11 giugno 2008

L'economie delle bolle speculative


“La strategia Usa dovrebbe avere come scopo, sopra ogni altra cosa, la rimozione dal potere del regime di Saddam Hussein”.... [La sua rimozione è assolutamente vitale per] “la sicurezza del mondo nella prima parte del ventunesimo secolo” e per “la sicurezza delle truppe americane nella regione, dei nostri amici e alleati come Israele e i paesi arabi moderati, e di una porzione significativa delle riserve mondiali di petrolio”.
Lettera del 26 gennaio 1998, indirizzata al presidente Bill Clinton dai neoconservatori.

[Sugli iracheni] “Se accenderanno il loro radar faremo esplodere i loro fottuti missili. Loro sanno che siamo padroni del loro paese. Possediamo il loro spazio aereo... Noi dettiamo come devono vivere e parlare. Ed è questo che è fantastico per quel che riguarda l'America ora. È una buona cosa, specialmente dato che c'è un sacco di petrolio laggiù di cui abbiamo bisogno”.
Generale di brigata aerea Usa William Looney, comandante delle operazioni di volo americane e britanniche a sud del trentaduesimo parallelo sull'Iraq (no-fly zones), intervista pubblicata dallo Washington Post, il 30 agosto 1999 [citata nel libro di William Blum Rogue State, Common Courage Press, 2005, p. 159].

“Focalizzate le vostre operazioni sul petrolio, specialmente in Iraq e nel Golfo, dato che questo significherebbe la morte [dell'Occidente]” .
Osama bin Laden, dicembre 2004

“Gli alti prezzi del greggio non hanno alcuna relazione con la produzione o il consumo”... [Sono dovuti] “alla perdita di valore del dollaro” .
Mahmoud Ahmadinejad, presidente dell'Iran, aprile 2008.


L'economia americana sembra andare di bolla in bolla: nel 2000 c'era la bolla tecnologica; nel 2005 c'è stata la bolla immobiliare; ed oggi c'è la bolla del petrolio e dei beni. Di fatto l'intero mondo degli investimenti è oggi un gigantesco casinò dove comandano gli speculatori e i governi guardano dall'altra parte. Per molte materie prime commerciabili di base (riso, grano e mais) e beni (petrolio, gas, metalli), i prezzi non hanno alcuna relazione con il valore intrinseco di quanto viene commerciato. Tali prezzi sono in gran parte guidati da cattive politiche e dalla tecnica piramidale detta del “più folle” per cui i grandi speculatori off-shore navigano tramite i derivati non regolamentati per spingere sempre più in alto i prezzi sino a che la bolla non esplode. Nel frattempo possono venire create enormi distruzioni e le vite delle persone messe in pericolo o perse. L'attuale carestia in molti paesi è il risultato finale di tali manipolazioni del mercato approvate dai governi, dall'Opec e da un pugno di altri cartelli e di cosiddetti hedge fund speculativi.

E possibile che un'economia cresca e prosperi senza essere sempre sulle montagne russe? Di fatto, l'attuale esplosione del prezzo dei beni e del petrolio riflette reali spostamenti di domanda e offerta, come distruzioni delle forniture, o è anche, o persino soprattutto, guidata da fattori geopolitici e speculazioni finanziarie che alimentano una sempre più grande e insaziabile domanda artificiale?

È mia sensazione che il crollo del dollaro Usa sta avendo conseguenze economiche serie e non volute in tutto il mondo. Infatti una tale svalutazione da panico della valuta chiave più usata sta alimentando un enorme corsa di allontanamento dai depositi in dollari verso beni più solidi, come il petrolio, l'oro e altri beni. Banche centrali, aziende e individui stanno perdendo fiducia nel dollaro cartaceo, che si è andato deprezzandosi velocemente contro altre valute, ma il cui valore intrinseco ci si aspetta venga ulteriormente eroso dall'inflazione in arrivo che seguirà inevitabilmente l'attuale creazione di liquidità voluta dalla Fed. Tutti questi problemi sono interconnessi.

Ricordiamoci che il problema petrolifero negli Usa è largamente auto-inflitto dal momento che il governo Usa ha preferito allontanarsi da un'economia basata sull'autosufficienza e l'energia rinnovabile. Nel 1982, per esempio, il consumo giornaliero di petrolio negli Usa era stato abbattuto sino 9 milioni di barili al giorno, dai 14 milioni di barili al giorno precedenti allo shock petrolifero iniziato dall'Opec nel 1973. Dal momento che gli Usa stavano producendo circa 9 milioni di barili al giorno si può dire che l'economia americana allora era autosufficiente per quella forma di bisogno energetico. L'amministrazione Reagan cambiò tutto ciò: non più limiti di velocità a 55 miglia orarie; riduzione degli obblighi per i produttori di macchine di aumentare il numero di chilometri per litro; non più restrizioni, fiscali o di altro tipo, sull'acquisto di macchine divoratrici di benzina eccetera. Il risultato è che gli Stati Uniti, con meno del 5% della popolazione mondiale, consumano ora il 25% della produzione giornaliera di petrolio, circa 22 milioni di barili su 88 milioni di barili prodotti in tutto il mondo al giorno. Ed ecco il succo del problema: il 60% di quel petrolio deve essere importato. Per di più, per il mondo intero, il 60% delle importazioni di petrolio provengono dal medio oriente instabile. Questo è ciò che chiamiamo giocare col fuoco!

Perciò, dal momento che l'accesso a petrolio sotto controllo americano ha giocato una parte importante nella decisione da parte di Bush-Cheney di lanciare, nella primavera del 2003, una guerra non provocata contro l'Iraq allo scopo di trasformare quel paese sovrano in un protettorato petrolifero americano sotto la gestione di alcune grandi compagnie petrolifere anglo americane, si può dire che i semi per questa guerra illegale fossero stati sparsi durante l'amministrazione repubblicana di Reagan. Quando la filosofia della deregolamentazione era rampante e veniva salutata come un successo. Ma, come conseguenza, sono stati persi 25 preziosi anni per preparare l'economia Usa al momento in cui il petrolio sarebbe divenuto una fonte di energia scarseggiante. Ora quel momento è arrivato, ma siamo ancora nell'era dei veicoli Hummer che camminano solo grazie a grandi quantità di costoso petrolio importato con grossi rischi.


Infatti, negli Usa, vi sono tre macchine ogni quattro adulti e tali macchine sono più grandi e hanno motori più potenti che in qualunque altro paese del mondo. Se solo alcuni paesi, come Cina e India, volessero emulare gli Stati Uniti in questo, grazie alla crescita dei loro livelli di reddito, il consumo di petrolio al mondo più che raddoppierebbe. Ma senza riserve petrolifere note che vengano incontro a una tale incremento di domanda, i prezzi del petrolio salirebbero alle stelle distruggendo il potere d'acquisto dei consumatori e facendo crescere l'inflazione. Il risultato sarebbe un enorme crisi economica mondiale prima che possano essere sviluppate fonti di energia alternativa sfruttabili. Ciò richiederebbe 10 o 20 anni.

Siamo già a quel punto? Se non lo siamo ci stiamo muovendo velocemente verso il giorno del brusco risveglio, mentre governi complici che non fanno nulla sperano in un miracolo o in una qualche soluzione magica. Le maggiori conseguenze saranno la crescita dell'inflazione, guerre simili a quelle del diciannovesimo secolo per assicurarsi le risorse, e un rallentamento economico mondiale nella produzione e nel commercio. I prossimi 20 anni saranno interessanti per alcuni, ma richiederanno sacrifici per i più.

Rodrigue Tremblay è professore emerito di economia alla University of Montreal, può essere contattato all’indirizzo rodrigue.tremblay@yahoo.com. Visitate il suo blog www.thenewamericanempire.com/blog e il suo sito www.thenewamericanempire.com/ : E’ autore del libro 'The New American Empire' . Potete avere informazioni sul suo prossimo libro, “The Code for Global Ethics” sul sito www.TheCodeForGlobalEthics.com/

Titolo originale: " In a Casino Mentality, The Economy Goes From Bubble to Bubble"

Fonte: http://www.globalresearch.ca

La commissione Trilaterale decide, noi no


La Commissione Trilaterale (TC) - uno dei tre gruppi mondialisti più potenti nel mondo – ha tenuto un incontro a porte chiuse proprio qui a Washington, D.C. dal 25 al 28 aprile. Fedeli alla forma, quegli esponenti dei mezzi di informazione che sapevano della riunione - o erano loro stessi parti in causa – si sono rifiutati di discutere come sia andata la riunione o di riferire sui presenti. Fortunatamente, il redattore dell’AFP, Jim Tucker, era sulla scena per far uscire allo scoperto questo incontro clandestino.

I luminari che hanno partecipato alla riunione della Commissione Trilaterale a Washington hanno espresso fiducia sul fatto che hanno in mano tutti e tre i principali candidati alle presidenziali, i quali, nonostante le loro posizioni politiche, sosterranno le misure che mirano a rinunciare alla propria sovranità come il NAFTA e il "North American Union". "John ha sempre sostenuto il libero scambio, anche mentre faceva la campagna elettorale davanti ai leaders dell’unione ", ha detto qualcuno. "Hil e Barack stanno fingendo di essere scontenti su alcune cose, ma questo è solo atteggiamento politico. Sono saldamente per il sostegno ". Ci si riferiva al Senatore John McCain (R-Ariz.), Hillary Clinton (DN.Y.) e Barack Obama (D-Ill.).
La signora Clinton, hanno osservato, ha tenuto riunioni di strategia come First Lady su come ottenere dal Congresso l’approvazione del NAFTA "senza ulteriori modifiche". In qualità di presidente, hanno deciso, lei non farebbe altro che occuparsi di mettere i puntini sulle i.

In Canada il candidato Obama non ha negato la notizia che il suo primo consigliere economico, Austan Goolsbee, ha rassicurato i diplomatici canadesi che il senatore avrebbe mantenuto intatto il NAFTA e i suoi discorsi anti-commercio sarebbero solo "campagna retorica".

Impauriti da Paul

I "Trilateralisti", mentre sono fiduciosi di far fronte a qualsiasi potenziale presidente, pagano invece un enorme tributo a Ron Paul come uno scherzo ironico del destino, lanciando l’allarme che lui provocherà "significativi danni futuri".

Essi hanno espresso preoccupazione per il fatto che le manifestazioni di Paul hanno attratto moltitudini di giovani che si vanno ora formando una "loro idea politica". Vogliono che i repubblicani mettano pressione a Paul affinchè abbandoni ora e cessi i suoi raduni "educativi". Questo compito è stato affidato a Thomas Foley, ex portavoce della Casa Bianca.
Le ragioni per le quali la "campagna di educazione" condotta da Paul porta il terrone nei cuori della Trilaterale, sono evidenti. Paul si rifiuterebbe di restituire un solo grammo di sovranità degli Stati Uniti a una qualsivoglia organizzazione internazionale e la TC invece vuole il governo mondiale.
Paul porterebbe immediatamente a casa le truppe Usa dall'Iraq, dall’Afghanistan e da altre 130 "missioni di pace" per le Nazioni Unite in tutto il mondo. La TC vuole speculare sulla guerra e sul potere mondiale. Paul vorrebbe abolire la tassa federale sul reddito, al contrario la TC vuole aumentare su scala globale la tassa dovuta alle Nazioni Unite. Si è elaborato un ordine del giorno ufficiale con tutto ciò che Paul e i patrioti americani detestano: tasse più alte, più aiuti agli stranieri, più immigrazione, sia legale che illegale, negli Stati Uniti e nell’ "attraente Iran," tra gli altri.

L'America deve pagare la sua giusta quota?

I membri della Trilaterale si sono messi a lavorare sodo Sabato 26 aprile con un comitato di alto spessore chiamato " Politica estera e politica interna degli Stati Uniti: linee guida per una nuova amministrazione ".

Presiedeva il giornalista - ruffiano David Gergen, che nella sua rivista U.S News and World Report non scriverà nulla riguardo al TC. Tra i partecipanti vi erano anche Kenneth Duberstein, ex capo del personale della Casa Bianca per il Presidente Ronald Reagan; Strobe Talbot, presidente della Brookings Institution ed ex vice Segretario di Stato, e Joseph Nye, ex assistente segretario alla difesa. Henry Kissinger, ex segretario di Stato e da lungo tempo leader della Bilderberg, era presente nella lista come uno dei partecipanti. Ma un membro dello staff TC ha cancellato il suo nome dalla lista. Alcuni hanno pensato che avesse problemi di gola.

Questo gruppo ha consegnato i seguenti ordini al prossimo presidente: aumentare il sostegno straniero a tutti i livelli, perché "l'America non debba pagare la sua quota equa", pagare gli arretrati dovuti alle Nazioni Unite, consentire l’ingresso negli Stati Uniti a tutti gli immigrati che vogliono venire e concedere l’ "amnistia" per gli stranieri già presenti in situazione irregolare.

Poco, se non altro, è stato detto circa il fatto che i contribuenti americani pagano un quarto dei costi operativi delle Nazioni Unite e un terzo del costo delle 130 "missioni di pace" o sul fatto che gli immigrati provenienti dal Sud America deprimono i salari e qui una famiglia media di immigranti costa allo stato migliaia di dollari all'anno per il welfare, per la salute e altri "vantaggi".

Robert Zoellick, presidente della Banca mondiale e altro ragazzo di lungo corso della Bilderberg, manifestò ampiamente queste considerazioni in una "mielosa intervista" rilasciata ad un altro giornalista "da marciapiede", Lionel Barber, redattore del Financial Times, che obbedientemente non riporta nulla.

Lotta al riscaldamento; consentire gli immigrati

Ci sono stati degli incontri di "sottocommissione" sul "cambiamento climatico", su "acqua e strutture igienico-sanitarie" e su "migrazione e sviluppo." Questi sottogruppi hanno concordato che ogni nazione, in particolare gli Stati Uniti, dovrebbe spendere un mucchio di dollari per la lotta contro il "riscaldamento globale". Gli Stati Uniti dovrebbero spendere di più "perché gli americani sono la causa della maggior parte dell’inquinamento", ha affermato qualquno. Gli americani dovrebbero inviare più denaro a favore dell’Africa in modo che i nativi possono bere acqua pulita e lavarsi, hanno detto.

Antonio Garrigues Walker, presidente della Garrigues Abogadas y Asesores Tributarios, si è unito a Peter Sutherland, "rappresentante speciale per migrazione e sviluppo" del Segretario generale delle Nazioni Unite, nell’invitare gli Stati Uniti non solo a consentire una immigrazione illimitata, ma anche dare più soldi al Messico e ad altri paesi latini impoveriti. Era, in qualche modo, un loro "diritto" quello di avere più dollari USA. Sutherland è il presidente della British Petroleum e Goldman Sachs International. Egli è anche leader da lungo tempo della Bilderberg.

Il Blackout dei mezzi di informazione

Bill Emmott, un altro giornalista "mantenuto", ha parlato della "crescita dell’Asia" a una cena-ricevimento tenutasi presso lo Smithsonian American Art Museum. Emmott, ex redattore di The Economist, non riporterà alcuna notizia in proposito.
Domenica mattina, Robert Blackwill, ex vice consigliere per la sicurezza nazionale in Iraq, ha presieduto una tavola rotonda sul tema "coinvolgere l'Iran e costruire la pace nella regione del Golfo Persico." Per la prima volta, vi è stato dissenso. Blackwill ha cercato di interpretare su basi razionali l'invasione dell'Iraq. Altri dubitavano che Saddam Hussein fosse collegato agli attacchi terroristici del 11 Settembre o sia mai stato una minaccia nucleare. Blackwill ha detto che l'opzione militare rimane, ma spera che gli sforzi diplomatici abbiano successo.

Altri partecipanti sono stati Ray Takeyh del Council on Foreign Relations, che funziona come il ministero per la propaganda per la TC e la Bilderberg; Volker Perthes, capo del Istituto tedesco Internazionale per gli affari e la sicurezza, e Hitoshi Tanaka, ex vice ministro giapponese degli Affari Esteri.

Soldi, Altri soldi

Molti stranieri hanno richiesto agli USA più soldi durante un pranzo di comitato chiamato "opinioni degli europei e asiatici sulla politica estera e sicurezza degli Stati Uniti." I partecipanti sono stati Elisabeth Guigou, membro dell'Assemblea nazionale francese ed ex ministro per gli Affari europei e Han Sung-Joo, ex ministro degli Affari Esteri per la Corea del Sud.

Una sessione pomeridiana destinata alla "salute globale" con una maggiore richiesta di dollari derivanti dalle imposte americane. Una voce importante in questa causa è arrivata da Sylvia Mathews Burwell, presidente di Global Development Programs, Bill & Melinda Gates Foundation. Bill Gates ha frequentato almeno una riunione della Bilderberg.

Le scuse per l'Iraq; i piani per l'Iran

John Negroponte, vice Segretario di Stato degli USA, ha dedicato la cena serale al tema "le prospettive della politica estera per gli USA". Ancora una volta, si è cercato di dare una spiegazione razionale alle invasioni in Iraq e in Afghanistan e si è considerata come una possibilità l'invasione dell'Iran.

Lunedi mattina l’incontro finale ha affrontato la crisi finanziaria mondiale e ha visto la partecipazione di questi luminari: Robert Kimmitt, vice segretario del Tesoro degli Stati Uniti; Martin Feldstein, ex direttore del Consiglio dei consulenti economici del presidente; David Rubenstein, amministratore delegato di Carlyle Group; Naoki Tanaka, Presidente del Center for International Public Policy Studies e Sir Andrew Crockett, presidente della JP Morgan Chase International.

Tra questi, si è fatto un gran parlare sull "dovere" del governo degli Stati Uniti di "intervenire" a nome delle "istituzioni finanziarie sotto pressione." Poco o nulla è stato detto delle centinaia di migliaia di americani che stanno perdendo le loro case perché le istituzioni finanziarie li hanno indotti ad acquistare delle case che non potevano permettersi.

Durante tutto il fine settimana, non si è udita la minima voce di un americano a proposito delle esigenze del loro paese. Invece, ci sono stati sorrisi, saluti e applausi.

Il redattore della AFP James P. Tucker Jr è un giornalista di lungo corso che ha trascorso molti anni come membro della "élite" dei media a Washington. Dal 1975 egli ha avuto riconoscimenti generali, qui e all'estero, per la ricerca di storie "attuali" che segnalavano gli intrighi dei gruppi di potere mondiali come ad esempio il Gruppo Bilderberg. Tucker è autore di Jim Tucker's Diary Bilderberg [l’agenda Bilderberg di Jim Tucker, N.d.T.]. Illustrato con delle foto- molte mai pubblicate prima - il libro racconta le esperienze di Tucker nel corso dell’ultimo quarto di secolo alle riunioni della Bilderberg.

Fonte:www.globalresearch.ca

10 giugno 2008

11 settembre: il partiro dei dubbi avanza

Qualche giornalista comincia ad alzare la testa, Bush sta finendo il suo ultimo tour da presidente e, qualcuno comincia a slacciare le scarpe. Un odore terribile, di un mestiere che nega l'evidenza e mortifica la ragione. Per togliere qualche sassolino ci vuole ancora tempo. Chissà se li vedremo e li leggeremo. Chissà.

La domanda è vecchia, vecchissima. La novità è che, sette anni dopo l’11 settembre 2001, se la pone il Financial Times. L’evento è storico, e varrà la pena di segnarsi la data: 6 giugno 2008. Il più autorevole dei «mainstream media», dei grandi giornali, pone la domanda. Senza un plausibile motivo di attualità per rivangare quel momento .

Per tutti coloro che cercano la verità sull’11 settembre, l’Edificio 7 è il terzo grattacielo che collassò quel giorno. Un edificio di 47 piani, parte del complesso urbanistico World Trade Center, che crollò senza essere colpito da alcun aereo, nota il FT, «a velocità di caduta libera e nel suo perimetro», ossia in perfetta verticale. Il fatto più strano, rievoca il quotidiano finanziario, è che «la BBC riferì il crollo dell’Edificio 7 mezz’ora prima che avvenisse».

La giornalista Jane Standley stava apparendo in diretta, alle ore 4.45 pomeridiane, e annunciò il crollo della terza torre - e dietro di lei, sullo sfondo, si vedeva che la Torre 7 era ancora in piedi. Affondò solo 26 minuti dopo.

Per questo video, ripreso su YouTube, «il sito web della BBC è stato bombardato di domande ed accuse. Richard Porter, capo del notiziario internazionale della BBC, ha dovuto negare che la BBC recitava dal copione di Bush», scrive il Financial Times. Porter s’è giustificato adducendo la confusione di quel giorno. «La CNN aveva appena prima riferito di voci che un terzo edificio era crollato o stava per crollare». I sospetti dei sospettosi sono aggravati dal fatto che «Porter ha ammesso che la BBC non ha conservato le registrazioni originali di quel suo reportage».Non basta. Il Financial Times ricorda che l’Edificio 7 aveva «alcuni inquilini interessanti». La maggior parte dell’edificio era affittato alla Solomon Brothers, la banca. Ma il nono e decimo piano «erano occupati dal secret service». Ai tre piani superiori c’erano uffici della SEC, l’ente di controllo della Borsa (il WTC è a due passi da Wall Street).

Inoltre, «il New York Times riferì che l’edificio ospitava anche un ufficio segreto gestito dalla CIA e dedicato a spiare e reclutare diplomatici stranieri delle Nazioni Unite. La perdita della stazione ‘ha seriamente disorganizzato’ le operazioni d’intelligence», riportò il NYT. «La CIA condivideva un piano con il Dipartimento Difesa e con l’Internal Revenue Service», il servizio tributario federale.

Poi, nel seguente capoverso, il quotidiano di Londra butta lì una frase: «Il crollo dell’edificio ha anche spazzato via l’Ufficio per la Gestione dell’Emergenza del comune di New York al 23 mo piano». Questo centro di gestione delle emergenze è una delle cose più sospette di tutta la vicenda, anche se il FT non lo dice.

Il sindaco Rudolph Giuliani lo fece costruire adducendo il timore di un attacco all’antrace su New York, da parte di... Saddam Hussein. Perciò lo volle resistente agli aggressivi biologici e chimici, oltre che a bombe e a proiettili d’artiglieria. Era un vero e proprio bunker, che occupava tre piani del Building 7 (dal 23 al 25mo), completamente corazzato ed autosufficiente: finestre anti-proiettile, tre generatori d’elettricità con 6 mila galloni di gasolio per farli funzionare, una sua propria scorta d’aria sì da non doverla ricevere dall’esterno, una riserva d’acqua potabile di 11 mila galloni. Il bunker fu completato, guarda la preveggenza, nel giugno del 1999, al costo per il contribuente di 13 milioni di dollari.

Un bunker super-sicuro. Tranne un piccolo, trascurabile dettaglio: l’Edificio 7 nascondeva, nei suoi primi cinque piani, una sotto-stazione dell’elettricità di New York, con trasformatori colossali da 13.890 volts e un serbatoio di gasolio per la stazione da 42 mila galloni. Mettere un bunker sopra trasformatori enormi e un mare di carburante, e ritenerlo sicuro dagli attentati terroristici, sembra un pochino strano.

Secondo il movimento per la verità sull’11 settembre, questo bunker servì in realtà come cabina di regia per le pirotecniche esplosioni e demolizioni che configurarono il mega-attentato di quel giorno: i registi, chiunque fossero, potevano sincronizzare le esplosioni da una qualche console e osservare l’effetto dalle finestre corazzate, molto da vicino, senza essere soffocati dalle nubi di polveri e detriti perchè disponevano di aria in circuito chiuso. Per Eric Hufschmid, uno dei primi a sollevare la questione (2), in quel bunker poteva esserci stato anche un radiofaro (un «homing device») che guidò i due aerei che colpirono le due Torri.

Lo si indovina dalle rotte dei due apparecchi: il Volo 11, che colpì la Torre Nord passò direttamente sopra l’Edificio 7, e il volo 175 dirigeva verso l’Edificio 7, ma incontrò la Torre Sud.
Ciò può spiegare come mai, a cose fatte, l’Edificio 7 doveva essere distrutto: per far sparire le prove della regia.


Un'immagine interessante: l'edificio 5 in fiamme (sinistra) non crollerà; l'edificio 7 (destra) crollerà invece poco dopo.

Il Financial Times ricorda i sospetti sollevati dalla frase di Larry Silverstein, il proprietario per 99 anni del WTC: intervistato il pomeriggio, egli disse d’aver consigliato il comandante dei vigili del fuoco di «pull» l’Edificio 7. Più tardi Silverstein spiegò che aveva inteso: porta via i tuoi vigili da lì. I sospettosi dicono che «pull it» è la parola che nel gergo delle demolizioni controllate significa «tiralo giù».

Il giornale britannico ricorda che il National Institute of Standard and Technology (NIST), l’ente governativo che ha preteso di spiegare il collasso delle Torri come conseguenza dell’impatto degli aerei, escludendo ogni mistero, non ha ancora spiegato a modo suo il crollo dell’Edificio 7. «Il NIST sostiene che il ritardo è dovuto alla complessità del modello computerizzato che usa. Inoltre, sono state trovate 80 scatole di documenti riguardanti il WTC7 che devono essere esaminate».

Ma il NIST ha già «un’ipotesi di lavoro», e sarebbe questa: «Il fuoco o macerie infiammate staccatesi dalla Torre Nord hanno danneggiato una colonna critica per il sostegno del tetto di 2 mila metri quadri. I piani sottostanti sono stati incapaci di redistribuire il peso e la struttura è caduta su se stessa. Il fatto che il collasso sia stato causato da un danno interno spiegherebbe l’apparenza di demolizione controllata, con un campo di caduta piccolo».

Il NIST ha promesso di pubblicare i dati il prossimo agosto, dice il Financial Times. Ma naturalmente, «questo ha alimentato il sospetto che i tecnici abbiano difficoltà a tirar fuori un sepistaggio plausibile» per il crollo. Vedrete che quando il rapporto del NIST uscirà, tutti i debunker, a cominciare da Introvigne, si precipiteranno a citarlo come «autorevole» e non solo «plausibile», ma tale da smentire i «complottisti». Sette anni sono passati, e siamo ancora a questo punto.

Saremo alluvionati di dettagli tecnici sulla resistenza dei materiali, la temperatura del fuoco, i modelli computerizzati che mostrano come i pavimenti siano caduti l’uno sull’altro a fisarmonica... Siccome tutto questo ha quasi convinto qualche lettore che ci ha recentemente scritto, ci limitiamo a ricordare quello che, in sette anni, non è stato ancora messo in luce.

Credere che un grattacielo alto mezzo chilometro, colpito «lateralmente» da un aereo, crolli «verticalmente» dentro il suo perimetro, significa ignorare le più banali leggi della fisica e sfidare la forza di gravità. A sette anni dai fatti, chi ancora ne discute è in malafede. Però può avvenire, diranno i debunker. Forse, una volta. Ma due, anzi tre volte, con l’Edificio 7?

Quando a Las Vegas un giocatore, lanciando i dadi, ottiene tre volte 6, il croupier chiama al telefono il gestore del casinò, e due signori molto muscolosi si affiancano al giocatore fortunato dai due lati: evidentemente a Las Vegas non credono alla sorte, quando è ripetitiva.


Questa immagine difatti mostra l'edificio 5 «completely charred» ma in piedi (destra) e l'edificio 7 (sinistra) «pull it»

Ora, noi dobbiamo credere che per ben tre volte due torri colpite di lato sono cadute in verticale, e la terza, Edificio 7, è caduta da sè senza essere nemmeno colpita, per un «danno interno»: e anch’essa in perfetta verticale, come in una demolizione controllata.

Se il caso si ripete così regolarmente, s’impone la domanda: come mai gli ingegneri specialisti spendono tanti soldi e tempo per identificare gli snodi dove piazzare le cariche esplosive, e in calcoli per sincronizzare le esplosioni, onde ottenere la caduta verticale? Ormai dovrebbero essere coscienti della nuova legge fisica: diano una bella botta laterale, anche a casaccio, e il grattacielo cade comunque in verticale. Tutta la fatica degli ingegneri specialisti sta nell’assicurare una perfetta «sincronia» dello scoppio delle varie cariche. I pilastri e le strutture portanti devono essere spezzati nello stesso decimo di secondo, altrimenti il grattacielo cade di lato, abbattendo le costruzioni sottostanti. L’impresa richiede chilometri di cavi, una quantità di inneschi elettronici, sofisticati sotware, una sofisticata consolle elettronica di comando e molte conoscenze tecniche complesse.

Ora, invece, siamo tenuti a credere che un aereo, penetrando nei piani alti delle Towers, ha tranciato contemporaneamente le ben 47 colonne d’acciaio che le reggevano. Colonne a scatolato (parallelepipedi) di spessore variabile; ma alla base le scatole avevano lati spessi 10 centimetri d’acciaio, per poi assottigliarsi via via con l’altezza, dovendo reggere un peso via via minore.

Ora, un aereo è d’alluminio, è vuoto, è leggero (tranne le turbine-motore, che sono massicce): se credete che tagli blocchi d’acciaio, allora provate a tagliare il pane con una lama di carta stagnola. Ma soprattutto, non può averle tranciate «nello stesso istante». Anche questo è contro alle più ovvie leggi della fisica. Sono passati sette anni, e nessun fenomeno del genere s’è mai più ripetuto. Nè mai si è verificato sette anni prima, o dieci, o venti. Fin qui l’elenco delle «impossibilità».


La torre 7 dopo l’ordine di «pull it»: una demolizione controllata a regola d’arte

Adesso - a beneficio dei lettori che si lasciano ancora convincere dalle «spiegazioni tecniche» degli Introvigne ed Altissimo - esponiamo le ipotesi. Si tratta di ipotesi, non di certezze: ma a sette anni di distanza, il quadro nelle menti dei ricercatori della verità sull’11 settembre è abbastanza avanzato, da poterle dichiarare come plausibili.

Gli aerei non hanno fatto crollare nulla: sono stati lanciati contro le Torri solo per la scena televisiva, per asserire plausibilmente un attentato islamista. In realtà, le Torri erano state in precedenza «preparate» con cariche esplosive. Più precisamente: con un composto bellico detto Termite, che quando innescato brucia a quasi 3 mila gradi, abbastanza da fondere l’acciaio. La Termite è usata nelle cariche cave delle armi anticarro per perforarne le corazzature.

Il professor Steven Jones, docente di fisica alla Brigham Young University, è l’autore di questa ipotesi ed ha condotto gli esperimenti relativi. Ha perso la cattedra. Ciò però, ribattono i debunker, implicherebbe settimane di lavoro da parte di decine di tecnici: cosa impossibile senza dar nell’occhio.

I debunker non hanno mai visto le Twin Towers e non dicono - o non sanno - che cosa erano. Erano locali per uffici a noleggio. In ogni momento, qualche azienda faceva trasloco in entrata o in uscita.

Nelle viuzze posteriori, il sottoscritto ha visto regolarmente, ogni volta che tornava a Manhattan, una quantità di autocarri di traslochi che scaricavano colli voluminosi e coperti da teli grigi scrivanie, computer, poltrone, mobili da ufficio o qualunque altro oggetto - su è giù dagli ascensori di servizio (il totale degli ascensori e montacarichi era di 155); un viavai di facchini dei traslochi di tante ditte diverse, che portavano su i mobili per i nuovi inquilini, o portavano giù quelli dei vecchi che lasciavano gli edifici.

Come si ricorderà forse, la polizia di New York - su segnalazione di una cameriera messicana - arrestò cinque giovanottoni visti dalla cameriera festeggiare l’esplosione dlele Torri, fotografandosi a vicenda con alle spalle le Torri in fiamme; questi giovanotti, tutti israeliani appena dimessi dal servizio militare, lavoravano come facchini per un’agenzia di traslochi, al Urban Moving Systems, di proprietà di un israeliano, tuttora ricercato. Niente di più plausibile del sospetto che fossero la bassa forza: alcuni di quelli che avevano trasportato i materiali necessari all’attentato, esplosivo e cavi, in forma di colli voluminosi e coperti da teli. Il fatto che fossero stranieri spiega alquante cose: fra cui il fatto che nessuno parli. Chi sa, è tornato in Israele e tace. Quei cinque, beccati perchè festeggiavano, sono stati «espulsi verso Israele» (sottratti alle indagini) dal procuratore di New York, l’israelo-americano Michael Chertoff, con doppia cittadinanza, oggi ministro della Homeland Security. Se vi aspettate che un giorno parli lui, avrete da aspettare parecchio.

Quanto agli ingegneri, è ben probabile che siano militari espertissimi di esplosivi, abituati ad eseguire operazioni «coperte» e a tener la bocca chiusa. Potevano anche essere israeliani tutti, e tutti uccel di bosco. Nei piani sfitti e in attesa di nuovi pigionanti - aziende per lo più - altri uomini lavoravano a stendere moquettes, ad alzare pareti di cartongesso, ad adeguare gli impianti elettrici: decine di tecnici potevano usare fiamma ossidrica e martelli pneumatici senza che in questo, nessuno della «security» avrebbe visto nulla di strano: era la vita di ogni giorno dentro le Twin Tower, nelle entrate posteriori di servizio, fuori dagli sguardi del pubblico. Quelle strade laterali erano spesso chiuse al passaggio della gente da transenne. Che recavano cartelli del tipo: «Scusateci, stiamo lavorando per voi», «Carichi pendenti», «Men at work». Questo accadeva tutti i giorni.

Si aggiunga che la «security» delle Twin Towers, l’11 settembre, non era quella solita: il capo era nuovo, era stato appena assunto da un giorno. Era John O’Neill, ex alto funzionario del FBI, che s’era dimesso ad agosto gridando ai quattro venti che la nuova amministrazione Bush ostacolava le ricerche su bin Laden e Al Qaeda. O’Neill è morto sotto le macerie, il primo giorno del suo nuovo impiego. La preparazione possibile degli edifici per la demolizione controllata, se è avvenuta, era avvenuta prima che lui entrasse in servizio.

Si aggiunga ancora che «la maggior parte» dei piani erano sfitti, dunque vuoti (le Twin Tower avevano costi proibitivi; per questo Rudolph Giuliani voleva farle abbattere per costruire al loro posto edifici più moderni). Dentro quei piani vuoti, ci poteva lavorare ogni genere di «operai e tecnici», dopo aver chiuso le porte.

E tralascio altri particolari, come l’interruzione programmata di corrente il giorno prima, di cui
i pigionanti furono preavvertiti: molte aziende dovettero fare il back-up dei loro computer, qualcuno se lo ricordò. Uno di quei qualcuno, un esperto di finanza, ha preferito andare a lavorare a Londra. Massimo Mazzucco ha una sua intervista-video.

Questa è l’ipotesi. Sette anni dopo, è bene che i lettori comincino a saperla. Ormai, comincia a dire qualcosa anche il Financial Times.
M. Blondet

11 giugno 2008

L'economie delle bolle speculative


“La strategia Usa dovrebbe avere come scopo, sopra ogni altra cosa, la rimozione dal potere del regime di Saddam Hussein”.... [La sua rimozione è assolutamente vitale per] “la sicurezza del mondo nella prima parte del ventunesimo secolo” e per “la sicurezza delle truppe americane nella regione, dei nostri amici e alleati come Israele e i paesi arabi moderati, e di una porzione significativa delle riserve mondiali di petrolio”.
Lettera del 26 gennaio 1998, indirizzata al presidente Bill Clinton dai neoconservatori.

[Sugli iracheni] “Se accenderanno il loro radar faremo esplodere i loro fottuti missili. Loro sanno che siamo padroni del loro paese. Possediamo il loro spazio aereo... Noi dettiamo come devono vivere e parlare. Ed è questo che è fantastico per quel che riguarda l'America ora. È una buona cosa, specialmente dato che c'è un sacco di petrolio laggiù di cui abbiamo bisogno”.
Generale di brigata aerea Usa William Looney, comandante delle operazioni di volo americane e britanniche a sud del trentaduesimo parallelo sull'Iraq (no-fly zones), intervista pubblicata dallo Washington Post, il 30 agosto 1999 [citata nel libro di William Blum Rogue State, Common Courage Press, 2005, p. 159].

“Focalizzate le vostre operazioni sul petrolio, specialmente in Iraq e nel Golfo, dato che questo significherebbe la morte [dell'Occidente]” .
Osama bin Laden, dicembre 2004

“Gli alti prezzi del greggio non hanno alcuna relazione con la produzione o il consumo”... [Sono dovuti] “alla perdita di valore del dollaro” .
Mahmoud Ahmadinejad, presidente dell'Iran, aprile 2008.


L'economia americana sembra andare di bolla in bolla: nel 2000 c'era la bolla tecnologica; nel 2005 c'è stata la bolla immobiliare; ed oggi c'è la bolla del petrolio e dei beni. Di fatto l'intero mondo degli investimenti è oggi un gigantesco casinò dove comandano gli speculatori e i governi guardano dall'altra parte. Per molte materie prime commerciabili di base (riso, grano e mais) e beni (petrolio, gas, metalli), i prezzi non hanno alcuna relazione con il valore intrinseco di quanto viene commerciato. Tali prezzi sono in gran parte guidati da cattive politiche e dalla tecnica piramidale detta del “più folle” per cui i grandi speculatori off-shore navigano tramite i derivati non regolamentati per spingere sempre più in alto i prezzi sino a che la bolla non esplode. Nel frattempo possono venire create enormi distruzioni e le vite delle persone messe in pericolo o perse. L'attuale carestia in molti paesi è il risultato finale di tali manipolazioni del mercato approvate dai governi, dall'Opec e da un pugno di altri cartelli e di cosiddetti hedge fund speculativi.

E possibile che un'economia cresca e prosperi senza essere sempre sulle montagne russe? Di fatto, l'attuale esplosione del prezzo dei beni e del petrolio riflette reali spostamenti di domanda e offerta, come distruzioni delle forniture, o è anche, o persino soprattutto, guidata da fattori geopolitici e speculazioni finanziarie che alimentano una sempre più grande e insaziabile domanda artificiale?

È mia sensazione che il crollo del dollaro Usa sta avendo conseguenze economiche serie e non volute in tutto il mondo. Infatti una tale svalutazione da panico della valuta chiave più usata sta alimentando un enorme corsa di allontanamento dai depositi in dollari verso beni più solidi, come il petrolio, l'oro e altri beni. Banche centrali, aziende e individui stanno perdendo fiducia nel dollaro cartaceo, che si è andato deprezzandosi velocemente contro altre valute, ma il cui valore intrinseco ci si aspetta venga ulteriormente eroso dall'inflazione in arrivo che seguirà inevitabilmente l'attuale creazione di liquidità voluta dalla Fed. Tutti questi problemi sono interconnessi.

Ricordiamoci che il problema petrolifero negli Usa è largamente auto-inflitto dal momento che il governo Usa ha preferito allontanarsi da un'economia basata sull'autosufficienza e l'energia rinnovabile. Nel 1982, per esempio, il consumo giornaliero di petrolio negli Usa era stato abbattuto sino 9 milioni di barili al giorno, dai 14 milioni di barili al giorno precedenti allo shock petrolifero iniziato dall'Opec nel 1973. Dal momento che gli Usa stavano producendo circa 9 milioni di barili al giorno si può dire che l'economia americana allora era autosufficiente per quella forma di bisogno energetico. L'amministrazione Reagan cambiò tutto ciò: non più limiti di velocità a 55 miglia orarie; riduzione degli obblighi per i produttori di macchine di aumentare il numero di chilometri per litro; non più restrizioni, fiscali o di altro tipo, sull'acquisto di macchine divoratrici di benzina eccetera. Il risultato è che gli Stati Uniti, con meno del 5% della popolazione mondiale, consumano ora il 25% della produzione giornaliera di petrolio, circa 22 milioni di barili su 88 milioni di barili prodotti in tutto il mondo al giorno. Ed ecco il succo del problema: il 60% di quel petrolio deve essere importato. Per di più, per il mondo intero, il 60% delle importazioni di petrolio provengono dal medio oriente instabile. Questo è ciò che chiamiamo giocare col fuoco!

Perciò, dal momento che l'accesso a petrolio sotto controllo americano ha giocato una parte importante nella decisione da parte di Bush-Cheney di lanciare, nella primavera del 2003, una guerra non provocata contro l'Iraq allo scopo di trasformare quel paese sovrano in un protettorato petrolifero americano sotto la gestione di alcune grandi compagnie petrolifere anglo americane, si può dire che i semi per questa guerra illegale fossero stati sparsi durante l'amministrazione repubblicana di Reagan. Quando la filosofia della deregolamentazione era rampante e veniva salutata come un successo. Ma, come conseguenza, sono stati persi 25 preziosi anni per preparare l'economia Usa al momento in cui il petrolio sarebbe divenuto una fonte di energia scarseggiante. Ora quel momento è arrivato, ma siamo ancora nell'era dei veicoli Hummer che camminano solo grazie a grandi quantità di costoso petrolio importato con grossi rischi.


Infatti, negli Usa, vi sono tre macchine ogni quattro adulti e tali macchine sono più grandi e hanno motori più potenti che in qualunque altro paese del mondo. Se solo alcuni paesi, come Cina e India, volessero emulare gli Stati Uniti in questo, grazie alla crescita dei loro livelli di reddito, il consumo di petrolio al mondo più che raddoppierebbe. Ma senza riserve petrolifere note che vengano incontro a una tale incremento di domanda, i prezzi del petrolio salirebbero alle stelle distruggendo il potere d'acquisto dei consumatori e facendo crescere l'inflazione. Il risultato sarebbe un enorme crisi economica mondiale prima che possano essere sviluppate fonti di energia alternativa sfruttabili. Ciò richiederebbe 10 o 20 anni.

Siamo già a quel punto? Se non lo siamo ci stiamo muovendo velocemente verso il giorno del brusco risveglio, mentre governi complici che non fanno nulla sperano in un miracolo o in una qualche soluzione magica. Le maggiori conseguenze saranno la crescita dell'inflazione, guerre simili a quelle del diciannovesimo secolo per assicurarsi le risorse, e un rallentamento economico mondiale nella produzione e nel commercio. I prossimi 20 anni saranno interessanti per alcuni, ma richiederanno sacrifici per i più.

Rodrigue Tremblay è professore emerito di economia alla University of Montreal, può essere contattato all’indirizzo rodrigue.tremblay@yahoo.com. Visitate il suo blog www.thenewamericanempire.com/blog e il suo sito www.thenewamericanempire.com/ : E’ autore del libro 'The New American Empire' . Potete avere informazioni sul suo prossimo libro, “The Code for Global Ethics” sul sito www.TheCodeForGlobalEthics.com/

Titolo originale: " In a Casino Mentality, The Economy Goes From Bubble to Bubble"

Fonte: http://www.globalresearch.ca

La commissione Trilaterale decide, noi no


La Commissione Trilaterale (TC) - uno dei tre gruppi mondialisti più potenti nel mondo – ha tenuto un incontro a porte chiuse proprio qui a Washington, D.C. dal 25 al 28 aprile. Fedeli alla forma, quegli esponenti dei mezzi di informazione che sapevano della riunione - o erano loro stessi parti in causa – si sono rifiutati di discutere come sia andata la riunione o di riferire sui presenti. Fortunatamente, il redattore dell’AFP, Jim Tucker, era sulla scena per far uscire allo scoperto questo incontro clandestino.

I luminari che hanno partecipato alla riunione della Commissione Trilaterale a Washington hanno espresso fiducia sul fatto che hanno in mano tutti e tre i principali candidati alle presidenziali, i quali, nonostante le loro posizioni politiche, sosterranno le misure che mirano a rinunciare alla propria sovranità come il NAFTA e il "North American Union". "John ha sempre sostenuto il libero scambio, anche mentre faceva la campagna elettorale davanti ai leaders dell’unione ", ha detto qualcuno. "Hil e Barack stanno fingendo di essere scontenti su alcune cose, ma questo è solo atteggiamento politico. Sono saldamente per il sostegno ". Ci si riferiva al Senatore John McCain (R-Ariz.), Hillary Clinton (DN.Y.) e Barack Obama (D-Ill.).
La signora Clinton, hanno osservato, ha tenuto riunioni di strategia come First Lady su come ottenere dal Congresso l’approvazione del NAFTA "senza ulteriori modifiche". In qualità di presidente, hanno deciso, lei non farebbe altro che occuparsi di mettere i puntini sulle i.

In Canada il candidato Obama non ha negato la notizia che il suo primo consigliere economico, Austan Goolsbee, ha rassicurato i diplomatici canadesi che il senatore avrebbe mantenuto intatto il NAFTA e i suoi discorsi anti-commercio sarebbero solo "campagna retorica".

Impauriti da Paul

I "Trilateralisti", mentre sono fiduciosi di far fronte a qualsiasi potenziale presidente, pagano invece un enorme tributo a Ron Paul come uno scherzo ironico del destino, lanciando l’allarme che lui provocherà "significativi danni futuri".

Essi hanno espresso preoccupazione per il fatto che le manifestazioni di Paul hanno attratto moltitudini di giovani che si vanno ora formando una "loro idea politica". Vogliono che i repubblicani mettano pressione a Paul affinchè abbandoni ora e cessi i suoi raduni "educativi". Questo compito è stato affidato a Thomas Foley, ex portavoce della Casa Bianca.
Le ragioni per le quali la "campagna di educazione" condotta da Paul porta il terrone nei cuori della Trilaterale, sono evidenti. Paul si rifiuterebbe di restituire un solo grammo di sovranità degli Stati Uniti a una qualsivoglia organizzazione internazionale e la TC invece vuole il governo mondiale.
Paul porterebbe immediatamente a casa le truppe Usa dall'Iraq, dall’Afghanistan e da altre 130 "missioni di pace" per le Nazioni Unite in tutto il mondo. La TC vuole speculare sulla guerra e sul potere mondiale. Paul vorrebbe abolire la tassa federale sul reddito, al contrario la TC vuole aumentare su scala globale la tassa dovuta alle Nazioni Unite. Si è elaborato un ordine del giorno ufficiale con tutto ciò che Paul e i patrioti americani detestano: tasse più alte, più aiuti agli stranieri, più immigrazione, sia legale che illegale, negli Stati Uniti e nell’ "attraente Iran," tra gli altri.

L'America deve pagare la sua giusta quota?

I membri della Trilaterale si sono messi a lavorare sodo Sabato 26 aprile con un comitato di alto spessore chiamato " Politica estera e politica interna degli Stati Uniti: linee guida per una nuova amministrazione ".

Presiedeva il giornalista - ruffiano David Gergen, che nella sua rivista U.S News and World Report non scriverà nulla riguardo al TC. Tra i partecipanti vi erano anche Kenneth Duberstein, ex capo del personale della Casa Bianca per il Presidente Ronald Reagan; Strobe Talbot, presidente della Brookings Institution ed ex vice Segretario di Stato, e Joseph Nye, ex assistente segretario alla difesa. Henry Kissinger, ex segretario di Stato e da lungo tempo leader della Bilderberg, era presente nella lista come uno dei partecipanti. Ma un membro dello staff TC ha cancellato il suo nome dalla lista. Alcuni hanno pensato che avesse problemi di gola.

Questo gruppo ha consegnato i seguenti ordini al prossimo presidente: aumentare il sostegno straniero a tutti i livelli, perché "l'America non debba pagare la sua quota equa", pagare gli arretrati dovuti alle Nazioni Unite, consentire l’ingresso negli Stati Uniti a tutti gli immigrati che vogliono venire e concedere l’ "amnistia" per gli stranieri già presenti in situazione irregolare.

Poco, se non altro, è stato detto circa il fatto che i contribuenti americani pagano un quarto dei costi operativi delle Nazioni Unite e un terzo del costo delle 130 "missioni di pace" o sul fatto che gli immigrati provenienti dal Sud America deprimono i salari e qui una famiglia media di immigranti costa allo stato migliaia di dollari all'anno per il welfare, per la salute e altri "vantaggi".

Robert Zoellick, presidente della Banca mondiale e altro ragazzo di lungo corso della Bilderberg, manifestò ampiamente queste considerazioni in una "mielosa intervista" rilasciata ad un altro giornalista "da marciapiede", Lionel Barber, redattore del Financial Times, che obbedientemente non riporta nulla.

Lotta al riscaldamento; consentire gli immigrati

Ci sono stati degli incontri di "sottocommissione" sul "cambiamento climatico", su "acqua e strutture igienico-sanitarie" e su "migrazione e sviluppo." Questi sottogruppi hanno concordato che ogni nazione, in particolare gli Stati Uniti, dovrebbe spendere un mucchio di dollari per la lotta contro il "riscaldamento globale". Gli Stati Uniti dovrebbero spendere di più "perché gli americani sono la causa della maggior parte dell’inquinamento", ha affermato qualquno. Gli americani dovrebbero inviare più denaro a favore dell’Africa in modo che i nativi possono bere acqua pulita e lavarsi, hanno detto.

Antonio Garrigues Walker, presidente della Garrigues Abogadas y Asesores Tributarios, si è unito a Peter Sutherland, "rappresentante speciale per migrazione e sviluppo" del Segretario generale delle Nazioni Unite, nell’invitare gli Stati Uniti non solo a consentire una immigrazione illimitata, ma anche dare più soldi al Messico e ad altri paesi latini impoveriti. Era, in qualche modo, un loro "diritto" quello di avere più dollari USA. Sutherland è il presidente della British Petroleum e Goldman Sachs International. Egli è anche leader da lungo tempo della Bilderberg.

Il Blackout dei mezzi di informazione

Bill Emmott, un altro giornalista "mantenuto", ha parlato della "crescita dell’Asia" a una cena-ricevimento tenutasi presso lo Smithsonian American Art Museum. Emmott, ex redattore di The Economist, non riporterà alcuna notizia in proposito.
Domenica mattina, Robert Blackwill, ex vice consigliere per la sicurezza nazionale in Iraq, ha presieduto una tavola rotonda sul tema "coinvolgere l'Iran e costruire la pace nella regione del Golfo Persico." Per la prima volta, vi è stato dissenso. Blackwill ha cercato di interpretare su basi razionali l'invasione dell'Iraq. Altri dubitavano che Saddam Hussein fosse collegato agli attacchi terroristici del 11 Settembre o sia mai stato una minaccia nucleare. Blackwill ha detto che l'opzione militare rimane, ma spera che gli sforzi diplomatici abbiano successo.

Altri partecipanti sono stati Ray Takeyh del Council on Foreign Relations, che funziona come il ministero per la propaganda per la TC e la Bilderberg; Volker Perthes, capo del Istituto tedesco Internazionale per gli affari e la sicurezza, e Hitoshi Tanaka, ex vice ministro giapponese degli Affari Esteri.

Soldi, Altri soldi

Molti stranieri hanno richiesto agli USA più soldi durante un pranzo di comitato chiamato "opinioni degli europei e asiatici sulla politica estera e sicurezza degli Stati Uniti." I partecipanti sono stati Elisabeth Guigou, membro dell'Assemblea nazionale francese ed ex ministro per gli Affari europei e Han Sung-Joo, ex ministro degli Affari Esteri per la Corea del Sud.

Una sessione pomeridiana destinata alla "salute globale" con una maggiore richiesta di dollari derivanti dalle imposte americane. Una voce importante in questa causa è arrivata da Sylvia Mathews Burwell, presidente di Global Development Programs, Bill & Melinda Gates Foundation. Bill Gates ha frequentato almeno una riunione della Bilderberg.

Le scuse per l'Iraq; i piani per l'Iran

John Negroponte, vice Segretario di Stato degli USA, ha dedicato la cena serale al tema "le prospettive della politica estera per gli USA". Ancora una volta, si è cercato di dare una spiegazione razionale alle invasioni in Iraq e in Afghanistan e si è considerata come una possibilità l'invasione dell'Iran.

Lunedi mattina l’incontro finale ha affrontato la crisi finanziaria mondiale e ha visto la partecipazione di questi luminari: Robert Kimmitt, vice segretario del Tesoro degli Stati Uniti; Martin Feldstein, ex direttore del Consiglio dei consulenti economici del presidente; David Rubenstein, amministratore delegato di Carlyle Group; Naoki Tanaka, Presidente del Center for International Public Policy Studies e Sir Andrew Crockett, presidente della JP Morgan Chase International.

Tra questi, si è fatto un gran parlare sull "dovere" del governo degli Stati Uniti di "intervenire" a nome delle "istituzioni finanziarie sotto pressione." Poco o nulla è stato detto delle centinaia di migliaia di americani che stanno perdendo le loro case perché le istituzioni finanziarie li hanno indotti ad acquistare delle case che non potevano permettersi.

Durante tutto il fine settimana, non si è udita la minima voce di un americano a proposito delle esigenze del loro paese. Invece, ci sono stati sorrisi, saluti e applausi.

Il redattore della AFP James P. Tucker Jr è un giornalista di lungo corso che ha trascorso molti anni come membro della "élite" dei media a Washington. Dal 1975 egli ha avuto riconoscimenti generali, qui e all'estero, per la ricerca di storie "attuali" che segnalavano gli intrighi dei gruppi di potere mondiali come ad esempio il Gruppo Bilderberg. Tucker è autore di Jim Tucker's Diary Bilderberg [l’agenda Bilderberg di Jim Tucker, N.d.T.]. Illustrato con delle foto- molte mai pubblicate prima - il libro racconta le esperienze di Tucker nel corso dell’ultimo quarto di secolo alle riunioni della Bilderberg.

Fonte:www.globalresearch.ca

10 giugno 2008

11 settembre: il partiro dei dubbi avanza

Qualche giornalista comincia ad alzare la testa, Bush sta finendo il suo ultimo tour da presidente e, qualcuno comincia a slacciare le scarpe. Un odore terribile, di un mestiere che nega l'evidenza e mortifica la ragione. Per togliere qualche sassolino ci vuole ancora tempo. Chissà se li vedremo e li leggeremo. Chissà.

La domanda è vecchia, vecchissima. La novità è che, sette anni dopo l’11 settembre 2001, se la pone il Financial Times. L’evento è storico, e varrà la pena di segnarsi la data: 6 giugno 2008. Il più autorevole dei «mainstream media», dei grandi giornali, pone la domanda. Senza un plausibile motivo di attualità per rivangare quel momento .

Per tutti coloro che cercano la verità sull’11 settembre, l’Edificio 7 è il terzo grattacielo che collassò quel giorno. Un edificio di 47 piani, parte del complesso urbanistico World Trade Center, che crollò senza essere colpito da alcun aereo, nota il FT, «a velocità di caduta libera e nel suo perimetro», ossia in perfetta verticale. Il fatto più strano, rievoca il quotidiano finanziario, è che «la BBC riferì il crollo dell’Edificio 7 mezz’ora prima che avvenisse».

La giornalista Jane Standley stava apparendo in diretta, alle ore 4.45 pomeridiane, e annunciò il crollo della terza torre - e dietro di lei, sullo sfondo, si vedeva che la Torre 7 era ancora in piedi. Affondò solo 26 minuti dopo.

Per questo video, ripreso su YouTube, «il sito web della BBC è stato bombardato di domande ed accuse. Richard Porter, capo del notiziario internazionale della BBC, ha dovuto negare che la BBC recitava dal copione di Bush», scrive il Financial Times. Porter s’è giustificato adducendo la confusione di quel giorno. «La CNN aveva appena prima riferito di voci che un terzo edificio era crollato o stava per crollare». I sospetti dei sospettosi sono aggravati dal fatto che «Porter ha ammesso che la BBC non ha conservato le registrazioni originali di quel suo reportage».Non basta. Il Financial Times ricorda che l’Edificio 7 aveva «alcuni inquilini interessanti». La maggior parte dell’edificio era affittato alla Solomon Brothers, la banca. Ma il nono e decimo piano «erano occupati dal secret service». Ai tre piani superiori c’erano uffici della SEC, l’ente di controllo della Borsa (il WTC è a due passi da Wall Street).

Inoltre, «il New York Times riferì che l’edificio ospitava anche un ufficio segreto gestito dalla CIA e dedicato a spiare e reclutare diplomatici stranieri delle Nazioni Unite. La perdita della stazione ‘ha seriamente disorganizzato’ le operazioni d’intelligence», riportò il NYT. «La CIA condivideva un piano con il Dipartimento Difesa e con l’Internal Revenue Service», il servizio tributario federale.

Poi, nel seguente capoverso, il quotidiano di Londra butta lì una frase: «Il crollo dell’edificio ha anche spazzato via l’Ufficio per la Gestione dell’Emergenza del comune di New York al 23 mo piano». Questo centro di gestione delle emergenze è una delle cose più sospette di tutta la vicenda, anche se il FT non lo dice.

Il sindaco Rudolph Giuliani lo fece costruire adducendo il timore di un attacco all’antrace su New York, da parte di... Saddam Hussein. Perciò lo volle resistente agli aggressivi biologici e chimici, oltre che a bombe e a proiettili d’artiglieria. Era un vero e proprio bunker, che occupava tre piani del Building 7 (dal 23 al 25mo), completamente corazzato ed autosufficiente: finestre anti-proiettile, tre generatori d’elettricità con 6 mila galloni di gasolio per farli funzionare, una sua propria scorta d’aria sì da non doverla ricevere dall’esterno, una riserva d’acqua potabile di 11 mila galloni. Il bunker fu completato, guarda la preveggenza, nel giugno del 1999, al costo per il contribuente di 13 milioni di dollari.

Un bunker super-sicuro. Tranne un piccolo, trascurabile dettaglio: l’Edificio 7 nascondeva, nei suoi primi cinque piani, una sotto-stazione dell’elettricità di New York, con trasformatori colossali da 13.890 volts e un serbatoio di gasolio per la stazione da 42 mila galloni. Mettere un bunker sopra trasformatori enormi e un mare di carburante, e ritenerlo sicuro dagli attentati terroristici, sembra un pochino strano.

Secondo il movimento per la verità sull’11 settembre, questo bunker servì in realtà come cabina di regia per le pirotecniche esplosioni e demolizioni che configurarono il mega-attentato di quel giorno: i registi, chiunque fossero, potevano sincronizzare le esplosioni da una qualche console e osservare l’effetto dalle finestre corazzate, molto da vicino, senza essere soffocati dalle nubi di polveri e detriti perchè disponevano di aria in circuito chiuso. Per Eric Hufschmid, uno dei primi a sollevare la questione (2), in quel bunker poteva esserci stato anche un radiofaro (un «homing device») che guidò i due aerei che colpirono le due Torri.

Lo si indovina dalle rotte dei due apparecchi: il Volo 11, che colpì la Torre Nord passò direttamente sopra l’Edificio 7, e il volo 175 dirigeva verso l’Edificio 7, ma incontrò la Torre Sud.
Ciò può spiegare come mai, a cose fatte, l’Edificio 7 doveva essere distrutto: per far sparire le prove della regia.


Un'immagine interessante: l'edificio 5 in fiamme (sinistra) non crollerà; l'edificio 7 (destra) crollerà invece poco dopo.

Il Financial Times ricorda i sospetti sollevati dalla frase di Larry Silverstein, il proprietario per 99 anni del WTC: intervistato il pomeriggio, egli disse d’aver consigliato il comandante dei vigili del fuoco di «pull» l’Edificio 7. Più tardi Silverstein spiegò che aveva inteso: porta via i tuoi vigili da lì. I sospettosi dicono che «pull it» è la parola che nel gergo delle demolizioni controllate significa «tiralo giù».

Il giornale britannico ricorda che il National Institute of Standard and Technology (NIST), l’ente governativo che ha preteso di spiegare il collasso delle Torri come conseguenza dell’impatto degli aerei, escludendo ogni mistero, non ha ancora spiegato a modo suo il crollo dell’Edificio 7. «Il NIST sostiene che il ritardo è dovuto alla complessità del modello computerizzato che usa. Inoltre, sono state trovate 80 scatole di documenti riguardanti il WTC7 che devono essere esaminate».

Ma il NIST ha già «un’ipotesi di lavoro», e sarebbe questa: «Il fuoco o macerie infiammate staccatesi dalla Torre Nord hanno danneggiato una colonna critica per il sostegno del tetto di 2 mila metri quadri. I piani sottostanti sono stati incapaci di redistribuire il peso e la struttura è caduta su se stessa. Il fatto che il collasso sia stato causato da un danno interno spiegherebbe l’apparenza di demolizione controllata, con un campo di caduta piccolo».

Il NIST ha promesso di pubblicare i dati il prossimo agosto, dice il Financial Times. Ma naturalmente, «questo ha alimentato il sospetto che i tecnici abbiano difficoltà a tirar fuori un sepistaggio plausibile» per il crollo. Vedrete che quando il rapporto del NIST uscirà, tutti i debunker, a cominciare da Introvigne, si precipiteranno a citarlo come «autorevole» e non solo «plausibile», ma tale da smentire i «complottisti». Sette anni sono passati, e siamo ancora a questo punto.

Saremo alluvionati di dettagli tecnici sulla resistenza dei materiali, la temperatura del fuoco, i modelli computerizzati che mostrano come i pavimenti siano caduti l’uno sull’altro a fisarmonica... Siccome tutto questo ha quasi convinto qualche lettore che ci ha recentemente scritto, ci limitiamo a ricordare quello che, in sette anni, non è stato ancora messo in luce.

Credere che un grattacielo alto mezzo chilometro, colpito «lateralmente» da un aereo, crolli «verticalmente» dentro il suo perimetro, significa ignorare le più banali leggi della fisica e sfidare la forza di gravità. A sette anni dai fatti, chi ancora ne discute è in malafede. Però può avvenire, diranno i debunker. Forse, una volta. Ma due, anzi tre volte, con l’Edificio 7?

Quando a Las Vegas un giocatore, lanciando i dadi, ottiene tre volte 6, il croupier chiama al telefono il gestore del casinò, e due signori molto muscolosi si affiancano al giocatore fortunato dai due lati: evidentemente a Las Vegas non credono alla sorte, quando è ripetitiva.


Questa immagine difatti mostra l'edificio 5 «completely charred» ma in piedi (destra) e l'edificio 7 (sinistra) «pull it»

Ora, noi dobbiamo credere che per ben tre volte due torri colpite di lato sono cadute in verticale, e la terza, Edificio 7, è caduta da sè senza essere nemmeno colpita, per un «danno interno»: e anch’essa in perfetta verticale, come in una demolizione controllata.

Se il caso si ripete così regolarmente, s’impone la domanda: come mai gli ingegneri specialisti spendono tanti soldi e tempo per identificare gli snodi dove piazzare le cariche esplosive, e in calcoli per sincronizzare le esplosioni, onde ottenere la caduta verticale? Ormai dovrebbero essere coscienti della nuova legge fisica: diano una bella botta laterale, anche a casaccio, e il grattacielo cade comunque in verticale. Tutta la fatica degli ingegneri specialisti sta nell’assicurare una perfetta «sincronia» dello scoppio delle varie cariche. I pilastri e le strutture portanti devono essere spezzati nello stesso decimo di secondo, altrimenti il grattacielo cade di lato, abbattendo le costruzioni sottostanti. L’impresa richiede chilometri di cavi, una quantità di inneschi elettronici, sofisticati sotware, una sofisticata consolle elettronica di comando e molte conoscenze tecniche complesse.

Ora, invece, siamo tenuti a credere che un aereo, penetrando nei piani alti delle Towers, ha tranciato contemporaneamente le ben 47 colonne d’acciaio che le reggevano. Colonne a scatolato (parallelepipedi) di spessore variabile; ma alla base le scatole avevano lati spessi 10 centimetri d’acciaio, per poi assottigliarsi via via con l’altezza, dovendo reggere un peso via via minore.

Ora, un aereo è d’alluminio, è vuoto, è leggero (tranne le turbine-motore, che sono massicce): se credete che tagli blocchi d’acciaio, allora provate a tagliare il pane con una lama di carta stagnola. Ma soprattutto, non può averle tranciate «nello stesso istante». Anche questo è contro alle più ovvie leggi della fisica. Sono passati sette anni, e nessun fenomeno del genere s’è mai più ripetuto. Nè mai si è verificato sette anni prima, o dieci, o venti. Fin qui l’elenco delle «impossibilità».


La torre 7 dopo l’ordine di «pull it»: una demolizione controllata a regola d’arte

Adesso - a beneficio dei lettori che si lasciano ancora convincere dalle «spiegazioni tecniche» degli Introvigne ed Altissimo - esponiamo le ipotesi. Si tratta di ipotesi, non di certezze: ma a sette anni di distanza, il quadro nelle menti dei ricercatori della verità sull’11 settembre è abbastanza avanzato, da poterle dichiarare come plausibili.

Gli aerei non hanno fatto crollare nulla: sono stati lanciati contro le Torri solo per la scena televisiva, per asserire plausibilmente un attentato islamista. In realtà, le Torri erano state in precedenza «preparate» con cariche esplosive. Più precisamente: con un composto bellico detto Termite, che quando innescato brucia a quasi 3 mila gradi, abbastanza da fondere l’acciaio. La Termite è usata nelle cariche cave delle armi anticarro per perforarne le corazzature.

Il professor Steven Jones, docente di fisica alla Brigham Young University, è l’autore di questa ipotesi ed ha condotto gli esperimenti relativi. Ha perso la cattedra. Ciò però, ribattono i debunker, implicherebbe settimane di lavoro da parte di decine di tecnici: cosa impossibile senza dar nell’occhio.

I debunker non hanno mai visto le Twin Towers e non dicono - o non sanno - che cosa erano. Erano locali per uffici a noleggio. In ogni momento, qualche azienda faceva trasloco in entrata o in uscita.

Nelle viuzze posteriori, il sottoscritto ha visto regolarmente, ogni volta che tornava a Manhattan, una quantità di autocarri di traslochi che scaricavano colli voluminosi e coperti da teli grigi scrivanie, computer, poltrone, mobili da ufficio o qualunque altro oggetto - su è giù dagli ascensori di servizio (il totale degli ascensori e montacarichi era di 155); un viavai di facchini dei traslochi di tante ditte diverse, che portavano su i mobili per i nuovi inquilini, o portavano giù quelli dei vecchi che lasciavano gli edifici.

Come si ricorderà forse, la polizia di New York - su segnalazione di una cameriera messicana - arrestò cinque giovanottoni visti dalla cameriera festeggiare l’esplosione dlele Torri, fotografandosi a vicenda con alle spalle le Torri in fiamme; questi giovanotti, tutti israeliani appena dimessi dal servizio militare, lavoravano come facchini per un’agenzia di traslochi, al Urban Moving Systems, di proprietà di un israeliano, tuttora ricercato. Niente di più plausibile del sospetto che fossero la bassa forza: alcuni di quelli che avevano trasportato i materiali necessari all’attentato, esplosivo e cavi, in forma di colli voluminosi e coperti da teli. Il fatto che fossero stranieri spiega alquante cose: fra cui il fatto che nessuno parli. Chi sa, è tornato in Israele e tace. Quei cinque, beccati perchè festeggiavano, sono stati «espulsi verso Israele» (sottratti alle indagini) dal procuratore di New York, l’israelo-americano Michael Chertoff, con doppia cittadinanza, oggi ministro della Homeland Security. Se vi aspettate che un giorno parli lui, avrete da aspettare parecchio.

Quanto agli ingegneri, è ben probabile che siano militari espertissimi di esplosivi, abituati ad eseguire operazioni «coperte» e a tener la bocca chiusa. Potevano anche essere israeliani tutti, e tutti uccel di bosco. Nei piani sfitti e in attesa di nuovi pigionanti - aziende per lo più - altri uomini lavoravano a stendere moquettes, ad alzare pareti di cartongesso, ad adeguare gli impianti elettrici: decine di tecnici potevano usare fiamma ossidrica e martelli pneumatici senza che in questo, nessuno della «security» avrebbe visto nulla di strano: era la vita di ogni giorno dentro le Twin Tower, nelle entrate posteriori di servizio, fuori dagli sguardi del pubblico. Quelle strade laterali erano spesso chiuse al passaggio della gente da transenne. Che recavano cartelli del tipo: «Scusateci, stiamo lavorando per voi», «Carichi pendenti», «Men at work». Questo accadeva tutti i giorni.

Si aggiunga che la «security» delle Twin Towers, l’11 settembre, non era quella solita: il capo era nuovo, era stato appena assunto da un giorno. Era John O’Neill, ex alto funzionario del FBI, che s’era dimesso ad agosto gridando ai quattro venti che la nuova amministrazione Bush ostacolava le ricerche su bin Laden e Al Qaeda. O’Neill è morto sotto le macerie, il primo giorno del suo nuovo impiego. La preparazione possibile degli edifici per la demolizione controllata, se è avvenuta, era avvenuta prima che lui entrasse in servizio.

Si aggiunga ancora che «la maggior parte» dei piani erano sfitti, dunque vuoti (le Twin Tower avevano costi proibitivi; per questo Rudolph Giuliani voleva farle abbattere per costruire al loro posto edifici più moderni). Dentro quei piani vuoti, ci poteva lavorare ogni genere di «operai e tecnici», dopo aver chiuso le porte.

E tralascio altri particolari, come l’interruzione programmata di corrente il giorno prima, di cui
i pigionanti furono preavvertiti: molte aziende dovettero fare il back-up dei loro computer, qualcuno se lo ricordò. Uno di quei qualcuno, un esperto di finanza, ha preferito andare a lavorare a Londra. Massimo Mazzucco ha una sua intervista-video.

Questa è l’ipotesi. Sette anni dopo, è bene che i lettori comincino a saperla. Ormai, comincia a dire qualcosa anche il Financial Times.
M. Blondet