13 settembre 2010

Il bluff delle nuove regole bancarie


Ci siamo: a Basilea stanno per varare le nuove regole bancarie ed è già partito lo spin per dare l’impressione all’opinione pubblica che la lezione della grande crisi è stata imparata. Grandi analisi, titoli rassicuranti. Ma è un passo nella giusta direzione? Sono perplesso per questi motivi

1) La tempistica. In risposta a una crisi maturata negli anni 2000, ed esplosa nel bienno 2007-2008, le nuove norme entreranno in vigore il primo gennaio 2013 con un periodo di transizione destinato a concludersi nel 2018. Dov’è l’urgenza?

2) Le regole. Saranno inasprite le norme per le attività di trading, verrà aumentato il patrimonio, saranno creati dei cuscinetti per assorbire eventuali perdite. Ma non è contemplata la norma fondamentale ovvero la separazione tra banche d’affari e banche commerciali; dunque l’amiguità all’origine della crisi viene protratta.

3) I valori del capitalismo. Ovvero un sistema che offre l’opportunità di grandi profitti, ma contempla la possibilità del fallimento. Invece, con le nome di Basilea 3, come vengono chiamate in gergo, si sancisce, di fatto, il concetto di Too big to fail, troppo grandi per fallire: il sistema non vuole che le grandi banche possano uscire di scena e questo implica un aumento di fatto del lorto potere, reale sui mercati e di condizionamento della società.

4) Le rigidità. Basilea 2 ha fallito perchè ha posto vincoli molto rigidi, ma già obsoleti. I mercati finanziari evolvono a una velocità impressionante e gli operatori escogitano nuovi prodotti finanziari, sempre più complessi in ambiti e con caratteristiche che le norme in vigore nemmeno contemplano. Dunque nel 2018 norme così faticosamente elaborate saranno, con ogni probabilità, superate; nel frattempo però avranno messo in difficoltà tanti piccoli istituti, per i quali sarà complicato adeguarsi. in genere saranno ancor più burocratiche, ottuse, meccaniche le procedure per erogare prestiti, mutui o consigliare strategie di investimento.

Il risultato complessivo? Un rafforzamento delle grandi banche e dunque quello che di fatto già oggi un sistema bancario corporativo e tendenzialmente oligopolista; senza garantire una riduzione dei rischi sistemici.

Insomma, prevalgono i soliti noti.

O sbaglio?

di Marcello Foa

11 settembre 2010

Sbaraccare l'attuale teatrino di nani e ballerine

http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcR-yPatfhkkQt_9Rh0opnStBQaM2O9TyoN4Sw_UJw3F2Tti1P8&t=1&usg=__jTeAK6rMt5_NpqcTDrLEiPRSoaQ=


Attaccare Berlusconi per qualsiasi cosa accada in Italia è ormai uno sport nazionale. Precipita un asteroide? Colpa dell’attrazione gravitazionale della pelata mascherata di Berlusconi! Capita un alluvione? Responsabilità di Berlusconi e del menestrello Apicella che con le loro stonature fanno piangere le nuvole! Caduta dei capelli? Ça va sans dire, Berlusconi è l’alopecia! Problemi di erezione? Berlusconite acuta! Priapismo? Idem. Satirismo? E che ve lo dico a fare!
Suvvia ci vorrebbe un po’ di misura e di sana analisi dei fenomeni sociali per interpretare dinamiche oggettive e portatori soggettivi dei processi reali al fine di giungere ad una spiegazione meno banale dei malanni del Paese. Anche il Senatore Emilio Colombo, protagonista di una gloriosa stagione politica, se ovviamente paragonata alla vergognosa messa in scena attuale, compie uno scivolone accusando il Presidente del Consiglio di violare la sovranità popolare. Ed il vecchio Dc sbaglia due volte. In primo luogo perché, in questo preciso momento storico, a voler impedire al popolo di esprimersi sulla crisi di governo è il centro-sinistra, a partire proprio da una sua vecchia conoscenza, quel Giorgio Napolitano, attuale Presidente della Repubblica che - lui sì colpito dal virus dell’incontinenza esternativa - non si comporta in maniera imparziale. Napolitano sta cercando di dare una mano al suo polo lasciato in mano ad una simpatica casalinga emiliana che si è scelta un alias per la sua carriera politica: Pierluigi Bersani. Mi dispiace ma ho frequentato troppo il pensiero marxista per individualizzare certi fenomeni che sono sempre il risultato di una concatenazione di eventi e forze materiali, dipendenti solo in parte dalla volontà e dalla capacità dei singoli. In secondo luogo, Colombo sa perfettamente che l’Italia è diventato il Paese di Pulcinella perché non ha ancora fatto chiarezza sulle modalità con cui è stata licenziata la Prima Repubblica allorquando un’intera classe dirigente, che era almeno un centinaio di spanne al di sopra dei guitti politicanti di oggi, fu spazzata via da un’indagine giudiziaria eterodiretta da alcuni poteri forti nazionali e da manine d’oltreoceano (come sostiene Cirino Pomicino) per far posto a questa seconda Repubblica delle Banane. E chi volete che salisse al potere in detta situazione? La guida suprema dello Stato libero di Bananas. Chi sennò? E ci è andata pure bene perché qualora la gioiosa macchina da guerra occhettiana avesse realmente ottenuto i risultati sperati oggi saremmo governati da un esercito di zombies con i baffi che avrebbe fatto strame della dignità nazionale. Nel frattempo un bel incartamento con la scritta Italia è sul tavolo di Obama. Come riporta Dagospia:
“L'establishment Usa ha aperto il dossier della successione del Cavaliere e l'attenzione è diventata più forte dopo il viaggio in America di fine maggio di Giorgio Napolitano. Senza alcuna prova si è favoleggiata intorno a questa missione ed è circolata la voce che l'Amministrazione democratica avrebbe riempito le valige del Presidente della Repubblica con dossier pruriginosi sugli affari di Berlusconi con il beduino Gheddafi e l'amico Putin… agli occhi degli americani il business sulle armi e sull'energia con la Libia e con la Russia suonano striduli.” Inoltre, la nave italiana risulta così instabile, politicamente ed economicamente, che gli squali affamati l'hanno già circondata, a cominciare dal finanziere capobranco Soros che “a quanto risulta tiene d'occhio il caos sotto le stelle italiane. E questo suo interesse non va affatto trascurato perché l'uomo che ha appoggiato Solidarnosc e finanziato movimenti in Ucraina, Georgia e Bielorussia, potrebbe menare qualche colpetto a sorpresa durante una campagna elettorale con l'Italia nel mirino degli speculatori”. La truppa berlusconiana è avvisata…

Con questo pietoso background non posso che dar ragione a chi, tra i parlamentari del Pdl, dice che Berlusconi è un perseguitato perché inviso ai poteri forti e decotti di casa nostra ed esteri ai quali ha rotto le uova nel paniere nel ’94, cioè nel momento in cui questi avevano deciso di mandare i cattocomunisti al governo . Verissimo, per questo i "salotti buoni" e i loro addentellati d’oltreatlantico sono finiti ad arredare quel sepolcro imbiancato chiamato PD che non ha altro riferimento ideologico se non l’antiberlusconismo preconcetto. Ma l’uomo di Arcore ha i giorni contati e quando si toglierà di torno i suoi avversari non potranno più nascondersi dietro un dito. Cosa avranno allora da proporre al popolo italiano? Ve lo dico io: nulla condito con niente e sarà pure troppo. Ed ancora vedremo il Paese minacciato in ciò che ha di più prezioso, ovvero nella competenza di alcune sue imprese di punta in grado di dettare legge sui mercati esteri. Quanto tempo passerà prima di accusare l’Eni o Finmeccanica di non essere in possesso di un’etica umanitaria, di drogare la concorrenza e di subordinare il rispetto dei valori occidentali agli affari? Dopodiché ripartirà l’assalto alla diligenza con nuovi tentativi di scorporazioni e, perché no?, anche privatizzazioni. Ma nemmeno tale razzia soddisferà le loro esigenze vampiresche e con le mani ancora sporche di marmellata si getteranno sullo Stato per prosciugare le sue ormai logore mammelle. E così fino a quando l’Italia ormai sciupata esalerà l’ultimo respiro. Il quadro della situazione non lascia adito a dubbi, la sinistra, assistita dalla GF e ID, non elabora idee ma secerne odio e miseria politica a dismisura. Non è di sicuro questa la ricetta per risollevare il Paese. Ci vogliono forze fresche e uomini coraggiosi in grado di sbaraccare l'attuale teatrino di nani e ballerine che, da un versante all’altro dell’arco politico, sta mettendo in scena (e da quanti atti!) uno spettacolo penoso. Purtroppo l’orizzonte è ancora sguarnito e non si vede nessuno, con queste caratteristiche, in lontananza.

di Gianni Petrosillo

10 settembre 2010

Si può avere ancora fiducia in chi ci ha profondamente deluso?







«La fiducia è una cosa seria», recitava - molti anni fa - la pubblicità televisiva di una nota azienda produttrice di formaggi; e lo slogan era divenuto proverbiale.
Sì, la fiducia è una cosa seria; ma, come valore sociale, potremmo dire che le sue azioni sono scese, ultimamente, alquanto in ribasso.
Non è un caso che non se ne parli quasi più; altri valori l’hanno sostituita, nell’era della tecnologia imperante e dei rapporti umani sempre più anonimi e spersonalizzati: primi fra tutti, l’efficienza e la caccia al risultato, comunque e a qualsiasi prezzo.
Basterebbe dire che, tre o quattro generazioni fa, una stretta di mano fra contadini era sufficiente a sanzionare una transazione economica anche d’una certa importanza (relativamente parlando), come la compravendita di una mucca; non c’era bisogno di contratti, di firme e di notai: la parola data era garanzia più che sufficiente.
Oggi le cose stanno altrimenti, sia nei rapporti privati che in quelli professionali. Si promette con facilità, ma ci si cura pochissimo di mantenere; al punto che, quando ci s’imbatte in una persona veramente di parola, anche nelle piccole e piccolissime cose d’ogni giorno (che so, un elettricista che si presenti puntuale per eseguire un lavoro a domicilio), viene spontaneo provare un piacevole stupore e complimentarsi con l’interessato, come se avesse fatto qualche cosa di eccezionale: mentre non ha fatto altro che rispettare quanto convenuto.
Questo vuol dire che siamo messi male: non solo non c’è più fiducia reciproca, ma è venuta meno anche la reazione morale davanti ad un tale fenomeno; non ci si meraviglia, non ci si indigna più, non si protesta (a meno che si subisca un danno materiale rilevante); si tende sempre più ad una qualche forma di stoica rassegnazione.
In realtà, non dovrebbe essere così. Dovremmo continuare ad esigere il rispetto degli impegni presi, prima di tutto da parte di noi stessi e poi da parte degli altri. Il fatto è che ci stiamo abituando alla mancanza di affidabilità del prossimo perché, nel nostro intimo, sappiamo di essere diventati poco affidabili noi stessi. Dunque, la nostra stoica sopportazione del male comune nasce da una poco encomiabile indulgenza verso il nostro stesso scadimento morale.
Tale è il contesto in cui ci troviamo a vivere al giorno d’oggi. All’interno di un simile contesto, vale ancora la pena di domandarsi se sia possibile rinnovare la propria fiducia nei confronti di qualcuno che l’abbia profondamente delusa?
A nostro avviso, sì; e spiegheremo brevemente perché.
Abbiamo già accennato al fatto che non è cosa intellettualmente onesta pretendere la lealtà altrui, quando si è coscienti di esserlo poco; e la mancanza di lealtà incomincia da quella nei confronti di se stessi. Se si è poco leali con se stessi, se si ha la tendenza a raccontarsi delle storie per giustificare le proprie debolezze e le proprie colpe, allora è chiaro che si tenderà ad essere poco leali anche nei confronti del prossimo; e, talvolta, in perfetta “buona fede”: perché, se ci si autoinganna e ci si prende in giro da sé, non si sarà più nemmeno consapevoli di fare la stessa cosa nei confronti dell’altro.
Questo, dunque, è il primo punto da mettere bene in chiaro: se vogliamo poterci fidare degli altri, dobbiamo prima imparare ad essere onesti con noi stessi. Dobbiamo imparare a guardarci dentro senza trucchi e senza inganni, con assoluta trasparenza.; cosa non semplicissima e, comunque, alla quale siamo in genere poco abituati.
Il secondo punto da mettere in chiaro è che la fiducia che noi accordiamo agli altri, la diamo sulla base di una nostra valutazione di essi, che non è per nulla oggettiva: di fatto, quanto meno noi possediamo consapevolezza di noi stessi, tanto più abbiamo la tendenza a caricare l’altro di tutta una serie di aspettative, positive e negative, che risiedono solo nella nostra mente confusa.
Di conseguenza, succede che la delusine che noi proviamo per certi comportamenti dell’altro, tragga origine non da qualche cosa di reale, ma una nostra costruzione mentale che, non di rado, ha poco o nulla di fondato, e molto o moltissimo di immaginario. Prima di dire a noi stessi, pertanto: «Quella persona mi ha deluso, non crederò mai più in lei», forse faremmo bene a riflettere se la nostra delusione sia davvero giustificata.
Gli altri - è una verità perfino lapalissiana - vanno considerati per quello che sono, non per quello che noi vorremmo che fossero o crediamo che siano. Se noi sovrapponiamo alla loro immagine una immagine deformata, creata dai nostri bisogni e dai nostri timori, è certo che il nostro incontro con essi avverrà su un piano sbagliato e sarà fonte di malintesi, delusioni e, probabilmente, amarezze; ma di chi sarà la responsabilità di tutto questo: loro o nostra?
Se poi si voglia obiettare che, a rigor di termini, conoscere l’altro per quello che è realmente, risulta cosa impossibile, noi, sul piano, filosofico, consentiremo volentieri ad una simile obiezione: fedeli al motto berkeleiano «Esse est percipi», «essere è essere percepito», siamo profondamente convinti che tutto quello che possiamo sapere sugli altri, così come su ogni cosa che entri nel nostro campo esperienziale, non è altro che una operazione della nostra mente, la quale non può esperire le cose se non all’interno di se stessa e con tutti i limiti che da ciò derivano.
Per sapere come è fatta la parte posteriore della Venere di Milo, devo girarci attorno; oppure devo montare su una scala e così vederne, ma solo imperfettamente, entrambi i lati con un unico colpo d’occhio; a quel, punto, però, ci sarà un’altra prospettiva che mi sfuggirà irrimediabilmente, quella dal basso. Insomma, noi non possiamo mai conoscere le cose nella loro totalità; e se ciò vale per gli oggetti fisici, a maggior ragione vale per le esperienze di ordine psicologico. Noi possiamo vedere gli altri in base a come si comportano ora, in questo preciso istante: nulla possiamo dire, tuttavia, di un minuto fa o fra un altro minuto, se un minuto fa non c’eravamo e se fra un altro minuto saremo altrove.
Senza dubbio, le uniche esperienze “totali” (ma sempre relativamente parlando) che ci siano concesse, almeno finché ci troviamo nella presente condizione di esistenza, sono quelle di ordine puramente astratto: quelle di tipo logico-matematico e quelle di tipo spirituale e mistico; e le seconde ben più delle prime.
Con la logica matematica, infatti, noi possiamo cogliere l’essenza delle cose, ma solo partendo da una nostra operazione mentale che, di astrazione in astrazione, riesce a cogliere i nessi necessari fra determinate categorie concettuali (numeri, ad esempio, o classi di enti); mentre nella meditazione profonda e nell’estasi mistica è la realtà ultima che ci viene incontro e ci si apre davanti, inondandoci del suo ineffabile splendore, non perché noi abbiamo bussato con la nostra “ratio”alla sua porta, ma, al contrario, perché abbiamo compiuto un gesto di radicale umiltà, abbandonandoci interamente al flusso dell’Essere e svuotando la mente di ogni pensieri, a cominciare da quello, onnipervasivo ed estremamente petulante, del nostro stesso Ego.
Ma non è questa la sede per approfondire un tale argomento e, de resto, ci siamo già occupati di esso in numerose altre occasioni; per cui ritorniamo al nostro interrogativo iniziale: se, cioè, sia possibile avere ancora fiducia in qualcuno che ci abbia profondamente deluso.
Essendo consapevoli che noi non potremo mai conoscere veramente l’altro e che, spesso, non solo la nostra ragione, ma anche il nostro intuito falliscono, dobbiamo mettere nel conto, sin dall’inizio, che determinati suoi comportamenti ci possono deludere, ferire, amareggiare.
Al tempo stesso, e più in generale, dobbiamo mettere nel conto l’elemento della debolezza umana: in presenza di determinate circostanze, infatti, anche l’uomo la donna migliori possono venir meno al loro senso del dovere e soggiacere alle tentazioni del proprio egoismo, ivi compresa quella particolare forma di egoismo che è la paura, ossia l’anteporre la preoccupazione per sé stessi a quella per ciò che sarebbe giusto e doveroso fare.
Il cristianesimo possiede un termine specifico per indicare questa debolezza fondamentale, questa ferita originaria che deturpa l’anima umana e fa sì che neppure il migliore degli uomini possa dirsi completamente privo di inclinazioni al male: “peccato originale”. Il vero discrimine fra chi possiede un’anima religiosa e chi non la possiede è, in realtà, proprio questo: non il fatto di credere o non credere in Dio, ma il fatto di credere o non credere a una debolezza costitutiva che impedisce all’uomo di considerarsi egli stesso perfetto.
La credenza in Dio è un passo successivo: se l’uomo riconosce il proprio limite ontologico, la propria ferita strutturale (che può essere successiva a una “caduta”, come insegna appunto il cristianesimo, oppure originaria nel senso più completo), allora è possibile che egli si rivolga all’Essere da cui deriva e in cui non può esservi limite né imperfezione; se non lo riconosce, allora non riconoscerà nulla di più grande ed egli stesso sarà tentato di farsi Dio.
Dunque: noi crediamo che la natura umana sia ferita; che abbia smarrito il senso della perfezione, ossia della totalità; che non sia in grado, con le sole proprie forze, di sanare tale ferita e di tornare «a riveder le stelle», ossia a contemplare il proprio Cielo così come, forse, era in condizioni di fare prima dell’evento della “caduta”.
Di conseguenza, sarebbe assurdo pretendere che l’altro essere umano non ci deluda mai, non si mostri mai impari alle nostre aspettative: anche se tali aspettative non fossero sovente, come sono, sproporzionate e anche se noi fossimo in grado di giudicare obiettivamente le persone alle quali desideriamo aprire il nostro cuore.
A questo punto entra in gioco un concetto nuovo, quello del perdono: perché è impossibile continuare a vivere, dopo aver sopportato ripetute delusioni (e tutti, prima o poi, ne facciamo l’esperienza), senza maturare la capacità di perdonare coloro che ci hanno deluso e ferito e, prima ancora, senza la capacità di perdonare noi stessi, che ci siamo messi nelle condizioni di venire delusi e feriti così profondamente.
Infatti, a ben guardare, molto spesso l’incapacità di perdonare gli altri deriva dalla incapacità di perdonare se stessi: sono ben pochi coloro i quali, dopo aver vissuto una grossa delusione sul piano della fiducia verso il prossimo, non finiscano per incolpare se stessi, magari in maniera inconsapevole e, quindi, tanto più rabbiosa e disperata, in quanto la loro sofferenza non trova lo spazio per acquistare consapevolezza di sé e liberarsi.
Ad esempio, l’anziano che è stato raggirato da un truffatore senza scrupoli e gli ha ceduto, con un atto di fiducia sconsiderata, tutti i suoi risparmi, non soffre solo per la perdita economica, ma anche per il senso di colpa e di vergogna dovuto al proprio comportamento ingenuo e sommamente credulo. Ebbene, un meccanismo perfettamente analogo avviene in tutte le circostanze che vedano in gioco l’esperienza della fiducia tradita, anche e soprattutto quando si tratti di una esperienza di tipo affettivo e sentimentale.
L’amante abbandonato si sente in colpa con se stesso (o con se stessa), sia per aver creduto alle ingannevoli parole d’amore, sia per non essere stato capace di ispirare un sentimento autentico da parte dell’altro. Di conseguenza, si sente un fallito (o una fallita) come persona e non semplicemente un essere umano che è incorso in un infortunio; si sente spogliato di ogni fiducia in se stesso, anche se spesso adotta strategie reattive che non lo lascerebbero minimamente immaginare, proprio per cercare di nascondere le tracce del proprio fallimento.
Basterebbe già solo questo per darci un’idea dell’immenso, tortuosissimo groviglio di sotterranee aspettative che noi ci portiamo dietro allorché instauriamo dei rapporti col prossimo, per metterci in guardia circa il fatto di saper giudicare rettamente sia coloro dei quali intendiamo fidarci, sia la nostra stessa delusione, allorché ci sentiamo traditi da loro.
In conclusione, il rimedio migliore contro le ferite della delusione è, da un lato, essere sempre consapevoli della fondamentale debolezza umana; dall’altro, imparare a perdonare sia le altrui debolezze, che le nostre.
L’importante è essere limpidi e onesti: con se stessi in primo luogo, indi con gli altri.
Se esiste questa condizione, non c’è ferita che non si possa sanare e non c’è offesa che non si possa, eventualmente, perdonare, per continuare a guardare avanti sulle strade della vita.
di Francesco Lamendola

13 settembre 2010

Il bluff delle nuove regole bancarie


Ci siamo: a Basilea stanno per varare le nuove regole bancarie ed è già partito lo spin per dare l’impressione all’opinione pubblica che la lezione della grande crisi è stata imparata. Grandi analisi, titoli rassicuranti. Ma è un passo nella giusta direzione? Sono perplesso per questi motivi

1) La tempistica. In risposta a una crisi maturata negli anni 2000, ed esplosa nel bienno 2007-2008, le nuove norme entreranno in vigore il primo gennaio 2013 con un periodo di transizione destinato a concludersi nel 2018. Dov’è l’urgenza?

2) Le regole. Saranno inasprite le norme per le attività di trading, verrà aumentato il patrimonio, saranno creati dei cuscinetti per assorbire eventuali perdite. Ma non è contemplata la norma fondamentale ovvero la separazione tra banche d’affari e banche commerciali; dunque l’amiguità all’origine della crisi viene protratta.

3) I valori del capitalismo. Ovvero un sistema che offre l’opportunità di grandi profitti, ma contempla la possibilità del fallimento. Invece, con le nome di Basilea 3, come vengono chiamate in gergo, si sancisce, di fatto, il concetto di Too big to fail, troppo grandi per fallire: il sistema non vuole che le grandi banche possano uscire di scena e questo implica un aumento di fatto del lorto potere, reale sui mercati e di condizionamento della società.

4) Le rigidità. Basilea 2 ha fallito perchè ha posto vincoli molto rigidi, ma già obsoleti. I mercati finanziari evolvono a una velocità impressionante e gli operatori escogitano nuovi prodotti finanziari, sempre più complessi in ambiti e con caratteristiche che le norme in vigore nemmeno contemplano. Dunque nel 2018 norme così faticosamente elaborate saranno, con ogni probabilità, superate; nel frattempo però avranno messo in difficoltà tanti piccoli istituti, per i quali sarà complicato adeguarsi. in genere saranno ancor più burocratiche, ottuse, meccaniche le procedure per erogare prestiti, mutui o consigliare strategie di investimento.

Il risultato complessivo? Un rafforzamento delle grandi banche e dunque quello che di fatto già oggi un sistema bancario corporativo e tendenzialmente oligopolista; senza garantire una riduzione dei rischi sistemici.

Insomma, prevalgono i soliti noti.

O sbaglio?

di Marcello Foa

11 settembre 2010

Sbaraccare l'attuale teatrino di nani e ballerine

http://t2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcR-yPatfhkkQt_9Rh0opnStBQaM2O9TyoN4Sw_UJw3F2Tti1P8&t=1&usg=__jTeAK6rMt5_NpqcTDrLEiPRSoaQ=


Attaccare Berlusconi per qualsiasi cosa accada in Italia è ormai uno sport nazionale. Precipita un asteroide? Colpa dell’attrazione gravitazionale della pelata mascherata di Berlusconi! Capita un alluvione? Responsabilità di Berlusconi e del menestrello Apicella che con le loro stonature fanno piangere le nuvole! Caduta dei capelli? Ça va sans dire, Berlusconi è l’alopecia! Problemi di erezione? Berlusconite acuta! Priapismo? Idem. Satirismo? E che ve lo dico a fare!
Suvvia ci vorrebbe un po’ di misura e di sana analisi dei fenomeni sociali per interpretare dinamiche oggettive e portatori soggettivi dei processi reali al fine di giungere ad una spiegazione meno banale dei malanni del Paese. Anche il Senatore Emilio Colombo, protagonista di una gloriosa stagione politica, se ovviamente paragonata alla vergognosa messa in scena attuale, compie uno scivolone accusando il Presidente del Consiglio di violare la sovranità popolare. Ed il vecchio Dc sbaglia due volte. In primo luogo perché, in questo preciso momento storico, a voler impedire al popolo di esprimersi sulla crisi di governo è il centro-sinistra, a partire proprio da una sua vecchia conoscenza, quel Giorgio Napolitano, attuale Presidente della Repubblica che - lui sì colpito dal virus dell’incontinenza esternativa - non si comporta in maniera imparziale. Napolitano sta cercando di dare una mano al suo polo lasciato in mano ad una simpatica casalinga emiliana che si è scelta un alias per la sua carriera politica: Pierluigi Bersani. Mi dispiace ma ho frequentato troppo il pensiero marxista per individualizzare certi fenomeni che sono sempre il risultato di una concatenazione di eventi e forze materiali, dipendenti solo in parte dalla volontà e dalla capacità dei singoli. In secondo luogo, Colombo sa perfettamente che l’Italia è diventato il Paese di Pulcinella perché non ha ancora fatto chiarezza sulle modalità con cui è stata licenziata la Prima Repubblica allorquando un’intera classe dirigente, che era almeno un centinaio di spanne al di sopra dei guitti politicanti di oggi, fu spazzata via da un’indagine giudiziaria eterodiretta da alcuni poteri forti nazionali e da manine d’oltreoceano (come sostiene Cirino Pomicino) per far posto a questa seconda Repubblica delle Banane. E chi volete che salisse al potere in detta situazione? La guida suprema dello Stato libero di Bananas. Chi sennò? E ci è andata pure bene perché qualora la gioiosa macchina da guerra occhettiana avesse realmente ottenuto i risultati sperati oggi saremmo governati da un esercito di zombies con i baffi che avrebbe fatto strame della dignità nazionale. Nel frattempo un bel incartamento con la scritta Italia è sul tavolo di Obama. Come riporta Dagospia:
“L'establishment Usa ha aperto il dossier della successione del Cavaliere e l'attenzione è diventata più forte dopo il viaggio in America di fine maggio di Giorgio Napolitano. Senza alcuna prova si è favoleggiata intorno a questa missione ed è circolata la voce che l'Amministrazione democratica avrebbe riempito le valige del Presidente della Repubblica con dossier pruriginosi sugli affari di Berlusconi con il beduino Gheddafi e l'amico Putin… agli occhi degli americani il business sulle armi e sull'energia con la Libia e con la Russia suonano striduli.” Inoltre, la nave italiana risulta così instabile, politicamente ed economicamente, che gli squali affamati l'hanno già circondata, a cominciare dal finanziere capobranco Soros che “a quanto risulta tiene d'occhio il caos sotto le stelle italiane. E questo suo interesse non va affatto trascurato perché l'uomo che ha appoggiato Solidarnosc e finanziato movimenti in Ucraina, Georgia e Bielorussia, potrebbe menare qualche colpetto a sorpresa durante una campagna elettorale con l'Italia nel mirino degli speculatori”. La truppa berlusconiana è avvisata…

Con questo pietoso background non posso che dar ragione a chi, tra i parlamentari del Pdl, dice che Berlusconi è un perseguitato perché inviso ai poteri forti e decotti di casa nostra ed esteri ai quali ha rotto le uova nel paniere nel ’94, cioè nel momento in cui questi avevano deciso di mandare i cattocomunisti al governo . Verissimo, per questo i "salotti buoni" e i loro addentellati d’oltreatlantico sono finiti ad arredare quel sepolcro imbiancato chiamato PD che non ha altro riferimento ideologico se non l’antiberlusconismo preconcetto. Ma l’uomo di Arcore ha i giorni contati e quando si toglierà di torno i suoi avversari non potranno più nascondersi dietro un dito. Cosa avranno allora da proporre al popolo italiano? Ve lo dico io: nulla condito con niente e sarà pure troppo. Ed ancora vedremo il Paese minacciato in ciò che ha di più prezioso, ovvero nella competenza di alcune sue imprese di punta in grado di dettare legge sui mercati esteri. Quanto tempo passerà prima di accusare l’Eni o Finmeccanica di non essere in possesso di un’etica umanitaria, di drogare la concorrenza e di subordinare il rispetto dei valori occidentali agli affari? Dopodiché ripartirà l’assalto alla diligenza con nuovi tentativi di scorporazioni e, perché no?, anche privatizzazioni. Ma nemmeno tale razzia soddisferà le loro esigenze vampiresche e con le mani ancora sporche di marmellata si getteranno sullo Stato per prosciugare le sue ormai logore mammelle. E così fino a quando l’Italia ormai sciupata esalerà l’ultimo respiro. Il quadro della situazione non lascia adito a dubbi, la sinistra, assistita dalla GF e ID, non elabora idee ma secerne odio e miseria politica a dismisura. Non è di sicuro questa la ricetta per risollevare il Paese. Ci vogliono forze fresche e uomini coraggiosi in grado di sbaraccare l'attuale teatrino di nani e ballerine che, da un versante all’altro dell’arco politico, sta mettendo in scena (e da quanti atti!) uno spettacolo penoso. Purtroppo l’orizzonte è ancora sguarnito e non si vede nessuno, con queste caratteristiche, in lontananza.

di Gianni Petrosillo

10 settembre 2010

Si può avere ancora fiducia in chi ci ha profondamente deluso?







«La fiducia è una cosa seria», recitava - molti anni fa - la pubblicità televisiva di una nota azienda produttrice di formaggi; e lo slogan era divenuto proverbiale.
Sì, la fiducia è una cosa seria; ma, come valore sociale, potremmo dire che le sue azioni sono scese, ultimamente, alquanto in ribasso.
Non è un caso che non se ne parli quasi più; altri valori l’hanno sostituita, nell’era della tecnologia imperante e dei rapporti umani sempre più anonimi e spersonalizzati: primi fra tutti, l’efficienza e la caccia al risultato, comunque e a qualsiasi prezzo.
Basterebbe dire che, tre o quattro generazioni fa, una stretta di mano fra contadini era sufficiente a sanzionare una transazione economica anche d’una certa importanza (relativamente parlando), come la compravendita di una mucca; non c’era bisogno di contratti, di firme e di notai: la parola data era garanzia più che sufficiente.
Oggi le cose stanno altrimenti, sia nei rapporti privati che in quelli professionali. Si promette con facilità, ma ci si cura pochissimo di mantenere; al punto che, quando ci s’imbatte in una persona veramente di parola, anche nelle piccole e piccolissime cose d’ogni giorno (che so, un elettricista che si presenti puntuale per eseguire un lavoro a domicilio), viene spontaneo provare un piacevole stupore e complimentarsi con l’interessato, come se avesse fatto qualche cosa di eccezionale: mentre non ha fatto altro che rispettare quanto convenuto.
Questo vuol dire che siamo messi male: non solo non c’è più fiducia reciproca, ma è venuta meno anche la reazione morale davanti ad un tale fenomeno; non ci si meraviglia, non ci si indigna più, non si protesta (a meno che si subisca un danno materiale rilevante); si tende sempre più ad una qualche forma di stoica rassegnazione.
In realtà, non dovrebbe essere così. Dovremmo continuare ad esigere il rispetto degli impegni presi, prima di tutto da parte di noi stessi e poi da parte degli altri. Il fatto è che ci stiamo abituando alla mancanza di affidabilità del prossimo perché, nel nostro intimo, sappiamo di essere diventati poco affidabili noi stessi. Dunque, la nostra stoica sopportazione del male comune nasce da una poco encomiabile indulgenza verso il nostro stesso scadimento morale.
Tale è il contesto in cui ci troviamo a vivere al giorno d’oggi. All’interno di un simile contesto, vale ancora la pena di domandarsi se sia possibile rinnovare la propria fiducia nei confronti di qualcuno che l’abbia profondamente delusa?
A nostro avviso, sì; e spiegheremo brevemente perché.
Abbiamo già accennato al fatto che non è cosa intellettualmente onesta pretendere la lealtà altrui, quando si è coscienti di esserlo poco; e la mancanza di lealtà incomincia da quella nei confronti di se stessi. Se si è poco leali con se stessi, se si ha la tendenza a raccontarsi delle storie per giustificare le proprie debolezze e le proprie colpe, allora è chiaro che si tenderà ad essere poco leali anche nei confronti del prossimo; e, talvolta, in perfetta “buona fede”: perché, se ci si autoinganna e ci si prende in giro da sé, non si sarà più nemmeno consapevoli di fare la stessa cosa nei confronti dell’altro.
Questo, dunque, è il primo punto da mettere bene in chiaro: se vogliamo poterci fidare degli altri, dobbiamo prima imparare ad essere onesti con noi stessi. Dobbiamo imparare a guardarci dentro senza trucchi e senza inganni, con assoluta trasparenza.; cosa non semplicissima e, comunque, alla quale siamo in genere poco abituati.
Il secondo punto da mettere in chiaro è che la fiducia che noi accordiamo agli altri, la diamo sulla base di una nostra valutazione di essi, che non è per nulla oggettiva: di fatto, quanto meno noi possediamo consapevolezza di noi stessi, tanto più abbiamo la tendenza a caricare l’altro di tutta una serie di aspettative, positive e negative, che risiedono solo nella nostra mente confusa.
Di conseguenza, succede che la delusine che noi proviamo per certi comportamenti dell’altro, tragga origine non da qualche cosa di reale, ma una nostra costruzione mentale che, non di rado, ha poco o nulla di fondato, e molto o moltissimo di immaginario. Prima di dire a noi stessi, pertanto: «Quella persona mi ha deluso, non crederò mai più in lei», forse faremmo bene a riflettere se la nostra delusione sia davvero giustificata.
Gli altri - è una verità perfino lapalissiana - vanno considerati per quello che sono, non per quello che noi vorremmo che fossero o crediamo che siano. Se noi sovrapponiamo alla loro immagine una immagine deformata, creata dai nostri bisogni e dai nostri timori, è certo che il nostro incontro con essi avverrà su un piano sbagliato e sarà fonte di malintesi, delusioni e, probabilmente, amarezze; ma di chi sarà la responsabilità di tutto questo: loro o nostra?
Se poi si voglia obiettare che, a rigor di termini, conoscere l’altro per quello che è realmente, risulta cosa impossibile, noi, sul piano, filosofico, consentiremo volentieri ad una simile obiezione: fedeli al motto berkeleiano «Esse est percipi», «essere è essere percepito», siamo profondamente convinti che tutto quello che possiamo sapere sugli altri, così come su ogni cosa che entri nel nostro campo esperienziale, non è altro che una operazione della nostra mente, la quale non può esperire le cose se non all’interno di se stessa e con tutti i limiti che da ciò derivano.
Per sapere come è fatta la parte posteriore della Venere di Milo, devo girarci attorno; oppure devo montare su una scala e così vederne, ma solo imperfettamente, entrambi i lati con un unico colpo d’occhio; a quel, punto, però, ci sarà un’altra prospettiva che mi sfuggirà irrimediabilmente, quella dal basso. Insomma, noi non possiamo mai conoscere le cose nella loro totalità; e se ciò vale per gli oggetti fisici, a maggior ragione vale per le esperienze di ordine psicologico. Noi possiamo vedere gli altri in base a come si comportano ora, in questo preciso istante: nulla possiamo dire, tuttavia, di un minuto fa o fra un altro minuto, se un minuto fa non c’eravamo e se fra un altro minuto saremo altrove.
Senza dubbio, le uniche esperienze “totali” (ma sempre relativamente parlando) che ci siano concesse, almeno finché ci troviamo nella presente condizione di esistenza, sono quelle di ordine puramente astratto: quelle di tipo logico-matematico e quelle di tipo spirituale e mistico; e le seconde ben più delle prime.
Con la logica matematica, infatti, noi possiamo cogliere l’essenza delle cose, ma solo partendo da una nostra operazione mentale che, di astrazione in astrazione, riesce a cogliere i nessi necessari fra determinate categorie concettuali (numeri, ad esempio, o classi di enti); mentre nella meditazione profonda e nell’estasi mistica è la realtà ultima che ci viene incontro e ci si apre davanti, inondandoci del suo ineffabile splendore, non perché noi abbiamo bussato con la nostra “ratio”alla sua porta, ma, al contrario, perché abbiamo compiuto un gesto di radicale umiltà, abbandonandoci interamente al flusso dell’Essere e svuotando la mente di ogni pensieri, a cominciare da quello, onnipervasivo ed estremamente petulante, del nostro stesso Ego.
Ma non è questa la sede per approfondire un tale argomento e, de resto, ci siamo già occupati di esso in numerose altre occasioni; per cui ritorniamo al nostro interrogativo iniziale: se, cioè, sia possibile avere ancora fiducia in qualcuno che ci abbia profondamente deluso.
Essendo consapevoli che noi non potremo mai conoscere veramente l’altro e che, spesso, non solo la nostra ragione, ma anche il nostro intuito falliscono, dobbiamo mettere nel conto, sin dall’inizio, che determinati suoi comportamenti ci possono deludere, ferire, amareggiare.
Al tempo stesso, e più in generale, dobbiamo mettere nel conto l’elemento della debolezza umana: in presenza di determinate circostanze, infatti, anche l’uomo la donna migliori possono venir meno al loro senso del dovere e soggiacere alle tentazioni del proprio egoismo, ivi compresa quella particolare forma di egoismo che è la paura, ossia l’anteporre la preoccupazione per sé stessi a quella per ciò che sarebbe giusto e doveroso fare.
Il cristianesimo possiede un termine specifico per indicare questa debolezza fondamentale, questa ferita originaria che deturpa l’anima umana e fa sì che neppure il migliore degli uomini possa dirsi completamente privo di inclinazioni al male: “peccato originale”. Il vero discrimine fra chi possiede un’anima religiosa e chi non la possiede è, in realtà, proprio questo: non il fatto di credere o non credere in Dio, ma il fatto di credere o non credere a una debolezza costitutiva che impedisce all’uomo di considerarsi egli stesso perfetto.
La credenza in Dio è un passo successivo: se l’uomo riconosce il proprio limite ontologico, la propria ferita strutturale (che può essere successiva a una “caduta”, come insegna appunto il cristianesimo, oppure originaria nel senso più completo), allora è possibile che egli si rivolga all’Essere da cui deriva e in cui non può esservi limite né imperfezione; se non lo riconosce, allora non riconoscerà nulla di più grande ed egli stesso sarà tentato di farsi Dio.
Dunque: noi crediamo che la natura umana sia ferita; che abbia smarrito il senso della perfezione, ossia della totalità; che non sia in grado, con le sole proprie forze, di sanare tale ferita e di tornare «a riveder le stelle», ossia a contemplare il proprio Cielo così come, forse, era in condizioni di fare prima dell’evento della “caduta”.
Di conseguenza, sarebbe assurdo pretendere che l’altro essere umano non ci deluda mai, non si mostri mai impari alle nostre aspettative: anche se tali aspettative non fossero sovente, come sono, sproporzionate e anche se noi fossimo in grado di giudicare obiettivamente le persone alle quali desideriamo aprire il nostro cuore.
A questo punto entra in gioco un concetto nuovo, quello del perdono: perché è impossibile continuare a vivere, dopo aver sopportato ripetute delusioni (e tutti, prima o poi, ne facciamo l’esperienza), senza maturare la capacità di perdonare coloro che ci hanno deluso e ferito e, prima ancora, senza la capacità di perdonare noi stessi, che ci siamo messi nelle condizioni di venire delusi e feriti così profondamente.
Infatti, a ben guardare, molto spesso l’incapacità di perdonare gli altri deriva dalla incapacità di perdonare se stessi: sono ben pochi coloro i quali, dopo aver vissuto una grossa delusione sul piano della fiducia verso il prossimo, non finiscano per incolpare se stessi, magari in maniera inconsapevole e, quindi, tanto più rabbiosa e disperata, in quanto la loro sofferenza non trova lo spazio per acquistare consapevolezza di sé e liberarsi.
Ad esempio, l’anziano che è stato raggirato da un truffatore senza scrupoli e gli ha ceduto, con un atto di fiducia sconsiderata, tutti i suoi risparmi, non soffre solo per la perdita economica, ma anche per il senso di colpa e di vergogna dovuto al proprio comportamento ingenuo e sommamente credulo. Ebbene, un meccanismo perfettamente analogo avviene in tutte le circostanze che vedano in gioco l’esperienza della fiducia tradita, anche e soprattutto quando si tratti di una esperienza di tipo affettivo e sentimentale.
L’amante abbandonato si sente in colpa con se stesso (o con se stessa), sia per aver creduto alle ingannevoli parole d’amore, sia per non essere stato capace di ispirare un sentimento autentico da parte dell’altro. Di conseguenza, si sente un fallito (o una fallita) come persona e non semplicemente un essere umano che è incorso in un infortunio; si sente spogliato di ogni fiducia in se stesso, anche se spesso adotta strategie reattive che non lo lascerebbero minimamente immaginare, proprio per cercare di nascondere le tracce del proprio fallimento.
Basterebbe già solo questo per darci un’idea dell’immenso, tortuosissimo groviglio di sotterranee aspettative che noi ci portiamo dietro allorché instauriamo dei rapporti col prossimo, per metterci in guardia circa il fatto di saper giudicare rettamente sia coloro dei quali intendiamo fidarci, sia la nostra stessa delusione, allorché ci sentiamo traditi da loro.
In conclusione, il rimedio migliore contro le ferite della delusione è, da un lato, essere sempre consapevoli della fondamentale debolezza umana; dall’altro, imparare a perdonare sia le altrui debolezze, che le nostre.
L’importante è essere limpidi e onesti: con se stessi in primo luogo, indi con gli altri.
Se esiste questa condizione, non c’è ferita che non si possa sanare e non c’è offesa che non si possa, eventualmente, perdonare, per continuare a guardare avanti sulle strade della vita.
di Francesco Lamendola