24 gennaio 2008

Scontri fra raccomandati:le differenze.



L'altra sera Bruno Vespa, marito di Augusta lannini che dirige gli Affari di giustizia del ministero per volontà di Mastella, ha organizzato una passerella per Mastella, cioè per il datore di lavoro della sua signora. Il quale lacrimava per le sorti della sua signora agli arresti. Annunciava il ritiro dell'appoggio esterno, anzi del concorso esterno, al governo. E insultava senza contraddittorio giudici, pm e cronisti (assenti) evocando complotti calabro-lucan-campani e sparando le solite corbellerie. La migliore: «Non si arresta mia moglie senza prima sentirla, lo dice pure Andreotti» (i giudici avrebbero dovuto convocarla, anticiparle le accuse e preannunciarle il suo prossimo arresto, sempreché la signora non avesse nulla in contrario).

Poi l'insetto ha mandato in onda il lungo battibecco fra la «iena» Alessandro Sortino ed Elio Mastella, figlio dei più noti Clemente & Sandra. In studio gli squisiti ospiti si profondevano in complimenti per la performance di Elio, che dava del raccomandato a Sortino perché suo padre è membro dell'Authority delle Comunicazioni; mentre lui, Elio, è un umile «metalmeccanico» che tira avanti «con 1800 euro di stipendio». Il mondo alla rovescia. Sortino viene assunto a Radio Capital perché è molto bravo nel lontano '98, sette anni prima che suo padre vada all'Agcom.

Le lene lo notano e lo ingaggiano nel 2000, cinque anni prima che il padre vada all'Agcom. Dunque non è un raccomandato. Non lo è nemmeno il padre Sebastiano, che vanta un curriculum di prim'ordine: laureato in legge, per 10 anni responsabile della Piccola impresa in Confindustria, per 5 anni dirigente Eni, dal '77 direttore generale della Fieg (federazione editori giornali) e consigliere Cnel, esperto di antitrust e tetti pubblicitari tv, dunque nemico giurato del monopolio Mediaset e odiato da Confalonieri. Sortino figlio ha fatto carriera nonostante il padre e il padre ha fatto carriera nonostante Mediaset.

Nell'Agcom siede pure un rappresentante Udeur; si chiama Roberto Napoli, il suo curriculum fa sorridere: medico legale all'ospedale dì Battipaglia, consigliere comunale a Battipaglia, assessore a Battipaglia, sindaco di Battipaglia, senatore dal '94 al 2001, poi trombato e sistemato all'Agenzia per l'ambiente della Campania. Dall'alto di questa spettacolare esperienza e in barba alla legge sulle Authority che pretende «persone di alta e riconosciuta competenza nel settore», nel 2005 Napoli entra in Agcom. Appena arrivato, si dà subito da fare e nomina sua segretaria Alessia Camilleri, promessa sposa di Pellegrino Mastella, figlio di Clemente. Intanto la figlia Monica Napoli prende il praticantato presso Il Campanile, organo dell'Udeur finanziato dallo Stato con 1,3 milioni l'anno. Al Campanile fanno il praticantato anche Alessia Camilleri, il suo futuro sposo Pellegrino Mastella e l'ex fidanzata di Elio Mastella, Manuela D'Argenio. Nel 2005 Il Campanile, secondo l'Espresso, versa a Clemente 40 mila euro per «compensi giornalistici»; 14 mila per pagare i panettoncini e torroncini della signora Sandra per i regali di Natale; 12 mila allo studio legale di Pellegrino; 36 mila in tre anni alla società assicuratrice dello stesso Pellegrino. Il giornale rimborsa molti viaggi aerei alla famiglia Mastella (compresi Pellegrino, Elio e Alessia). Altri 2 mila euro al mese vanno al benzinaio di Ceppaloni che fa il pieno al Porsche Cayenne di Pellegrino.

Ora Elio lavora alla Selex, gruppo Finmeccanica, al modico stipendio - dice - di 1800 euro. Strano, perché ogni mese paga insieme al fratello una super-rata di 6700 euro per il mutuo acceso per acquistare uno dei sei appartamenti rilevati dalla famiglia Mastella nel centro di Roma a prezzi stracciati. L'appartamento ex-lnail, in largo Arenula, ospita Il Campanile ed è della società omonima, intestata all'ex tesoriere Tancredi Cimmino e al segretario Mastella, poi girata ai due figli: 50% a Elio, 50% a Pellegrino. Valore dell'immobile: 2,4 milioni.

Ma i giovanotti lo hanno per 1,45 milioni, grazie a un mutuo di 1,1 milioni con rata mensile di 6700 euro. Come lo pagano? Con l'affitto versato dall'Udeur, 6500 euro mensili, il doppio dì quello pagato allora all'Inaii. Come l'hanno garantito? Con due dei 4 appartamenti delle Generali comprati in contanti in lungotevere Flaminio: 2 da Elio, 2 da Pellegrino. Ricapitolando: il giovane metalmeccanico da 1800 euro possiede mezzo mega-appartamento in largo Arenula, un intero terzo piano comprato per soli 200 mila euro e un alloggio costato 67 mila euro.

Sortino jr. si è fatto strada con le sue gambe, ha comprato casa con soldi suoi, a prezzi di mercato. Una vergogna nel Paese dei Ceppalones. Infatti per Porta a Porta il raccomandato è lui, la iena. Viva commozione invece per il metalmeccanico immobiliarista.

Marco Travaglio

23 gennaio 2008

Banca d'Italia e realtà gattopardiana


Mentre i politici urlano e sbraitano sui salotti buoni della Tv, le grandi truffe e i grandi interessi mediatici e finanziari pensano ad altro.
Non è possibile che in uno Stato che si reputa piena di risorse si accanisce su pagliuzze senza vedere le classiche travi.
Il vuoto di potere delle Istituzioni, prima o poi sarà colmato, ma da chi?
Domanda ingenua che si liquida con: il soggetto più forte. Siamo in mano a banche private che fanno prima la moneta che lo stato, emettono moneta (privilegio di Stato nazionale)senza avere Stati, ma insieme virtuale di confini. Più forte di così?
Una domanda di un lettore di effedieffe chiede perchè si è arrivati a questa situazione e Cupertino si lancia in una disanima della situazione.


«… Bankitalia - come tutti gli istituti di emissione aventi il privilegio dell'emissione di moneta fiduciaria - si appropria di risorse dei cittadini in misura pari all'entità delle banconote in circolazione. La cosa è del resto ammessa apertis verbis … nella relazione al disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 1993: '…In conseguenza, non si consente agli esecutivi degli Stati firmatari del Trattato (di Maastricht, ndr) di esercitare signoraggio in senso stretto: OVVERO DI APPROPRIAZIONE DI RISORSE ATTRAVERSO QUELLA FORMA DI DEBITO INESIGIBILE CHE E'LA MONETA INCONVERTIBILE A CORSO LEGALE' ».

Qui ci sia consentita una breve riflessione personale: se non sono gli Stati ad appropriarsi delle risorse derivanti dal signoraggio perché mai tali risorse devono essere di spettanza, in un modo o nell'altro del sistema central-bancario, che è prevalentemente di natura privatistica mentre le risorse da signoraggio sono un bene comune nazionale?
Altra riflessione: giuridicamente dire «debito inesigibile» è affermare un controsenso come dire che il fuoco è freddo.
Nessun debito può essere di per sé inesigibile, altrimenti non sarebbe debito.
Ora, dire che la moneta bancaria è debito inesigibile significa affermare un ingiusto privilegio a favore di chi, la Banca Centrale, emette moneta in forma di debito senza dover mai rispondere, a causa della inconvertibilità, della propria esposizione debitoria.

Ma continuiamo con la citazione di Salvatore Verde: «Benché questa situazione (la truffa bancaria dell'appropriazione di risorse da signoraggio, ndr) talvolta - come nel caso accennato - venga confessata, di solito viene invece occultata mediante l'espediente contabile di esporre al passivo del bilancio l'importo relativo alla circolazione (nel 1993: 92.507.777.422.000 lire) che invece - per il fatto di essere debito inesigibile - non vi dovrebbe figurare… Ne deriva che il bilancio di Bankitalia in realtà - come si dice in gergo contabile - 'quadra' solo aritmeticamente e formalmente, ma non sostanzialmente (altra riflessione personale: siamo di fronte ad un falso in bilancio? Giriamo la domanda, come tentò il compianto Giacinto Auriti, ma senza ottenere né risposta né giustizia, alla competente Procura della Repubblica o, visto che siamo in Europa, alla Corte di Giustizia Europea, se competente)».
«E meglio sarebbe - continua Verde - se i 93.508 miliardi circa venissero ripartiti imputandoli ad accantonamenti vari e fondi di riserva. O meglio ancora ad 'utili da ripartire', con grande beneficio dei signori partecipanti ed anche dello Stato che ne percepirebbe quota notevole come imposta sul reddito, a sollievo dei contribuenti o a decurtazione del debito pubblico».

Fermiamoci ancora per una riflessione: Verde sembra dire che il debito pubblico nasce a causa di questo trucco central-bancario e che correggere tale imbroglio comporterebbe una notevole riduzione del debito pubblico medesimo, senza dover tagliare pensioni, privatizzare servizi pubblici, ridurre prestazioni sanitarie e scolastiche, aumentare tasse, etc.
Anche Marx, da noi citato nel nostro articolo, riconosceva che: «L'accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche centrali…(perché) la Banca (dà) … con una mano per aver restituito di più con l'altra, (e) …, proprio mentre riceve…, rimane… creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che (ha) … dato».
Ma ascoltiamo ancora Salvatore Verde: «In sostanza, la voce 'Circolazione' che si legge alla prima riga del passivo del bilancio (di Bankitalia, ndr) dovrebbe scomparire, per apparire nelle 'note' al bilancio, oppure fra le 'voci' fuori bilancio se si volesse tenere in piedi la fictio secondo cui in un avvenire indeterminato abolendo il corso forzoso e tornando alla moneta-merce il debito cesserebbe di essere inestinguibile per tornare ad essere reale… lo Stato dovrebbe spiegare ai cittadini per quale ragione si consente ad una società per azioni sia pure 'sui generis' di appropriarsi di beni reali pari al valore di tale massa circolante di base monetaria. Infatti, lo Stato non ne usufruisce (specie dopo il 'divorzio': tra Tesoro e Banca centrale, ndr) dovendo anch'esso diventare debitore nei confronti di Bankitalia ogni volta che - essendo insufficienti le entrate fiscali e le vendite di beni demaniali - ha bisogno di denaro. L'INDEBITAMENTO NEI CONFRONTI DI BANKITALIA AVVIENE ORMAI QUASI ESCLUSIVAMENTE CONTRO IL RILASCIO DI TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO SU CUI (LO STATO, ndr) DOVRA' PAGARE (NOI DOVREMO PAGARE) SALATISSIMI INTERESSI (E PROVVIGIONI). Mentre sarebbe tanto più semplice e meno oneroso se (lo Stato o - oggi - l'Unione di Stati, ndr) emettesse direttamente tutto il denaro di cui necessita mediante l'emissione di proprie banconote. Dove sta scritto - conclude Verde - che senza un Istituto Centrale di emissione la politica monetaria dev'essere fatalmente inflazionistica? E' solo un problema di buone leggi e di uomini capaci».

Anch'io osservavo che si tratta solo di controlli tecnici sull'esercizio del potere di emissione della monete che deve tornare ad essere un potere statuale perché afferente organicamente alla sovranità nazionale o - oggi - alla sovranità dell'Unione di Stati.
Da quanto sopra esposto quel che, però, è più importante desumere è che non è rilevante il fatto che la Banca Centrale non possa detenere essa stessa i titoli del debito pubblico rilasciati dallo Stato a fronte dell'emissione di moneta bancaria.
Infatti, anche se tali titoli sono venduti all'asta in favore del pubblico, su di essi lo Stato, ossia noi, paga salatissimi interessi che, in fin dei conti, sono originati dalla fraudolenta emissione bancaria della moneta circolante, a seguito della storica sottrazione di tale potere alla nazione sovrana.
Si tenga poi conto che, al di là di questo, il vero privilegio del sistema central-bancario è nella indebita appropriazione a suo favore di quel bene immateriale che, nell'articolo, ho definito, con l'Auriti, come «valore indotto» creato dalla accettazione fiduciaria della carta moneta da parte del pubblico e che costituisce il vero «potere d'acquisto» incorporato nel simbolo cartaceo.
E non si venga a dire che il valore al simbolo cartaceo lo conferisce la Banca Centrale emittente: si metta il Governatore della Banca Centrale Europea a stampare euro su un'isola deserta e si verifichi quanto valore avrà la carta da esso stampata.

Per spiegare questa gravissima truffa, così evidente che non ce ne accorgiamo neanche, Auriti soleva fare questo esempio: «L'atteggiamento che la Banca Centrale assume nei confronti della collettività è analogo a quello di chi presta nasse vuote ai pescatori indebitando questi ultimi non solo della nasse ma anche del pesce che sarà pescato».
Fuor di metafora: le «nasse» sono i simboli cartacei che di per sé, al momento della stampa, non valgono assolutamente nulla mentre il pesce è il «valore indotto», ossia il valore che sarà incorporato, nei simboli cartacei, nel successivo momento della loro emissione e circolazione, dalla fiduciaria accettazione del pubblico, che quel valore, per l'appunto, crea.
Un'ultima annotazione sulla natura giuridica delle Banche Centrali.
Esse per lo più sono società per azioni partecipate pro-quota da diversi istituti assicurativi e dalle più importanti banche nazionali (o, oggi, europee), pubbliche ma soprattutto private.
In tal modo, le Banche Centrali risultano essere, benché esercitano poteri pubblici direttamente connessi con l'essenza stessa della sovranità, enti a carattere prevalentemente privatistico, i cui amministratori sono nominati dall'assemblea degli istituti «partecipanti».
La presenza della mano pubblica in tali assetti societari è andata sempre più diminuendo con i processi di privatizzazione degli ultimi vent'anni (si pensi, ad esempio, che la privatizzazione delle Casse di Risparmio, istituti «partecipanti» al capitale di Bankitalia, si trasformò, a suo tempo, automaticamente in una ulteriore privatizzazione della Banca d'Italia).
Sicché le stesse Banche Centrali sono rimaste esposte alle forze dirompenti di una finanza globale ormai incontrollabile dagli Stati.

Questo sistema di assetti societari e di nomine è rimasto sostanzialmente invariato anche a livello europeo con la costituzione della BCE.
In Italia, attualmente, dopo la nota vicenda di Fazio e dei «furbetti del quartiere», lo Stato è parzialmente rientrato in possesso di alcune quote di partecipazione al capitale di Bankitalia e di alcuni poteri in ordine alla nomina del Governatore (che non è più a tempo indeterminato come fu fino a Fazio).
Ma rimane il fatto che, anche per via della sua istituzionalizzazione con il Trattato di Maastricht, che si riflette anche nelle recenti riforme della nostra Costituzione, la Banca Centrale conserva tuttora la sua più totale autonomia nel decidere le politiche monetarie.
Anzi l'ultima riforma italiana, vista la qualità bassissima del nostro ceto politico, rischia di rovesciarsi in una ulteriore dipendenza della politica dalla finanza.
In altri termini, la Banca Centrale, che dovrebbe essere soltanto il «cassiere» dello Stato, magari con chiari ma limitati poteri di controllo, esclusivamente tecnico, per evitare l'abuso politico dello strumento monetario, è invece il «corpo», impolitico e di natura - si ripete - prevalentemente privatistica, che decide, per conto dello Stato o dell'Unione di Stati, ed al loro posto, i parametri finanziari entro i quali poi i politici, che altro non sono in tal sistema che i «camerieri dei banchieri centrali», possono elaborare i loro programmi di governo da sottoporre agli elettori.

Se i cittadini, però, pensano di essere ancora i veri sovrani e di essere soggetti politici di una democrazia, e non sudditi di una bancocrazia, sono solo dei poveri illusi.
Sembra che due secoli di lotte per togliere ai re cristiani la sovranità abbiano avuto come esito paradossale (ma non tanto per chi conosce i retroscena «esoterici» delle filosofie e delle rivoluzioni) quello di subordinare i popoli alla sudditanza alla consorteria central-bancaria.
Quindi, il problema non sta soltanto nei vantaggi economici lucrati immoralmente dal central-banchismo, che pure ci sono e sono immondi anche perché ricadono su pensionati, lavoratori di ogni categoria, imprenditori, ma sta soprattutto nella «castrazione» degli Stati e nell'appropriazione della sovranità monetaria, e quindi in ultima analisi della sovranità politica, da parte delle Banche Centrali e consorterie affini.

Luigi Copertino

22 gennaio 2008

Un Paese che sa di tappo tra politica e televisione


I fatti giornalieri superano la realtà romanzata dai tromboni appollaiati sulle barricate di monnezza eretta dall'opposizione. Meglio gli interessi di privati e/o di partito che nazionali? Non conviene nemmeno dirla la risposta, allora riviviamo la storia, il passato e, impariamo che la storia è unica e, un'esperienza già passata ma difficilmente ripetibile, anzi impossibile. A meno che si è autolesionisti.

Se avessi vent’anni oggi, non verrei particolarmente impressionato dall’ultima uscita domenicale di Berlusconi a difesa delle sue tv,contro ogni accordo sulla legge elettorale,né dalla rettifica alla moviola seguita in qualche modo il lunedì (“…e comunque la Gentiloni è un’aggressione nei miei confronti!”).Magari se fossi di Forza Italia penserei, articolando alla perfezione la lussureggiante grammatica mentale di quei paraggi:”Quanto è figo il Cavaliere,sa come gestire le danze della comunicazione,stop and go,e vai…!”.Oppure se fossi del Partito Democratico osserverei guardingo:”Vediamo come va a finire,speriamo che il nostro Cavaliere in lizza nel torneo,Veltroni, sia più furbo di lui”.Se fossi della Cosa Rossa probabilmente e senza speciale creatività lamenterei il solito “chiagne e fotte” berlusconiano,con una macchinalità pseudoemotiva sub specie politicante neppure così lontana dal disinteresse palese di un ventenne che invece se ne ritraesse inorridito.E senza commenti.

Se avessi avuto vent’anni il 20 novembre del 2002,quando una sentenza della Corte Costituzionale aveva obbligato Mediaset a spedire Rete 4 sul satellite entro il 31 dicembre del 2003 per liberare la concessione delle frequenze occupate da Rete 4 ,avrei opportunamente pensato che Berlusconi non fosse Presidente del Consiglio per la seconda volta per caso.Se invece avessi avuto vent’anni (non c’entra nell’iterazione né Paul Nizan né Gerry Scotti…) nel ’99,quando a Francesco Di Stefano per Europa 7 era stata assegnata la concessione di cui sopra, da osservatore non direttamente coinvolto dagli affari della politica ma solo attento alle libertà costituzionali e alle loro implicazioni sul piano delicatissimo e decisivo dell’informazione mi sarei immaginato finalmente una svolta nel sistema mediatico nazionale.

Come pure,se avessi avuto vent’anni un quinquennio prima,quando nel ’94 una sentenza sempre della Corte Costituzionale ordinava di spegnere la terza rete berlusconiana nell’ambito della legge di settore detta Maccanico,avrei credo ragionato sui cambiamenti epocali che il neonato maggioritario sia pure leggermente straccione,diciamo il Mattarellum,si apprestava a comportare in Italia nell’habitat televisivo.

Ma bypassando all’indietro i fasti dell’altra legge storica,la Mammì,un ventenne quale sarei potuto essere il 20 ottobre 1984,venendo a conoscenza che il presidente del Consiglio di allora,Bettino Craxi, dall’aereo presidenziale sul quale stava tornando da Londra telefonava al suo consiglio dei Ministri un preallarme per un istantaneo provvedimento a favore di Silvio Berlusconi cui il 16 ottobre,dunque solo quattro giorni prima -il decisionismo si vede nei frangenti più importanti,altro che i mollaccioni di ora…- i pretori avevano oscurato le reti, se (pur così giovane) avvertito nel ramo si sarebbe detto forse per la prima volta :”Toh,ma tu dimmi come sono avvinte le edere della politica e della televisione !”.Anche se poi la Camera aveva bocciato il decreto il 28 novembre successivo.Anche se sotto Natale,subito dopo, un nuovo decreto nel merito aveva prorogato la possibilità di trasmettere per l’allora (allora?) Sua Emittenza con tre reti intanto fino al 31 dicembre 1985,decreto convertito in legge grazie al voto decisivo di Almirante

(pro-memoria per i ventenni odierni: trattasi della preistoria di Fini e di alcuni baldi sessantenni di questo gennaio,della Rai,tra gli altri…).

Per maggiori informazioni consultare il libro di Elio Veltri “Da Craxi a craxi”,ed.Laterza, 1993,da cui si può utilmente estrarre anche l’intervento sulla questione da parte di Ugo Intini,sull’Avanti che dirigeva,che sui pretori citati scrisse parole di fuoco contro il “protagonismo” e la politicizzazione di alcuni magistrati.Tu guarda.Dov’è oggi?

E non vorrei qui dover considerare l’aneddoto, eccellente per uno che i vent’anni se li stesse scrostando alla fine degli anni ’70, di quando un Berlusconi ancora piacente e capelluto chiese e ottenne un incontro con Enrico Berlinguer, al Bottegone, per prostrarsi mettendo a disposizione del Pci il suo imberbe impero tv di allora.Il testimone ancora vivo di quella prostrazione racconta che il segretario comunista,che oggi nel pantheon democratico viene sostituito sembra da Craxi (cfr. il Fassino pre-birmano) lo mise alla porta con semplicità:”Scusi,ma qui non facciamo di queste cose”.Silvio imboccò prontamente l’uscio non lontano di Craxi.E chissà che oggi nel Pd (il cui Pantheon dunque ha compiuto la medesima operazione) non pensino che Berlinguer fosse solo un ingenuo senza prospettive….

Detto questo e non essendo ahimé ventenne,oggi dopo le ultime ripetitive esternazioni del Cavaliere sono costretto ad alcune conclusioni destinate ovviamente al silenzio, oppure,nella remota ipotesi che se ne voglia parlare, alla discussione di chiunque mediti di occuparsene con onestà intellettuale anche solo lillipuziana.

1)La questione politico-televisiva condiziona il Paese da quasi trent’anni.C’è un tappo alla bottiglia/Italia,ed è naturalmente Berlusconi,per cui questo Paese sa di tappo in tutte le cose che lo riguardano.Un odoraccio e un saporaccio.Chi osservi la faccenda da fuori,all’estero, se ne rende conto meglio,ma anche da dentro la cosa è chiarissima.Diresti: se stappi l’Italia,puoi ricominciare a coltivare e poi bere vino accettabile o addirittura selezionato,quello che ci sentiamo sventolare sotto il naso da tempo a partire da chi,come Furio Colombo,ne ha fatto una meritoria e ininterrotta campagna (a proposito di campagna,cfr.la sua formula “deformazione del paesaggio”).Già,ma la ricostruzione politico-televisiva di questi trent’anni ci dice che solo Berlinguer,e tanto tempo fa, ha messo alla porta Berlusconi.Quindi,che il tappo prima televisivo-imprenditoriale,poi da quasi tre lustri politico-televisivo-imprenditoriale,viene mantenuto a forza a chiudere la bottiglia dall’intiera classe politica del Paese nelle sue varie evoluzioni.

Anche qui,potrei fare il giochetto della memoria a ritroso,partendo dall’ultima Finanziaria che procrastina astutamente, dopo giochetti da “tre noci/dov’è il pisello?” spuntati dai più strani emendamenti,addirittura al 2012 la traduzione di tutto il sistema televisivo sul digitale terrestre. Fregando quindi in primis chi come il già citato Di Stefano di Europa 7 ha anche a suo favore una sentenza del 18 luglio 2005 del Consiglio di Stato che bollava la legge Gasparri come illegittima nella giurisdizione europea.All’epoca si parlava di “tutto sul digitale” entro il 2006,poi il termine con i soliti sistemi fu fatto slittare in extremis da una proroga-Landolfi al 2008 prima delle ultime elezioni vinte da Prodi (sì,da Prodi).

Va tutto nella stessa direzione di ciò che ho riassunto.Perché?

2)Non c’è dunque alcun ragionevole motivo per pensare che tale questione venga affrontata seriamente per risolverla e non per accroccarla in scambi,baratti,cessioni come fatto finora.In una palude navigata da finte polemiche mediatiche sulla “punitività” di una legge che applica sentenze costituzionali,da reali e a volte addirittura dichiarati urbi et orbi intenti del centrosinistra di non toccare nulla,dalla stanchezza di una pubblica opinione che a forza di decenni vanamente e superfetalmente spesi sulla questione e sulla successiva e collegata dizione “conflitto di interessi” (per Berlusconi come per l’intiera classe dirigente o addirittura l’intiero Paese) non ha più un’opinione,né pubblica né privata.Anzi,solo a sentir evocare il pasticcio per non essere tediata e raggirata mette mano alla pistola,specie se è davanti o dietro una montagna di “mondezza”.

3)Il problema del tappo non è quindi solo Berlusconi,magari lo fosse.Sono un po’ tutti.Al punto di far pensare con raccapriccio politico e letterario sollievo a che cosa accadrà quando prima o poi il tappo salterà malgrado tutte le indicazioni ultramondane del sindaco di Catania,Scapagnini.Che farà quella parte della politica che a parole detesta Berlusconi e nei fatti pare non poterne o volerne fare a meno?Se avessi vent’anni oggi sarei davvero preoccupato,molto preoccupato per questa ineluttabile eventualità.Come faremo con l’Italia stappata e con una sinistra che non l’ha saputa/voluta stappare fino alle estreme conseguenze che abbiamo sotto gli occhi?

Ma non ho vent’anni,e quindi temo “soltanto” per figli e nipoti:che volete che sia,come diceva Totò, quisquillie e pinzillacchere.

fonte: oliviero beha

24 gennaio 2008

Scontri fra raccomandati:le differenze.



L'altra sera Bruno Vespa, marito di Augusta lannini che dirige gli Affari di giustizia del ministero per volontà di Mastella, ha organizzato una passerella per Mastella, cioè per il datore di lavoro della sua signora. Il quale lacrimava per le sorti della sua signora agli arresti. Annunciava il ritiro dell'appoggio esterno, anzi del concorso esterno, al governo. E insultava senza contraddittorio giudici, pm e cronisti (assenti) evocando complotti calabro-lucan-campani e sparando le solite corbellerie. La migliore: «Non si arresta mia moglie senza prima sentirla, lo dice pure Andreotti» (i giudici avrebbero dovuto convocarla, anticiparle le accuse e preannunciarle il suo prossimo arresto, sempreché la signora non avesse nulla in contrario).

Poi l'insetto ha mandato in onda il lungo battibecco fra la «iena» Alessandro Sortino ed Elio Mastella, figlio dei più noti Clemente & Sandra. In studio gli squisiti ospiti si profondevano in complimenti per la performance di Elio, che dava del raccomandato a Sortino perché suo padre è membro dell'Authority delle Comunicazioni; mentre lui, Elio, è un umile «metalmeccanico» che tira avanti «con 1800 euro di stipendio». Il mondo alla rovescia. Sortino viene assunto a Radio Capital perché è molto bravo nel lontano '98, sette anni prima che suo padre vada all'Agcom.

Le lene lo notano e lo ingaggiano nel 2000, cinque anni prima che il padre vada all'Agcom. Dunque non è un raccomandato. Non lo è nemmeno il padre Sebastiano, che vanta un curriculum di prim'ordine: laureato in legge, per 10 anni responsabile della Piccola impresa in Confindustria, per 5 anni dirigente Eni, dal '77 direttore generale della Fieg (federazione editori giornali) e consigliere Cnel, esperto di antitrust e tetti pubblicitari tv, dunque nemico giurato del monopolio Mediaset e odiato da Confalonieri. Sortino figlio ha fatto carriera nonostante il padre e il padre ha fatto carriera nonostante Mediaset.

Nell'Agcom siede pure un rappresentante Udeur; si chiama Roberto Napoli, il suo curriculum fa sorridere: medico legale all'ospedale dì Battipaglia, consigliere comunale a Battipaglia, assessore a Battipaglia, sindaco di Battipaglia, senatore dal '94 al 2001, poi trombato e sistemato all'Agenzia per l'ambiente della Campania. Dall'alto di questa spettacolare esperienza e in barba alla legge sulle Authority che pretende «persone di alta e riconosciuta competenza nel settore», nel 2005 Napoli entra in Agcom. Appena arrivato, si dà subito da fare e nomina sua segretaria Alessia Camilleri, promessa sposa di Pellegrino Mastella, figlio di Clemente. Intanto la figlia Monica Napoli prende il praticantato presso Il Campanile, organo dell'Udeur finanziato dallo Stato con 1,3 milioni l'anno. Al Campanile fanno il praticantato anche Alessia Camilleri, il suo futuro sposo Pellegrino Mastella e l'ex fidanzata di Elio Mastella, Manuela D'Argenio. Nel 2005 Il Campanile, secondo l'Espresso, versa a Clemente 40 mila euro per «compensi giornalistici»; 14 mila per pagare i panettoncini e torroncini della signora Sandra per i regali di Natale; 12 mila allo studio legale di Pellegrino; 36 mila in tre anni alla società assicuratrice dello stesso Pellegrino. Il giornale rimborsa molti viaggi aerei alla famiglia Mastella (compresi Pellegrino, Elio e Alessia). Altri 2 mila euro al mese vanno al benzinaio di Ceppaloni che fa il pieno al Porsche Cayenne di Pellegrino.

Ora Elio lavora alla Selex, gruppo Finmeccanica, al modico stipendio - dice - di 1800 euro. Strano, perché ogni mese paga insieme al fratello una super-rata di 6700 euro per il mutuo acceso per acquistare uno dei sei appartamenti rilevati dalla famiglia Mastella nel centro di Roma a prezzi stracciati. L'appartamento ex-lnail, in largo Arenula, ospita Il Campanile ed è della società omonima, intestata all'ex tesoriere Tancredi Cimmino e al segretario Mastella, poi girata ai due figli: 50% a Elio, 50% a Pellegrino. Valore dell'immobile: 2,4 milioni.

Ma i giovanotti lo hanno per 1,45 milioni, grazie a un mutuo di 1,1 milioni con rata mensile di 6700 euro. Come lo pagano? Con l'affitto versato dall'Udeur, 6500 euro mensili, il doppio dì quello pagato allora all'Inaii. Come l'hanno garantito? Con due dei 4 appartamenti delle Generali comprati in contanti in lungotevere Flaminio: 2 da Elio, 2 da Pellegrino. Ricapitolando: il giovane metalmeccanico da 1800 euro possiede mezzo mega-appartamento in largo Arenula, un intero terzo piano comprato per soli 200 mila euro e un alloggio costato 67 mila euro.

Sortino jr. si è fatto strada con le sue gambe, ha comprato casa con soldi suoi, a prezzi di mercato. Una vergogna nel Paese dei Ceppalones. Infatti per Porta a Porta il raccomandato è lui, la iena. Viva commozione invece per il metalmeccanico immobiliarista.

Marco Travaglio

23 gennaio 2008

Banca d'Italia e realtà gattopardiana


Mentre i politici urlano e sbraitano sui salotti buoni della Tv, le grandi truffe e i grandi interessi mediatici e finanziari pensano ad altro.
Non è possibile che in uno Stato che si reputa piena di risorse si accanisce su pagliuzze senza vedere le classiche travi.
Il vuoto di potere delle Istituzioni, prima o poi sarà colmato, ma da chi?
Domanda ingenua che si liquida con: il soggetto più forte. Siamo in mano a banche private che fanno prima la moneta che lo stato, emettono moneta (privilegio di Stato nazionale)senza avere Stati, ma insieme virtuale di confini. Più forte di così?
Una domanda di un lettore di effedieffe chiede perchè si è arrivati a questa situazione e Cupertino si lancia in una disanima della situazione.


«… Bankitalia - come tutti gli istituti di emissione aventi il privilegio dell'emissione di moneta fiduciaria - si appropria di risorse dei cittadini in misura pari all'entità delle banconote in circolazione. La cosa è del resto ammessa apertis verbis … nella relazione al disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 1993: '…In conseguenza, non si consente agli esecutivi degli Stati firmatari del Trattato (di Maastricht, ndr) di esercitare signoraggio in senso stretto: OVVERO DI APPROPRIAZIONE DI RISORSE ATTRAVERSO QUELLA FORMA DI DEBITO INESIGIBILE CHE E'LA MONETA INCONVERTIBILE A CORSO LEGALE' ».

Qui ci sia consentita una breve riflessione personale: se non sono gli Stati ad appropriarsi delle risorse derivanti dal signoraggio perché mai tali risorse devono essere di spettanza, in un modo o nell'altro del sistema central-bancario, che è prevalentemente di natura privatistica mentre le risorse da signoraggio sono un bene comune nazionale?
Altra riflessione: giuridicamente dire «debito inesigibile» è affermare un controsenso come dire che il fuoco è freddo.
Nessun debito può essere di per sé inesigibile, altrimenti non sarebbe debito.
Ora, dire che la moneta bancaria è debito inesigibile significa affermare un ingiusto privilegio a favore di chi, la Banca Centrale, emette moneta in forma di debito senza dover mai rispondere, a causa della inconvertibilità, della propria esposizione debitoria.

Ma continuiamo con la citazione di Salvatore Verde: «Benché questa situazione (la truffa bancaria dell'appropriazione di risorse da signoraggio, ndr) talvolta - come nel caso accennato - venga confessata, di solito viene invece occultata mediante l'espediente contabile di esporre al passivo del bilancio l'importo relativo alla circolazione (nel 1993: 92.507.777.422.000 lire) che invece - per il fatto di essere debito inesigibile - non vi dovrebbe figurare… Ne deriva che il bilancio di Bankitalia in realtà - come si dice in gergo contabile - 'quadra' solo aritmeticamente e formalmente, ma non sostanzialmente (altra riflessione personale: siamo di fronte ad un falso in bilancio? Giriamo la domanda, come tentò il compianto Giacinto Auriti, ma senza ottenere né risposta né giustizia, alla competente Procura della Repubblica o, visto che siamo in Europa, alla Corte di Giustizia Europea, se competente)».
«E meglio sarebbe - continua Verde - se i 93.508 miliardi circa venissero ripartiti imputandoli ad accantonamenti vari e fondi di riserva. O meglio ancora ad 'utili da ripartire', con grande beneficio dei signori partecipanti ed anche dello Stato che ne percepirebbe quota notevole come imposta sul reddito, a sollievo dei contribuenti o a decurtazione del debito pubblico».

Fermiamoci ancora per una riflessione: Verde sembra dire che il debito pubblico nasce a causa di questo trucco central-bancario e che correggere tale imbroglio comporterebbe una notevole riduzione del debito pubblico medesimo, senza dover tagliare pensioni, privatizzare servizi pubblici, ridurre prestazioni sanitarie e scolastiche, aumentare tasse, etc.
Anche Marx, da noi citato nel nostro articolo, riconosceva che: «L'accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche centrali…(perché) la Banca (dà) … con una mano per aver restituito di più con l'altra, (e) …, proprio mentre riceve…, rimane… creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che (ha) … dato».
Ma ascoltiamo ancora Salvatore Verde: «In sostanza, la voce 'Circolazione' che si legge alla prima riga del passivo del bilancio (di Bankitalia, ndr) dovrebbe scomparire, per apparire nelle 'note' al bilancio, oppure fra le 'voci' fuori bilancio se si volesse tenere in piedi la fictio secondo cui in un avvenire indeterminato abolendo il corso forzoso e tornando alla moneta-merce il debito cesserebbe di essere inestinguibile per tornare ad essere reale… lo Stato dovrebbe spiegare ai cittadini per quale ragione si consente ad una società per azioni sia pure 'sui generis' di appropriarsi di beni reali pari al valore di tale massa circolante di base monetaria. Infatti, lo Stato non ne usufruisce (specie dopo il 'divorzio': tra Tesoro e Banca centrale, ndr) dovendo anch'esso diventare debitore nei confronti di Bankitalia ogni volta che - essendo insufficienti le entrate fiscali e le vendite di beni demaniali - ha bisogno di denaro. L'INDEBITAMENTO NEI CONFRONTI DI BANKITALIA AVVIENE ORMAI QUASI ESCLUSIVAMENTE CONTRO IL RILASCIO DI TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO SU CUI (LO STATO, ndr) DOVRA' PAGARE (NOI DOVREMO PAGARE) SALATISSIMI INTERESSI (E PROVVIGIONI). Mentre sarebbe tanto più semplice e meno oneroso se (lo Stato o - oggi - l'Unione di Stati, ndr) emettesse direttamente tutto il denaro di cui necessita mediante l'emissione di proprie banconote. Dove sta scritto - conclude Verde - che senza un Istituto Centrale di emissione la politica monetaria dev'essere fatalmente inflazionistica? E' solo un problema di buone leggi e di uomini capaci».

Anch'io osservavo che si tratta solo di controlli tecnici sull'esercizio del potere di emissione della monete che deve tornare ad essere un potere statuale perché afferente organicamente alla sovranità nazionale o - oggi - alla sovranità dell'Unione di Stati.
Da quanto sopra esposto quel che, però, è più importante desumere è che non è rilevante il fatto che la Banca Centrale non possa detenere essa stessa i titoli del debito pubblico rilasciati dallo Stato a fronte dell'emissione di moneta bancaria.
Infatti, anche se tali titoli sono venduti all'asta in favore del pubblico, su di essi lo Stato, ossia noi, paga salatissimi interessi che, in fin dei conti, sono originati dalla fraudolenta emissione bancaria della moneta circolante, a seguito della storica sottrazione di tale potere alla nazione sovrana.
Si tenga poi conto che, al di là di questo, il vero privilegio del sistema central-bancario è nella indebita appropriazione a suo favore di quel bene immateriale che, nell'articolo, ho definito, con l'Auriti, come «valore indotto» creato dalla accettazione fiduciaria della carta moneta da parte del pubblico e che costituisce il vero «potere d'acquisto» incorporato nel simbolo cartaceo.
E non si venga a dire che il valore al simbolo cartaceo lo conferisce la Banca Centrale emittente: si metta il Governatore della Banca Centrale Europea a stampare euro su un'isola deserta e si verifichi quanto valore avrà la carta da esso stampata.

Per spiegare questa gravissima truffa, così evidente che non ce ne accorgiamo neanche, Auriti soleva fare questo esempio: «L'atteggiamento che la Banca Centrale assume nei confronti della collettività è analogo a quello di chi presta nasse vuote ai pescatori indebitando questi ultimi non solo della nasse ma anche del pesce che sarà pescato».
Fuor di metafora: le «nasse» sono i simboli cartacei che di per sé, al momento della stampa, non valgono assolutamente nulla mentre il pesce è il «valore indotto», ossia il valore che sarà incorporato, nei simboli cartacei, nel successivo momento della loro emissione e circolazione, dalla fiduciaria accettazione del pubblico, che quel valore, per l'appunto, crea.
Un'ultima annotazione sulla natura giuridica delle Banche Centrali.
Esse per lo più sono società per azioni partecipate pro-quota da diversi istituti assicurativi e dalle più importanti banche nazionali (o, oggi, europee), pubbliche ma soprattutto private.
In tal modo, le Banche Centrali risultano essere, benché esercitano poteri pubblici direttamente connessi con l'essenza stessa della sovranità, enti a carattere prevalentemente privatistico, i cui amministratori sono nominati dall'assemblea degli istituti «partecipanti».
La presenza della mano pubblica in tali assetti societari è andata sempre più diminuendo con i processi di privatizzazione degli ultimi vent'anni (si pensi, ad esempio, che la privatizzazione delle Casse di Risparmio, istituti «partecipanti» al capitale di Bankitalia, si trasformò, a suo tempo, automaticamente in una ulteriore privatizzazione della Banca d'Italia).
Sicché le stesse Banche Centrali sono rimaste esposte alle forze dirompenti di una finanza globale ormai incontrollabile dagli Stati.

Questo sistema di assetti societari e di nomine è rimasto sostanzialmente invariato anche a livello europeo con la costituzione della BCE.
In Italia, attualmente, dopo la nota vicenda di Fazio e dei «furbetti del quartiere», lo Stato è parzialmente rientrato in possesso di alcune quote di partecipazione al capitale di Bankitalia e di alcuni poteri in ordine alla nomina del Governatore (che non è più a tempo indeterminato come fu fino a Fazio).
Ma rimane il fatto che, anche per via della sua istituzionalizzazione con il Trattato di Maastricht, che si riflette anche nelle recenti riforme della nostra Costituzione, la Banca Centrale conserva tuttora la sua più totale autonomia nel decidere le politiche monetarie.
Anzi l'ultima riforma italiana, vista la qualità bassissima del nostro ceto politico, rischia di rovesciarsi in una ulteriore dipendenza della politica dalla finanza.
In altri termini, la Banca Centrale, che dovrebbe essere soltanto il «cassiere» dello Stato, magari con chiari ma limitati poteri di controllo, esclusivamente tecnico, per evitare l'abuso politico dello strumento monetario, è invece il «corpo», impolitico e di natura - si ripete - prevalentemente privatistica, che decide, per conto dello Stato o dell'Unione di Stati, ed al loro posto, i parametri finanziari entro i quali poi i politici, che altro non sono in tal sistema che i «camerieri dei banchieri centrali», possono elaborare i loro programmi di governo da sottoporre agli elettori.

Se i cittadini, però, pensano di essere ancora i veri sovrani e di essere soggetti politici di una democrazia, e non sudditi di una bancocrazia, sono solo dei poveri illusi.
Sembra che due secoli di lotte per togliere ai re cristiani la sovranità abbiano avuto come esito paradossale (ma non tanto per chi conosce i retroscena «esoterici» delle filosofie e delle rivoluzioni) quello di subordinare i popoli alla sudditanza alla consorteria central-bancaria.
Quindi, il problema non sta soltanto nei vantaggi economici lucrati immoralmente dal central-banchismo, che pure ci sono e sono immondi anche perché ricadono su pensionati, lavoratori di ogni categoria, imprenditori, ma sta soprattutto nella «castrazione» degli Stati e nell'appropriazione della sovranità monetaria, e quindi in ultima analisi della sovranità politica, da parte delle Banche Centrali e consorterie affini.

Luigi Copertino

22 gennaio 2008

Un Paese che sa di tappo tra politica e televisione


I fatti giornalieri superano la realtà romanzata dai tromboni appollaiati sulle barricate di monnezza eretta dall'opposizione. Meglio gli interessi di privati e/o di partito che nazionali? Non conviene nemmeno dirla la risposta, allora riviviamo la storia, il passato e, impariamo che la storia è unica e, un'esperienza già passata ma difficilmente ripetibile, anzi impossibile. A meno che si è autolesionisti.

Se avessi vent’anni oggi, non verrei particolarmente impressionato dall’ultima uscita domenicale di Berlusconi a difesa delle sue tv,contro ogni accordo sulla legge elettorale,né dalla rettifica alla moviola seguita in qualche modo il lunedì (“…e comunque la Gentiloni è un’aggressione nei miei confronti!”).Magari se fossi di Forza Italia penserei, articolando alla perfezione la lussureggiante grammatica mentale di quei paraggi:”Quanto è figo il Cavaliere,sa come gestire le danze della comunicazione,stop and go,e vai…!”.Oppure se fossi del Partito Democratico osserverei guardingo:”Vediamo come va a finire,speriamo che il nostro Cavaliere in lizza nel torneo,Veltroni, sia più furbo di lui”.Se fossi della Cosa Rossa probabilmente e senza speciale creatività lamenterei il solito “chiagne e fotte” berlusconiano,con una macchinalità pseudoemotiva sub specie politicante neppure così lontana dal disinteresse palese di un ventenne che invece se ne ritraesse inorridito.E senza commenti.

Se avessi avuto vent’anni il 20 novembre del 2002,quando una sentenza della Corte Costituzionale aveva obbligato Mediaset a spedire Rete 4 sul satellite entro il 31 dicembre del 2003 per liberare la concessione delle frequenze occupate da Rete 4 ,avrei opportunamente pensato che Berlusconi non fosse Presidente del Consiglio per la seconda volta per caso.Se invece avessi avuto vent’anni (non c’entra nell’iterazione né Paul Nizan né Gerry Scotti…) nel ’99,quando a Francesco Di Stefano per Europa 7 era stata assegnata la concessione di cui sopra, da osservatore non direttamente coinvolto dagli affari della politica ma solo attento alle libertà costituzionali e alle loro implicazioni sul piano delicatissimo e decisivo dell’informazione mi sarei immaginato finalmente una svolta nel sistema mediatico nazionale.

Come pure,se avessi avuto vent’anni un quinquennio prima,quando nel ’94 una sentenza sempre della Corte Costituzionale ordinava di spegnere la terza rete berlusconiana nell’ambito della legge di settore detta Maccanico,avrei credo ragionato sui cambiamenti epocali che il neonato maggioritario sia pure leggermente straccione,diciamo il Mattarellum,si apprestava a comportare in Italia nell’habitat televisivo.

Ma bypassando all’indietro i fasti dell’altra legge storica,la Mammì,un ventenne quale sarei potuto essere il 20 ottobre 1984,venendo a conoscenza che il presidente del Consiglio di allora,Bettino Craxi, dall’aereo presidenziale sul quale stava tornando da Londra telefonava al suo consiglio dei Ministri un preallarme per un istantaneo provvedimento a favore di Silvio Berlusconi cui il 16 ottobre,dunque solo quattro giorni prima -il decisionismo si vede nei frangenti più importanti,altro che i mollaccioni di ora…- i pretori avevano oscurato le reti, se (pur così giovane) avvertito nel ramo si sarebbe detto forse per la prima volta :”Toh,ma tu dimmi come sono avvinte le edere della politica e della televisione !”.Anche se poi la Camera aveva bocciato il decreto il 28 novembre successivo.Anche se sotto Natale,subito dopo, un nuovo decreto nel merito aveva prorogato la possibilità di trasmettere per l’allora (allora?) Sua Emittenza con tre reti intanto fino al 31 dicembre 1985,decreto convertito in legge grazie al voto decisivo di Almirante

(pro-memoria per i ventenni odierni: trattasi della preistoria di Fini e di alcuni baldi sessantenni di questo gennaio,della Rai,tra gli altri…).

Per maggiori informazioni consultare il libro di Elio Veltri “Da Craxi a craxi”,ed.Laterza, 1993,da cui si può utilmente estrarre anche l’intervento sulla questione da parte di Ugo Intini,sull’Avanti che dirigeva,che sui pretori citati scrisse parole di fuoco contro il “protagonismo” e la politicizzazione di alcuni magistrati.Tu guarda.Dov’è oggi?

E non vorrei qui dover considerare l’aneddoto, eccellente per uno che i vent’anni se li stesse scrostando alla fine degli anni ’70, di quando un Berlusconi ancora piacente e capelluto chiese e ottenne un incontro con Enrico Berlinguer, al Bottegone, per prostrarsi mettendo a disposizione del Pci il suo imberbe impero tv di allora.Il testimone ancora vivo di quella prostrazione racconta che il segretario comunista,che oggi nel pantheon democratico viene sostituito sembra da Craxi (cfr. il Fassino pre-birmano) lo mise alla porta con semplicità:”Scusi,ma qui non facciamo di queste cose”.Silvio imboccò prontamente l’uscio non lontano di Craxi.E chissà che oggi nel Pd (il cui Pantheon dunque ha compiuto la medesima operazione) non pensino che Berlinguer fosse solo un ingenuo senza prospettive….

Detto questo e non essendo ahimé ventenne,oggi dopo le ultime ripetitive esternazioni del Cavaliere sono costretto ad alcune conclusioni destinate ovviamente al silenzio, oppure,nella remota ipotesi che se ne voglia parlare, alla discussione di chiunque mediti di occuparsene con onestà intellettuale anche solo lillipuziana.

1)La questione politico-televisiva condiziona il Paese da quasi trent’anni.C’è un tappo alla bottiglia/Italia,ed è naturalmente Berlusconi,per cui questo Paese sa di tappo in tutte le cose che lo riguardano.Un odoraccio e un saporaccio.Chi osservi la faccenda da fuori,all’estero, se ne rende conto meglio,ma anche da dentro la cosa è chiarissima.Diresti: se stappi l’Italia,puoi ricominciare a coltivare e poi bere vino accettabile o addirittura selezionato,quello che ci sentiamo sventolare sotto il naso da tempo a partire da chi,come Furio Colombo,ne ha fatto una meritoria e ininterrotta campagna (a proposito di campagna,cfr.la sua formula “deformazione del paesaggio”).Già,ma la ricostruzione politico-televisiva di questi trent’anni ci dice che solo Berlinguer,e tanto tempo fa, ha messo alla porta Berlusconi.Quindi,che il tappo prima televisivo-imprenditoriale,poi da quasi tre lustri politico-televisivo-imprenditoriale,viene mantenuto a forza a chiudere la bottiglia dall’intiera classe politica del Paese nelle sue varie evoluzioni.

Anche qui,potrei fare il giochetto della memoria a ritroso,partendo dall’ultima Finanziaria che procrastina astutamente, dopo giochetti da “tre noci/dov’è il pisello?” spuntati dai più strani emendamenti,addirittura al 2012 la traduzione di tutto il sistema televisivo sul digitale terrestre. Fregando quindi in primis chi come il già citato Di Stefano di Europa 7 ha anche a suo favore una sentenza del 18 luglio 2005 del Consiglio di Stato che bollava la legge Gasparri come illegittima nella giurisdizione europea.All’epoca si parlava di “tutto sul digitale” entro il 2006,poi il termine con i soliti sistemi fu fatto slittare in extremis da una proroga-Landolfi al 2008 prima delle ultime elezioni vinte da Prodi (sì,da Prodi).

Va tutto nella stessa direzione di ciò che ho riassunto.Perché?

2)Non c’è dunque alcun ragionevole motivo per pensare che tale questione venga affrontata seriamente per risolverla e non per accroccarla in scambi,baratti,cessioni come fatto finora.In una palude navigata da finte polemiche mediatiche sulla “punitività” di una legge che applica sentenze costituzionali,da reali e a volte addirittura dichiarati urbi et orbi intenti del centrosinistra di non toccare nulla,dalla stanchezza di una pubblica opinione che a forza di decenni vanamente e superfetalmente spesi sulla questione e sulla successiva e collegata dizione “conflitto di interessi” (per Berlusconi come per l’intiera classe dirigente o addirittura l’intiero Paese) non ha più un’opinione,né pubblica né privata.Anzi,solo a sentir evocare il pasticcio per non essere tediata e raggirata mette mano alla pistola,specie se è davanti o dietro una montagna di “mondezza”.

3)Il problema del tappo non è quindi solo Berlusconi,magari lo fosse.Sono un po’ tutti.Al punto di far pensare con raccapriccio politico e letterario sollievo a che cosa accadrà quando prima o poi il tappo salterà malgrado tutte le indicazioni ultramondane del sindaco di Catania,Scapagnini.Che farà quella parte della politica che a parole detesta Berlusconi e nei fatti pare non poterne o volerne fare a meno?Se avessi vent’anni oggi sarei davvero preoccupato,molto preoccupato per questa ineluttabile eventualità.Come faremo con l’Italia stappata e con una sinistra che non l’ha saputa/voluta stappare fino alle estreme conseguenze che abbiamo sotto gli occhi?

Ma non ho vent’anni,e quindi temo “soltanto” per figli e nipoti:che volete che sia,come diceva Totò, quisquillie e pinzillacchere.

fonte: oliviero beha