25 marzo 2007
Lunardi: un ministro che deve risarcire lo stato?
Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange. Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange. Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange.
La Banca Mondiale ha le ore contate?
Le Banche nel momento di massima espansione e dominio stanno vivendo momenti difficili. Il mostro comincia ad affacciare la testa e, i piccoli Golia non vedono l'ora di accecare o uccidere la Bestia.HEDELBERTO LOPEZ BLANCH parla della situazione in America Latina, nessun media sfiora l'argomento.
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM) sono in agitazione perché in America Latina si sta formando un’entità finanziaria in grado di aumentare le problematiche di cui già soffrono queste due organizzazioni mondiali.
Alla fine di febbraio, durante una visita del presidente argentino Nestor Kirchner a Caracas, il suo omologo venezuelano, Hugo Chávez, ha annunciato che i due governi si sono dati un termine di 120 giorni per la costruzione del Banco del Sur (Banca del Sud).
Chávez ha spiegato che al termine di questo lasso di tempo dovrebbe essere già pronto un piano di azione “volto alla creazione di statuti, così come il piano di realizzazione per un quinquennio, il programma di acquisizione di risorse e la stima del capitale iniziale”.
Il governo venezuelano è pronto per mettere a disposizione almeno il 10% delle sue riserve a questo scopo e il suo Presidente ha esortato affinché altri paesi facciano lo stesso per creare una banca che inizierà modestamente, ma che in pochi anni, “non ci sarà bisogno del FMI o della BM, né di andare mendicando per il mondo”.
Durante la riunione Kirchner-Chávez, si è appreso che il documento base per la creazione della Banca del Sud possiede un fondamento dal punto di vista etico, economico, politico e sociale e che la sede principale sarà a Caracas e un’altra a Buenos Aires. L’ apparato direttivo del progetto offre facilitazioni affinché gli altri governi possano unirsi a questo impegno in ogni momento della sua fase, ciò che permetterà una maggiore integrazione latinoamericana. Il ministro ecuadoriano dell’Economia, Ricardo Patiño, ha assicurato che la Banca del Sud sarà una realtà in pochi mesi e il suo paese, come la Bolivia, aderirà a questo organismo che funzionerà con le risorse delle nazioni che ne faranno parte.
E’ innegabile che la Banca del Sud costituisce una prospettiva finanziaria regionale d’avanguardia, contrapposta alle attività del FMI e della BM.
È consuetudine che i governi ripongano i loro risparmi nelle banche del Nord, che pagano tassi di interesse tra l’1 o il 2%, per poi prestare questo stesso denaro con tassi di interesse tra il 6 e il 12%.
Attualmente esiste una congiuntura favorevole affinché i Paesi in Via di Sviluppo (PVS) possano raggiungere una politica indipendente rispetto alle nazioni capitaliste più industrializzate perché negli ultimi anni i PVS hanno aumentato in modo considerevole le loro riserve internazionali. Si calcola che solo le riserve di Venezuela, Argentina e Brasile, in totale, raggiungano la somma di 100.000 milioni di dollari.
La decisione di fondare la Banca, come è logico, rappresenta già un motivo di preoccupazione per gli organismi finanziari internazionali e per i paesi industrializzati perché in pratica i più poveri e numerosi prestano denaro ai potenti.
La Banca Mondiale ha preso atto di questa realtà segnalando nei suoi rapporti annuali, e specificatamente in quelli del 2003, 2005, e 2006, chiamati Sviluppo Finanziario Globale, che i “paesi in via di sviluppo, presi insieme, sono creditori rispetto agli sviluppati” e che i primi “esportano capitali nel resto del mondo, in particolare negli Stati Uniti”.
Eric Toussaint, presidente del Comitato per l’Abolizione del Debito del Terzo Mondo (CADTM), in un importante studio sull’argomento spiega che la maggior parte dei Paesi in Via di Sviluppo compra buoni del Tesoro statunitensi con la motivazione che questi hanno molta liquidità e si possono vendere facilmente. I Paesi in Via di Sviluppo contribuiscono così a sostenere la potenza dell’impero americano.
“I Paesi in Via di Sviluppo mettono nelle mani del padrone il bastone che egli impiega per picchiarli e depredarli, dal momento che gli Stati Uniti hanno un necessità vitale di finanziamenti dall’estero per coprire il loro enorme deficit e mantenere così il loro potere militare, commerciale e finanziario. Se si trovassero privati di una parte significativa di questi prestiti, il loro predominio verrebbe meno”, segnala Toussaint.
Bisogna far presente che le quotazioni del dollaro da alcuni anni sono in ribasso e i buoni sono remunerati con moneta svalutata e pertanto sarebbe più proficuo investirli nello sviluppo sociale di questi paesi.
Il FMI, in questo anno fiscale, sta affrontando difficoltà finanziarie a breve termine con un deficit di 105 milioni di dollari al di sopra del previsto, cosa che non succedeva dal 1985, quando si dichiarò una moratoria nel pagamento dei debiti da parte di alcuni paesi.
La ragione ora è molto diversa e si deve ai pagamenti anticipati che si sono realizzati da parte di alcuni paesi membri con l’obiettivo di ridurre i loro debiti e per i quali hanno utilizzato parte delle loro riserve internazionali.
Questa situazione non è nuova, ma è cominciata durante la crisi asiatica alla fine degli anni ’90, quando gli interessati decisero di far fronte con le loro obbligazioni creditizie in cambio di un controllo minore da parte del FMI.
Tanto il FMI, che la BM ed altre istituzioni finanziarie mondiali dominate dai Paesi in Via di Sviluppo, concedono prestiti alla condizione che si rispettino strettamente le raccomandazioni di natura economica suggerite da queste istituzioni, le quali vanno sempre a sfavore delle strategie sociali disposte per le popolazioni indebitate.
Brasile, Argentina, Uruguay hanno effettuato pagamenti anticipati per più di 25.000 milioni di dollari (per risparmiare sugli enormi interessi). Lo hanno anche fatto Serbia e Indonesia ed altri come Colombia, Cile, Messico, Perù, Venezuela hanno ottenuto aperture di credito ma non le hanno utilizzate. Dalla fondazione del FMI e della BM nel 1944 questi organismi sono stati strumenti di dominio delle nazioni potenti le quali hanno imposto, nelle regioni sfortunate, politiche neocoloniali, neoliberali e di libero commercio a sfavore delle grandi moltitudini.
Davanti a questa non obiettabile realtà sorge il progetto della creazione della Banca del Sud che, con una intenzione multilaterale, mira verso la necessaria integrazione latinoamericana.
Durante la sua visita a Caracas il presidente argentino Néstor Kirchner ha puntualizzato che questa istituzione dovrà essere un’entità finanziaria con caratteristiche e filosofie differenti da quelle delle sedi bancarie internazionali che pure sono nate con l’intento di promuovere investimenti e che con il trascorrere degli anni si sono trasformate “in una vera calamità per i popoli”.
La Banca del Sud, insieme all’Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA), è un altro dei segnali di risveglio dell’emancipazione delle nazioni dell’America Latina.
22 marzo 2007
Che cosa possiamo fare noi ebrei per il bene del mondo?
A questa domanda, a volte mi viene da ridere, ma per rispetto mi astengo dal commentare. Voglio solo usare le parole di un autore M. Blondet.
Per carità, abbiate pietà!
Non cercate di fare il bene del mondo, abbiamo già visto il vostro bene!
La domanda è rivelatrice in sé.
I cinesi non si domandano cosa possono fare «per il bene del mondo», né se lo chiedono i francesi e gli italiani.
I popoli autentici, non ideologici e non artificiali, si limitano a vivere nel mondo, cercando di assicurarsi una relativa sicurezza impegnandosi con trattati.
A chiedersi attivamente cosa fare ancora per «il bene del mondo» sono gli ideologi di ideologie feroci: i comunisti sovietici, oggi i fondamentalisti messianici americani.
Vogliono a tutti i costi farci del «bene», portare «la democrazia», il «mercato», la «libertà».
Gli individui sì, devono chiedersi, ciascuno per sé, cosa possano fare di bene, come migliorare il mondo.
Non i popoli in quanto tali.
Un popolo che si domanda - o fa finta di domandarsi - cosa deve fare per il bene del mondo, è un popolo che si crede divino, che si crede Dio.
No, caro lettore, cari ebrei.
Vi chiediamo molto meno.
Non di fare, come Dio, «il bene del mondo», ma semplicemente di non fare troppo male.
Di non opprimere e affamare i palestinesi.
Di non soffocare nel sangue e nella fame le loro speranze.
Di non porre loro, ogni volta che accedono alle condizioni da voi dettate, sempre nuove condizioni: questo non è «bene», è slealtà e menzogna.
Ci accontenteremmo che voi, dopo aver distrutto il Libano dalle fondamenta in 30 giorni con le vostre bombe, non continuaste a violarne ogni giorno - come denuncia l’ONU - lo spazio aereo, ossia la sovranità.
Anche gli altri, nella civiltà, hanno diritto alla sovranità.
Ci sarebbe piaciuto che la vostra lobby non avesse spinto la superpotenza USA a «fare il bene» degli iracheni, ammazzandone 650 mila e rendendone profughi oltre due milioni.
Ci basterebbe che non esigeste oggi dagli americani che inceneriscano l’Iran, una nazione che non vi minaccia realmente, che non ha mai aggredito ma che è se mai stata aggredita da un Saddam Hussein su istigazione USA.
Vi chiediamo di fare pace con condizioni oneste, che altri possano accettare senza eccessiva umiliazione.
Anche per il vostro bene: perché una pace fondata sul dominio e sulla forza assoluta, non consente mai di dormire tranquilli.
Specie se si dorme in case rubate, su terre che non vi appartengono, su letti strappati ad altri. Nonostante tutta la forza, si viene visitati da brutti sogni.
Il vostro Freud può spiegarvi, ancora una volta, il motivo dei vostri sonni agitati, dei vostri fantasmi di essere «cancellati».
No, per favore, non fate il nostro bene.
Non siete Dio.
Soprattutto, non siete il nostro Dio.
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25 marzo 2007
Lunardi: un ministro che deve risarcire lo stato?
Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange. Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange. Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange.
La Banca Mondiale ha le ore contate?
Le Banche nel momento di massima espansione e dominio stanno vivendo momenti difficili. Il mostro comincia ad affacciare la testa e, i piccoli Golia non vedono l'ora di accecare o uccidere la Bestia.HEDELBERTO LOPEZ BLANCH parla della situazione in America Latina, nessun media sfiora l'argomento.
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM) sono in agitazione perché in America Latina si sta formando un’entità finanziaria in grado di aumentare le problematiche di cui già soffrono queste due organizzazioni mondiali.
Alla fine di febbraio, durante una visita del presidente argentino Nestor Kirchner a Caracas, il suo omologo venezuelano, Hugo Chávez, ha annunciato che i due governi si sono dati un termine di 120 giorni per la costruzione del Banco del Sur (Banca del Sud).
Chávez ha spiegato che al termine di questo lasso di tempo dovrebbe essere già pronto un piano di azione “volto alla creazione di statuti, così come il piano di realizzazione per un quinquennio, il programma di acquisizione di risorse e la stima del capitale iniziale”.
Il governo venezuelano è pronto per mettere a disposizione almeno il 10% delle sue riserve a questo scopo e il suo Presidente ha esortato affinché altri paesi facciano lo stesso per creare una banca che inizierà modestamente, ma che in pochi anni, “non ci sarà bisogno del FMI o della BM, né di andare mendicando per il mondo”.
Durante la riunione Kirchner-Chávez, si è appreso che il documento base per la creazione della Banca del Sud possiede un fondamento dal punto di vista etico, economico, politico e sociale e che la sede principale sarà a Caracas e un’altra a Buenos Aires. L’ apparato direttivo del progetto offre facilitazioni affinché gli altri governi possano unirsi a questo impegno in ogni momento della sua fase, ciò che permetterà una maggiore integrazione latinoamericana. Il ministro ecuadoriano dell’Economia, Ricardo Patiño, ha assicurato che la Banca del Sud sarà una realtà in pochi mesi e il suo paese, come la Bolivia, aderirà a questo organismo che funzionerà con le risorse delle nazioni che ne faranno parte.
E’ innegabile che la Banca del Sud costituisce una prospettiva finanziaria regionale d’avanguardia, contrapposta alle attività del FMI e della BM.
È consuetudine che i governi ripongano i loro risparmi nelle banche del Nord, che pagano tassi di interesse tra l’1 o il 2%, per poi prestare questo stesso denaro con tassi di interesse tra il 6 e il 12%.
Attualmente esiste una congiuntura favorevole affinché i Paesi in Via di Sviluppo (PVS) possano raggiungere una politica indipendente rispetto alle nazioni capitaliste più industrializzate perché negli ultimi anni i PVS hanno aumentato in modo considerevole le loro riserve internazionali. Si calcola che solo le riserve di Venezuela, Argentina e Brasile, in totale, raggiungano la somma di 100.000 milioni di dollari.
La decisione di fondare la Banca, come è logico, rappresenta già un motivo di preoccupazione per gli organismi finanziari internazionali e per i paesi industrializzati perché in pratica i più poveri e numerosi prestano denaro ai potenti.
La Banca Mondiale ha preso atto di questa realtà segnalando nei suoi rapporti annuali, e specificatamente in quelli del 2003, 2005, e 2006, chiamati Sviluppo Finanziario Globale, che i “paesi in via di sviluppo, presi insieme, sono creditori rispetto agli sviluppati” e che i primi “esportano capitali nel resto del mondo, in particolare negli Stati Uniti”.
Eric Toussaint, presidente del Comitato per l’Abolizione del Debito del Terzo Mondo (CADTM), in un importante studio sull’argomento spiega che la maggior parte dei Paesi in Via di Sviluppo compra buoni del Tesoro statunitensi con la motivazione che questi hanno molta liquidità e si possono vendere facilmente. I Paesi in Via di Sviluppo contribuiscono così a sostenere la potenza dell’impero americano.
“I Paesi in Via di Sviluppo mettono nelle mani del padrone il bastone che egli impiega per picchiarli e depredarli, dal momento che gli Stati Uniti hanno un necessità vitale di finanziamenti dall’estero per coprire il loro enorme deficit e mantenere così il loro potere militare, commerciale e finanziario. Se si trovassero privati di una parte significativa di questi prestiti, il loro predominio verrebbe meno”, segnala Toussaint.
Bisogna far presente che le quotazioni del dollaro da alcuni anni sono in ribasso e i buoni sono remunerati con moneta svalutata e pertanto sarebbe più proficuo investirli nello sviluppo sociale di questi paesi.
Il FMI, in questo anno fiscale, sta affrontando difficoltà finanziarie a breve termine con un deficit di 105 milioni di dollari al di sopra del previsto, cosa che non succedeva dal 1985, quando si dichiarò una moratoria nel pagamento dei debiti da parte di alcuni paesi.
La ragione ora è molto diversa e si deve ai pagamenti anticipati che si sono realizzati da parte di alcuni paesi membri con l’obiettivo di ridurre i loro debiti e per i quali hanno utilizzato parte delle loro riserve internazionali.
Questa situazione non è nuova, ma è cominciata durante la crisi asiatica alla fine degli anni ’90, quando gli interessati decisero di far fronte con le loro obbligazioni creditizie in cambio di un controllo minore da parte del FMI.
Tanto il FMI, che la BM ed altre istituzioni finanziarie mondiali dominate dai Paesi in Via di Sviluppo, concedono prestiti alla condizione che si rispettino strettamente le raccomandazioni di natura economica suggerite da queste istituzioni, le quali vanno sempre a sfavore delle strategie sociali disposte per le popolazioni indebitate.
Brasile, Argentina, Uruguay hanno effettuato pagamenti anticipati per più di 25.000 milioni di dollari (per risparmiare sugli enormi interessi). Lo hanno anche fatto Serbia e Indonesia ed altri come Colombia, Cile, Messico, Perù, Venezuela hanno ottenuto aperture di credito ma non le hanno utilizzate. Dalla fondazione del FMI e della BM nel 1944 questi organismi sono stati strumenti di dominio delle nazioni potenti le quali hanno imposto, nelle regioni sfortunate, politiche neocoloniali, neoliberali e di libero commercio a sfavore delle grandi moltitudini.
Davanti a questa non obiettabile realtà sorge il progetto della creazione della Banca del Sud che, con una intenzione multilaterale, mira verso la necessaria integrazione latinoamericana.
Durante la sua visita a Caracas il presidente argentino Néstor Kirchner ha puntualizzato che questa istituzione dovrà essere un’entità finanziaria con caratteristiche e filosofie differenti da quelle delle sedi bancarie internazionali che pure sono nate con l’intento di promuovere investimenti e che con il trascorrere degli anni si sono trasformate “in una vera calamità per i popoli”.
La Banca del Sud, insieme all’Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA), è un altro dei segnali di risveglio dell’emancipazione delle nazioni dell’America Latina.
22 marzo 2007
Che cosa possiamo fare noi ebrei per il bene del mondo?
A questa domanda, a volte mi viene da ridere, ma per rispetto mi astengo dal commentare. Voglio solo usare le parole di un autore M. Blondet.
Per carità, abbiate pietà!
Non cercate di fare il bene del mondo, abbiamo già visto il vostro bene!
La domanda è rivelatrice in sé.
I cinesi non si domandano cosa possono fare «per il bene del mondo», né se lo chiedono i francesi e gli italiani.
I popoli autentici, non ideologici e non artificiali, si limitano a vivere nel mondo, cercando di assicurarsi una relativa sicurezza impegnandosi con trattati.
A chiedersi attivamente cosa fare ancora per «il bene del mondo» sono gli ideologi di ideologie feroci: i comunisti sovietici, oggi i fondamentalisti messianici americani.
Vogliono a tutti i costi farci del «bene», portare «la democrazia», il «mercato», la «libertà».
Gli individui sì, devono chiedersi, ciascuno per sé, cosa possano fare di bene, come migliorare il mondo.
Non i popoli in quanto tali.
Un popolo che si domanda - o fa finta di domandarsi - cosa deve fare per il bene del mondo, è un popolo che si crede divino, che si crede Dio.
No, caro lettore, cari ebrei.
Vi chiediamo molto meno.
Non di fare, come Dio, «il bene del mondo», ma semplicemente di non fare troppo male.
Di non opprimere e affamare i palestinesi.
Di non soffocare nel sangue e nella fame le loro speranze.
Di non porre loro, ogni volta che accedono alle condizioni da voi dettate, sempre nuove condizioni: questo non è «bene», è slealtà e menzogna.
Ci accontenteremmo che voi, dopo aver distrutto il Libano dalle fondamenta in 30 giorni con le vostre bombe, non continuaste a violarne ogni giorno - come denuncia l’ONU - lo spazio aereo, ossia la sovranità.
Anche gli altri, nella civiltà, hanno diritto alla sovranità.
Ci sarebbe piaciuto che la vostra lobby non avesse spinto la superpotenza USA a «fare il bene» degli iracheni, ammazzandone 650 mila e rendendone profughi oltre due milioni.
Ci basterebbe che non esigeste oggi dagli americani che inceneriscano l’Iran, una nazione che non vi minaccia realmente, che non ha mai aggredito ma che è se mai stata aggredita da un Saddam Hussein su istigazione USA.
Vi chiediamo di fare pace con condizioni oneste, che altri possano accettare senza eccessiva umiliazione.
Anche per il vostro bene: perché una pace fondata sul dominio e sulla forza assoluta, non consente mai di dormire tranquilli.
Specie se si dorme in case rubate, su terre che non vi appartengono, su letti strappati ad altri. Nonostante tutta la forza, si viene visitati da brutti sogni.
Il vostro Freud può spiegarvi, ancora una volta, il motivo dei vostri sonni agitati, dei vostri fantasmi di essere «cancellati».
No, per favore, non fate il nostro bene.
Non siete Dio.
Soprattutto, non siete il nostro Dio.
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