03 febbraio 2011

Alitalia... Ghe pensi mi...

Quando, correva l'anno 2008, l'Alitalia era in predicato per passare all'Air France, il governo Prodi aveva accettato di "chiudere" la vendita con la formula "visto e piaciuto" ... i francesi, cioè, si sarebbero accollati i 3 miliardi di debiti della nostra compagnia di bandiera ed i successivi costi di ristrutturazione, senza null'altro a pretendere.

L'Italia (ed in particolare il ministero dell'Economia, maggior azionista di Alitalia) sarebbe uscita da quel carrozzone sgangherato a costo zero, ed i francesi si impegnavano a non licenziare nessuno dei dipendenti.

Ma si era già in piena campagna elettorale e Silvio Berlusconi, in corsa per palazzo Chigi, agitò il "feticcio" dell'italianità della compagnia di bandiera: "l'Alitalia deve restare italiana ... e, una volta eletto presidente del consiglio, ghe pensi mi ...".

Arrivarono le elezioni, Berlusconi vinse con amplissimo margine e ... ci pensò lui: una cordata di imprenditori italiani guidati da Roberto Colaninno rilevò la "parte sana" dell'Alitalia, lasciando allo stato italiano i 3 miliardi di debiti e gli esuberi di personale.

"Ghe pensi mi" significò che, invece di uscire a costo zero (cedendo tutto ad Air France), lo Stato italiano ci rimise almeno 3 miliardi di euro (il conteggio, peraltro provvisorio, è del commissario liquidatore dell'Alitalia Augusto Fantozzi).

Quello fu il prezzo per mantenere italiana la compagnia di bandiera, ed il "pubblico pagante" (cioè Pantalone), nonostante l'alto costo del biglietto, applaudì calorosamente quell'operazione patriottica; i figli, si sa, 'so piezze 'e core e se hanno bisogno, non si bada a spese pur di preservarne l'onore e la dignità.

Applaudì anche la Lega, quella di Roma ladrona che, evidentemente, non riscontrò alcuna contraddizione tra il far pagare quei 3 miliardi anche ai suoi elettori del nord, e il mantenere "italiana" quella scassata compagnia aerea "romana". I leghisti, insomma, sull'altare di quella italianità che da anni predicavano di voler "frantumare", furono "lieti" di versare una parte cospicua di quei 3 miliardi. E lo fecero restando seri, senza che a nessuno passasse per la mente che era l'esatto contrario di quanto avevano fin li predicato (Roma ladrona, Padania indipendente ed Italia di merda). Gente furba e coerente questi leghisti.

Sia come sia, la nuova Alitalia restò italiana ... almeno a chiacchiere, ovvero le solite palle per bambini scimuniti.

Si perché il 12 gennaio 2009, la stessa Air France di cui sopra, quella che l'anno prima avrebbe dovuto farsi carico dei 3 miliardi di debiti della vecchia Alitalia e di tutto il personale della stessa, acquisiva il 25% del capitale e, di fatto, diventava il maggior singolo azionista della neonata compagnia aerea (nuova Alitalia).

Invece di farsi carico dei famosi 3 miliardi e del personale tutto, i francesi versarono 325 milioni e, come detto, con il 25% del capitale diventarono i maggiori azionisti ... (immaginatevi lo stupore di quei francesi di fronte a cotanta abilità negoziale degli italiani ...).

Allo Stato italiano, dunque, restarono i 3 miliardi di debiti e tutti gli esuberi della vecchia Alitalia e, udite udite, anche le eccedenze della Nuova Alitalia ... già perché, siccome anche adesso gli affari vanno maluccio, i francesi e Colaninno hanno appena deciso di mettere 1000 dipendenti in cassa integrazione ... che naturalmente vanno, anche loro, a carico di Pantalone.

Fantastico, no?

Potevamo uscirne per sempre a costo zero e, invece, dopo aver "sganciato" 3 miliardi per il privilegio di avere una compagnia aerea di bandiera (cosa che, di fatto, non è più neanche vera), adesso ci tocca pure pagarne la cassa integrazione.

Adesso, considerate l'aspetto sensazionale della faccenda: sull'Alitalia, la ricostruzione dell'Aquila e la spazzatura di Napoli, il centro destra stravinse le elezioni del 2008 ...??!! In quale altro magnifico paese può avvenire una cosa simile?

Il grande "successo" della nuova Alitalia ci sta costando circa 3.5 miliardi (considerando i costi successivi che si stanno aggiungendo) ... e, decenza vorrebbe, che gli artefici di tale "colpo di genio" venissero (almeno) a scusarsi per quella maestosa cazzata fatta a ragion veduta (era chiarissimo che sarebbe andata a finire così) ... invece, glissano, traccheggiano, oscurano ...

Ed il pubblico pagante?

Beh, non applaude più, anzi, per la verità si comincia a sentire qualche timido fischio che, però, rimane ancora isolato nella distaccata indifferenza dei più. Del resto, si sa, al pubblico tocca pagare anche se lo spettacolo non è stato all'altezza del prezzo del biglietto e, comunque, ognuno poi tornerà a casa sua e dimenticherà quanto avrà visto e sentito.

Ma la compagnia teatrale dovrà prendere qualche provvedimento, perché se il pubblico non applaude, si corre il rischio di trovarsi il teatro vuoto la prossima volta. Sicché sta già pensando ad altri ... ghe pensi mi ... magari più plateale.

Ed è proprio questo il brivido che dovrebbe attraversarci: altri due o tre successoni tipo Alitalia e, se tutto va bene, siamo rovinati.

Naturalmente accetto qualsiasi smentita purché documentata da numeri e fatti. Gli slogan, è ovvio, sono per i bambini scimuniti.

di G. Migliorino

02 febbraio 2011

Multinazionali, le società che distruggono lavoro in patria per trasferirlo all'estero


Le imprese multinazionali creano più industria e posti di lavoro? Neanche per sogno. Per sfatare questo luogo comune basta elaborare alcuni dati pubblicati da R&S. Prendiamo il campione delle multinazionali europee costruito dalla società di ricerche e studi di Mediobanca e osserviamone l'andamento nel decennio compreso tra il 1999 e il 2008. Scopriamo che un settore ad alto tasso di innovazione come quello meccanico, che nel '99 ha rappresentato il 31,6% del fatturato aggregato del campione, nel 2008 è sceso al 24,7%, mentre il settore petrolifero è salito nello stesso periodo dal 18,3% al 32,6 per cento. Sono risultati in discesa anche i settori chimico-farmaceutico (dal 17,4% al 14,5%), alimentare e bevande (dal 7,3% al 6,7%), elettronica (dal 6,5% al 5%), servizi (4,7% all'1,9%), carta (dal 2,2% all1,8%) e gomma e cavi (dall'1,4% all'1,2%). A parte il settore petrolifero-energetico, segnano una crescita anche l'acciaio (dal 4,7% al 5,8% del fatturato totale del campione), il cemento e il vetro (dal 2,3% al 3,4%) e il tessile (dallo 0,4% allo 0,5%).

Attenzione, però: quelli che hanno registrato la più alta crescita percentuale di fatturato - il petrolifero e il chimico-farmaceutico - hanno anche avuto la maggiore flessione dell'occupazione, rispettivamente del 7,7% e del 7,4%, mentre il loro Roe (redditività del capitale netto) s'è attestato sul 25 per cento. Sono stati in sostanza più premiati, a livello di redditività, i settori industriali che hanno espulso dipendenti, mentre sono stati più penalizzati quelli che hanno imbarcato nuova occupazione. La meccanica, che tra il '99 e il 2008 ha accresciuto del 12,3% il numero degli addetti, ha avuto un Roe del 16%, e le costruzioni, a fronte di una crescita degli addetti del 53,5%, hanno avuto un Roe del 13,8 per cento.

Non solo: anche là dove s'è avuto un aumento dell'occupazione, questo è avvenuto a discapito del paese d'origine. In altre parole, le multinazionali creano lavoro ma quasi sempre all'esterno dei propri confini. Quelle francesi hanno ridotto l'occupazione in patria del 24,5%, aumentandola del 19,2% all'estero; quelle tedesche hanno registrato -12,5% in casa propria contro +20,8% al di fuori della Germania; e la crescita occupazionale estera delle multinazionali a capitale italiano è stata addirittura del 63,1% contro una contrazione del 12% su scala nazionale.

Analoga la tendenza in Nord America: a fronte di un calo occupazionale interno del 14,9%, le multinazionale americane hanno aumentato il numero dei dipendenti all'estero del 15,8 per cento. Insomma, il futuro dell'industria mondiale sembra dipendere in misura crescente dalle società petrolifere: aziende che generano costi ambientali elevati a carico della collettività, i cui profitti poggiano, più che sull'innovazione, sull'aumento dei prezzi del greggi.

di Giuseppe Oddo

Il tramonto dei faraoni

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTa4PpqG1f3pabKJg0-A3h0ZPT6Qq0eA-Jw17G9h_CPTD00bPET


Quello che sta accadendo nel mondo arabo, e segnatamente in Egitto, Tunisia, Algeria, deve essere letto ed interpretato come il misero fallimento delle politiche occidentali, messe in atto da USA ed Europa.
Questi grandi “esportatori di democrazia” hanno fatto finta di non accorgersi, per 30 anni, che democrazie non erano, mentre sottobanco contribuivano a mantenere e puntellare (dagli USA miliardi di dollari ogni anno all’esercito egiziano) regimi autoritari con premier inamovibili, corrotti, ladri, incapaci di muoversi nell’interesse del popolo, agli ordini del partito internazionale del petrolio e degli interessi occidentali in quell’area cruciale.

Ma la beffa gattopardesca è già pronta. Si mollano i dittatori, e ci si prepara ad appoggiare gli oppositori, che verranno comprati e addomesticati o minacciati per un nuovo ciclo di dominazione occidentale di tipo neo-colonialista.
Il potere dei soldi, degli affari, della corruzione, a cura delle cancellerie occidentali, è un film visto e rivisto,che può essere interrotto solo dalla rivoluzione islamica che cacci per sempre gli stranieri da quelle terre.
Il vile cinismo occidentale di aver appoggiato, in nome della democrazia, regimi dittatoriali di ladri sanguinari, deve essere punito severamente da quei popoli, che devono respingere ogni ingerenza nei loro affari interni e trovare forza e unità in alleanze che finalmente facciano parlare gli arabi con una voce sola.
Il carattere spontaneo e popolare di questa rivolta, l’assenza di organizzazione e di strategia, fanno pensare che la guida del movimento insurrezionale possa essere presa dalla componente islamica che ha capi riconosciuti, organizzazione, identità.
Comunque vada a finire questo movimento, non sarà facile per il partito mondiale del petrolio riprendere il ferreo controllo in Medio Oriente, tenendo conto che le opzioni militari contro i popoli sono velleitarie e perdenti, come presto dimostrerà la resistenza afgana contro l’occupazione di truppe straniere.

Ma ciò che mi fa sorridere e mi fa sembrare un po’ patetici gli occidentali guerrafondai, è che continuano a testa bassa, come pugili suonati, a menare le mani, a spendere cifre colossali, affermando di essere democratici, con risultati catastrofici.
Mentre i “comunisti” cinesi, spendendo molto meno, unici paladini del “libero mercato”, comprano dappertutto materie prime, porti, interi debiti pubblici di altri paesi, con i soldi in bocca, aumentano il loro PIL del 10% l’anno, aumentano enormemente il loro peso economico e politico nel mondo.
E’ un mondo alla rovescia, i “democratici” sparano e i “comunisti” si affidano
al “libero mercato.
Naturalmente i grandi esperti, giornalisti, intellettuali, politicanti, dicono le solite scemenze e non riescono a vedere l’evidenza, cioè che la politica occidentale del DOMINO e della supremazia militare non rende nulla. Fa accumulare solo odio e debiti, e che tale politica va abbandonata, vanno sciolte le alleanze militari, e le enormi spese militari vanno trasformate in investimenti nella economia reale.
Qualcuno deve pur cominciare a dirglielo che la guerra è finita, magari con la cautela che si riserva agli anziani un po’ rimbambiti. Con uno come il ministro della Difesa La Russa, che sostiene, da sobrio, che siamo in Afghanistan per difendere l’Italia dal terrorismo,l’approccio per comunicargli che il terrorismo nasce se tu invadi un paese, deve essere graduale e delicato e necessita di una forte terapia di sostegno psicologico.


di Paolo De Gregorio

03 febbraio 2011

Alitalia... Ghe pensi mi...

Quando, correva l'anno 2008, l'Alitalia era in predicato per passare all'Air France, il governo Prodi aveva accettato di "chiudere" la vendita con la formula "visto e piaciuto" ... i francesi, cioè, si sarebbero accollati i 3 miliardi di debiti della nostra compagnia di bandiera ed i successivi costi di ristrutturazione, senza null'altro a pretendere.

L'Italia (ed in particolare il ministero dell'Economia, maggior azionista di Alitalia) sarebbe uscita da quel carrozzone sgangherato a costo zero, ed i francesi si impegnavano a non licenziare nessuno dei dipendenti.

Ma si era già in piena campagna elettorale e Silvio Berlusconi, in corsa per palazzo Chigi, agitò il "feticcio" dell'italianità della compagnia di bandiera: "l'Alitalia deve restare italiana ... e, una volta eletto presidente del consiglio, ghe pensi mi ...".

Arrivarono le elezioni, Berlusconi vinse con amplissimo margine e ... ci pensò lui: una cordata di imprenditori italiani guidati da Roberto Colaninno rilevò la "parte sana" dell'Alitalia, lasciando allo stato italiano i 3 miliardi di debiti e gli esuberi di personale.

"Ghe pensi mi" significò che, invece di uscire a costo zero (cedendo tutto ad Air France), lo Stato italiano ci rimise almeno 3 miliardi di euro (il conteggio, peraltro provvisorio, è del commissario liquidatore dell'Alitalia Augusto Fantozzi).

Quello fu il prezzo per mantenere italiana la compagnia di bandiera, ed il "pubblico pagante" (cioè Pantalone), nonostante l'alto costo del biglietto, applaudì calorosamente quell'operazione patriottica; i figli, si sa, 'so piezze 'e core e se hanno bisogno, non si bada a spese pur di preservarne l'onore e la dignità.

Applaudì anche la Lega, quella di Roma ladrona che, evidentemente, non riscontrò alcuna contraddizione tra il far pagare quei 3 miliardi anche ai suoi elettori del nord, e il mantenere "italiana" quella scassata compagnia aerea "romana". I leghisti, insomma, sull'altare di quella italianità che da anni predicavano di voler "frantumare", furono "lieti" di versare una parte cospicua di quei 3 miliardi. E lo fecero restando seri, senza che a nessuno passasse per la mente che era l'esatto contrario di quanto avevano fin li predicato (Roma ladrona, Padania indipendente ed Italia di merda). Gente furba e coerente questi leghisti.

Sia come sia, la nuova Alitalia restò italiana ... almeno a chiacchiere, ovvero le solite palle per bambini scimuniti.

Si perché il 12 gennaio 2009, la stessa Air France di cui sopra, quella che l'anno prima avrebbe dovuto farsi carico dei 3 miliardi di debiti della vecchia Alitalia e di tutto il personale della stessa, acquisiva il 25% del capitale e, di fatto, diventava il maggior singolo azionista della neonata compagnia aerea (nuova Alitalia).

Invece di farsi carico dei famosi 3 miliardi e del personale tutto, i francesi versarono 325 milioni e, come detto, con il 25% del capitale diventarono i maggiori azionisti ... (immaginatevi lo stupore di quei francesi di fronte a cotanta abilità negoziale degli italiani ...).

Allo Stato italiano, dunque, restarono i 3 miliardi di debiti e tutti gli esuberi della vecchia Alitalia e, udite udite, anche le eccedenze della Nuova Alitalia ... già perché, siccome anche adesso gli affari vanno maluccio, i francesi e Colaninno hanno appena deciso di mettere 1000 dipendenti in cassa integrazione ... che naturalmente vanno, anche loro, a carico di Pantalone.

Fantastico, no?

Potevamo uscirne per sempre a costo zero e, invece, dopo aver "sganciato" 3 miliardi per il privilegio di avere una compagnia aerea di bandiera (cosa che, di fatto, non è più neanche vera), adesso ci tocca pure pagarne la cassa integrazione.

Adesso, considerate l'aspetto sensazionale della faccenda: sull'Alitalia, la ricostruzione dell'Aquila e la spazzatura di Napoli, il centro destra stravinse le elezioni del 2008 ...??!! In quale altro magnifico paese può avvenire una cosa simile?

Il grande "successo" della nuova Alitalia ci sta costando circa 3.5 miliardi (considerando i costi successivi che si stanno aggiungendo) ... e, decenza vorrebbe, che gli artefici di tale "colpo di genio" venissero (almeno) a scusarsi per quella maestosa cazzata fatta a ragion veduta (era chiarissimo che sarebbe andata a finire così) ... invece, glissano, traccheggiano, oscurano ...

Ed il pubblico pagante?

Beh, non applaude più, anzi, per la verità si comincia a sentire qualche timido fischio che, però, rimane ancora isolato nella distaccata indifferenza dei più. Del resto, si sa, al pubblico tocca pagare anche se lo spettacolo non è stato all'altezza del prezzo del biglietto e, comunque, ognuno poi tornerà a casa sua e dimenticherà quanto avrà visto e sentito.

Ma la compagnia teatrale dovrà prendere qualche provvedimento, perché se il pubblico non applaude, si corre il rischio di trovarsi il teatro vuoto la prossima volta. Sicché sta già pensando ad altri ... ghe pensi mi ... magari più plateale.

Ed è proprio questo il brivido che dovrebbe attraversarci: altri due o tre successoni tipo Alitalia e, se tutto va bene, siamo rovinati.

Naturalmente accetto qualsiasi smentita purché documentata da numeri e fatti. Gli slogan, è ovvio, sono per i bambini scimuniti.

di G. Migliorino

02 febbraio 2011

Multinazionali, le società che distruggono lavoro in patria per trasferirlo all'estero


Le imprese multinazionali creano più industria e posti di lavoro? Neanche per sogno. Per sfatare questo luogo comune basta elaborare alcuni dati pubblicati da R&S. Prendiamo il campione delle multinazionali europee costruito dalla società di ricerche e studi di Mediobanca e osserviamone l'andamento nel decennio compreso tra il 1999 e il 2008. Scopriamo che un settore ad alto tasso di innovazione come quello meccanico, che nel '99 ha rappresentato il 31,6% del fatturato aggregato del campione, nel 2008 è sceso al 24,7%, mentre il settore petrolifero è salito nello stesso periodo dal 18,3% al 32,6 per cento. Sono risultati in discesa anche i settori chimico-farmaceutico (dal 17,4% al 14,5%), alimentare e bevande (dal 7,3% al 6,7%), elettronica (dal 6,5% al 5%), servizi (4,7% all'1,9%), carta (dal 2,2% all1,8%) e gomma e cavi (dall'1,4% all'1,2%). A parte il settore petrolifero-energetico, segnano una crescita anche l'acciaio (dal 4,7% al 5,8% del fatturato totale del campione), il cemento e il vetro (dal 2,3% al 3,4%) e il tessile (dallo 0,4% allo 0,5%).

Attenzione, però: quelli che hanno registrato la più alta crescita percentuale di fatturato - il petrolifero e il chimico-farmaceutico - hanno anche avuto la maggiore flessione dell'occupazione, rispettivamente del 7,7% e del 7,4%, mentre il loro Roe (redditività del capitale netto) s'è attestato sul 25 per cento. Sono stati in sostanza più premiati, a livello di redditività, i settori industriali che hanno espulso dipendenti, mentre sono stati più penalizzati quelli che hanno imbarcato nuova occupazione. La meccanica, che tra il '99 e il 2008 ha accresciuto del 12,3% il numero degli addetti, ha avuto un Roe del 16%, e le costruzioni, a fronte di una crescita degli addetti del 53,5%, hanno avuto un Roe del 13,8 per cento.

Non solo: anche là dove s'è avuto un aumento dell'occupazione, questo è avvenuto a discapito del paese d'origine. In altre parole, le multinazionali creano lavoro ma quasi sempre all'esterno dei propri confini. Quelle francesi hanno ridotto l'occupazione in patria del 24,5%, aumentandola del 19,2% all'estero; quelle tedesche hanno registrato -12,5% in casa propria contro +20,8% al di fuori della Germania; e la crescita occupazionale estera delle multinazionali a capitale italiano è stata addirittura del 63,1% contro una contrazione del 12% su scala nazionale.

Analoga la tendenza in Nord America: a fronte di un calo occupazionale interno del 14,9%, le multinazionale americane hanno aumentato il numero dei dipendenti all'estero del 15,8 per cento. Insomma, il futuro dell'industria mondiale sembra dipendere in misura crescente dalle società petrolifere: aziende che generano costi ambientali elevati a carico della collettività, i cui profitti poggiano, più che sull'innovazione, sull'aumento dei prezzi del greggi.

di Giuseppe Oddo

Il tramonto dei faraoni

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTa4PpqG1f3pabKJg0-A3h0ZPT6Qq0eA-Jw17G9h_CPTD00bPET


Quello che sta accadendo nel mondo arabo, e segnatamente in Egitto, Tunisia, Algeria, deve essere letto ed interpretato come il misero fallimento delle politiche occidentali, messe in atto da USA ed Europa.
Questi grandi “esportatori di democrazia” hanno fatto finta di non accorgersi, per 30 anni, che democrazie non erano, mentre sottobanco contribuivano a mantenere e puntellare (dagli USA miliardi di dollari ogni anno all’esercito egiziano) regimi autoritari con premier inamovibili, corrotti, ladri, incapaci di muoversi nell’interesse del popolo, agli ordini del partito internazionale del petrolio e degli interessi occidentali in quell’area cruciale.

Ma la beffa gattopardesca è già pronta. Si mollano i dittatori, e ci si prepara ad appoggiare gli oppositori, che verranno comprati e addomesticati o minacciati per un nuovo ciclo di dominazione occidentale di tipo neo-colonialista.
Il potere dei soldi, degli affari, della corruzione, a cura delle cancellerie occidentali, è un film visto e rivisto,che può essere interrotto solo dalla rivoluzione islamica che cacci per sempre gli stranieri da quelle terre.
Il vile cinismo occidentale di aver appoggiato, in nome della democrazia, regimi dittatoriali di ladri sanguinari, deve essere punito severamente da quei popoli, che devono respingere ogni ingerenza nei loro affari interni e trovare forza e unità in alleanze che finalmente facciano parlare gli arabi con una voce sola.
Il carattere spontaneo e popolare di questa rivolta, l’assenza di organizzazione e di strategia, fanno pensare che la guida del movimento insurrezionale possa essere presa dalla componente islamica che ha capi riconosciuti, organizzazione, identità.
Comunque vada a finire questo movimento, non sarà facile per il partito mondiale del petrolio riprendere il ferreo controllo in Medio Oriente, tenendo conto che le opzioni militari contro i popoli sono velleitarie e perdenti, come presto dimostrerà la resistenza afgana contro l’occupazione di truppe straniere.

Ma ciò che mi fa sorridere e mi fa sembrare un po’ patetici gli occidentali guerrafondai, è che continuano a testa bassa, come pugili suonati, a menare le mani, a spendere cifre colossali, affermando di essere democratici, con risultati catastrofici.
Mentre i “comunisti” cinesi, spendendo molto meno, unici paladini del “libero mercato”, comprano dappertutto materie prime, porti, interi debiti pubblici di altri paesi, con i soldi in bocca, aumentano il loro PIL del 10% l’anno, aumentano enormemente il loro peso economico e politico nel mondo.
E’ un mondo alla rovescia, i “democratici” sparano e i “comunisti” si affidano
al “libero mercato.
Naturalmente i grandi esperti, giornalisti, intellettuali, politicanti, dicono le solite scemenze e non riescono a vedere l’evidenza, cioè che la politica occidentale del DOMINO e della supremazia militare non rende nulla. Fa accumulare solo odio e debiti, e che tale politica va abbandonata, vanno sciolte le alleanze militari, e le enormi spese militari vanno trasformate in investimenti nella economia reale.
Qualcuno deve pur cominciare a dirglielo che la guerra è finita, magari con la cautela che si riserva agli anziani un po’ rimbambiti. Con uno come il ministro della Difesa La Russa, che sostiene, da sobrio, che siamo in Afghanistan per difendere l’Italia dal terrorismo,l’approccio per comunicargli che il terrorismo nasce se tu invadi un paese, deve essere graduale e delicato e necessita di una forte terapia di sostegno psicologico.


di Paolo De Gregorio