22 gennaio 2008

Un Paese che sa di tappo tra politica e televisione


I fatti giornalieri superano la realtà romanzata dai tromboni appollaiati sulle barricate di monnezza eretta dall'opposizione. Meglio gli interessi di privati e/o di partito che nazionali? Non conviene nemmeno dirla la risposta, allora riviviamo la storia, il passato e, impariamo che la storia è unica e, un'esperienza già passata ma difficilmente ripetibile, anzi impossibile. A meno che si è autolesionisti.

Se avessi vent’anni oggi, non verrei particolarmente impressionato dall’ultima uscita domenicale di Berlusconi a difesa delle sue tv,contro ogni accordo sulla legge elettorale,né dalla rettifica alla moviola seguita in qualche modo il lunedì (“…e comunque la Gentiloni è un’aggressione nei miei confronti!”).Magari se fossi di Forza Italia penserei, articolando alla perfezione la lussureggiante grammatica mentale di quei paraggi:”Quanto è figo il Cavaliere,sa come gestire le danze della comunicazione,stop and go,e vai…!”.Oppure se fossi del Partito Democratico osserverei guardingo:”Vediamo come va a finire,speriamo che il nostro Cavaliere in lizza nel torneo,Veltroni, sia più furbo di lui”.Se fossi della Cosa Rossa probabilmente e senza speciale creatività lamenterei il solito “chiagne e fotte” berlusconiano,con una macchinalità pseudoemotiva sub specie politicante neppure così lontana dal disinteresse palese di un ventenne che invece se ne ritraesse inorridito.E senza commenti.

Se avessi avuto vent’anni il 20 novembre del 2002,quando una sentenza della Corte Costituzionale aveva obbligato Mediaset a spedire Rete 4 sul satellite entro il 31 dicembre del 2003 per liberare la concessione delle frequenze occupate da Rete 4 ,avrei opportunamente pensato che Berlusconi non fosse Presidente del Consiglio per la seconda volta per caso.Se invece avessi avuto vent’anni (non c’entra nell’iterazione né Paul Nizan né Gerry Scotti…) nel ’99,quando a Francesco Di Stefano per Europa 7 era stata assegnata la concessione di cui sopra, da osservatore non direttamente coinvolto dagli affari della politica ma solo attento alle libertà costituzionali e alle loro implicazioni sul piano delicatissimo e decisivo dell’informazione mi sarei immaginato finalmente una svolta nel sistema mediatico nazionale.

Come pure,se avessi avuto vent’anni un quinquennio prima,quando nel ’94 una sentenza sempre della Corte Costituzionale ordinava di spegnere la terza rete berlusconiana nell’ambito della legge di settore detta Maccanico,avrei credo ragionato sui cambiamenti epocali che il neonato maggioritario sia pure leggermente straccione,diciamo il Mattarellum,si apprestava a comportare in Italia nell’habitat televisivo.

Ma bypassando all’indietro i fasti dell’altra legge storica,la Mammì,un ventenne quale sarei potuto essere il 20 ottobre 1984,venendo a conoscenza che il presidente del Consiglio di allora,Bettino Craxi, dall’aereo presidenziale sul quale stava tornando da Londra telefonava al suo consiglio dei Ministri un preallarme per un istantaneo provvedimento a favore di Silvio Berlusconi cui il 16 ottobre,dunque solo quattro giorni prima -il decisionismo si vede nei frangenti più importanti,altro che i mollaccioni di ora…- i pretori avevano oscurato le reti, se (pur così giovane) avvertito nel ramo si sarebbe detto forse per la prima volta :”Toh,ma tu dimmi come sono avvinte le edere della politica e della televisione !”.Anche se poi la Camera aveva bocciato il decreto il 28 novembre successivo.Anche se sotto Natale,subito dopo, un nuovo decreto nel merito aveva prorogato la possibilità di trasmettere per l’allora (allora?) Sua Emittenza con tre reti intanto fino al 31 dicembre 1985,decreto convertito in legge grazie al voto decisivo di Almirante

(pro-memoria per i ventenni odierni: trattasi della preistoria di Fini e di alcuni baldi sessantenni di questo gennaio,della Rai,tra gli altri…).

Per maggiori informazioni consultare il libro di Elio Veltri “Da Craxi a craxi”,ed.Laterza, 1993,da cui si può utilmente estrarre anche l’intervento sulla questione da parte di Ugo Intini,sull’Avanti che dirigeva,che sui pretori citati scrisse parole di fuoco contro il “protagonismo” e la politicizzazione di alcuni magistrati.Tu guarda.Dov’è oggi?

E non vorrei qui dover considerare l’aneddoto, eccellente per uno che i vent’anni se li stesse scrostando alla fine degli anni ’70, di quando un Berlusconi ancora piacente e capelluto chiese e ottenne un incontro con Enrico Berlinguer, al Bottegone, per prostrarsi mettendo a disposizione del Pci il suo imberbe impero tv di allora.Il testimone ancora vivo di quella prostrazione racconta che il segretario comunista,che oggi nel pantheon democratico viene sostituito sembra da Craxi (cfr. il Fassino pre-birmano) lo mise alla porta con semplicità:”Scusi,ma qui non facciamo di queste cose”.Silvio imboccò prontamente l’uscio non lontano di Craxi.E chissà che oggi nel Pd (il cui Pantheon dunque ha compiuto la medesima operazione) non pensino che Berlinguer fosse solo un ingenuo senza prospettive….

Detto questo e non essendo ahimé ventenne,oggi dopo le ultime ripetitive esternazioni del Cavaliere sono costretto ad alcune conclusioni destinate ovviamente al silenzio, oppure,nella remota ipotesi che se ne voglia parlare, alla discussione di chiunque mediti di occuparsene con onestà intellettuale anche solo lillipuziana.

1)La questione politico-televisiva condiziona il Paese da quasi trent’anni.C’è un tappo alla bottiglia/Italia,ed è naturalmente Berlusconi,per cui questo Paese sa di tappo in tutte le cose che lo riguardano.Un odoraccio e un saporaccio.Chi osservi la faccenda da fuori,all’estero, se ne rende conto meglio,ma anche da dentro la cosa è chiarissima.Diresti: se stappi l’Italia,puoi ricominciare a coltivare e poi bere vino accettabile o addirittura selezionato,quello che ci sentiamo sventolare sotto il naso da tempo a partire da chi,come Furio Colombo,ne ha fatto una meritoria e ininterrotta campagna (a proposito di campagna,cfr.la sua formula “deformazione del paesaggio”).Già,ma la ricostruzione politico-televisiva di questi trent’anni ci dice che solo Berlinguer,e tanto tempo fa, ha messo alla porta Berlusconi.Quindi,che il tappo prima televisivo-imprenditoriale,poi da quasi tre lustri politico-televisivo-imprenditoriale,viene mantenuto a forza a chiudere la bottiglia dall’intiera classe politica del Paese nelle sue varie evoluzioni.

Anche qui,potrei fare il giochetto della memoria a ritroso,partendo dall’ultima Finanziaria che procrastina astutamente, dopo giochetti da “tre noci/dov’è il pisello?” spuntati dai più strani emendamenti,addirittura al 2012 la traduzione di tutto il sistema televisivo sul digitale terrestre. Fregando quindi in primis chi come il già citato Di Stefano di Europa 7 ha anche a suo favore una sentenza del 18 luglio 2005 del Consiglio di Stato che bollava la legge Gasparri come illegittima nella giurisdizione europea.All’epoca si parlava di “tutto sul digitale” entro il 2006,poi il termine con i soliti sistemi fu fatto slittare in extremis da una proroga-Landolfi al 2008 prima delle ultime elezioni vinte da Prodi (sì,da Prodi).

Va tutto nella stessa direzione di ciò che ho riassunto.Perché?

2)Non c’è dunque alcun ragionevole motivo per pensare che tale questione venga affrontata seriamente per risolverla e non per accroccarla in scambi,baratti,cessioni come fatto finora.In una palude navigata da finte polemiche mediatiche sulla “punitività” di una legge che applica sentenze costituzionali,da reali e a volte addirittura dichiarati urbi et orbi intenti del centrosinistra di non toccare nulla,dalla stanchezza di una pubblica opinione che a forza di decenni vanamente e superfetalmente spesi sulla questione e sulla successiva e collegata dizione “conflitto di interessi” (per Berlusconi come per l’intiera classe dirigente o addirittura l’intiero Paese) non ha più un’opinione,né pubblica né privata.Anzi,solo a sentir evocare il pasticcio per non essere tediata e raggirata mette mano alla pistola,specie se è davanti o dietro una montagna di “mondezza”.

3)Il problema del tappo non è quindi solo Berlusconi,magari lo fosse.Sono un po’ tutti.Al punto di far pensare con raccapriccio politico e letterario sollievo a che cosa accadrà quando prima o poi il tappo salterà malgrado tutte le indicazioni ultramondane del sindaco di Catania,Scapagnini.Che farà quella parte della politica che a parole detesta Berlusconi e nei fatti pare non poterne o volerne fare a meno?Se avessi vent’anni oggi sarei davvero preoccupato,molto preoccupato per questa ineluttabile eventualità.Come faremo con l’Italia stappata e con una sinistra che non l’ha saputa/voluta stappare fino alle estreme conseguenze che abbiamo sotto gli occhi?

Ma non ho vent’anni,e quindi temo “soltanto” per figli e nipoti:che volete che sia,come diceva Totò, quisquillie e pinzillacchere.

fonte: oliviero beha

21 gennaio 2008

Se Cuffaro ha vinto, lo Stato ha perso!


La standing ovation della cosca politica che ha salutato la condanna del governatore siciliano Totò Cuffaro a 5 anni per favoreggiamento di alcuni mafiosi e la sua decisione di restare al suo posto sono perfettamente coerenti con la “ola” parlamentare che, mercoledì mattina, ha accompagnato l’attacco selvaggio del cosiddetto ministro della Giustizia Clemente Mastella alla magistratura che aveva appena arrestato sua moglie e altri 22 suoi compari di partito. Così come con il tifo da stadio che ha osannato la sua signora interrogata ieri in Tribunale. Ma anche con il silenzio tombale che, nella politica e nella magistratura, è seguito alla vergognosa, ributtante decisione all’unanimità della sezione disciplinare del Csm: Luigi De Magistris condannato alla gravissima sanzione della censura e alla pena accessoria del trasferimento lontano da Catanzaro, con l’impossibilità di esercitare ancora le funzioni di pm. Insomma: Cuffaro resta, Mastella è atteso dal governo come il figliol prodigo dal padre buono che prepara il vitello grasso, la first lady ceppalonica dirige il consiglio regionale dagli arresti domiciliari, mentre l’unico che se ne deve andare è De Magistris.

In attesa delle motivazioni della sentenza del Csm, va notato che il procuratore generale che ha sostenuto l’accusa contro De Magistris è Vito D’Ambrosio, ex presidente Ds della Regione Marche, mentre il presidente della sezione disciplinare è l’ex democristiano ed ex margherito Nicola Mancino. Due politici del centrosinistra che giudicano un magistrato che indagava su politici del centrosinistra. E meno male che il Csm è l’organo di “autogoverno” (poi ci sono i membri togati, cioè i magistrati, che han votato unanimi a braccetto con i politici per cacciare il loro giovane collega: speriamo che un giorno si vergognino di quello che hanno fatto).

Anche per Totò Vasa Vasa bisogna attendere le motivazioni della sentenza per sapere come mai il Tribunale non gli abbia applicato l’aggravante della volontà di favorire Cosa Nostra. Ma non si può certo dire che sia stata una sorpresa. C’era chi l’aveva prevista fin dal 2004 e aveva fatto di tutto per scongiurarla: i pm “dissidenti” dalla linea dell’allora procuratore Piero Grasso e del suo fedelissimo aggiunto Giuseppe Pignatone. E cioè Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia, Guido Lo Forte e altri, tutti schierati con il pm che aveva avviato le indagini su Cuffaro: Gaetano Paci, il quale nel 2004 fu protagonista di un duro braccio di ferro con i colleghi che indagavano con lui ma che, in ossequio alla linea Grasso, non ne volevano sapere di contestare a Cuffaro il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, peraltro affibbiato a tutti i suoi coimputati, quasi tutti arrestati proprio per quel delitto. Paci ne faceva anzitutto una questione di equità: come si può accusare Cuffaro di essere il capo della banda delle talpe che informavano i mafiosi e poi contestargli soltanto due episodi di favoreggiamento, accusando tutti gli altri (e arrestandone un buon numero) per concorso esterno? La legge è uguale per tutti o i politici sono più uguali degli altri? C’era poi una questione tecnica: avendo dichiarazioni di mafiosi pentiti, ampiamente riscontrate, sul fatto che fin dal 1991 Cuffaro si era messo nelle mani di Cosa Nostra, andando a chiedere al mafioso Angelo Siino i voti per la sua prima elezione all’Assemblea Regionale, era molto più facile dimostrare che il governatore è da oltre 15 anni un fiancheggiatore esterno della mafia. Per il favoreggiamento mafioso, invece, occorre provare che, quando avvertì - tramite i suoi uomini - il boss Giuseppe Guttadauro che aveva la casa piena di microspie, Cuffaro voleva favorire l’intera Cosa Nostra. Una prova difficilissima, anche perché è più logico pensare che Cuffaro intendesse favorire anzitutto se stesso: se Guttadauro avesse continuato a parlare (ascoltato dagli inquirenti), avrebbe messo nei guai alcuni fedelissimi del governatore che frequentavano abitualmente il boss. Paci pagò a carissimo prezzo l’aver tenuto la schiena dritta: il suo capo, cioè Piero Grasso, lo estromise brutalmente dalle indagini che lui stesso aveva avviato. Due anni dopo anche il pm Di Matteo sostenne la necessità di contestare a Cuffaro il concorso esterno, ma anche lui finì in minoranza e dovette lasciare il processo. I pm superstiti, cioè Pignatone, De Lucia e Prestipino, seguitarono caparbiamente a tener duro sulla linea morbida (intanto, per fortuna, il nuovo procuratore Francesco Messineo e l’aggiunto Alfredo Morvillo, cognato di Falcone, aprivano un nuovo fascicolo sul governatore, per concorso esterno). E venerdì sono andati a sbattere contro il Tribunale, che li ha duramente sconfessati (anche se nessuno lo scrive).

Ora il procuratore Grasso fa come la volpe con l’uva: siccome non è riuscito ad afferrarla, dice che era acerba. Sul Corriere, afferma che la prova necessaria per condannare Cuffaro per favoreggiamento mafioso era “una prova diabolica, complicata da trovare”. Bella scoperta: Paci, Di Matteo, Scarpinato, Lo Forte, Ingroia e altri colleghi da lui emarginati gliel’avevano detto per anni. Grasso ribatte che, col concorso esterno, sarebbe andata anche peggio. Ma manca la controprova. Anzi, ci sono fior di sentenze dei giudici di Palermo che condannano personaggi ben più potenti di Cuffaro (da Andreotti a Contrada, da Mannino a Dell’Utri) per concorso esterno. Non per favoreggiamento mafioso. La verità è che la contestazione del favoreggiamento mafioso, ora derubricato a favoreggiamento non mafioso, ha di fatto salvato Cuffaro da un processo che poteva segnare la fine della sua carriera politica. Senza l’aggravante mafiosa, il governatore beneficia dell’indulto e i 5 anni di pena diventano 2. Niente carcere, dunque, in caso di condanna definitiva. C’è l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma non scatterà mai perché il reato cadrà in prescrizione - grazie alla legge ex Cirielli - tra un paio d’anni, probabilmente prima che si chiuda il processo d’appello. Così, paradossalmente, Totò pur condannato ha vinto la sua partita, mentre la vecchia Procura l’ha rovinosamente persa. Perché non ha voluto giocarla.
Salvatore Salvato

19 gennaio 2008

Il WEF dice: possibile crollo dei prezzi.


L'economia mondiale potrebbe affrontare un periodo di stagnazione non a causa della crisi energetica, bensì della crisi finanziaria globale. Lo rileva il rapporto Global Risks 2008, redatto dal World Economic Forum (WEF) che sarà discusso in occasione della conferenza annuale che si terrà a Davos a fine gennaio. Senza molta diplomazia, il rapporto rileva che il mondo affronterà il più alto rischio di recessione di questi ultimi 10 anni, facendo sicuramente leva sulle crisi politiche che si sono concentrate in punti geopolitici stratetigici. Tuttavia, tale rischio, stando la lettera degli esperti, deriva dalla crisi finanziaria che ha travolto, di conseguenza ogni settore del sistema economico globale, facendo così, il settore energetico un veicolo della crisi e non semplicemente una causa scatenante.

Gli Stati Uniti sono stati l'epicentro di un terremoto che ben presto si è esteso, come un domino, in ogni Paese del Mondo. Ricordiamo infatti come tra il 2005 e il 2007 il deficit commerciale dell'America e così la svalutazione del dollaro, ha compromesso la stabilità dell'equilibrio finanziario del mondo. Ben presto, la svalutazione monetaria ha rivelato la speculazione sui tassi di interesse, e così sui titoli che la Federal Reserve e le più grandi Banche nordamericane ed europee contribuivano a diffondere, senza alcuna garanzia o controvalore. La debolezza del mercato finanziario, ha poi prodotto i suoi effetti su quello bancario, e così sui mutui, sul credito, sui consumi, sui salari, bloccando di conseguenza la produzione.

Il rapporto così avverte che un "crash" sui prezzi - ossia una caduta libera in seguito al raggiungimento del picco di inflazione - potrebbe provocare una crisi finanziaria globale nel 2008. Il WEF stima che questo rischio è molto vicino, con una probabilità del 20%, e un eventuale crollo del valore dei beni potrebbe causare un danno di bilioni di dollari. Una tale previsione, sebbene così dura e "apocalittica", non è così inverosimile né tanto lontana, considerando che le fasi di evoluzione dell'economia sono sempre più ravvicinati nel tempo e viaggiano con velocità impressionanti. Come abbiamo avuto modo di spiegare più volte, la nostra economia si trova in una fase di recessione molto complessa, come quella della stagflazione, durante la quale ogni politica di intervento risulta inefficace o estremamente dannosa. È infatti quella fase in cui l'alta inflazione, provoca un'iniziale espansione dell'economia e poi una sua riduzione in seguito al blocco della crescita dei salari che sostengono i consumi e così la produzione.
Attualmente, per stessa ammissione di Confindustria e della Banca d'Italia, l'Italia si trova in una fase di stagflazione, così come gli Stati Uniti. Il blocco della produzione, provoca stagnazione ma anche il collasso dei prezzi, a seguito dell'eccessiva offerta rispetto alla domanda. Ebbene, qualora i prezzi dovessero cominciare a diminuire in maniera drastica, si avrebbe l'effetto contrario, in quanto vi sarebbe la svalutazione della produzione industriale, delle risorse, e delle ricchezze di uno Stato. A rendere ancor più critica la situazione saranno le speculazioni, che già si preparano, nascoste dalla virtualità delle contrattazioni della borsa e dell' alta finanza. Questo lo sanno bene tutte le entità economiche, soprattutto quelle sovranazionali che hanno maggiore potere sulle sorti dell'economia. Lo sa l'Opec, che ha sorriso in maniera beffarda quando Bush ha "timidamente" chiesto di aumentare la produzione di petrolio perché l'America soffriva l'aumento dei prezzi. Lo sa la Federal Reserve, che ha ridotto i tassi, aumentato l'offerta di moneta, ma ad un certo punto si è fermata e ha chiesto al Congresso di aumentare la politica fiscale. E lo sa anche la Banca Centrale Europea, che non ha toccato i tassi di interesse, in attesa che sia il mercato a imporglielo di conseguenza.

Per cui, dato tale scenario, la recessione si diffonderà prima negli Stati Uniti e poi in Europa, mentre la crescita di Cina e India saranno lievemente rallentate. Mentre, per quanto riguarda la Russia, il rapporto della WEF prevede un impatto negativo derivante dalla riduzione della richiesta di materie prime ed energie, a causa del calo della produzione. Gli analisti russi si sono soffermati su quello che il rapporto chiama "concetto di 2009", secondo il quale la recessione negli Stati Uniti porterà il prezzo del petrolio ai minimi storici, tale da trasformare, improvvisamente, l'eccedenza di esportazione in un'eccedenza di importazione, tale che deteriorerà anche il valore del rublo. Tale previsione, viene in qualche modo esclusa dalla Russia, così come dagli produttori di petrolio, che vedono i prezzi del greggio e dell'oro in continua ascesa, oltre i limiti storici raggiunti in passato. Questo in relazione alla crescente dipendenza dei Paesi occidentali nei confronti degli idrocarburi, e degli insufficienti investimenti nelle tecnologie di energia alternativa. Infatti, anche se gli Stati Uniti potrebbero rallentare la loro economia, la crescita annuale del 6% della Cina continuerebbe a trainare la richiesta del petrolio.




A confermare invece la tesi del vicino ribasso dei prezzi, è l'osservazione che i Paesi produttori di petrolio, sono restii ad effettuare investimenti rischiosi nella ricerca di nuovi pozzi di petrolio. La stessa Banca Internazionale Goldman Sachs, dopo aver preannunciato un rialzo dei prezzi del greggio oltre i 100$, afferma che nel 2008 un barile di petrolio costerà intorno ai 95$ per diminuire ancora in futuro. D'altro canto, è la stessa legge economica "speculativa" che afferma che, raggiunto il vertice del rialzo, i prezzi cominciano a diminuire, a causa delle forze che spingono la domanda ad eguagliare l'offerta, dopo un lungo periodo di eccedenza. Inoltre, sebbene i prezzi del petrolio potrebbero non turbare i piani degli investitori e dei consumatori, il dato più preoccupante è la crisi sul mercato finanziario che contribuisce a gonfiare ancora di più la bolla speculativa. Le grandi Banche internazionali continuano ad effettuare le svalutazioni del proprio capitale, come l'ennesima di Merrill Lynch che si aggiunge così a quelle effettuate da Ubs Bank e Citigroup, mentre la sfiducia nel mercato finanziario si espande sempre di più. Nel momento in cui si espanderà la recessione negli Stati Uniti, deprimendo così anche l'attrattività del mercato degli investimenti, si arresterà anche l'acquisto di titoli e derivati legati al dollaro, che rappresentano, sostanzialmente, il cuore di tutto il sistema finanziario. Sarà allora che si avvertirà la svendita dei titoli, la riduzione dei tassi di interesse passivi e così anche la riduzione dei prezzi. Un'eventualità questa che risiede nella natura stessa del mercato, che è in continuo movimento, tra espansioni e contrazioni, per raggiungere un equilibrio di lungo termine che rispecchia perfettamente lo stato delle ricchezze e delle risorse del pianeta. È ovvio che al momento le regole del mercato sono truccate, manipolate, distorte, e non rispettano il reale stato dell'economia mondiale. Tuttavia, la completa incapacità dei governi a governare la crisi, dimostra come il sistema è altamente instabile e potrebbe improvvisamente cambiare il proprio trend.
Fonte: etleboro

22 gennaio 2008

Un Paese che sa di tappo tra politica e televisione


I fatti giornalieri superano la realtà romanzata dai tromboni appollaiati sulle barricate di monnezza eretta dall'opposizione. Meglio gli interessi di privati e/o di partito che nazionali? Non conviene nemmeno dirla la risposta, allora riviviamo la storia, il passato e, impariamo che la storia è unica e, un'esperienza già passata ma difficilmente ripetibile, anzi impossibile. A meno che si è autolesionisti.

Se avessi vent’anni oggi, non verrei particolarmente impressionato dall’ultima uscita domenicale di Berlusconi a difesa delle sue tv,contro ogni accordo sulla legge elettorale,né dalla rettifica alla moviola seguita in qualche modo il lunedì (“…e comunque la Gentiloni è un’aggressione nei miei confronti!”).Magari se fossi di Forza Italia penserei, articolando alla perfezione la lussureggiante grammatica mentale di quei paraggi:”Quanto è figo il Cavaliere,sa come gestire le danze della comunicazione,stop and go,e vai…!”.Oppure se fossi del Partito Democratico osserverei guardingo:”Vediamo come va a finire,speriamo che il nostro Cavaliere in lizza nel torneo,Veltroni, sia più furbo di lui”.Se fossi della Cosa Rossa probabilmente e senza speciale creatività lamenterei il solito “chiagne e fotte” berlusconiano,con una macchinalità pseudoemotiva sub specie politicante neppure così lontana dal disinteresse palese di un ventenne che invece se ne ritraesse inorridito.E senza commenti.

Se avessi avuto vent’anni il 20 novembre del 2002,quando una sentenza della Corte Costituzionale aveva obbligato Mediaset a spedire Rete 4 sul satellite entro il 31 dicembre del 2003 per liberare la concessione delle frequenze occupate da Rete 4 ,avrei opportunamente pensato che Berlusconi non fosse Presidente del Consiglio per la seconda volta per caso.Se invece avessi avuto vent’anni (non c’entra nell’iterazione né Paul Nizan né Gerry Scotti…) nel ’99,quando a Francesco Di Stefano per Europa 7 era stata assegnata la concessione di cui sopra, da osservatore non direttamente coinvolto dagli affari della politica ma solo attento alle libertà costituzionali e alle loro implicazioni sul piano delicatissimo e decisivo dell’informazione mi sarei immaginato finalmente una svolta nel sistema mediatico nazionale.

Come pure,se avessi avuto vent’anni un quinquennio prima,quando nel ’94 una sentenza sempre della Corte Costituzionale ordinava di spegnere la terza rete berlusconiana nell’ambito della legge di settore detta Maccanico,avrei credo ragionato sui cambiamenti epocali che il neonato maggioritario sia pure leggermente straccione,diciamo il Mattarellum,si apprestava a comportare in Italia nell’habitat televisivo.

Ma bypassando all’indietro i fasti dell’altra legge storica,la Mammì,un ventenne quale sarei potuto essere il 20 ottobre 1984,venendo a conoscenza che il presidente del Consiglio di allora,Bettino Craxi, dall’aereo presidenziale sul quale stava tornando da Londra telefonava al suo consiglio dei Ministri un preallarme per un istantaneo provvedimento a favore di Silvio Berlusconi cui il 16 ottobre,dunque solo quattro giorni prima -il decisionismo si vede nei frangenti più importanti,altro che i mollaccioni di ora…- i pretori avevano oscurato le reti, se (pur così giovane) avvertito nel ramo si sarebbe detto forse per la prima volta :”Toh,ma tu dimmi come sono avvinte le edere della politica e della televisione !”.Anche se poi la Camera aveva bocciato il decreto il 28 novembre successivo.Anche se sotto Natale,subito dopo, un nuovo decreto nel merito aveva prorogato la possibilità di trasmettere per l’allora (allora?) Sua Emittenza con tre reti intanto fino al 31 dicembre 1985,decreto convertito in legge grazie al voto decisivo di Almirante

(pro-memoria per i ventenni odierni: trattasi della preistoria di Fini e di alcuni baldi sessantenni di questo gennaio,della Rai,tra gli altri…).

Per maggiori informazioni consultare il libro di Elio Veltri “Da Craxi a craxi”,ed.Laterza, 1993,da cui si può utilmente estrarre anche l’intervento sulla questione da parte di Ugo Intini,sull’Avanti che dirigeva,che sui pretori citati scrisse parole di fuoco contro il “protagonismo” e la politicizzazione di alcuni magistrati.Tu guarda.Dov’è oggi?

E non vorrei qui dover considerare l’aneddoto, eccellente per uno che i vent’anni se li stesse scrostando alla fine degli anni ’70, di quando un Berlusconi ancora piacente e capelluto chiese e ottenne un incontro con Enrico Berlinguer, al Bottegone, per prostrarsi mettendo a disposizione del Pci il suo imberbe impero tv di allora.Il testimone ancora vivo di quella prostrazione racconta che il segretario comunista,che oggi nel pantheon democratico viene sostituito sembra da Craxi (cfr. il Fassino pre-birmano) lo mise alla porta con semplicità:”Scusi,ma qui non facciamo di queste cose”.Silvio imboccò prontamente l’uscio non lontano di Craxi.E chissà che oggi nel Pd (il cui Pantheon dunque ha compiuto la medesima operazione) non pensino che Berlinguer fosse solo un ingenuo senza prospettive….

Detto questo e non essendo ahimé ventenne,oggi dopo le ultime ripetitive esternazioni del Cavaliere sono costretto ad alcune conclusioni destinate ovviamente al silenzio, oppure,nella remota ipotesi che se ne voglia parlare, alla discussione di chiunque mediti di occuparsene con onestà intellettuale anche solo lillipuziana.

1)La questione politico-televisiva condiziona il Paese da quasi trent’anni.C’è un tappo alla bottiglia/Italia,ed è naturalmente Berlusconi,per cui questo Paese sa di tappo in tutte le cose che lo riguardano.Un odoraccio e un saporaccio.Chi osservi la faccenda da fuori,all’estero, se ne rende conto meglio,ma anche da dentro la cosa è chiarissima.Diresti: se stappi l’Italia,puoi ricominciare a coltivare e poi bere vino accettabile o addirittura selezionato,quello che ci sentiamo sventolare sotto il naso da tempo a partire da chi,come Furio Colombo,ne ha fatto una meritoria e ininterrotta campagna (a proposito di campagna,cfr.la sua formula “deformazione del paesaggio”).Già,ma la ricostruzione politico-televisiva di questi trent’anni ci dice che solo Berlinguer,e tanto tempo fa, ha messo alla porta Berlusconi.Quindi,che il tappo prima televisivo-imprenditoriale,poi da quasi tre lustri politico-televisivo-imprenditoriale,viene mantenuto a forza a chiudere la bottiglia dall’intiera classe politica del Paese nelle sue varie evoluzioni.

Anche qui,potrei fare il giochetto della memoria a ritroso,partendo dall’ultima Finanziaria che procrastina astutamente, dopo giochetti da “tre noci/dov’è il pisello?” spuntati dai più strani emendamenti,addirittura al 2012 la traduzione di tutto il sistema televisivo sul digitale terrestre. Fregando quindi in primis chi come il già citato Di Stefano di Europa 7 ha anche a suo favore una sentenza del 18 luglio 2005 del Consiglio di Stato che bollava la legge Gasparri come illegittima nella giurisdizione europea.All’epoca si parlava di “tutto sul digitale” entro il 2006,poi il termine con i soliti sistemi fu fatto slittare in extremis da una proroga-Landolfi al 2008 prima delle ultime elezioni vinte da Prodi (sì,da Prodi).

Va tutto nella stessa direzione di ciò che ho riassunto.Perché?

2)Non c’è dunque alcun ragionevole motivo per pensare che tale questione venga affrontata seriamente per risolverla e non per accroccarla in scambi,baratti,cessioni come fatto finora.In una palude navigata da finte polemiche mediatiche sulla “punitività” di una legge che applica sentenze costituzionali,da reali e a volte addirittura dichiarati urbi et orbi intenti del centrosinistra di non toccare nulla,dalla stanchezza di una pubblica opinione che a forza di decenni vanamente e superfetalmente spesi sulla questione e sulla successiva e collegata dizione “conflitto di interessi” (per Berlusconi come per l’intiera classe dirigente o addirittura l’intiero Paese) non ha più un’opinione,né pubblica né privata.Anzi,solo a sentir evocare il pasticcio per non essere tediata e raggirata mette mano alla pistola,specie se è davanti o dietro una montagna di “mondezza”.

3)Il problema del tappo non è quindi solo Berlusconi,magari lo fosse.Sono un po’ tutti.Al punto di far pensare con raccapriccio politico e letterario sollievo a che cosa accadrà quando prima o poi il tappo salterà malgrado tutte le indicazioni ultramondane del sindaco di Catania,Scapagnini.Che farà quella parte della politica che a parole detesta Berlusconi e nei fatti pare non poterne o volerne fare a meno?Se avessi vent’anni oggi sarei davvero preoccupato,molto preoccupato per questa ineluttabile eventualità.Come faremo con l’Italia stappata e con una sinistra che non l’ha saputa/voluta stappare fino alle estreme conseguenze che abbiamo sotto gli occhi?

Ma non ho vent’anni,e quindi temo “soltanto” per figli e nipoti:che volete che sia,come diceva Totò, quisquillie e pinzillacchere.

fonte: oliviero beha

21 gennaio 2008

Se Cuffaro ha vinto, lo Stato ha perso!


La standing ovation della cosca politica che ha salutato la condanna del governatore siciliano Totò Cuffaro a 5 anni per favoreggiamento di alcuni mafiosi e la sua decisione di restare al suo posto sono perfettamente coerenti con la “ola” parlamentare che, mercoledì mattina, ha accompagnato l’attacco selvaggio del cosiddetto ministro della Giustizia Clemente Mastella alla magistratura che aveva appena arrestato sua moglie e altri 22 suoi compari di partito. Così come con il tifo da stadio che ha osannato la sua signora interrogata ieri in Tribunale. Ma anche con il silenzio tombale che, nella politica e nella magistratura, è seguito alla vergognosa, ributtante decisione all’unanimità della sezione disciplinare del Csm: Luigi De Magistris condannato alla gravissima sanzione della censura e alla pena accessoria del trasferimento lontano da Catanzaro, con l’impossibilità di esercitare ancora le funzioni di pm. Insomma: Cuffaro resta, Mastella è atteso dal governo come il figliol prodigo dal padre buono che prepara il vitello grasso, la first lady ceppalonica dirige il consiglio regionale dagli arresti domiciliari, mentre l’unico che se ne deve andare è De Magistris.

In attesa delle motivazioni della sentenza del Csm, va notato che il procuratore generale che ha sostenuto l’accusa contro De Magistris è Vito D’Ambrosio, ex presidente Ds della Regione Marche, mentre il presidente della sezione disciplinare è l’ex democristiano ed ex margherito Nicola Mancino. Due politici del centrosinistra che giudicano un magistrato che indagava su politici del centrosinistra. E meno male che il Csm è l’organo di “autogoverno” (poi ci sono i membri togati, cioè i magistrati, che han votato unanimi a braccetto con i politici per cacciare il loro giovane collega: speriamo che un giorno si vergognino di quello che hanno fatto).

Anche per Totò Vasa Vasa bisogna attendere le motivazioni della sentenza per sapere come mai il Tribunale non gli abbia applicato l’aggravante della volontà di favorire Cosa Nostra. Ma non si può certo dire che sia stata una sorpresa. C’era chi l’aveva prevista fin dal 2004 e aveva fatto di tutto per scongiurarla: i pm “dissidenti” dalla linea dell’allora procuratore Piero Grasso e del suo fedelissimo aggiunto Giuseppe Pignatone. E cioè Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia, Guido Lo Forte e altri, tutti schierati con il pm che aveva avviato le indagini su Cuffaro: Gaetano Paci, il quale nel 2004 fu protagonista di un duro braccio di ferro con i colleghi che indagavano con lui ma che, in ossequio alla linea Grasso, non ne volevano sapere di contestare a Cuffaro il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, peraltro affibbiato a tutti i suoi coimputati, quasi tutti arrestati proprio per quel delitto. Paci ne faceva anzitutto una questione di equità: come si può accusare Cuffaro di essere il capo della banda delle talpe che informavano i mafiosi e poi contestargli soltanto due episodi di favoreggiamento, accusando tutti gli altri (e arrestandone un buon numero) per concorso esterno? La legge è uguale per tutti o i politici sono più uguali degli altri? C’era poi una questione tecnica: avendo dichiarazioni di mafiosi pentiti, ampiamente riscontrate, sul fatto che fin dal 1991 Cuffaro si era messo nelle mani di Cosa Nostra, andando a chiedere al mafioso Angelo Siino i voti per la sua prima elezione all’Assemblea Regionale, era molto più facile dimostrare che il governatore è da oltre 15 anni un fiancheggiatore esterno della mafia. Per il favoreggiamento mafioso, invece, occorre provare che, quando avvertì - tramite i suoi uomini - il boss Giuseppe Guttadauro che aveva la casa piena di microspie, Cuffaro voleva favorire l’intera Cosa Nostra. Una prova difficilissima, anche perché è più logico pensare che Cuffaro intendesse favorire anzitutto se stesso: se Guttadauro avesse continuato a parlare (ascoltato dagli inquirenti), avrebbe messo nei guai alcuni fedelissimi del governatore che frequentavano abitualmente il boss. Paci pagò a carissimo prezzo l’aver tenuto la schiena dritta: il suo capo, cioè Piero Grasso, lo estromise brutalmente dalle indagini che lui stesso aveva avviato. Due anni dopo anche il pm Di Matteo sostenne la necessità di contestare a Cuffaro il concorso esterno, ma anche lui finì in minoranza e dovette lasciare il processo. I pm superstiti, cioè Pignatone, De Lucia e Prestipino, seguitarono caparbiamente a tener duro sulla linea morbida (intanto, per fortuna, il nuovo procuratore Francesco Messineo e l’aggiunto Alfredo Morvillo, cognato di Falcone, aprivano un nuovo fascicolo sul governatore, per concorso esterno). E venerdì sono andati a sbattere contro il Tribunale, che li ha duramente sconfessati (anche se nessuno lo scrive).

Ora il procuratore Grasso fa come la volpe con l’uva: siccome non è riuscito ad afferrarla, dice che era acerba. Sul Corriere, afferma che la prova necessaria per condannare Cuffaro per favoreggiamento mafioso era “una prova diabolica, complicata da trovare”. Bella scoperta: Paci, Di Matteo, Scarpinato, Lo Forte, Ingroia e altri colleghi da lui emarginati gliel’avevano detto per anni. Grasso ribatte che, col concorso esterno, sarebbe andata anche peggio. Ma manca la controprova. Anzi, ci sono fior di sentenze dei giudici di Palermo che condannano personaggi ben più potenti di Cuffaro (da Andreotti a Contrada, da Mannino a Dell’Utri) per concorso esterno. Non per favoreggiamento mafioso. La verità è che la contestazione del favoreggiamento mafioso, ora derubricato a favoreggiamento non mafioso, ha di fatto salvato Cuffaro da un processo che poteva segnare la fine della sua carriera politica. Senza l’aggravante mafiosa, il governatore beneficia dell’indulto e i 5 anni di pena diventano 2. Niente carcere, dunque, in caso di condanna definitiva. C’è l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma non scatterà mai perché il reato cadrà in prescrizione - grazie alla legge ex Cirielli - tra un paio d’anni, probabilmente prima che si chiuda il processo d’appello. Così, paradossalmente, Totò pur condannato ha vinto la sua partita, mentre la vecchia Procura l’ha rovinosamente persa. Perché non ha voluto giocarla.
Salvatore Salvato

19 gennaio 2008

Il WEF dice: possibile crollo dei prezzi.


L'economia mondiale potrebbe affrontare un periodo di stagnazione non a causa della crisi energetica, bensì della crisi finanziaria globale. Lo rileva il rapporto Global Risks 2008, redatto dal World Economic Forum (WEF) che sarà discusso in occasione della conferenza annuale che si terrà a Davos a fine gennaio. Senza molta diplomazia, il rapporto rileva che il mondo affronterà il più alto rischio di recessione di questi ultimi 10 anni, facendo sicuramente leva sulle crisi politiche che si sono concentrate in punti geopolitici stratetigici. Tuttavia, tale rischio, stando la lettera degli esperti, deriva dalla crisi finanziaria che ha travolto, di conseguenza ogni settore del sistema economico globale, facendo così, il settore energetico un veicolo della crisi e non semplicemente una causa scatenante.

Gli Stati Uniti sono stati l'epicentro di un terremoto che ben presto si è esteso, come un domino, in ogni Paese del Mondo. Ricordiamo infatti come tra il 2005 e il 2007 il deficit commerciale dell'America e così la svalutazione del dollaro, ha compromesso la stabilità dell'equilibrio finanziario del mondo. Ben presto, la svalutazione monetaria ha rivelato la speculazione sui tassi di interesse, e così sui titoli che la Federal Reserve e le più grandi Banche nordamericane ed europee contribuivano a diffondere, senza alcuna garanzia o controvalore. La debolezza del mercato finanziario, ha poi prodotto i suoi effetti su quello bancario, e così sui mutui, sul credito, sui consumi, sui salari, bloccando di conseguenza la produzione.

Il rapporto così avverte che un "crash" sui prezzi - ossia una caduta libera in seguito al raggiungimento del picco di inflazione - potrebbe provocare una crisi finanziaria globale nel 2008. Il WEF stima che questo rischio è molto vicino, con una probabilità del 20%, e un eventuale crollo del valore dei beni potrebbe causare un danno di bilioni di dollari. Una tale previsione, sebbene così dura e "apocalittica", non è così inverosimile né tanto lontana, considerando che le fasi di evoluzione dell'economia sono sempre più ravvicinati nel tempo e viaggiano con velocità impressionanti. Come abbiamo avuto modo di spiegare più volte, la nostra economia si trova in una fase di recessione molto complessa, come quella della stagflazione, durante la quale ogni politica di intervento risulta inefficace o estremamente dannosa. È infatti quella fase in cui l'alta inflazione, provoca un'iniziale espansione dell'economia e poi una sua riduzione in seguito al blocco della crescita dei salari che sostengono i consumi e così la produzione.
Attualmente, per stessa ammissione di Confindustria e della Banca d'Italia, l'Italia si trova in una fase di stagflazione, così come gli Stati Uniti. Il blocco della produzione, provoca stagnazione ma anche il collasso dei prezzi, a seguito dell'eccessiva offerta rispetto alla domanda. Ebbene, qualora i prezzi dovessero cominciare a diminuire in maniera drastica, si avrebbe l'effetto contrario, in quanto vi sarebbe la svalutazione della produzione industriale, delle risorse, e delle ricchezze di uno Stato. A rendere ancor più critica la situazione saranno le speculazioni, che già si preparano, nascoste dalla virtualità delle contrattazioni della borsa e dell' alta finanza. Questo lo sanno bene tutte le entità economiche, soprattutto quelle sovranazionali che hanno maggiore potere sulle sorti dell'economia. Lo sa l'Opec, che ha sorriso in maniera beffarda quando Bush ha "timidamente" chiesto di aumentare la produzione di petrolio perché l'America soffriva l'aumento dei prezzi. Lo sa la Federal Reserve, che ha ridotto i tassi, aumentato l'offerta di moneta, ma ad un certo punto si è fermata e ha chiesto al Congresso di aumentare la politica fiscale. E lo sa anche la Banca Centrale Europea, che non ha toccato i tassi di interesse, in attesa che sia il mercato a imporglielo di conseguenza.

Per cui, dato tale scenario, la recessione si diffonderà prima negli Stati Uniti e poi in Europa, mentre la crescita di Cina e India saranno lievemente rallentate. Mentre, per quanto riguarda la Russia, il rapporto della WEF prevede un impatto negativo derivante dalla riduzione della richiesta di materie prime ed energie, a causa del calo della produzione. Gli analisti russi si sono soffermati su quello che il rapporto chiama "concetto di 2009", secondo il quale la recessione negli Stati Uniti porterà il prezzo del petrolio ai minimi storici, tale da trasformare, improvvisamente, l'eccedenza di esportazione in un'eccedenza di importazione, tale che deteriorerà anche il valore del rublo. Tale previsione, viene in qualche modo esclusa dalla Russia, così come dagli produttori di petrolio, che vedono i prezzi del greggio e dell'oro in continua ascesa, oltre i limiti storici raggiunti in passato. Questo in relazione alla crescente dipendenza dei Paesi occidentali nei confronti degli idrocarburi, e degli insufficienti investimenti nelle tecnologie di energia alternativa. Infatti, anche se gli Stati Uniti potrebbero rallentare la loro economia, la crescita annuale del 6% della Cina continuerebbe a trainare la richiesta del petrolio.




A confermare invece la tesi del vicino ribasso dei prezzi, è l'osservazione che i Paesi produttori di petrolio, sono restii ad effettuare investimenti rischiosi nella ricerca di nuovi pozzi di petrolio. La stessa Banca Internazionale Goldman Sachs, dopo aver preannunciato un rialzo dei prezzi del greggio oltre i 100$, afferma che nel 2008 un barile di petrolio costerà intorno ai 95$ per diminuire ancora in futuro. D'altro canto, è la stessa legge economica "speculativa" che afferma che, raggiunto il vertice del rialzo, i prezzi cominciano a diminuire, a causa delle forze che spingono la domanda ad eguagliare l'offerta, dopo un lungo periodo di eccedenza. Inoltre, sebbene i prezzi del petrolio potrebbero non turbare i piani degli investitori e dei consumatori, il dato più preoccupante è la crisi sul mercato finanziario che contribuisce a gonfiare ancora di più la bolla speculativa. Le grandi Banche internazionali continuano ad effettuare le svalutazioni del proprio capitale, come l'ennesima di Merrill Lynch che si aggiunge così a quelle effettuate da Ubs Bank e Citigroup, mentre la sfiducia nel mercato finanziario si espande sempre di più. Nel momento in cui si espanderà la recessione negli Stati Uniti, deprimendo così anche l'attrattività del mercato degli investimenti, si arresterà anche l'acquisto di titoli e derivati legati al dollaro, che rappresentano, sostanzialmente, il cuore di tutto il sistema finanziario. Sarà allora che si avvertirà la svendita dei titoli, la riduzione dei tassi di interesse passivi e così anche la riduzione dei prezzi. Un'eventualità questa che risiede nella natura stessa del mercato, che è in continuo movimento, tra espansioni e contrazioni, per raggiungere un equilibrio di lungo termine che rispecchia perfettamente lo stato delle ricchezze e delle risorse del pianeta. È ovvio che al momento le regole del mercato sono truccate, manipolate, distorte, e non rispettano il reale stato dell'economia mondiale. Tuttavia, la completa incapacità dei governi a governare la crisi, dimostra come il sistema è altamente instabile e potrebbe improvvisamente cambiare il proprio trend.
Fonte: etleboro