanismo ha svolto il compito che gli era stato assegnato.
Il combinato di questi fattori ha prodotto nell'ultimo decennio, pur con modalità diverse e non sempre riuscendo a controllare sino in fondo gli esiti delle mosse compiute, un notevole impulso del processo di occidentalizzazione del mondo pilotato dagli Stati Uniti d'America. I vaticini sull'imminente implosione degli States che si ripetono periodicamente ad ogni accenno di crisi economica, e hanno trovato rinnovato vigore dall'autunno 2008 in poi, hanno nascosto agli occhi di molti osservatori pur non prevenuti questo dato di fatto, ma la sua sostanza resta, ed occorre capire, come il dossier di «Eléments» che pubblichiamo in questo numero si propone, se i recenti sconvolgimenti del mondo arabo siano o no un altro decisivo passo avanti in tale direzione. Ce lo dirà, comunque, il prossimo futuro.
Quel che è certo è che il progetto imperiale coltivato a Washington ai tempi di George W. Bush non si è estinto con la pur più riluttante e incerta presidenza Obama. E che ha trovato, oltre ai molti entusiasti corifei, un numero crescente di servitori volontari, talvolta inconsapevoli, i quali, abbracciando la dottrina che ne è alla base, predispongono il terreno per nuovi gravi conflitti a venire (in Siria? In Iran? In Libano? Nell'Asia orientale?) proprio mentre vanno celebrando l'epopea di una presunta età di. Pace perpetua, di Giustizia e di Libertà. Come ha scritto Alessandro Colombo, uno studioso attento delle relazioni internazionali che, oltre a conoscerle, sa interpretare ed applicare all'attualità le analisi schmittiane, nel suo recente La disunità del mondo (Feltrinelli), dopo il 1989 «l'eccezionale coerenza del mondo bipolare ha lasciato il posto a un sistema internazionale nel quale le diverse aree regionali continuano a essere in contatto tra loro grazie alla globalizzazione dell'economia e dell'informazione, ma nel quale ogni regione tende sempre più ad abbracciare protagonisti, interessi, conflitti e linguaggi diversi. Tale scomposizione è un potentissimo fattore di instabilità: accentua le differenze istituzionali e culturali tra le diverse regioni, aumenta il peso delle gerarchie di prestigio e potere al loro interno e, in questo modo, apre la strada a nuove diffidenze e competizioni sulla sicurezza. Ma, soprattutto, tale scomposizione rende sempre più inadeguate le risposte di portata globale, anzi rischia di trasformarle da fattori di ordine in fattori di disordine internazionale».
Questo è il lascito velenoso che la predicazione universalistica dell'ideologia liberale reca dentro di sé e che il progetto di dominio planetario statunitense sta liberando. Sarebbe davvero tempo di accorgersene e di reagire. Questa sì, ben più di altre, è una ragione profonda per indignarsi dello stato di cose che siamo costretti a sopportare.

(editoriale di Diorama Letterario, n. 305)

di Marco Tarchi

03 ottobre 2011

Il Grande Inganno: l’oro e la guerra




Prima del 1914 un’oncia d’oro valeva 20 dollari in United States Note. Con una banconota da 20 dollari si comprava, al netto delle spese di cambio, una moneta d’oro del peso di gr. 31 circa. Oggi occorrono 50 banconote da 20 dollari (Federal Reserve Notes) per comprare la stessa moneta d’oro, ammesso che sia disponibile.

Il che sembra ovvio o, meglio, “fisiologico”. Tutto si spiegherebbe con la perdita, nel corso del tempo, del potere d’acquisto della moneta, ignorando il fatto che chiunque ne faccia uso deve simultaneamente farsi carico di un debito e assumere l’onere perpetuo di pagarne gli interessi.
Il che, beninteso, non è evidente, ma grazie alle alchimie politiche e alla scienza attuariale è economicamente corretto, anche se eticamente truffaldino.

La moneta a corso legale, infatti, non è soltanto un mezzo di pagamento, ma può diventare, con estrema facilità, lo strumento di speculazione del capitale privato.
Chi non ci crede, potrebbe dare un’occhiata al capitale di Bankitalia o della BCE in regime Euro (nell’anno Domini 2011). Ma dovrebbe anche chiedersi perché a Londra esiste il LBMA (London Bullion Market Association), inaccessibile luogo in cui viene quotidianamente fissato il prezzo dell’oro sul mercato mondiale.

Che la cosa avvenga dal 1919 (l’anno dei diffusi sospetti) è poco convincente, anche se rivestita di ufficialità. La pratica infatti risale al 1815, ma il vero precedente è del 1773. Allora l’idea di Mayer Amschel Bauer diventa tecnica finanziaria che condizionerà l’economia dell’età contemporanea.
Costui (Mayer Amschel) ha una piccola bottega a Francoforte sul Meno, ma non è artigiano, bensì mercante d’oro, come lo chiameranno più tardi almeno due generazioni di regnanti inglesi, cioè “The Goldsmith” (che significa anche “gold dealer”). Appellativo che gli resterà appiccicato anche quando suo figlio, Nathan Mayer, sarà nominato baronetto da Re Carlo III (dinastia Hanover) e da questi assunto in via permanente alla corte britannica, in qualità di consigliere economico di Sua Maestà.

L’idea (sulle prime assai peregrina) di Mayer Amschel Bauer consiste nel finanziare il Re (in oro) a patto che questi gli affidi il compito esclusivo di esattore delle imposte, ferma restando la facoltà del finanziatore di negoziare i certificati di deposito equivalenti su piazze diverse.
Il progetto è geniale, ma per realizzarlo occorre entrare nel giro della “Judengasse”, dove l’oro si scambia col denaro liquido in cospicue quantità e ben oltre la competenza di meno nobili strozzini che prosperano nei vicoli adiacenti.

Nel salto di qualità è anche opportuno assumere un nuovo cognome, che (per legge) si deve cambiare. Lo suggerisce uno scudo rosso (Roth-Schild), simbolo che troneggia sopra la vecchia bottega del banco dei pegni. Mayer Amschel diventa Rothschild. Ma è solo il primo passo. Occorre coinvolgere i grandi “Gold Dealers” di Francoforte, invitandoli a impiegare i loro sostanziosi capitali in operazioni più redditizie (rispetto a quelle correnti e limitate alla sola piazza della città sul Meno). Maestro nell’arte della persuasione e assai dotato di fiuto diplomatico, Rothschild instaura una sorta di colossale gioco senza frontiere, puntando l’intera posta sul tallone d’Achille delle grandi potenze, il bilancio.
Pretese imperialistiche e fermenti sociali non sono per lui che segnali indicatori del giusto investimento dei crescenti capitali di cui egli può gradualmente disporre.

L’oro è “moneta” internazionale, capace di comprare popoli e sovrani e di sostituirsi alle banconote correnti (lo sanno i monarchi sognatori e i rivoluzionari che rincorrono utopie). Ma può diventare un vincolo o costituire viceversa credenziale necessaria (e non sempre, sufficiente) alle manovre finanziarie che le circostanze politiche possono giustificare. Tutte cose che Rothschild intuisce, prevedendo possibilità di guadagno sulla convertibilità della moneta, ma lucrando anche sulla negoziazione dei certificati di deposito che l’equivalente in oro dovrebbero rappresentare. Fra controversie mai pienamente definite, nasce così il gold-standard.

Ma il dubbio sulla concreta esistenza d’una riserva aurea (corrispondente alla circolante moneta) è secolare, come del resto quello sulla variabilità del rapporto oro/moneta.
L’idea del Rothschild diventa comunque, nell’Europa rivoluzionaria e nei decenni a venire, criterio monetario, in base al quale si crea moneta e si lucra sul gettito fiscale.
Questo è possibile anche quando dell’oro non si dispone (o se ne è perso il possesso). Come?
Contrattando i certificati di deposito equivalenti alle Borse di Parigi, Londra e Francoforte, per farne fra l’altro riserva sostitutiva che giustifichi l’emissione di altre banconote (nel linguaggio Fed, “legal tender”), cioè denaro d’uso corrente.

Nella circostanza (al tempo dell’”illuminato” Mayer Amschel) si prospetta al Re l’opportunità di tutelare la difesa del Regno, acquistando armamenti.
L’oro, in caso di guerra, è garanzia reale, ma nei mercati finanziari si trattano i titoli che lo rappresentano. Lo impareranno, a loro spese, il Bonaparte a Waterloo e, centotrenta anni più tardi, Adolf Hitler.
S’inaugura così l’economia speculativa del libero mercato che mal sopporta gli equilibri politici e vede, nel conflitto armato, ghiotte occasioni di guadagno.

Rothschild si garantisce l’esclusiva competenza sulla negoziabilità dei certificati di deposito e l’eventuale agganciamento al gold-standard, costituendo Rothschild Houses, a Londra, Parigi, Vienna e Napoli, alla cui guida il neo banchiere colloca (Francoforte compresa) i suoi cinque figli.
L’ordine è imperativo: prima di cedere l’oro al Re, gli si fa sottoscrivere un contratto, in cui egli riconosce il debito (del regno) e autorizza il finanziatore ad emettere moneta, in quantità equivalente, attraverso una o più banche. Vale in tal senso il noto certificato di deposito, sottoscritto dal monarca, che dell’oro ha bisogno, per fare una guerra o soffocare una rivoluzione (oppure, come spesso accade, per risanare il bilancio). La convertibilità dell’oro in moneta corrente è utilissima nel caso in cui il Re diventasse insolvente o rifiutasse di seguire certi consigli politici. I cospiratori in tali evenienze si pagano in banconote, così come le rivoluzioni che, senza soldi, non si possono fare.

Nello stesso modo si finanziano anche le forze reazionarie, purché il successivo governo, nato dalla restaurazione, affidi a Casa Rothschild il controllo della finanza pubblica.
Il Network dello Scudo Rosso funziona alla perfezione, visti i tempi che corrono in Europa e nel Nuovo Mondo, dove la Corona inglese rischia di perdere il controllo politico e monetario della sua colonia nordamericana. Il capostipite dei Rothschild, oltre che astuto mercante, è attento osservatore di una società in fermento, in cui le tensioni fra classi s’avvicinano al punto di rottura, mentre si va affermando nel Vecchio Continente la forza del “Terzo Stato” o Borghesia.

Il Teatro europeo sembra ideale campo di applicazione della tecnica generatrice del debito pubblico permanente, per mezzo della quale si può trasformare il patrimonio nazionale in capitale privato.
Essa è suggerita dal principio secondo cui il denaro (alias certificato di deposito in oro, la cui concreta esistenza può anche essere ipotetica) è mezzo di pagamento liberatorio dai vincoli di un debito, che pur dipende dal… dove e quando. Cioè dalla diversa valutazione dell’oro o del certificato che lo rappresenta. Questo spiega, fra l’altro, perché Edoardo III nel 1345 rifiutò di aderire alle richieste del banchiere Bardi di Firenze. Infatti, perdurando allora la Guerra dei Cent’Anni, la quotazione dell’oro era alle stelle nel Regno Inglese (grazie all’alta richiesta del metallo prezioso, destinato all’acquisto di armi e alla costituzione di nuovi eserciti) e costituiva pretesto per non soddisfare le pretese del banchiere fiorentino (che chiedeva, documenti alla mano, la restituzione della stessa quantità d’oro a suo tempo prestata al Monarca).

Capitale che, convertito in fiorini, “valea un Regno” come ci racconta il Villani, perché riferito al prezzo dell’oro, ma in circostanze e tempi diversi.
Quattrocento anni dopo, grazie al suo intuito, Rothschild può ovviare all’inconveniente mettendo in gioco i mercati finanziari (Amsterdam, Londra, Francoforte e più tardi Parigi e New York), nei quali sono negoziati i certificati di deposito. Di mezzo c’è sempre “Re Mida”, che ha messo insieme un bel mucchio di questi documenti rappresentativi e intende investirli dove l’oro vale di più: sulla piazza in cui c’è maggiore richiesta, perché si prevede una guerra e un aumento di spesa per gli armamenti, oppure un moto rivoluzionario e la fornitura d’armi e denaro agli insorti. Il clima teso, originato da spinte imperialistiche e prospettive d’indipendenza, agevola l’impiego di capitali (oro o corrispondenti certificati).

Ma, come già osservato, se il Re deve fare la guerra, il prezzo dell’oro sale. Di conseguenza uno scaltro investitore, messo nelle condizioni di poterlo fare, favorisce lo scoppio del conflitto, nascondendo opportunamente i meno nobili intenti che lo causano.
Il banchiere del Re, che non può ignorare i rapidi sviluppi del razional-liberalismo, troverà infatti buone occasioni d’investimento nel finanziare anche quelli che al Re si oppongono, a condizione che l’”affidamento” (o debito) sia poi pagato sotto forma di tributo dai cittadini contribuenti. Il ruolo del banchiere prevede dunque l’eventualità ch’egli possa, all’occorrenza, farsi portavoce di masse oppresse, se ciò favorisce i suoi obiettivi finanziari, non escludendo l’ipotesi di un proprio decisivo sostegno al presunto oppressore, contro cui sarà legittimo finanziare una guerra di liberazione. Quest’ultima rientra in tal modo nel novero delle guerre giuste, finanziariamente sostenute, allo scopo di trarne comunque un profitto.

Casa Rothschild diventa specialista del settore e opera attraverso una rete di selezionati agenti, sparsi in Europa, Asia e le due Americhe.
Nella Francia di Luigi XVI si nota l’allarmante aggravarsi del debito pubblico che sfiora nel 1783 il picco insostenibile di 1.640 milioni di “livres”, grazie alle incaute manovre del Ministro delle Finanze Calonne, che già è ricorso al mercato dell’oro gestito dal Rothschild. Le tasse a carico dei contadini non bastano a pagare gli interessi. S’impone la famigerata “taglia”, classica goccia che fa traboccare il vaso. E il resto che segue è noto. I titoli del Regno francese sono trattati alla Borsa di Francoforte e Londra che ne determinano un sensibile calo, tanto da indurre Parigi a sospendere le contrattazioni. Al Re che non paga si taglia la testa e… nasce l’età contemporanea. A Londra si costituiscono le prime “Accepting Houses” nei cui forzieri è custodita gran parte del Tesoro della Corona francese. La regìa della finanza londinese è affidata a Nathan Mayer Rothschild, il quale propone l’immediato sganciamento della sterlina dal gold standard quando si forma la Settima Coalizione che a Waterloo dovrà porre fine all’aggressività e ai sogni utopistici del Bonaparte, che da anni saccheggia l’oro di mezza Europa, Nord Africa e Russia. Sono queste le due facce del gold standard, sorta di feticcio che nasconde da un lato le virtù del Sacro Graal e nel rovescio il codice della perfetta fregatura.

Gli Stati Uniti hanno conquistato l’indipendenza politica, ma l’economia americana è sempre più schiava del “Metodo Rothschild”, grazie ad un meccanismo funzionale alla pratica del noto Fiat Money, che molti già chiamano London Connection.
Qualcosa che ricorda il “Trick or trade?” e la tradizione di Halloween. Si tramanda anch’essa da padre in figlio, come le generazioni di banchieri internazionali.
Così, le crisi economiche, ricorrenti dal 1837, quasi eguagliano in frequenza gli scherzetti di fine ottobre, come l’ordine di richiamo, improvviso e ingiustificato, dei “crediti a breve termine” e simili stregonerie bancarie. È il trucco che negli States (e non solo) causa insolvenze a catena, crack finanziari e sindromi da panico collettivo. Il trade è l’ovvia fase successiva che, tradotta, significa aumento del tasso di sconto e del gettito fiscale, diminuzione del potere d’acquisto della moneta e ulteriore indebitamento pubblico.

In questo modo indipendenza e autonomia (politica ed economica) vanno a farsi benedire.
Nel complesso gioco imperialistico del primo Novecento, si misurano astuzia finanziaria e la potenza delle armi, perché la posta in palio è il controllo dei territori ricchi di materie prime e, in particolare come già ricordato, del petrolio.
L’indebitamento dello Stato precede dunque l’emissione di moneta, cioè un flusso di liquidità da impiegare con urgenza per non causare ulteriore inflazione e passivi insostenibili.
I mercati finanziari stimolano così gli investimenti pubblici, obbligando lo Stato ad aumentare le spese per gli armamenti.

Cosa fa uno Stato indebitato e ben provvisto di armi? Cerca di usarle, per limitare il passivo. E poi perché le armi non impiegate sono inutili – servono come deterrente, ma non migliorano i bilanci – il loro impiego, dietro i più banali pretesti e le più artefatte provocazioni, può trasformare un passivo in attivo, fino a quando non interviene un altro Stato, pieno di debiti, ma armato fino ai denti che è costretto a proporsi come belligerante. Una sorta di reazione a catena, come quella ben meditata dai Rothschild, nel periodo che precede la Prima Guerra Mondiale. Debito, economia instabile, passivi insostenibili, ampia disponibilità di armamenti, obbligo al loro impiego, guerra.
Ecco lo scenario che si delinea in Europa, all’indomani dell’entrata in vigore del Federal Reserve Act (gennaio 1914), quando inizia la piena attività della Federal Reserve Bank of New York, strumento operativo della Bank of England, che a sua volta è in stretta connessione con la House of Rothschild.

Woodrow Wilson è ottimo giurista che non prescrive rimedi, come egli stesso confessa. Lasciando intendere che corruzione e degrado morale possono serpeggiare al Congresso e alla Casa Bianca, sotto gli occhi del Presidente, come se non fosse sua competenza e dovere adottare opportuni provvedimenti per eliminarli. A Washington però come nell’Atene di Pericle, libertà e democrazia sono miti dell’Olimpo, che vendono bene. Basta confezionarli come pregiata merce d’esportazione.
All’uopo viene fondata l’American International Corporation, secondogenita del Federal Reserve System e gigantesca rete del Corporate Banking.
La politica americana, che non rinuncia al costante richiamo al suo breviario mitologico, inaugura così la grande missione di propaganda fede, secondo un nuovo, perfezionato rituale, capace di nascondere, all’ombra di un mito, il raggiro e la truffa, pur evidenti, ma tanto consueti da essere infine ammissibili, perché origine di un mortificante, colossale e inconfessabile equivoco.
di Gian Paolo Pucciarelli

02 ottobre 2011

Come cambierebbe la fisica se si andasse più veloce della luce


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L´esperimento del Cern è finito in prima pagina su tutti i giornali del mondo: se davvero il neutrino fosse più veloce della luce si aprirebbe una nuova era. Non solo per la comunità degli studiosi. Tre delle idee più importanti del XX secolo dovrebbero essere riviste: tra queste la relatività speciale. In attesa di conferme dai fisici, vediamo cosa succede quando la scienza cambia paradigma

Fino alla fine dell´Ottocento i fisici erano convinti che lo spazio fosse pervaso di un mezzo invisibile attraverso il quale si propagava la luce: l´etere luminifero. La sua esistenza era necessaria per conciliare le leggi della fisica, e in particolare il principio di relatività galileiano con le equazioni di Maxwell che descrivono il legame tra il campo elettrico e il campo magnetico, da cui emergono le onde elettromagnetiche, che comprendono la luce visibile. Così, nell´ultimo quarto del secolo, fiorirono gli esperimenti per verificare la natura dell´etere. E nel 1887 Albert Abraham Michelson ed Edward Morley misero a punto un sofisticato strumento per misurare l´esistenza del "vento d´etere".
econdo le congetture dell´epoca, infatti, il misterioso mezzo avrebbe dovuto influenzare la velocità di qualunque cosa vi fosse stata immersa, compresa la luce. Michelson e Morley suddivisero dunque un fascio di luce in due fasci che percorrevano cammini perpendicolari, per studiarne l´interferenza nel punto in cui convergevano nuovamente su uno schermo, ma il loro ingegnoso trucco portò a un esito allarmante: la velocità della luce sembrava indipendente dalla direzione, e perciò non ci sarebbe stato nessun etere a trasportarne le onde.
Ripetuto in laboratori diversi e con differenti modalità fino al 1906, l´esperimento di Michelson e Morley sarebbe stato definito, più avanti nel Novecento, "il più riuscito esperimento fallito della storia della scienza". Ma la sua realizzazione spalancò le porte all´elaborazione delle trasformazioni di Poincaré e Lorentz prima e, in ultimo, alla teoria speciale della relatività di Albert Einstein.
Questa lunga premessa per dire che, pur con importanti differenze sotto il profilo epistemologico e storico, se i risultati ottenuti con il rivelatore Opera sul fascio di neutrini in viaggio tra il CERN e il Gran Sasso fossero validati e confermati da altri esperimenti analoghi, saremmo davanti a un evento di quelli che la scienza produce una volta per secolo, o giù di lì. Il condizionale è indispensabile, perché in fisica una conferma è la realizzazione di un esperimento indipendente da cui emergono i medesimi risultati.
Perché i neutrini superluminali diventino davvero una svolta epocale per la fisica del XXI secolo, dunque, occorre che si realizzino tre condizioni. La prima è che i dati resi pubblici dalla collaborazione Opera reggano ad analisi indipendenti. I risultati sulla velocità dei neutrini sono espressi in forma statistica, e la loro affidabilità dipende dal margine di errore intorno ai tempi misurati. Se fosse più rilevante di quanto indicato, allora i neutrini potrebbero avere una velocità compatibile con quella della luce nel vuoto, o anche leggermente inferiore.
La seconda condizione è la verifica dei risultati da parte di esperimenti indipendenti. Non è un caso se l´esperimento di Michelson e Morley fu ripetuto in condizioni diverse e in laboratori diversi per quasi vent´anni, prima di abbandonare l´idea dell´etere. Così pure il risultato ottenuto tra il Cern di Ginevra e i laboratori del Gran Sasso dell´INFN occorre sia replicato da altri. Negli Stati Uniti sono già in corso misurazioni della velocità di un fascio controllato di neutrini all´esperimento MINOS, e in Giappone l´esperimento K2K potrebbe fornire ulteriori dati indipendenti. Ci vorranno mesi perché possano essere disponibili i primi dati da questi laboratori, ma da lì potrebbero venire le prime conferme del fenomeno.
Infine, se la velocità superluminale dei neutrini sarà confermata, occorrerà inserire questo sorprendente risultato sperimentale in un quadro coerente. Che, naturalmente, non cancellerà Einstein e la relatività speciale, ma permetterà di estendere la portata delle leggi fisiche a un fenomeno nuovo e inaspettato. Il risultato di Opera coinvolgerebbe infatti tre delle più prolifiche teorie del XX secolo. La relatività speciale infatti, è consistente con la teoria dei campi elettromagnetici proprio in quel valore della velocità della luce nel vuoto che fino a oggi è considerato un limite universale. E la teoria dei campi elettromagnetici è unificata alla teoria delle interazioni deboli, quelle in cui si producono i neutrini, dalla teoria elettrodebole, la cui verifica valse il premio Nobel a Carlo Rubbia. Tra le molte ipotesi che sono già state avanzate, l´esistenza del fenomeno potrebbe significare che esiste un limite di energia oltre il quale particelle come i neutrini, prive di carica elettrica e di massa minuscola, che interagiscono molto debolmente con la materia, possono violare la velocità della luce nel vuoto.
Sono già al lavoro anche gli specialisti della gravità quantistica, ovvero i teorici che da più di mezzo secolo tentano di riconciliare le due grandi rivoluzioni del Novecento, la meccanica quantistica e la relatività, in una descrizione coerente della gravità, la forza più appariscente eppure più enigmatica del cosmo. Perché questo risultato potrebbe avere a che fare con una struttura discreta dello spazio-tempo che è stata ipotizzata proprio nell´ambito della gravità quantistica. E, naturalmente, non poteva mancare la schiera dei teorici delle stringhe. In questo complesso edificio matematico, infatti, si potrebbe annidare la spiegazione del fenomeno, ipotizzando che i neutrini possano arrivare in anticipo "prendendo una scorciatoia" nelle dimensioni extra dell´universo.
Per il momento siamo sul terreno delle ipotesi più ardite, ma comunque vada l´esperimento della collaborazione Opera ha già prodotto due risultati di rilievo. Il primo è sotto gli occhi di tutti. La comunicazione pubblica dei risultati sta permettendo a noi comuni mortali di gettare uno sguardo nei processi della scienza. Nel dibattito, anche aspro, si scontrano posizioni a volte inconciliabili, ma sempre fondate sull´osservazione dei fenomeni. E, soprattutto, senza alcun equivoco, anche gli scontri più duri – come quelli che videro protagonisti Einstein e Niels Bohr sulla natura della teoria dei quanti – sono sempre volti a un obiettivo comune: il progresso nella conoscenza delle leggi di natura. Per questo la scienza è la più straordinaria impresa collettiva dell´umanità.
Il secondo è forse più materia per addetti ai lavori. Dopo decenni, infatti, un risultato inatteso, ottenuto con quella serendipity che spesso accompagna le grandi rivoluzioni scientifiche (la misurazione della velocità dei neutrini non era l´obiettivo primario dell´esperimento), spinge i fisici di tutto il mondo a ripensare i fondamenti di una materia che negli ultimi decenni pareva un po´ stagnante, tra la celebrazione del modello standard della fisica delle particelle e le astrusità matematiche della teoria delle stringhe. Da tutto questo potrà forse emergere una nuova fisica, che non cancellerà certo i risultati acquisiti nell´ultimo secolo e mezzo, grazie ai quali esiste molta della nostra tecnologia di uso quotidiano, ma spingerà un po´ più in là gli orizzonti della nostra conoscenza. O forse no, se il lungo processo di validazione non darà conferma di questi risultati preliminari. Ma soltanto con i tempi della scienza sapremo se Opera sarà stato l´esperimento di Michelson e Morley del XXI secolo
di Marco Cattaneo

28 settembre 2011

De-globalizzazione e recupero della sovranità nazionale




1. Un’organizzazione denominata Rivoluzione Democratica (cfr. sollevazione.blogspot.com) ha convocato a Chianciano per il 22 e 23 ottobre 2011 un incontro nazionale con parola d’ordine: Fuori dal debito! Fuori dall’Euro! Voglio qui riportare il mio contributo (sia pure non richiesto), data l’importanza del tema in questione.

2. Le possibilità concrete di ottenere a breve ed a media scadenza questi due obbiettivi (che condivido nell’essenzialità) sono pressoché nulle. E dicendo nulle intendo proprio dire nulle. In una simile situazione, non potendoci aspettare risultati anche solo parziali a scadenza ragionevole, è il come si devono impostare le rivendicazioni che diventa decisivo. Se esse infatti si impostano male o in modo inappropriato, presto o tardi se ne avranno le conseguenze. Farò fra poco il grottesco esempio del Movimento detto No Global, partito un decennio fa con grandi speranze e finito nel nulla e nel ridicolo. Le cause di questo esito poco glorioso devono essere approfondite.

3. Il settembre 2011 l’Unione Sindacale di Base (USB) è sfilata a Roma con rivendicazioni qualitativamente diverse da quelle della CGIL, Di Pietro, di Vendola, di Bersani e della stessa FIOM. E’ stato posto il problema della cancellazione del debito e della uscita dall’eurozona. Si tratta pur sempre di un’organizzazione che rivendica di avere circa 250.000 membri, e quindi di una forza piccola, ma reale. Si tratta di una relativa novità nella scena politica italiana, in cui l’Unione Europea è fino ad oggi rimasta un feticcio intoccabile, dall’estrema destra all’estrema sinistra “visibili”.

4. Nel numero di settembre 2011 di “Le Monde Diplomatique” (edizione italiana) è uscito un fondamentale articolo dell’economista francese Frèdèric Lordon intitolato “La deglobalizzazione ed i suoi nemici”. Questo testo è importante, perché pone con chiarezza i problemi fondamentali. Rimandando ad esso il lettore, ne svolgerò con autonomia un mio commento personale.

5. Così come la imposta Lordon (e la intendo io) la de globalizzazione non ha nulla a che vedere, e non è quindi una ripresa, di ciò che per un decennio è stato chiamato Movimento No Global. La debolezza strategica del Movimento No Global era di non essere affatto no global (al di là dei riti pittoreschi di piazza, dai lamenti pecoreschi ritmati alle simulazioni del black bloc), ma di essere un movimento no global di estrema sinistra, e cioè una caricatura ultra-global. La stragrande maggioranza delle sue rivendicazioni (per non cadere nell’autarchia, nel protezionismo, nello stato nazionale, eccetera, tutte cose viste a priori come di “ultradestra”) erano ricavate da una radicalizzazione di ultra-sinistra del paradigma neoliberale in politica e neoliberista in economia. Estensione in tutto il mondo dei “veri” diritti umani, abolizione delle frontiere, libera immigrazione, “superamento” del meschino orizzonte della sovranità dello stato nazionale, retorica contro i dittatori (distinti in semplicemente corrotti, ed in corrotti ed anche sanguinari), giovanilizzazione e femminilizzazione dei valori sociali, mitologia del progresso, eccetera. Un programma che sembrava stilato dalle stesse oligarchie liberali. In campo “marxista”, Negri e Hardt scrissero una trilogia che propagandava questa concezione liberista rovesciata (ma un dado rovesciato è sempre un dado), e non a caso questa trilogia divenne popolare presso i due estremi sociali apparentemente antitetici ed in realtà complementari del capitalismo, i centri sociali in basso e l’aristocrazia accademico-universitaria di sinistra in alto.

6. In Italia abbiamo vissuto una variante particolarmente pittoresca e provinciale del movimento no global, con il picconatore Bertinotti che sosteneva che con la globalizzazione spariva l’imperialismo. Il fatto che questa colossale sciocchezza potesse essere presa sul serio segnala la desertificazione del pensiero critico per opera degli apparati ideologici post-moderni mediatici ed universitari. Ed il fatto che il successore più astuto e rigoroso di Bertinotti, il poeta barese Vendola, abbia elettoralmente svuotato sia i “merli” di Ferrero sia i “passeri” di Diliberto, mostra come il non avere preso sul serio in tempo le sciocchezze porta poi a conclusioni distruttive. Quali lezioni trarre dagli esiti grotteschi del movimento no global dieci anni dopo?

7. La prima e pressoché unica lezione consiste nel capire che la sacrosanta lotta alla globalizzazione non può e non deve essere ripetuta e riproposta sulla base ideologica del movimento no global. Lordon chiarisce che i cantori del vecchio movimento no global (ad esempio l’organizzazione Attac, che ha definito la deglobalizzazione un concetto semplificato e superficiale) comincino già ad alzare le barricate, paventando poi “contaminazioni” con il protezionismo dell’eterna “destra”. Fa eccezione l’economista francese Jacques Sapir, che a mio avviso ha impostato le cose nel modo più radicale e anche meno estremistico ed avventuristico possibile: si tentino pure tutte le soluzioni possibili dentro l’euro e l’unità europea, ma se per caso fallissero, allora deve diventare “pensabile” anche l’uscita dall’euro.

8. Inutile dire che una simile prospettiva possibile, anche se posta solo come eventualità praticabile nel caso che tutte le altre opzioni “riformatrici” fallissero, viene virtuosamente rifiutata dal centro e dalla destra liberale. Il fatto è che ormai il liberalismo classico non esiste nemmeno più, divorato dal passaggio dalla sovranità politica alla governance economica. Ma anche la sinistra (con quella appendice patetica ed inutile chiamata “estrema sinistra”) la rifiuta, temendo virtuosamente che “un conflitto di classe venga trasformato in un conflitto di nazioni” (Jean Marie Harribey).

Ecco, questo è lo scoglio. Il voler negare il dato nazionale, rimuovendolo virtuosamente, aveva già portato Attac a passare dalla “anti-globalizzazione” al cosiddetto “altermondialismo”. Ma l’altermondialismo per ora non esiste, ed è una utopia futuribile come il comunismo o il comunitarismo universale. Ma il dato nazionale non significa automaticamente razzismo, protezionismo assoluto, autarchia totale o decrescita virtuosa agro-pastorale, anche se viene ovviamente così diffamato dai cantori (interessati) della cosiddetta irreversibilità della globalizzazione.

La globalizzazione è emendabile? Il futuro è ignoto, ma si può già rispondere: per ora, nelle attuali condizioni geopolitiche ed economiche, no. I quattro elementi intrecciati insieme (le sfide della globalizzazione, il giudizio dei mercati, il vincolo dei debiti, la sovranità delle agenzie di rating) ci fanno rispondere di no. E quindi bisognerebbe trarne le conseguenze.

9. Per ragioni che sarebbe lungo e noioso spiegare, mentre mi sono estraniato (e sono stato estraniato) dal dibattito italiano, sono invece attivo e presente nel dibattito greco (articoli, interviste, interventi, eccetera). Ora, tutti conoscono la situazione della Grecia, e di come il problema del debito e dell’eventuale uscita dall’euro sia in Grecia particolarmente acuto ed attuale, molto più che in Italia, dove è ancora per ora largamente “teorico” e virtuale. In Grecia è possibile studiare come in un laboratorio le conseguenze immediate del dibattito sul debito.

Il commissariamento della Grecia, che ha comportato la sua totale perdita di sovranità, ha comportato anche la completa distruzione di tutte le conquiste “socialdemocratiche” conseguite dopo la caduta della giunta dei colonnelli del 1974 (metapolitefsi), svuotando quasi quaranta anni di storia della Grecia moderna. Così come l’Italia dell’agosto 2011 è stata “commissionata” dal duopolio Draghi-Napolitano (un banchiere ed un ex-comunista riciclato), così la Grecia è stata commissionata da una “giunta economica” costituita da tutti partiti (destra, sinistra e centro) favorevoli alla sottomissione ai diktat della banca Centrale Europea e della Germania in primo luogo. A questo punto, come reagire?

Da quanto ho potuto capire partecipando al dibattito, ci sono stati fondamentalmente due modi. In primo luogo la rivendicazione di una autonomia nazionale è stato subito incorporata nel ribellismo ultra-comunista di estrema sinistra, che invita all’abbattimento del capitalismo. In secondo luogo, un modo più patriottico e nazionale, incarnato dal grande musicista Mikis Theodorakis e dal suo movimento, che non porta in piazza bandiere rosse ma soltanto bandiere azzurre greche, e lo fa per non dividere ideologicamente il popolo, che al di fuori di una ristretta oligarchia soffre indipendentemente dalle sue opinioni politiche, filosofiche o religiose.

Nonostante abbia amici soprattutto fra i “sinistri” greci, devo dire che a mio avviso la linea giusta è quella di Theodorakis. Il popolo non deve essere diviso ideologicamente, ma unito in nome della sovranità nazionale e di quella che Lordon e Sapir chiamerebbero deglobalizzazione. Cerchiamo di tirarne la conseguenze “italiane”. Anche in Grecia Theodorakis è stato accusato di essere “rosso-bruno”, di lasciare spazio alla destra, di essere ambiguo, eccetera. Accuse completamente false. Theodorakis ha le carte in regola, sia per la Resistenza (1941-1944), sia per la guerra civile (1946-1949), sia per il “lungo inverno” dell’autoritarismo successivo (1949-1967), sia per l’opposizione alla dittatura dei colonnelli (1967-1974). E’ solo la stupidità settaria che non ha le carte in regola, né in Grecia né in Italia.

10. Passiamo ora all’Italia. Se le considerazione fatte fino ad ora sul fallimento dei no global e degli altermondialisti, sulla deglobalizzazione (Lordon, Sapir), sulla corretta impostazione “nazionale” (non nazionalistica) di Theodorakis in Grecia, eccetera, sono corrette, che cosa fare in Italia?

In primo luogo, non lasciare spazio ai deliranti che dicono che “bisogna fare come in Tunisia”. Gli italiani se ne guarderebbero bene. Dalla Tunisia si scappa e si scapperà ancora a lungo, perché non c’è pane e non c’è lavoro (il che non significa che non fosse ovviamente sacrosanta la rivolta contro Ben Alì!). In questo momento una (non auspicabile) rivolta di tipo tunisino porterebbe soltanto alla fuga del puttaniere Berlusconi ed ad un governo degli “onesti”, e cioè dei funzionari del FMI e della BCE, che porterebbero a termine i programmi di liberalizzazione totale.

In secondo luogo, non bisogna in nessun modo attaccare al programma della deglobalizzazione (perché è ovvio che lo sarebbe sia l’uscita dall’euro che dal debito) i tradizionali (e deliranti) programmi di estrema sinistra, attraverso massimalistiche adunate di refrattari. Mi spiace scendere sui nominativi e sul personale, perché non sarebbe stata questa la mia intenzione. Ma che cosa ci fanno Rizzo, Ferrando e Babini dei CARC? I CARC vogliono la dittatura del proletariato. Ferrando vuole fare come in Tunisia, e lasciamo stare per carità di patria le sua posizioni sulla Libia e sulla Siria, in cui uno scontro tra masse divise da una guerra civile è stato magicamente trasformato in scontro tra le masse unite ed i dittatori burocratico-capitalisti. E Badiale? A mia conoscenza Badiale vuole la decrescita, programma del tutto legittimo, ma che è una fuga in avanti attaccare alla deglobalizzazione. Trattandosi di una sorta di “intergruppi” di estrema sinistra, il solo modo in cui molti vedono l’anticapitalismo, a mio avviso il fallimento è inevitabile. A breve scadenza, fallirebbe anche se ci fossero Gesù, Maometto, Marx e Lenin. Ma almeno porrebbe le basi per una lotta di lunga durata. Così avremo il solito intergruppi estremistico urlante.

A dire queste cose, si passa necessariamente per rompiscatole e guastafeste, ma in definitiva è meglio parlare che tacere

di Costanzo Preve

27 settembre 2011

Economisti pecoroni, politici imbroglioni




crisi-mondoPrima che sopraggiungesse la crisi economica, si dice la più dura dopo quella del ’29, eravamo circondati da migliaia di esperti del benessere perpetuo, da centinaia di vaticinatori della prosperità continua, da innumerevoli predicatori del capitalismo florido e progressivo che non conosceva confini. Arrivato il crollo finanziario gli stessi catechisti di questa realtà perennemente fertile e vigorosa si sono convertiti alla stregoneria borsistica, alla religione del default, allo spiritualismo monetario post-apocalittico. All’inizio era il verbo di Keynes o di Von Hayek, ora è il tempo di Nostradamus, nella sua versione liquido-catastrofistica alla Zygmunt Bauman o in quella gassosa-hegeliana alla Ulrich Beck. Per la verità c’è qualcuno che ha cercato di non saltare letteralmente di palo in frasca ma si è trovato ugualmente a commistionare stili e discipline per rimediare al suo mutismo di fronte all’imprevedibile (ma non troppo). Per aggirare l’inconveniente che ammutoliva e toglieva credito davanti alle platee bovine ci si è dati all’arte del dosaggio, tra scuole e pensatori, concetti e categorie, dottrine e teoresi. Meno Friedman e più Krugman, più statalismo e meno liberismo, maggiore sostegno alla domanda e più tasse per i ricchi, o viceversa, e la ricetta per l’avvenire veniva corretta almeno fino alla prossima previsione sbagliata. Ma in un caso come nell’altro si nota sempre più volentieri la presenza di un ingrediente che fa da amalgama al brodino economicistico, ovvero un fantomatico ritorno ad un’etica negli affari che, a quanto pare, in passato veniva snobbata e derisa (nonostante la filantropia di George Soros o di Bill Gates). Insomma, ci si arrampica sugli specchi della Storia e sui piani scivolosi dei cicli del capitale per ritornare in sella ai tempi che hanno disarcionato uomini e modelli dai loro piedistalli oracolari, ornati di biglietti verdi e di fama. Erano intellettuali strapagati e si ritrovano ad essere profeti altrettanto ben remunerati. Così mentre i titoli crollano, le fabbriche chiudono e i posti di lavoro saltano, cresce una nuova ideologia della parsimonia, della misura e del limite combinantesi con una morale globale che pone l’uomo al centro e la responsabilità tutto intorno. E dove questa non basta c’è anche la Marx renaissance, perché il barbuto di Treviri aveva tutto indovinato, dalla globalizzazione alla finanziarizzazione. Il denaro ci ha contaminati ma l’etica ci salverà. Questa la soluzione più efficace per superare la débâcle generale, almeno stando al pensiero dell’economista filosofo italiano Giovanni Reale. Per gettare il cuore oltre l’ostacolo del crac bisogna rigenerare l’uomo dalla testa ai piedi poiché “la finanza non basta alla finanza, l’economia non basta all’economia e la politica non basta alla politica”. Mentre, evidentemente, la confusione nel cervello di questi sedicenti professori basta a sé stessa. Dopo Sraffa e la sua produzione di merci a mezzo di merci, Toni Negri e la sua catena cognitiva che esita menti a mezzo di menti, il capitalismo trova la sua definitiva sublimazione nella generazione di chiacchiere a mezzo di chiacchiere. Ma è troppo facile dare addosso allo speculatore senza scrupoli quando poco fa il medesimo imbroglione era venerato e riverito in quanto si arricchiva e arricchiva chi gli stava accanto. Il fatto grave è che chi ora vuole fornire soluzioni per il domani non aveva capito nemmeno ieri il funzionamento della sfera finanziaria in regime capitalistico, ma non rinuncia analogamente a dire la sua a governi e cittadini per risalire la china. La prevalenza del capitale finanziario, come sostiene l’economista Gianfranco La Grassa, non è per niente “un aspetto o sintomo della decadenza del sistema. Non esiste il predominio dei rentier. Anche gli agenti dominanti dei settori finanziari non sono semplici percettori di “rendite”, bensì più spesso agenti del conflitto strategico. Gli apparati finanziari sono ineliminabili fino a quando non saranno superati i rapporti capitalistici. La finanza nasce dalla presenza del denaro, e quest’ultimo è un “riflesso speculare” della produzione di merci, il suo necessario “duplicato” monetario. La finanza è uno degli aspetti che assume necessariamente la competizione per la preminenza nella sfera economica, ed è strettamente connessa –in una società fondata sulla merce e dunque sull’investimento di capitali quale mezzo d’espansione della propria potenza– alla conflittualità tra gli strateghi del capitale, che si trovano ai vertici delle imprese come degli apparati della sfera politica e di quella ideologico-culturale”. In sostanza, dice La Grassa, la finanza produce mezzi per il conflitto strategico e quando essa si perde nel cielo della speculazione viene riportata sulla terra dagli agenti politici che utilizzano quegli stessi mezzi per approntare le loro azioni egemoniche, all’interno come all’esterno del Paese. Se stanno saltando regole e norme a livello economico è perché il sistema politico mondiale si sta riposizionando, stanno mutando i rapporti di forza tra le nazioni e si sta determinando un diverso ordine sulla scacchiera geopolitica. Non a caso la finanza produce più danni in Europa che non in America dove pure la crisi ha fatto il suo esordio. Quindi, gli aruspici delle caverne si mettano l’anima in pace, il capitalismo non crollerà sotto una montagna di cdo o di csa e non si riformerà placando i suoi animal spirits ma, piuttosto, diventerà un luogo sempre più rischioso e avvilente per i popoli che sono guidati da intellettuali pecoroni e da classi dirigenti inette e corrotte fino al midollo. Come in Europa. Come in Italia.

di Gianni Petrosillo

26 settembre 2011

Salta l'accordo transatlantico mentre il Titanic si inclina sempre più


La risposta delle banche centrali al crollo del sistema finanziario è stata di portata storica: la Federal Reserve ha deciso di affogare tutti i problemi con un'inondazione di dollari. Così, assieme alla BCE, la Bank of England e gli istituti di emissione di Giappone e Svizzera, la Fed ha annunciato il 15 settembre che sarà messa a disposizione per tutte le banche liquidità illimitata in dollari almeno fino al marzo 2012. Come ha commentato Helga Zepp-LaRouche, "le cinque banche centrali più importanti del mondo hanno deciso di applicare la stessa politica seguita dalla Reichsbank, la banca centrale della Germania di Weimar, nella seconda metà del 1923: espansione monetaria iperinflazionistica! Con la differenza che stavolta essa riguarda l'intera regione transatlantica, e non più un solo paese".

Come se non bastasse, il segretario al Tesoro USA Timothy Geithner si è presentato, senza invito, alla riunione dei ministri finanziari dell'UE in Polonia il 16 settembre, per pretendere che il fondo di salvataggio dell'Euro (EFSF) utilizzi la leva finanziaria per decuplicare il suo capitale e passare da 440 miliardi a 4,4 mila miliardi di euro, da usare per salvare le banche. Il modello di questa proposta dovrebbe essere il TALF (Term Asset-backed Securities Loans Facility), il fondo istituito nel 2008 dal Tesoro e dalla Fed, che ufficialmente ha elargito mille miliardi di dollari in prestiti per rianimare il mercato delle cartolarizzazioni immobiliari, ma probabilmente molto di più in realtà, secondo Neil Barofsky, ispettore generale di un altro programma di salvataggio, il TARP.

Giudicando dalle reazioni del ministro del Tesoro austriaco Maria Fekter e dal capo dell'Eurogruppo Jean-Claude Junker, la discussione tra Geithner e le sue controparti europee, che hanno respinto la proposta, deve essere stata piuttosto animata. Tanto che Junker (Lussemburgo), riferendosi agli Stati Uniti, ha dichiarato che l'Eurogruppo non discute di proposte con "stati non membri". Si sa, anche le pulci prendono il raffreddore. Che lo scontro sia stato favorito anche dall'ego ipertrofico dei protagonisti è pacifico. Resta il fatto che dopo il fallimento di Geithner non c'è accordo transatlantico e l'unica sana politica sul tavolo è la proposta "Glass-Steagall" di Lyndon LaRouche.

by (MoviSol)

24 settembre 2011

La fusione esplosiva della finanza globale


debitipilaGli analisti economici del Global Europe Anticipation Bulletin (GEAB) ci hanno abituato, un bollettino dopo l'altro, a punti di vista originali sulla Grande Crisi. Non fa eccezione il recente Bollettino n. 57, intitolato "Crisi sistemica globale - Quarto trimestre 2011: fusione esplosiva delle attività finanziarie globali", tradotto da informazionescorretta.blogspot.com. Al di là dell'effettiva capacità di predizione, sono interessanti le fonti e i collegamenti richiamati.

Come anticipato da LEAP/E2020 fin dal Novembre del 2010, e spesso ripetuto fino a Giugno del 2011, la seconda metà del 2011 è iniziata con un’improvvisa e più grande ricaduta nella crisi. Quasi 10.000 dei 15.000 miliardi di dollari di asset fantasma annunciati nel GEAB N. 56, sono già andati in fumo.

Il resto (e probabilmente molto di più) sparirà nel quarto trimestre del 2011, che sarà segnato da ciò che il nostro team chiama "fusione esplosiva delle attività finanziarie globali".

I due maggiori centri finanziari mondiali, Wall Street a New York e la City a Londra, saranno i "reattori preferiti" di questa fusione.

E, come predetto da LEAP/E2020 per parecchi mesi, è proprio la soluzione ai problemi del debito pubblico in alcuni paesi di Eurolandia che consentirà a questa reazione di raggiungere la massa critica, dopo la quale nulla sarà più controllabile; ma il carico di carburante che alimenterà la reazione e la trasformerà in un vero e proprio shock globale (1) si trova negli Stati Uniti. Dal Luglio del 2011 abbiamo solo iniziato il processo che ha portato a questa situazione: il peggio è davanti a noi, ed è molto vicino!

In questo numero abbiamo scelto di affrontare, molto direttamente, la grande manipolazione organizzata intorno alla crisi greca ed all'Euro (2), nel mentre descriviamo il suo legame diretto con il processo di fusione esplosiva delle attività finanziarie in tutto il mondo.

Sempre in questo numero, LEAP/E2020 presenta le sue previsioni per il mercato dell'oro nel periodo 2012-2014, così come l’analisi sul neo-protezionismo che sarà introdotto a partire dalla fine del 2012. In aggiunta alle nostre raccomandazioni mensili sulla Svizzera ed il Franco svizzero, sulle valute, sull’immobiliare e sui mercati finanziari, presentiamo anche la nostra consulenza strategica per i leaders del G20, a meno di due mesi dal vertice del G20 che si terrà a Cannes.


Indice della produzione economica USA (1974-2011) (ombreggiatura grigia: recessione; linea tratteggiata blu: allarme recessione; linea blu: indice della produzione economica e, in rosso, previsione per il 3° e 4° trimestre 2011) - Fonte: Streetalk/Mauldin, 08/2011


Crisi greca ed Euro: dettaglio dell’enorme manipolazione in corso

Ma torniamo alla Grecia ed a ciò che comincia ad essere una "ripetitiva vecchia storia” (3) che, come abbiamo già spiegato, torna sul palcoscenico dei media ogni volta che Washington e Londra sono in grave difficoltà (4).

Inoltre, ed in coincidenza, l'Estate è stata disastrosa per gli Stati Uniti, che ora sono in recessione (5); in effetti si è visto il taglio del loro rating (un evento ritenuto impensabile, solo sei mesi fa, da parte di tutti gli "esperti") e si è resa evidente, ad un mondo stupito, la diffusa paralisi delle loro politiche di sistema (6), pur essendo tutti gli altri incapaci di mettere in atto qualsiasi seria misura per ridurre i loro rispettivi deficit (7).

Allo stesso tempo, il Regno Unito sta sprofondando nella depressione (8), con scontri di rara violenza, una politica di austerità che non riesce a controllare il deficit di bilancio (9), mentre precipita il paese in una crisi sociale senza precedenti (10), con una coalizione di governo che non sa nemmeno perché governa insieme, con sullo sfondo lo scandalo della collusione tra i leaders politici e l'impero di Murdoch.

Nessun dubbio, in un tale contesto, che tutto era maturo per un rilancio dei media sulla crisi greca e sul suo corollario, la fine dell’Euro!

Se LEAP/E2020 dovesse riassumere lo scenario nello "stile Hollywood o Fox News" (11), avremmo la seguente trama: "Mentre l’iceberg Stati Uniti sta speronando il Titanic, l'equipaggio guida i passeggeri alla caccia di pericolosi terroristi greci che potrebbero avere nascosto delle bombe a bordo!".

In termini di propaganda, è una ricetta ben nota: si tratta di un diversivo per permettere, innanzitutto, il salvataggio dei passeggeri che si vogliono salvare (l'élite informata, consapevole che non ci sono terroristi greci a bordo), poiché non tutti possono essere salvati, e poi nascondere la vera natura del problema per tutto il tempo possibile, per evitare una rivolta a bordo (inclusi alcuni membri dell'equipaggio, che credono sinceramente che ci siano davvero delle bombe a bordo).

Concentrandosi sui retroscena, dobbiamo sottolineare che i "promotori" di una crisi greca, presentata come fatale per l'Euro, hanno ripetuto il concetto per quasi due anni, senza che nessuna delle loro previsioni si sia avverata (12 ).

I fatti sono chiari: nonostante il clamore dei media, che avrebbero visto la fuoriuscita di molte economie e delle loro valute (13), l'Euro è stabile, Eurolandia è cresciuta a passi da gigante in termini d’integrazione (14), e si appresta ad irrompere in modo ancor più spettacolare verso nuovi territori (15); i paesi emergenti continuano la riconversione dei T-bonds USA e comprano il debito di Eurolandia, mentre l'uscita della Grecia dall’Eurozona è ancora completamente al di là di qualsiasi considerazione, se non negli articoli dei media anglosassoni, i cui giornalisti non hanno in generale alcuna idea delle funzioni dell'Unione Europea, ed ancor meno delle forti tendenze che la determinano.



Confronto dei dati economici Eurolandia-USA (2010) (debito dello Stato, disoccupazione, crescita del PIL, saldo di conto corrente) - Fonte: Spiegel, 07/2011

Ora, il nostro team non può far nulla per coloro che vogliono continuare a perdere soldi scommettendo sul crollo dell’Euro (16), sulla parità Euro-Dollaro, o sull’uscita da Eurolandia dalla Grecia (17).

Queste persone sono le stesse che hanno speso molti soldi per proteggersi dalla cosiddetta "epidemia globale H1N1" che esperti, politici e media di ogni tipo hanno "venduto" per mesi alle persone di tutto il mondo, e che si è rivelata essere un’enorme farsa alimentata in parte da aziende farmaceutiche e dalle cricche di esperti ai loro ordini (18).

Il resto, come sempre, è autoalimentato dalla mancanza di pensiero (19), dal sensazionalismo e dal conformismo dei media tradizionali.

Nel caso della crisi Euro-Grecia, lo scenario è similare, con Wall Street e City nel ruolo delle aziende farmaceutiche (20).

Quando Wall Street e la City entrano nel panico davanti alle soluzioni ideate per Eurolandia

Infatti, ricordiamo che ciò che spaventa Wall Street e la City sono le lezioni che i leaders ed il popolo di Eurolandia hanno appreso da questi tre anni di crisi e dalle soluzioni inefficaci che sono state applicate.

La natura di Eurolandia crea uno spazio di discussione senza equivalenti nella capacità d’intendere dell’elite e dell’opinione pubblica americana e britannica. Ed è questo che disturba Wall Street e la City, che cercano sistematicamente di eliminare questo spazio di discussione, sia cercando di creare il panico annunciando la fine dell’Euro, per esempio, o riducendo questo spazio ad una mera perdita di tempo, evidenziando l’inefficacia di Eurolandia, la sua incapacità di risolvere la crisi.

Il che è un peccato data la paralisi prevalente a Washington!

Tuttavia, è proprio questo spazio di discussione che permette agli Eurolanders di procedere lungo la strada che porta alla soluzione duratura della crisi attuale.

Questo spazio di discussione è parte integrante della costruzione europea, dove visioni opposte sia sui metodi che sulle soluzioni si confrontano, prima di arrivare ad un compromesso finale (come dimostrato dalle importanti decisioni prese nel Maggio del 2010).

Così si allarga il dibattito a tutta una serie di partecipanti, provenienti da 17 paesi diversi (21), da diverse istituzioni comuni, e così il dibattito si radica nelle discussioni di diciassette opinioni pubbliche.

Ma è dallo scontro di idee che emerge la luce: riguardo lo scontro brutale delle idee, il filosofo greco Eraclito diceva, 2500 anni fa: "di alcuni fa degli dei, di alcuni degli uomini; di alcuni degli schiavi, degli altri degli uomini liberi". Ma i cittadini di Eurolandia si rifiutano di lasciare che questa crisi li trasformi in schiavi, e per questo il dibattito attuale in Europa è necessario ed utile.

In tre anni, tra il 2008 ed il 2011, essi hanno fatto due cose essenziali per il futuro:

- hanno rilanciato l'integrazione europea intorno ad Eurolandia, e d'ora in poi l’hanno posta su un percorso accelerato. Il nostro team si aspetta ora una forte ripresa della politica europea, a partire dalla fine del 2012 (simile al periodo 1984-1985), tra cui un trattato d’integrazione politica, che sarà sottoposto a referendum a livello Eurolandia per il 2015 (22)

- hanno permesso l'emersione graduale di due idee semplici, ma molto forti: salvare le banche private non è di alcuna utilità per risolvere la crisi, ed è necessario che i mercati (vale a dire essenzialmente i grandi operatori finanziari di Wall Street e della City) si assumano pienamente i loro rischi, senza alcuna ulteriore garanzia da parte dello Stato. Oggi, queste due idee sono al centro del dibattito in Eurolandia, sia nell'opinione pubblica che nell'elite ... e guadagnano terreno ogni giorno di più.

Questo è ciò che provoca paura a Wall Street, nella City e tra i maggiori operatori finanziari privati.

Questo è lo stoppino, quasi del tutto bruciato, che attiverà la fusione esplosiva delle attività finanziarie globali nel quarto trimestre (nel contesto prevalente della recessione degli Stati Uniti e della sua incapacità di ridurre il deficit pubblico).

Se i mercati cominciano a prevedere un calo del 50% dei titoli greci e spagnoli, è perché essi hanno veramente intuito la direzione che gli eventi stanno prendendo in Eurolandia.

Per LEAP/E2020 non c'è dubbio che le menti siano mature, per la maggior parte di Eurolandia, a che ai creditori privati ​​venga chiesto di pagare il 50%, o anche di più, per poter risolvere i problemi del debito pubblico.

Questo sarà senza dubbio un problema per le banche europee, ma riuscirà senz’altro a proteggere i depositanti. Gli azionisti dovranno assumersi la piena responsabilità: il che, poi, è veramente il fondamento del capitalismo!

Wall Street e la City, ed i loro intermediari nei media, vogliono disperatamente che questo dibattito non abbia luogo, che si concluda nel panico, in modo che i governi siano costretti ad ascoltare i loro "esperti", che li assicurino che l'unica via sia quella di continuare a ricapitalizzare le banche, di inondarle di liquidità (23) ... come per Washington e Londra.

Due paesi nei quali queste stesse istituzioni finanziarie regnano sovrane nel governo.

Tra l'altro, la battaglia infuria intorno alla BCE, come abbiamo accennato in un GEAB precedente: la nomina di Mario Draghi, un ex della Goldman Sachs, le dimissioni del Jurgend Stark (24) ... derivano da questi tentativi di mettere Francoforte sotto la stessa tutela di Londra e Washington. Ma sono condannati fin dall'inizio, in virtù di questo forum aperto, strutturalmente inscritto nella costruzione europea, dove le discussioni sono alimentate dalle politiche fallimentari del 2008, e dalla crescente irruzione dell’opinione pubblica nel dibattito.

"Chi va piano va sano e va lontano" (25), come dicono gli italiani.

Questa crisi è di proporzioni storiche, come abbiamo detto fin dal Febbraio del 2006.

I passi da intraprendere per attraversarla nel miglior modo possibile e per uscirne più forti (uomini liberi e non schiavi, per citare Eraclito), richiedono quindi una discussione seria e profonda (26) ... e quindi del tempo.

Ed il tempo impiegato dagli Eurolanders, è denaro perso per i mercati ... il che spiega le loro paure. LEAP/E2020 pensa, naturalmente, che è anche necessario agire, e noi abbiamo fatto notare dal Maggio 2010 che le azioni intraprese da Eurolandia sono state di una grandezza senza precedenti nella recente storia europea. E noi crediamo che sia necessario del tempo prima di attuare il secondo pacchetto di aiuti alla Grecia. Per il resto, sappiamo anche che i leaders attuali sono per lo più "al limite", e che sarà necessario attendere fino a metà del 2012 per assistere ad un nuovo, vigoroso impulso all’integrazione di Eurolandia (27).

Nel frattempo, con 340 miliardi di Dollari di rifinanziamento da trovare nel 2012 (28), le banche europee ed americane continueranno ad uccidersi a vicenda, cercando di mantenere la situazione pre-crisi, che ha dato loro l’illimitato sostegno delle Banca Centrali. Per quanto riguarda Eurolandia, esse potrebbero avere una brutta sorpresa.


Confronto dell’indice della Fed di Philadelphia e della produzione industriale USA (2002-2011) - Fonti: Philadelphia Fed, MarketWatch, 08/2011

Il quarto trimestre 2011 segna la fine dei due paradigmi-chiave del mondo pre-crisi.

La fusione esplosiva del quarto trimestre sarà così il risultato diretto di un incontro tra due nuove realtà che contraddicono due condizioni di base dell'esistenza del mondo pre-crisi:

  • uno, nato in Europa, consiste oggi nel rifiutare l'idea che gli ​​operatori finanziari privati, di cui Wall Street e City sono l’incarnazione per eccellenza, non siano pienamente responsabili dei rischi che corrono. Eppure, per decenni, era questa l'idea prevalente che ha alimentato l'enorme crescita dell'economia finanziaria: "testa io vinco, croce tu mi salvi". Anche l'esistenza delle grandi banche occidentali e delle compagnie di assicurazione è diventata intrinsecamente legata a questa certezza. I bilanci dei maggiori operatori di Wall Street e della City (e di molte grandi banche giapponesi e di Eurolandia) non sono in grado di resistere a questo tremendo cambiamento di paradigma (29).
  • l'altro, generato negli Stati Uniti, è la fine del motore americano come propulsore della crescita globale (30), nel contesto della completa paralisi politica del paese che, di fatto, chiuderà il 2011 come la Grecia ha chiuso il 2009: il mondo scoprirà a poco a poco che il paese ha un debito che non può più sostenere, che i suoi creditori non sono più disposti a prestare denaro, che la sua economia non è più in grado di far fronte ad una significativa austerità senza precipitare in una profonda depressione (31). In un certo senso, l'analogia può essere ulteriormente portata avanti: proprio come l'Unione Europea e le banche che, dal 1982 al 2009, hanno liberamente concesso prestiti alla Grecia ... e senza essere pressanti riguardo i conti, analogamente nello stesso periodo il mondo ha liberamente concesso prestiti agli Stati Uniti, credendo alle promesse dei suoi leaders riguardo lo stato dell'economia e delle finanze del paese.


Ed in entrambi i casi il denaro è stato sprecato nel boom immobiliare senza futuro, in politiche clientelari stravaganti (negli Stati Uniti clientelismo vuol dire Wall Street, industria petrolifera, fornitori di servizi sanitari) e nelle spese militari improduttive.

Ed in entrambi i casi, si scopre che pochi trimestri non possono riparare decenni di incoscienza.


La «tempesta perfetta» politico-finanziaria del Novembre 2011

Così, nel Novembre 2011, gli Stati Uniti si preparano ad una "tempesta perfetta" politico-finanziaria, che farà sembrare i problemi estivi una leggera brezza marina.

I sei elementi della futura crisi stanno già arrivando tutti insieme (32):

1 - il "super comitato" (33) responsabile delle decisioni sui tagli di bilancio sui quali non c'era accordo quest'Estate, si rivelerà incapace di risolvere le tensioni tra le due parti (34).

2 - i tagli di bilancio automatici da realizzare in caso di mancato accordo, si tradurranno in una grave crisi politica a Washington, ed aumenteranno le tensioni, soprattutto con i militari ed i destinatari delle prestazioni sociali. Allo stesso tempo questa "funzione automatica" (una vera e propria abdicazione al potere decisionale da parte del Congresso e della presidenza degli Stati Uniti) genera gravi perturbazioni nel funzionamento del sistema statale.

3 - le altre agenzie di rating si uniranno a S&P nel declassamento del rating degli Stati Uniti e la riconversione dei T-bonds USA accelererà, con la consapevolezza che gli Stati Uniti ora dipendono principalmente dal finanziamento a breve termine (35).

4 - l'incapacità della Fed di fare qualcosa, se non parlare e manipolare il mercato azionario e quello dei prezzi della benzina negli Stati Uniti (36), rende ora qualsiasi "salvataggio" last-minute impossibile

5 - nei prossimi tre mesi il deficit pubblico degli Stati Uniti aumenterà drammaticamente visto che le entrate fiscali sono già in procinto di crollare sotto l'impatto della ricaduta in recessione (37). In altre parole, l’aumentato tetto del debito pubblico votato poche settimane fa, sarà raggiunto ben prima delle elezioni di Novembre 2012 (38) ... e questa informazione si diffonderà a macchia d'olio nel quarto trimestre del 2011 ... rafforzando i timori di tutti gli investitori di vedere gli Stati Uniti seguire l'esempio di Eurolandia con la Grecia, forzando i suoi creditori a perdite pesanti.

6 - Il nuovo piano di Barack Obama per la lotta alla disoccupazione non avrà alcun effetto significativo. Da un lato esso non è all'altezza della sfida e, per questo motivo, non può chiamare a raccolta le energie del paese e, dall'altro, sarà fatto a pezzi dai repubblicani che manterranno solo i tagli fiscali ... L'unico risultato sarà quello di aumentare il debito del paese ancora di più (39).




I collegamenti del super-comitato per il debito USA con i lobbisti di Washington - Fonte: Washington Post, 09/2011


Così, per LEAP/E2020, è una combinazione di tutti questi elementi che, alla fine del 2011, attiverà questo importante shock finanziario ... una sorta di shock finale che spingerà il pianeta fuori dal mondo pre-crisi per sempre.

Ma il mondo post-crisi è ancora da costruire, perché sono molti i futuri possibili, a partire dal 2012. Come Franck Biancheri ha anticipato nel suo libro, il periodo 2012-2016 è un crocevia storico. Bisogna cercare di non sbagliare il percorso (40)!

di Global Europe Anticipation Bulletin

Note:

(1) Per ora, come abbiamo detto per diversi trimestri, l'isteria che circonda la crisi finanziaria greca riguarda soprattutto il campo della propaganda e della manipolazione. Per rendersene conto è sufficiente rilevare che, fuori della Grecia, nessun cittadino di Eurolandia si renderebbe conto che c'è una crisi in Grecia, se i media non ne facessero regolarmente oggetto nei loro titoli. Mentre negli Stati Uniti le devastazioni quotidiane della crisi non hanno bisogno della copertura mediatica per farsi sentire pesantemente dalle decine di milioni di americani.
(2) Visto che si cerca di confondere e manipolare la percezione della realtà mentre, al contrario, il nostro lavoro cerca di rivelare quella stessa realtà.
(3) Ogni 3 o 4 mesi, abbiamo un "puff" sulla crisi greca/fine dell'euro, che svanisce rapidamente esattamente così come è arrivata, quando tutti scoprono che non succede niente altro che la continuazione del tortuoso processo decisionale di Eurolandia riguardo la lenta uscita della Grecia dal buco nero del bilancio. I “grilletti” variano, naturalmente, altrimenti non avrebbero più funzionato con il pubblico: un trimestre si userà "la rivolta dei Greci contro l’austerità "per spiegare che tutto andrà in fiamme ... compreso l'euro (la sequenza che porta da Atene a tutta Eurolandia è sempre molto vaga e semplicistica, ma non importa, perché i giornalisti non fanno domande), quello successivo, come questa estate, per esempio, si userà un crollo del mercato azionario per identificare il colpevole ... la Grecia ... mille volte più importante, naturalmente, di eventi insignificanti come l'entrata degli Stati Uniti in recessione e il downgrade del credito degli Stati Uniti! E così via. Gli dei greci sono decisamente ancora vivi e molto potenti per far si che il mondo tremi in questo modo!
(4) Si guardi questo estratto dal GEAB N° 51
(5) Fonti: Market Watch, 2011/09/14, New York Times, 2011/09/13, USA Today, 2011/09/07, La Tribune, 2011/09/05, Mish’s, 2011/08/29; USA Today, 2011/08/29; CNBC, 2011/06/17
(6) Che non ha sorpreso i lettori GEAB, in quanto nel N° 49 del Novembre 2010 avevamo previsto "la diffusa paralisi politica e l'ingresso degli Stati Uniti nell’austerità nel 2011".
(7) Per rilassarsi su un argomento serio, date un'occhiata a questa clip rap di un tema molto politico "Alza il tetto del debito". Fonte: Telegraph, 2011/07/29
(8) Fonte: Telegraph, 2011/08/31
(9) Così, sommando debito privato e debito pubblico, il Regno Unito è il paese più indebitato del mondo. Fonte: Arab Money, 2011/08/28
(10) Le organizzazioni caritative ed umanitarie del Paese stanno attualmente lottando per la propria sopravvivenza economica, a causa della mancanza di donazioni e sovvenzioni. Fonte: The Guardian, 2011/08/02.
(11) I due trattano le notizie più o meno allo stesso modo.
(12) Anche la Svizzera, da ora in poi, "ancorerà" la propria valuta all'euro – il che dovrebbe portare gli euroscettici a pensare come in questo titolo dello Spiegel, il 2011/09/07.
(13) Immaginate lo stato del dollaro o della sterlina, se i media e gli esperti avessero dedicato la stessa energia a descrivere e fantasticare su tutti i problemi degli Stati Uniti o del Regno Unito. Se, per esempio, si traessero le stesse conclusioni riguardo la Gran Bretagna, in occasione degli scontri di questa estate, come quelle tratte per le manifestazioni greche, davvero ragionevoli (rispetto alla violenza inglese).
(14) Così, l'UE ha significativamente aumentato il budget per la ricerca, mentre la “stretta” è aumentata negli Stati Uniti. Fonte: Nature, 2011/07/05.
(15) Anche il Wall Street Journal del 2011/09/12, sospettato di acuta Eurofilia, riconosce che Eurolandia sta per passare ad una nuova fase d’integrazione, attraverso un nuovo trattato. Lo Spiegel del 2011/02/09 conferma questa tendenza.
(16) John Tammy ha chiaramente spiegato nel Real Clear Markets del 25/08/2011: «Il problema dell'Europa non è in realtà l'euro».
(17) Ribadiamo qui che la metodologia dell'anticipazione politica, su cui si basa il lavoro di LEAP/E2020, non si permette il lusso di confondere i suoi sogni (o incubi) con la realtà (l’approccio ideologico per eccellenza), ma è un processo decisionale saldamente radicato nel mondo reale. E consigliamo ai lettori di tenere in mente un test molto semplice per distinguere tra i due approcci, e quindi determinare quale grado di fiducia si può dare ad un'analisi sull'evoluzione della crisi: le analisi del passato hanno regolarmente permesso le previsioni sugli sviluppi della crisi in modo preciso? O realmente, al contrario, poco o nulla di quanto annunciato si è avverato? Tocca a voi, quindi, scegliere quello che si desidera utilizzare nel prendere decisioni, ma almeno lo farete consapevolmente!
(18) Per quanto riguarda l'attuale crisi, LEAP/E2020 ritiene che la crescente consapevolezza, tra i leader di Eurolandia e l'opinione pubblica, del fatto che ci sia, quanto meno, un’operazione di propaganda proveniente da oltre Manica e dall'Atlantico destinata ad “uccidere la fiducia nell'area euro", si tradurrà in una profonda revisione della credibilità dei giornalisti e degli esperti che si occupano della crisi, nel prossimo anno. Ed Eurolandia che credeva, fino a poco tempo fa, di trovarsi ancora in piena fratellanza con Stati Uniti e Regno Unito, sta trovando che le cose siano molto più complicate. Nel 2012 noi pensiamo, quindi, che alcuni media di Eurolandia cominceranno a mettere in discussione l'oggettività ed anche l'onestà di quei giornalisti, addestrati quasi esclusivamente negli Stati Uniti o nel Regno Unito e/o nei principali media anglosassoni, in prima fila nell'attacco contro l'Euro. France24, dove la situazione sopra descritta è molto comune, ha appena fornito un ottimo esempio. Intervistando il Presidente del MEDEF riguardo le sue affermazioni circa un complotto americano nei confronti dell'euro (France24, 2011/05/09), la giornalista Stéphanie Antoine lanciò dei dubbi, senza alcuna argomentazione, riguardo la posizione di Laurence Parisot, con l'aggiunta di eloquenti espressioni per dimostrare che non credeva ad una sola parola di quello che egli diceva. Stéphanie Antoine, CV su Wikipediaspeaks: ha lavorato a New York e Londra per la ABC, CNBC e Bloomberg. Dal momento che Laurence Parisot accusava i media statunitensi, in particolare, meglio si comprende l'obiettività della giornalista su questo argomento. Per il nostro team è chiaro che i giornalisti e gli esperti con questo tipo di background, principalmente statunitense ed inglese, saranno progressivamente messi da parte durante il prossimo anno in tutti i principali media di Eurolandia. Anche in questo settore il mondo pre-crisi è in corso di sparizione.
(19) C’è un buon esempio nel colloquio con l'ex ministro delle finanze tedesco, Peer Steinbrück, fatto da due giornalisti dello Spiegel il 2011/09/12. Il primo scambio di battute è significativo: i giornalisti dicono che l'euro non può essere salvato. L'ex ministro chiede loro da dove traggono questa "verità", ed i giornalisti si giustificano ripetendo il cliché sparso dagli euroscettici per anni: "perché, in realtà, non può funzionare a causa delle nostre economie che sono diverse". Due sono gli insegnamenti da trarre da questo esempio: la posizione stessa dei giornalisti intesi come "esperti" ... è infatti il politico che ha intervistato loro per porre domande circa la legittimità delle loro richieste; ed, in fatto di competenza, hanno solo ripetuto la retorica, senza alcuna analisi, del soggetto con cui sono chiamati ad avere a che fare. Si tratta, purtroppo, della situazione che ha prevalso per mesi sui media europei riguardo questo tema. In difesa dei giornalisti, diciamo che sono vittime della incapacità degli attuali leaders di Eurolandia di proporre una visione di lungo termine. Questo semplice fatto dissiperebbe la "nebbia di guerra" in un secondo. Inoltre, i commenti di Peer Steinbrück sono molto interessanti e descrivono, secondo l’ottica di LEAP/E2020, il processo dei prossimi mesi molto accuratamente.
(20) E gli euroscettici di destra e di sinistra, che lavorano attivamente sul continente europeo, credono di aver trovato la giustificazione per le loro analisi, anche se sono smentiti quotidianamente dai fatti e dal progresso dell'integrazione europea. Sarebbe più saggio concentrarsi su come ottenere una governance più democratica di Eurolandia, piuttosto che sognare la "torta in cielo", che è già stata consegnata all'oblio della storia.
(21) Si legga l'articolo molto interessante preso dal Vanguardia di PressEurop del 2011/09/08, riguardo due diversi modi di essere in crisi, con la messa a confronto di Italia e Spagna.
(22) Entro la fine del 2011 torneremo con una previsione dettagliata sui cambiamenti di Eurolandia, fino all'orizzonte del 2015, ma una cosa è certa: Londra non può più opporsi, e vedremo nelle prossime settimane che il Regno Unito può solo cercare di negoziare alcuni benefici, in cambio della sua inevitabile approvazione ad una maggiore integrazione di Eurolandia. Inoltre, Londra non può permettersi la minima scossa economica aggiuntiva per non vedere il crollo dell'economia britannica. Fonte: Telegraph, 2011/09/15
(23) La decisione delle banche centrali occidentali del 2011/09/15 di inondare ancora una volta di dollari le grandi banche, avrà un effetto più duraturo rispetto a prima. Ciò conferma solo lo stato molto fragile di tutte queste istituzioni finanziarie ... supposto che avessero superato lo "stress test" che garantisce la loro solidità. Per il resto, questa decisione spinge le banche dell'Eurozona a prestare in Euro: il 2012 dovrebbe vedere questa situazione stabilizzarsi rapidamente. Fonti: MarketWatch, 2011/09/15, Les Echos, 2011/09/12
(24) Ma non solo: con Weber e Stark, stiamo anche assistendo alla fine della generazione dei "Bundesbankers" della FRG. La loro visione delle cose era certamente appropriata per la gestione della Banca Centrale Tedesca Occidentale, ma le sfide della BCE per i prossimi anni sono di un ordine diverso. La generazione "Erasmus" dei banchieri centrali deve ora prendere il loro posto. E qualunque sia la sua fede, questa generazione conosce l'importanza strategica del dibattito tra gli europei, prima di intraprendere importanti riforme. Tra le urgenze della crisi ed il necessario sostanziale dibattito tra gli europei, è il momento di sostituire le elites francesi e tedesche, in particolare, dal momento che sono al centro del processo: non più certezze "scientifiche", per gli esperti/politici tedeschi, e la fine della lucida arroganza dei tecnocrati/decisori francesi. Su entrambi i lati, abbiamo bisogno di persone che sappiano lavorare con il team di Eurolandia: una qualità che tutti gli Eurolanders dovrebbero tenere a mente prima di entusiasmarsi per i loro prossimi leaders.
(25) «La lentezza vince la gara»
(26) Questo è il grande sviluppo, in Germania, del dibattito del 2011 sulla crisi: fine della delusione del 2010 riguardo il ritorno al marco, in Germania vi è ora un vero e serio dibattito sul modo migliore di garantire il successo al prossimo passo dell’integrazione di Eurolandia. E' un peccato che un tale dibattito non esista in Francia. Sarà necessario attendere l'elezione del candidato socialista, a maggio del 2012, per passare a questa fase. A quell’epoca, i due paesi potranno ancora assumere un vero ruolo di guida. Attualmente stanno giocando prevalentemente in posizione difensiva: è necessario, ma non sufficiente per il 2012.
(27) Detto questo, gli Eurobonds sono ora a portata di mano. Fonte: MarketWatch, 2011/08/30
(28) Fonte: International Financing Review, 2011/02/09
(29) Dall’estate del 2011 i maltrattati hedge funds se ne stanno già andando. Fonte: Les Echos, 2011/09/01
(30) Vale la pena leggere questo interessante articolo pubblicato sul The Nation del 2011/07/19, che descrive il passaggio degli Stati Uniti dalla prosperità di massa alla lunga recessione nel giro di 50 anni.
(31) Le famiglie americane hanno persino più debiti del loro Governo! Fonti: MSNBC, 2011/09/09, AlJazeera, 2011/09/04, Yahoo Finance, 2011/07/28
(32) Nel prossimo numero del GEAB, il nostro team espanderà le sue previsioni sugli Stati Uniti fino all'orizzonte del 2015.
(33) Fonte: Washington Post, 2011/09/14, La Collina, 2011/09/08
(34) Fonte: Washington Post, 2011/09/14
(35) Fonte: Financial Post, 2011/09/01, CNBC, 2011/08/08
(36) Un numero crescente di domande sorge sulla strana differenza tra il prezzo del greggio negli Stati Uniti e nel mercato di Londra. Anche il Financial Times ha aderito a questo partito. Ed il dito tende a puntare verso uno dei molti intermediari della Fed, che avrebbe mantenuto il prezzo di riferimento Usa artificialmente basso, per evitare un aumento del prezzo della benzina alla pompa. Le prossime settimane dovrebbero svelare ulteriori prove su questa storia intrigante, ma indicativa del clima di sospetto nei confronti delle istituzioni federali, che sono ora sotto controllo negli Stati Uniti. Fonte: Le Monde, 2011/09/06
(37) Fonte: Zerohedge, 2011/09/02
(38) Fonte: Zerohedge, 2011/08/08
(39) Fonti: USAToday, 2011/09/09
(40) Per inciso, questo sarà uno dei temi affrontati nel corso della conferenza «Quali relazioni transatlantiche dopo la crisi globale?» che si terrà a Houston il 3 e 4 ottobre prossimo con, soprattutto, il coinvolgimento di due leaders di LEAP/E2020, Franck Biancheri e Harald Greib

23 settembre 2011

Banche, la soluzione c'è, ma le lobby...

Il declassamento delle banche italiane non mi stupisce: era nell’aria da tempo.Se aggiungete un’altra notizia che in Italia ha avuto poco spazio ma che è molto importante, secondo cui Bank of China ha sospeso una serie di ordinarie transazioni in valute sul mercato cinese con alcune banche europee in seguito ai crescenti timori sui rischi finanziari dell’Europa (le banche sono BNP Paribas, Société Générale e UBS), il quadro è chiaro: siamo di nuovo daccapo. Tra il 2008 e il 2010 il governo americano spese oltre 4mila miliardi di dollari per salvare le banche, come ha ricordatorecentemente Maurizio Blondet su Effegieffe; soldi che hanno avuto un effetto tampone, ma non hanno interrotto le pessime consuetudini delle grandi banche.

La soluzione c’era, come ha ricordato ieri il leader dell’Udc svizzera Christoph Blocher, in un’intervista alCorriere del Ticino (la testata principale del gruppo TImedia che dirigo da qualche settimana): “Separare l’investment banking delle nostre grandi banche all’estero dal­la gestione patrimoniale e dai prestiti ipotecari e altre attività che si svolgo­no prevalentemente in Svizzera“. Blocher si riferisce in particolare all’Ubs, che ora è di nuovo nei guai, ma il principio vale per tutte le banche, anche per quelle italiane.

Fino alla fine degli anni Novanta negli Usa, le attività di Investment Banking erano nettamente separate da quelle cosiddette retail; con separazione dei rischi e delle responsabilità. Oltre dieci anni fa la lobby delle banche prevalse (con il decisivo appoggio di Bill Clinton) e da allora il mito della banca globale si è diffuso.

Oggi le banche sono troppo grandi per fallire e dunque possono ricattare il mondo. Tornare a quella norma rappresenta la soluzione, che naturalmente nessun governo e tantomeno nessuna organizzazione internazionale tipo Fmi, Banca Mondiale, Financial StabilityBoard riesce e nemmeno tenta di applicare, per ragioni che potete facilmente intuire.

Finchè non compieremo questo passo rimarremo per sempre in ostaggio delle banche e di un sistema che ci porterà alla malora.

di Marcello Foa