25 luglio 2011

Barack Obama: lo Zio Tom e il suo potere




Dove sono finite le caramelle con il faccione di Obama? Le spille? E le magliette con scritto l’onirico “Yes we can”? Il mondo fatto di tolleranza, amore e pace che sembrava dovesse creare il democratico presidente di colore…dov’è? Nessuna traccia.
L’american dream costruito a tavolino sulla figura del presidente statunitense Barack Obama sembra essersi magicamente dissolto. Le sue conseguenze politiche e sociali restano, però, davanti agli occhi di tutti.
Quando lo Zio Tom, scalzando il vecchio e arrugginito Sam, vinse le elezioni presidenziali, il 4 novembre del 2008, si formarono delle aspettative attorno al suo “logo”, perché di questo si tratta, dalla portata inimmaginabile. Dopo il cowboy guerrafondaio W.Bush, l’insediamento di un nuovo presidente, democratico e per di più nero, era l’apice della “democrazia”. Ci veniva raccontato che finalmente si sarebbe aperto un nuovo ciclo, un mondo di speranza e pace. E fu proprio su questa frettolosa e illusoria analisi, che il settimanale statunitense “Time” lo elesse “persona dell’anno” nel 2008. Nel 2009, addirittura, ricevette il Premio Nobel per la Pace. Si creò una vera e propria “Obama economy”, fatta di prodotti tangibili e non. E tutto ciò senza fare assolutamente niente di reale, ma vendendo un sogno. Già, un sogno. Che a distanza di tre anni, però, dietro la maschera, caduta in terra si è rivelato in tutto e per tutto un incubo permeato da ingiustizie.
In fondo si sa: ci vuole poco per vendere fumo agli americani. Ma in generale a tutto il mondo. E chi ha costruito la figura di Obama, lo sapeva perfettamente. Al momento dell’insediamento ci furono grandi discorsi e promesse sul ritiro delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan e subito qualche mossa volta ad innalzare la già osannata “democraticità” del presidente, come quando fu scelta Amanda Simpson, transessuale, a ricoprire un incarico nell’amministrazione alla Casa Bianca. Ma tutto, mano a mano, prese una piega diversa.
“Yes we can…”, sì noi possiamo salvare le banche d’affari. Deve essere stato questo lo slogan quando lo Zio Tom decise di salvare, appunto, la Goldman Sachs con 7,5 miliardi di dollari, soldi dei cittadini americani, nonostante avesse speculato in modo massiccio. Tutto inserito in un “piano di rilancio dell’economia statunitense” assolutamente fallimentare, come il programma di ristrutturazione dei mutui ipotecari. Un pacchetto di misure che, ancora ad oggi, contribuisce ad acutizzare la crisi finanziaria in atto. Il “democratico” presidente, fra l’altro, spera che ad un possibile crollo finanziario degli States, corrisponda anche un crack europeo per evitare che l’Euro prenda terreno sul dollaro.
Poi fu il turno della riforma sanitaria, uno dei capisaldi dell’amministrazione democratica: nel 2010, il presidente Barack Obama firmò la legge della riforma sanitaria, giudicata poi incostituzionale a fine anno da un giudice dello Stato della Florida. Ed ecco il coro: “sono i repubblicani, sono le lobby che non vogliono far passare la riforma!”. La riforma prevede l’aumento del numero di persone tutelate dal sistema sanitario (32 milioni in più). Tutto giusto, se non fosse che il disegno di “sanità allargata” prospettato da Obama fu un altro american dream falso e tradito. Perché l’allargamento della tutela deve passare per le compagnie assicurative, tenute a offrire proposte adeguate alle classi più deboli che avranno, però, l’obbligo di contrarre una di queste polizze se non vorranno incappare in sanzioni amministrative. In definitiva, i maggiori beneficiari sono le lobbies assicurative che allungano i tentacoli sull’economia di una fetta maggiore di cittadini. C’è da stupirsi? No, se si pensa che queste lobbies sono le stesse che hanno finanziato la campagna elettorale di Obama.
Stessa girandola di promesse, non mantenute, anche dopo la tragedia della marea nera nel Golfo del Messico. Gli ambientalisti si erano tutti stretti attorno allo Zio Tom che, davanti a quella catastrofe, aveva promesso che non ci sarebbero mai più state trivellazioni pericolose in quelle zone. Un altro “yes we can” andato a mare. Nel maggio del 2011 sono state consentite nuove trivellazioni sia in Alaska che nel Golfo del Messico.
Sulla politica estera si era riposta grande fiducia sullo Zio Tom. Ecco i risultati: in primis non ha mai modificato, come aveva promesso, il Patriot Act, voluto da W.Bush, che rafforza il potere dei corpi di polizia e di spionaggio statunitensi e consente costanti violazioni della privacy dei cittadini, tutto in nome della sicurezza e della prevenzione nei confronti della minaccia terroristica. Il ritiro dalle guerre? Dall’Iraq tutto tace, mentre dall’Afghanistan ci sarà un ritiro graduale entro il 2012. Ma intanto il vento di guerra continua a soffiare. Dopo i “bombardamenti umanitari” in Libia, il “presidente di tutti” si appresta a varcare qualche altro confine. Per il prossimo anno, infatti, è stato varato un bilancio della difesa record: 649 miliardi di dollari in nuove armi e missioni di guerra, 17 miliardi in più di quanto previsto nel budget 2011. Si pensi inoltre a tutti i benestare di Obama a guerre cruente e meschine: una su tutti quella in Costa D’Avorio dove lo Zio Tom ha salutato l’arresto di Gbagbo come “una vittoria per la democrazia”. Il mantenimento della prigione di Guantanamo, dove ogni giorno vengono violati diritti umani; il silenzio assenso sulla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti secondo la quale i contractor, artefici delle torture ad Abu Ghraib, godevano di un’immunità speciale concessa dal governo Usa; il continuo sabotaggio di una possibile costituzione di uno Stato palestinese. E tutto mentre il debito americano sale a 14.400 miliardi dollari. Ma, intanto, lo scorso aprile lo Zio Tom ha detto che si ricandiderà. Ipotesi rafforzatasi quando il 2 maggio venne ucciso Bin Laden in una operazione che, ancora oggi, suscita parecchie perplessità.
Si badi, però, che nonostante la rivoluzione Obama sia un clamoroso fallimento dal punto di vista politico, Obama “logo” ha comunque vinto. Come? Con la creazione di un sogno talmente potente da poter far dimenticare tutto il resto. Instillare nella mente di un popolo globale, vittima dei media, una forma di democraticità visiva assoluta, come nel caso di Obama, permette di compiere ciò che prima non si sarebbe potuto fare senza evitare proteste o indignazioni. Attaccare le politiche dei Bush di turno era fin troppo facile. Bisognava costruire un nuovo presidente che sin dal primo impatto fosse inattaccabile. I discorsi, gli slogan, le promesse sono tutto un contorno di un prodotto costruito e venduto per offuscare la mente e penetrare dove prima non si poteva arrivare.
Le politiche di Obama sono le stesse dei suoi predecessori, non c’è stato nessun “mondo nuovo”, ma è cambiato il sentire comune. Ecco la vittoria, l’obiettivo dello Zio Tom che è riuscito a costruirsi un bunker di immagine impenetrabile.
La dimostrazione di quanto detto si palesa nella assenza di protesta. Dove sono finiti i grandi movimenti pacifisti? I no global? Tutti stregati dal sogno perché anche loro, pur negando, ne fanno parte. Dove è finita la rabbia nei confronti dell’imperialismo americano? E le manifestazioni contro l’establishment a stelle e strisce? Le piazze sono vuote e l’indignazione è scemata. E una delle cause è proprio la figura mediatica di Obama. Attaccare un nero? Paragonarlo ad un dittatore? Affermare che il suo sogno in realtà si è sgretolato? Che quel paradiso made in Usa, in realtà, non esiste? Che il mondo è stato preso in giro? Sarebbe osare troppo per il gregge di pecore dei nostri giorni. Mai come per Obama, il mercato economico mediatico che fa da contorno al presidente della Casa Bianca, è stato così potente e così minuziosamente progettato. Si è riusciti a vendere un’utopia che, ancora oggi, condiziona il pensiero delle persone. Obama, in definitiva, è un marketing studiato, elaborato e venduto, un prodotto che rappresenta tutto il potere mediatico, politico e illusorio della “democrazia” americana.
di Claudio Cabona

24 luglio 2011

Stress test e contenzioso sommerso






La scorsa settimana abbiamo avuto comunicazione che Bankitalia – BCE hanno eseguito lo stress test sulle 5 maggiori banche italiane, e che tutte lo hanno superato. Quanto vale questo risultato e il metodo che lo ha prodotto? Perché i mercati l’hanno bocciato, affondando le azioni bancarie?

Base degli stress test, ossia dei test di solidità delle banche rispetto a possibili shock finanziari, è la consistenza patrimoniale delle banche medesime. Il grosso dell’attivo patrimoniale delle banche è dato, ovviamente, dai crediti verso i clienti e verso gli stati. Quindi il punto di partenza di ogni stress test dovrebbe essere la verifica dell’effettiva sussistenza dei crediti vantati in portafoglio, e del grado di solvibilità dei rispettivi debitori.

Gli stress test sinora condotti, a quanto si capisce, si basano sui dati di bilancio dichiarati dalle banche stesse, e non verificano se essi siano veritieri oppure no: vedi il press release 23.07.11 della BCE. Eppure, molti, recenti e clamorosi episodi di crack finanziari hanno dimostrato che sovente le grandi società (Parmalat, Halliburton, Lehman Brothers), così come fanno le piccole, al fine di ottenere o mantenere crediti o investimenti, dichiarano dati molto migliori di quelli reali. Sappiamo inoltre che tutte le società sono in grado di aggiustare i bilanci, quando serve, e che molte lo fanno (window dressing). Quindi il prendere per veri i dati dichiarati dalle banche che si dovrebbe controllare rende gli stress test pressoché inutili, come certificazione di solidità delle banche che lo superano. Se poi si deve controllare se una impresa sia solida oppure no, cioè se si vuole fugare il dubbio che sia pericolante, pretendere di farlo basandosi sui dati che essa stessa dichiara è ridicolo, è un controsenso come chiedere all’oste se il suo vino è buono.

La conseguenza è che l’esito degli stress test non è stato rassicurante. Gli esperti sanno che chi li esegue non esegue prima un controllo analitico e in proprio soprattutto della qualità e consistenza dei crediti che ciascuna banca ha iscritto nello stato patrimoniale, nonché delle garanzie che essa ha prestato per debiti di altri soggetti (solitamente, società-veicolo da essa controllate) e che sono, o dovrebbero essere, esposte nei conti d’ordine. Ricordiamo che la mancata considerazione di tali fattori di rischio da parte di analisti, società di revisione e autorità finanziarie è stata decisiva per i crack-frodi delle banche americane degli ultimi anni. Vedremo se in Italia si imparerà da quella lezione.

Nella realtà delle nostre banche, in effetti, mi risulta che molti crediti sono stati cartolarizzati, cioè ceduti dalle banche a società terze, ma, allo scopo di simulare una maggiore patrimonializzazione, vengono mantenuti contabilmente nell’attivo patrimoniale col pretesto che le banche partecipano le società cessionarie. Molti altri crediti sono mantenuti in bilancio come esigibili dalle banche, mentre i debitori sono morosi o addirittura insolventi. Traspare un mare di contenzioso sommerso, che le banche, ovviamente nel proprio interesse, non mettono in sofferenza.

Per fare stress test attendibili, bisognerebbe dunque prima controllare seriamente, con apposite ispezioni della Banca d’Italia, i conti delle banche interessate, togliere dallo stato patrimoniale i crediti convogliati su società veicolo non cedute, togliere quelli inesigibili, ed eseguire gli accantonamenti per quelli da incaglio (accantonamento pari al 35% del credito) e per quelli da contenzioso (accantonamento pari al 50%). Altrimenti i dati patrimoniali del bilancio sono falsi per supposizione di attivi inesistenti e occultamento di passivi esistenti. E ciò, dentro il mondo bancario, è ben noto. Onde la sfiducia verso operazioni di rassicurazione anche se blasonate.

Molte banche, di prassi, a quanto mi si riferisce, in violazione delle disposizioni di Bankitalia, non fanno le suddette quattro operazioni, perché se le facessero la loro patrimonializzazione si ridurrebbe a livelli di default o perlomeno critici per l’operatività. E qui ritorna l’incompatibilità logica di banche e loro controllanti o partecipate, che da un lato dovrebbero essere controllate e disciplinate da Bankitalia, mentre dall’altro lato la controllano come socie. Questo problema si estende alla BCE, partecipata da Bankitalia e co-autrice degli stress test.

Le società di revisione, che dovrebbero assicurarsi che le banche formulino bilanci veritieri, che rispettino le predette disposizioni e che facciano gli accantonamenti, si rivelano poco attive, se è vero quanto sopra riferito. Per farlo, dovrebbero prendere in mano le singole pratiche, o almeno i tabulati integrali. Ma lo fanno? La Consob, che istituzionalmente ha il dovere di vigilare su di loro, dovrebbe farsi più attenta e penetrante. I controlli devono essere credibili, devono farsi sentire, oppure…

Per fare le cose seriamente, propongo di mandare ispezioni a sorpresa nelle filiali e nelle sedi centrali, richiedendo i tabulati completi dei crediti in essere, con indicazione delle cessioni , per verificare se siano state eseguite o no le debite rettifriche; delle morosità, per verificare se siano stati fatti gli incagli, le segnalazioni e gli accantonamenti prescritti; ma anche per richiedere le pratiche dei debitori ammessi a “benefici” quali dilazioni, sospensioni, differimenti delle rate o degli interessi, onde verificare la condizione patrimoniale e reddituale dei debitori beneficiari, imprese o privati che siano.

Queste sono tutte agevolazioni sponsorizzate dal governo a vantaggio sì dei consumatori-clienti ma anche delle banche, che beneficiano della regolarizzazione figurativa delle posizioni debitorie nel sistema differendo di anni la loro problematicità e ricavandone un’ottima immagine, un’immagine di competenza e coscienziosità e solidità, da spendere anche politicamente.

Infatti molto spesso tali benefici sono mascheramenti di morosità e posizioni insolventi, che andrebbero cancellate dall’attivo patrimoniale o quantomeno controbilanciate con accantonamenti del 35% o del 50% a seconda dei casi. Benefici del tipo “sospensione per 24 mesi dei pagamenti” comportano, per chi è già moroso di massimo 12 rate, che la mora si faccia figurare sanata mentre non lo è, e che altre 12 rate a scadere, che pure non saranno pagate, figureranno pagate. Poiché tali benefici sono stati applicati a milioni di soggetti, se si dovesse sollevare la foglia di fico che essi costituiscono, salterebbe fuori un mare di morosità e inesigibilità di crediti, che pure dovrebbero essere tolti dall’attivo patrimoniale delle banche, o controbilanciati coi predetti accantonamenti. Ma la sospensione finisce, prima o poi, e allora il marcio riaffiora o riaffiorerà. E questa è una mina a scoppio ritardato, che, frazie anche agli incoraggiamenti del governo, ci ritroviamo nella pancia.

Il risultato di tutte queste operazioni di correzione dei bilanci, di riduzione di attivi fasulli, sarebbe, verosimilmente, il crollo del settore bancario italiano, in quanto illiquido e decotto, gonfio di crdditi inesigibili o ceduti. Se e quanto la cosa emergerà, la capitalizzazione delle banche italiane quotate, già scesa da 222 a 75 miliardi in 4 anni nonostante i cospicui aumenti di capitale, potrebbe scendere alle più oscure profondità. Evitare o rinviare questo esito, è forse l’unica giustificazione del maquillage detto stress test: se non si maschera lo stato di decozione delle banche, succede il disastro, qualcosa che la politica non saprebbe governare.

Il vecchio carrozziere in pensione, davanti a cui ho letto e corretto il presente articolo, annuisce e conferma: “Sì, ricordo di quando venivano da me gli ispettori della banca centrale a farsi riparare le loro vetture private richiedendomi di fatturare come se avessi riparato automobili delle banche che erano venuti a controllare, su indicazione e precisi accordi con le direzioni di queste. Può immaginare l’attendibilità di quei controlli.”

La via per ristabilire, insieme, la verità economica e l’affidabilità delle banche, esiste, ma è contraria agli interessi dei banchieri, perché espone la natura della loro attività, e qui l’accenno solamente (ampiamente ne ho parlato nei saggi Euroschiavi e La Moneta Copernicana): essa inizia col rilevare che sono omissive le annotazioni di uscita di cassa e di entrata ( ”accensione” ) di un credito che accompagnano l’erogazione ( di crediti) da parte delle banche, perché non riportano che ciò che esce di cassa – il credito, la moneta bancaria – non preesiste all’erogazione, ma è creato dalla banca stessa. mediante l’atto dell’erogazione di credito. Quindi il corrispondente credito con essa generato non è controbilanciato dall’uscita di cassa di denaro o valore preesistente, ma è un ricavo netto, cui si sommeranno i pagamenti di interessi. I risultati di gestione e lo stato patrimoniale dovrebbero essere rivisti di conseguenza. E anche le tasse applicabili alle banche, naturalmente. In tal modo il problema della patrimonialità delle banche sarebbe radicalmente superato, e insieme quello della finanza pubblica. Ma far emergere questi redditi occulti presupporrebbe la rinuncia a usare, come oggi si usa, la moneta e il credito come strumenti per dominare la società e l’economia, anziché per fare il loro bene favorendo loro sviluppo.
di Marco Della Luna

23 luglio 2011

La vogliamo finire con gli indugi?

E’ da quasi vent’anni che ci raccontano balle a non finire; non nel senso che tutto quanto viene detto è pura menzogna, ma si deviano gli obiettivi, si cerca di nascondere quali sono quelli reali. Nel ’92, gli Usa (quelli di Clinton) attaccarono in pieno il regime Dc-Psi in Italia, coadiuvati dalla Confindustria agnelliana, i “poteri forti” sempre in auge, quelli che – tenendo conto che dalla prima rivoluzione industriale siamo passati alla terza ed è trascorso un secolo e mezzo – corrispondono ai cotonieri del sud degli Usa, il cui “seppellimento” (in senso spesso letterale) è stato il vero atto di nascita della potenza Usa. Noi non abbiamo la pretesa di divenire quello che sono diventati gli “oltreatlantici”, ma un bel “seppellimento” di tali “poteri forti” – con i loro corifei pseudo-politici – sarebbe l’autentico toccasana per questo paese.

Invece no, si fanno manovre antipopolari (anti-ceto medio e medio-basso soprattutto). Ci si racconta della speculazione dei cattivi finanzieri, ci si scatena contro la Casta. Quest’ultima va aggredita non tanto nei suoi privilegi, ma nei settori che più sono manutengoli dei poteri forti e degli Usa (quelli di Obama, eredi di quelli di Clinton). Anche vent’anni fa ci si disse (sia chiaro, era in parte vero, non voglio difenderli) che i politici erano tutti ladroni. Si salvarono però i rinnegati, quelli che avevano già negli anni ’70 (anche attraverso opportuni “viaggi”) tradito il loro “campo d’origine”, ma che poterono manifestare apertamente il loro voltafaccia solo al crollo del socialismo e dell’Urss, in casuale ma opportuna coincidenza con l’ascesa degli ambienti statunitensi rappresentati da Clinton.

I rinnegati erano ladroni come gli altri, ma una magistratura addomesticata li salvò (qualche ingenuo, che credé di poterli perseguire, ricevette l’opportuna “lezione”). La magistratura era però strumento d’oltreoceano e dei “poteri forti”, i nostri “cotonieri” che non ricevono mai la lezione definitiva impartita ai “confederati” nel 1861-65. Nei primi anni ’90, il crollo repentino del campo socialista implicò la fretta del “colpo di Stato” mascherato da giustizia e l’altrettanto frettoloso passaggio di campo dei rinnegati (che l’avevano compiuto già da anni, ma si erano tenuti nascosti come fanno tutti i furfanti di bassa tacca). Si presentò questo “naso di Cleopatra”, cioè questo “accidente storico” che fu Berlusconi, e il piano originario fallì. Allora apriti cielo! Vent’anni di inganni e prese in giro. Ogni secondo momento vi era l’ascesa del “fascismo” (berlusconiano), dall’altra parte agivano ancora “comunisti” e “toghe rosse”.

Un rimbecillimento totale, che oggi si ripete con l’attacco alla Casta, fonte di tutti i mali. Nessuna difesa di quest’ultima. Sarei felice se venisse un gruppo politico capace di spazzarla via e di portare i “bivacchi” in Parlamento; non è però questo il reale obiettivo finale. Bisogna spazzare via i nostri cotonieri, bisogna tagliare le unghie ai burattini degli Usa di Obama che, eredi di quelli di Clinton, vogliono ora concludere l’operazione non riuscita allora. Difficile sapere i mezzi adottati per appiattire completamente il nostro premier attuale (non credo per molto tempo ancora), che è ormai ridotto a dire: “non volevo fare questo o quello”, “l’avevo detto che ci si imbarcava male” e cose consimili. Ormai non conta nulla; è tenuto in piedi dalla Casta (in cima alla quale c’è chi non si può nemmeno nominare a dimostrazione di quale democrazia esista oggi in Italia) perché così vuole il “bell’abbronzato”, tenuto conto che non c’è alcun repentino crollo di un (ormai inesistente) polo avverso; di conseguenza, nessuna fretta di approfittare della situazione. Si può procedere con calma, con qualche mese di tempo (o forse qualche settimana o forse molti mesi). Impossibile fare previsioni esatte; l’importante è stavolta preparare bene il “poppolo” a prenderla in c…. senza che arrivino altri “accidenti storici” e si becchino i voti dei “moderati”.

Tanti sono i conniventi: alcuni consapevoli in quanto autentici sicari degli Usa di Obama e dei nostri finanzieri e industriali del piffero, parassiti che bisognerebbe disinfestare come il nord fece con i cotonieri del sud negli Usa ottocenteschi; altri invece sciocchi nel loro opportunismo, tipo i leghisti, pronti a reimboccare la strada giustizialista di vent’anni fa, che non porterà loro nulla di buono. Solo qualche loro personaggio, fattosi fama alla guisa di Erostrato, passerà alla fine con i vincitori (sapete già i nomi di alcuni di questi bei tomi, no?). Perché un altro degli inganni, utili a fregare questo “poppolo” di rincoglioniti, è quello del dissidio nord-sud. Adesso si è trovato il pomo della discordia nella “monnezza”, ma si rinfocolerà sempre l’astio; i “nordici” stufi di certi indubbi comportamenti odiosi dei meridionali, questi ultimi che, altrettanto giustificatamente, avversano gli atteggiamenti di superiorità dei primi. Alla fine, chi metterà tutti d’accordo sarà l’Inno di Mameli, la ritrovata (nella retorica degli affossatori del paese) Unità d’Italia, la Costituzione, che ormai hanno fatto diventare odiosa perché chi la difende è odioso, è ipocrita, ci sta svendendo agli Usa di Obama (e ai “cotonieri” italiani).

Occorre uno sforzo per ripercorrere gli ultimi vent’anni, cercando di riportare alla luce l’attività dei rinnegati e liquidatori del paese, quelli che dovrebbero essere processati per alto tradimento. Occorre riandare agli anni cruciali del dopoguerra, soprattutto al decennio ’70 (perché qui si annida il “serpe” che continua ad avvelenarci). Purtroppo hanno celato tutto dietro spesse cortine fumogene. Cominciamo a lanciare altre ipotesi rispetto a quelle della schiera dei traditori, che in quegli anni prepararono le svolte da cui si è originata l’infezione degli ultimi vent’anni e l’attuale cancrena; azione favorita da un laido ceto intellettuale di “estrema sinistra”, fonte della purulenza che ci avvolge e che trasuda dalla stampa, dall’editoria, dai mass media. Lanciamo sempre il nostro appello favorito : vogliamo infine il Grande Chirurgo, che operi e amputi il paese di tutto il marciume politico e intellettuale. Noi siamo però “piccini”. Cominciamo quindi dal poco, dal mettere ordine in certi eventi.

Smettiamola, se possibile, con questa diffidenza che sta bloccando utili rapporti. Abbiamo provenienze (politiche, ideologiche, ecc.) diverse, ma non sono pochi quelli che avvertono il malanno che ci ha colpiti. E poi, detto esplicitamente: perfino tra coloro, che in fondo si sentono ancora vicini agli Usa, ci sono individui per nulla d’accordo con i farabutti, nostri seviziatori. Abbiamo per troppo tempo agito in modo un po’ manicheo, con mentalità da computer, o sì o no; non è così, siamo entrati in un’epoca di grandi sfumature e di colori cangianti a seconda del tempo “meteorologico” e dell’angolo di incidenza della luce.

di Gianfranco La Grassa -

25 luglio 2011

Barack Obama: lo Zio Tom e il suo potere




Dove sono finite le caramelle con il faccione di Obama? Le spille? E le magliette con scritto l’onirico “Yes we can”? Il mondo fatto di tolleranza, amore e pace che sembrava dovesse creare il democratico presidente di colore…dov’è? Nessuna traccia.
L’american dream costruito a tavolino sulla figura del presidente statunitense Barack Obama sembra essersi magicamente dissolto. Le sue conseguenze politiche e sociali restano, però, davanti agli occhi di tutti.
Quando lo Zio Tom, scalzando il vecchio e arrugginito Sam, vinse le elezioni presidenziali, il 4 novembre del 2008, si formarono delle aspettative attorno al suo “logo”, perché di questo si tratta, dalla portata inimmaginabile. Dopo il cowboy guerrafondaio W.Bush, l’insediamento di un nuovo presidente, democratico e per di più nero, era l’apice della “democrazia”. Ci veniva raccontato che finalmente si sarebbe aperto un nuovo ciclo, un mondo di speranza e pace. E fu proprio su questa frettolosa e illusoria analisi, che il settimanale statunitense “Time” lo elesse “persona dell’anno” nel 2008. Nel 2009, addirittura, ricevette il Premio Nobel per la Pace. Si creò una vera e propria “Obama economy”, fatta di prodotti tangibili e non. E tutto ciò senza fare assolutamente niente di reale, ma vendendo un sogno. Già, un sogno. Che a distanza di tre anni, però, dietro la maschera, caduta in terra si è rivelato in tutto e per tutto un incubo permeato da ingiustizie.
In fondo si sa: ci vuole poco per vendere fumo agli americani. Ma in generale a tutto il mondo. E chi ha costruito la figura di Obama, lo sapeva perfettamente. Al momento dell’insediamento ci furono grandi discorsi e promesse sul ritiro delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan e subito qualche mossa volta ad innalzare la già osannata “democraticità” del presidente, come quando fu scelta Amanda Simpson, transessuale, a ricoprire un incarico nell’amministrazione alla Casa Bianca. Ma tutto, mano a mano, prese una piega diversa.
“Yes we can…”, sì noi possiamo salvare le banche d’affari. Deve essere stato questo lo slogan quando lo Zio Tom decise di salvare, appunto, la Goldman Sachs con 7,5 miliardi di dollari, soldi dei cittadini americani, nonostante avesse speculato in modo massiccio. Tutto inserito in un “piano di rilancio dell’economia statunitense” assolutamente fallimentare, come il programma di ristrutturazione dei mutui ipotecari. Un pacchetto di misure che, ancora ad oggi, contribuisce ad acutizzare la crisi finanziaria in atto. Il “democratico” presidente, fra l’altro, spera che ad un possibile crollo finanziario degli States, corrisponda anche un crack europeo per evitare che l’Euro prenda terreno sul dollaro.
Poi fu il turno della riforma sanitaria, uno dei capisaldi dell’amministrazione democratica: nel 2010, il presidente Barack Obama firmò la legge della riforma sanitaria, giudicata poi incostituzionale a fine anno da un giudice dello Stato della Florida. Ed ecco il coro: “sono i repubblicani, sono le lobby che non vogliono far passare la riforma!”. La riforma prevede l’aumento del numero di persone tutelate dal sistema sanitario (32 milioni in più). Tutto giusto, se non fosse che il disegno di “sanità allargata” prospettato da Obama fu un altro american dream falso e tradito. Perché l’allargamento della tutela deve passare per le compagnie assicurative, tenute a offrire proposte adeguate alle classi più deboli che avranno, però, l’obbligo di contrarre una di queste polizze se non vorranno incappare in sanzioni amministrative. In definitiva, i maggiori beneficiari sono le lobbies assicurative che allungano i tentacoli sull’economia di una fetta maggiore di cittadini. C’è da stupirsi? No, se si pensa che queste lobbies sono le stesse che hanno finanziato la campagna elettorale di Obama.
Stessa girandola di promesse, non mantenute, anche dopo la tragedia della marea nera nel Golfo del Messico. Gli ambientalisti si erano tutti stretti attorno allo Zio Tom che, davanti a quella catastrofe, aveva promesso che non ci sarebbero mai più state trivellazioni pericolose in quelle zone. Un altro “yes we can” andato a mare. Nel maggio del 2011 sono state consentite nuove trivellazioni sia in Alaska che nel Golfo del Messico.
Sulla politica estera si era riposta grande fiducia sullo Zio Tom. Ecco i risultati: in primis non ha mai modificato, come aveva promesso, il Patriot Act, voluto da W.Bush, che rafforza il potere dei corpi di polizia e di spionaggio statunitensi e consente costanti violazioni della privacy dei cittadini, tutto in nome della sicurezza e della prevenzione nei confronti della minaccia terroristica. Il ritiro dalle guerre? Dall’Iraq tutto tace, mentre dall’Afghanistan ci sarà un ritiro graduale entro il 2012. Ma intanto il vento di guerra continua a soffiare. Dopo i “bombardamenti umanitari” in Libia, il “presidente di tutti” si appresta a varcare qualche altro confine. Per il prossimo anno, infatti, è stato varato un bilancio della difesa record: 649 miliardi di dollari in nuove armi e missioni di guerra, 17 miliardi in più di quanto previsto nel budget 2011. Si pensi inoltre a tutti i benestare di Obama a guerre cruente e meschine: una su tutti quella in Costa D’Avorio dove lo Zio Tom ha salutato l’arresto di Gbagbo come “una vittoria per la democrazia”. Il mantenimento della prigione di Guantanamo, dove ogni giorno vengono violati diritti umani; il silenzio assenso sulla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti secondo la quale i contractor, artefici delle torture ad Abu Ghraib, godevano di un’immunità speciale concessa dal governo Usa; il continuo sabotaggio di una possibile costituzione di uno Stato palestinese. E tutto mentre il debito americano sale a 14.400 miliardi dollari. Ma, intanto, lo scorso aprile lo Zio Tom ha detto che si ricandiderà. Ipotesi rafforzatasi quando il 2 maggio venne ucciso Bin Laden in una operazione che, ancora oggi, suscita parecchie perplessità.
Si badi, però, che nonostante la rivoluzione Obama sia un clamoroso fallimento dal punto di vista politico, Obama “logo” ha comunque vinto. Come? Con la creazione di un sogno talmente potente da poter far dimenticare tutto il resto. Instillare nella mente di un popolo globale, vittima dei media, una forma di democraticità visiva assoluta, come nel caso di Obama, permette di compiere ciò che prima non si sarebbe potuto fare senza evitare proteste o indignazioni. Attaccare le politiche dei Bush di turno era fin troppo facile. Bisognava costruire un nuovo presidente che sin dal primo impatto fosse inattaccabile. I discorsi, gli slogan, le promesse sono tutto un contorno di un prodotto costruito e venduto per offuscare la mente e penetrare dove prima non si poteva arrivare.
Le politiche di Obama sono le stesse dei suoi predecessori, non c’è stato nessun “mondo nuovo”, ma è cambiato il sentire comune. Ecco la vittoria, l’obiettivo dello Zio Tom che è riuscito a costruirsi un bunker di immagine impenetrabile.
La dimostrazione di quanto detto si palesa nella assenza di protesta. Dove sono finiti i grandi movimenti pacifisti? I no global? Tutti stregati dal sogno perché anche loro, pur negando, ne fanno parte. Dove è finita la rabbia nei confronti dell’imperialismo americano? E le manifestazioni contro l’establishment a stelle e strisce? Le piazze sono vuote e l’indignazione è scemata. E una delle cause è proprio la figura mediatica di Obama. Attaccare un nero? Paragonarlo ad un dittatore? Affermare che il suo sogno in realtà si è sgretolato? Che quel paradiso made in Usa, in realtà, non esiste? Che il mondo è stato preso in giro? Sarebbe osare troppo per il gregge di pecore dei nostri giorni. Mai come per Obama, il mercato economico mediatico che fa da contorno al presidente della Casa Bianca, è stato così potente e così minuziosamente progettato. Si è riusciti a vendere un’utopia che, ancora oggi, condiziona il pensiero delle persone. Obama, in definitiva, è un marketing studiato, elaborato e venduto, un prodotto che rappresenta tutto il potere mediatico, politico e illusorio della “democrazia” americana.
di Claudio Cabona

24 luglio 2011

Stress test e contenzioso sommerso






La scorsa settimana abbiamo avuto comunicazione che Bankitalia – BCE hanno eseguito lo stress test sulle 5 maggiori banche italiane, e che tutte lo hanno superato. Quanto vale questo risultato e il metodo che lo ha prodotto? Perché i mercati l’hanno bocciato, affondando le azioni bancarie?

Base degli stress test, ossia dei test di solidità delle banche rispetto a possibili shock finanziari, è la consistenza patrimoniale delle banche medesime. Il grosso dell’attivo patrimoniale delle banche è dato, ovviamente, dai crediti verso i clienti e verso gli stati. Quindi il punto di partenza di ogni stress test dovrebbe essere la verifica dell’effettiva sussistenza dei crediti vantati in portafoglio, e del grado di solvibilità dei rispettivi debitori.

Gli stress test sinora condotti, a quanto si capisce, si basano sui dati di bilancio dichiarati dalle banche stesse, e non verificano se essi siano veritieri oppure no: vedi il press release 23.07.11 della BCE. Eppure, molti, recenti e clamorosi episodi di crack finanziari hanno dimostrato che sovente le grandi società (Parmalat, Halliburton, Lehman Brothers), così come fanno le piccole, al fine di ottenere o mantenere crediti o investimenti, dichiarano dati molto migliori di quelli reali. Sappiamo inoltre che tutte le società sono in grado di aggiustare i bilanci, quando serve, e che molte lo fanno (window dressing). Quindi il prendere per veri i dati dichiarati dalle banche che si dovrebbe controllare rende gli stress test pressoché inutili, come certificazione di solidità delle banche che lo superano. Se poi si deve controllare se una impresa sia solida oppure no, cioè se si vuole fugare il dubbio che sia pericolante, pretendere di farlo basandosi sui dati che essa stessa dichiara è ridicolo, è un controsenso come chiedere all’oste se il suo vino è buono.

La conseguenza è che l’esito degli stress test non è stato rassicurante. Gli esperti sanno che chi li esegue non esegue prima un controllo analitico e in proprio soprattutto della qualità e consistenza dei crediti che ciascuna banca ha iscritto nello stato patrimoniale, nonché delle garanzie che essa ha prestato per debiti di altri soggetti (solitamente, società-veicolo da essa controllate) e che sono, o dovrebbero essere, esposte nei conti d’ordine. Ricordiamo che la mancata considerazione di tali fattori di rischio da parte di analisti, società di revisione e autorità finanziarie è stata decisiva per i crack-frodi delle banche americane degli ultimi anni. Vedremo se in Italia si imparerà da quella lezione.

Nella realtà delle nostre banche, in effetti, mi risulta che molti crediti sono stati cartolarizzati, cioè ceduti dalle banche a società terze, ma, allo scopo di simulare una maggiore patrimonializzazione, vengono mantenuti contabilmente nell’attivo patrimoniale col pretesto che le banche partecipano le società cessionarie. Molti altri crediti sono mantenuti in bilancio come esigibili dalle banche, mentre i debitori sono morosi o addirittura insolventi. Traspare un mare di contenzioso sommerso, che le banche, ovviamente nel proprio interesse, non mettono in sofferenza.

Per fare stress test attendibili, bisognerebbe dunque prima controllare seriamente, con apposite ispezioni della Banca d’Italia, i conti delle banche interessate, togliere dallo stato patrimoniale i crediti convogliati su società veicolo non cedute, togliere quelli inesigibili, ed eseguire gli accantonamenti per quelli da incaglio (accantonamento pari al 35% del credito) e per quelli da contenzioso (accantonamento pari al 50%). Altrimenti i dati patrimoniali del bilancio sono falsi per supposizione di attivi inesistenti e occultamento di passivi esistenti. E ciò, dentro il mondo bancario, è ben noto. Onde la sfiducia verso operazioni di rassicurazione anche se blasonate.

Molte banche, di prassi, a quanto mi si riferisce, in violazione delle disposizioni di Bankitalia, non fanno le suddette quattro operazioni, perché se le facessero la loro patrimonializzazione si ridurrebbe a livelli di default o perlomeno critici per l’operatività. E qui ritorna l’incompatibilità logica di banche e loro controllanti o partecipate, che da un lato dovrebbero essere controllate e disciplinate da Bankitalia, mentre dall’altro lato la controllano come socie. Questo problema si estende alla BCE, partecipata da Bankitalia e co-autrice degli stress test.

Le società di revisione, che dovrebbero assicurarsi che le banche formulino bilanci veritieri, che rispettino le predette disposizioni e che facciano gli accantonamenti, si rivelano poco attive, se è vero quanto sopra riferito. Per farlo, dovrebbero prendere in mano le singole pratiche, o almeno i tabulati integrali. Ma lo fanno? La Consob, che istituzionalmente ha il dovere di vigilare su di loro, dovrebbe farsi più attenta e penetrante. I controlli devono essere credibili, devono farsi sentire, oppure…

Per fare le cose seriamente, propongo di mandare ispezioni a sorpresa nelle filiali e nelle sedi centrali, richiedendo i tabulati completi dei crediti in essere, con indicazione delle cessioni , per verificare se siano state eseguite o no le debite rettifriche; delle morosità, per verificare se siano stati fatti gli incagli, le segnalazioni e gli accantonamenti prescritti; ma anche per richiedere le pratiche dei debitori ammessi a “benefici” quali dilazioni, sospensioni, differimenti delle rate o degli interessi, onde verificare la condizione patrimoniale e reddituale dei debitori beneficiari, imprese o privati che siano.

Queste sono tutte agevolazioni sponsorizzate dal governo a vantaggio sì dei consumatori-clienti ma anche delle banche, che beneficiano della regolarizzazione figurativa delle posizioni debitorie nel sistema differendo di anni la loro problematicità e ricavandone un’ottima immagine, un’immagine di competenza e coscienziosità e solidità, da spendere anche politicamente.

Infatti molto spesso tali benefici sono mascheramenti di morosità e posizioni insolventi, che andrebbero cancellate dall’attivo patrimoniale o quantomeno controbilanciate con accantonamenti del 35% o del 50% a seconda dei casi. Benefici del tipo “sospensione per 24 mesi dei pagamenti” comportano, per chi è già moroso di massimo 12 rate, che la mora si faccia figurare sanata mentre non lo è, e che altre 12 rate a scadere, che pure non saranno pagate, figureranno pagate. Poiché tali benefici sono stati applicati a milioni di soggetti, se si dovesse sollevare la foglia di fico che essi costituiscono, salterebbe fuori un mare di morosità e inesigibilità di crediti, che pure dovrebbero essere tolti dall’attivo patrimoniale delle banche, o controbilanciati coi predetti accantonamenti. Ma la sospensione finisce, prima o poi, e allora il marcio riaffiora o riaffiorerà. E questa è una mina a scoppio ritardato, che, frazie anche agli incoraggiamenti del governo, ci ritroviamo nella pancia.

Il risultato di tutte queste operazioni di correzione dei bilanci, di riduzione di attivi fasulli, sarebbe, verosimilmente, il crollo del settore bancario italiano, in quanto illiquido e decotto, gonfio di crdditi inesigibili o ceduti. Se e quanto la cosa emergerà, la capitalizzazione delle banche italiane quotate, già scesa da 222 a 75 miliardi in 4 anni nonostante i cospicui aumenti di capitale, potrebbe scendere alle più oscure profondità. Evitare o rinviare questo esito, è forse l’unica giustificazione del maquillage detto stress test: se non si maschera lo stato di decozione delle banche, succede il disastro, qualcosa che la politica non saprebbe governare.

Il vecchio carrozziere in pensione, davanti a cui ho letto e corretto il presente articolo, annuisce e conferma: “Sì, ricordo di quando venivano da me gli ispettori della banca centrale a farsi riparare le loro vetture private richiedendomi di fatturare come se avessi riparato automobili delle banche che erano venuti a controllare, su indicazione e precisi accordi con le direzioni di queste. Può immaginare l’attendibilità di quei controlli.”

La via per ristabilire, insieme, la verità economica e l’affidabilità delle banche, esiste, ma è contraria agli interessi dei banchieri, perché espone la natura della loro attività, e qui l’accenno solamente (ampiamente ne ho parlato nei saggi Euroschiavi e La Moneta Copernicana): essa inizia col rilevare che sono omissive le annotazioni di uscita di cassa e di entrata ( ”accensione” ) di un credito che accompagnano l’erogazione ( di crediti) da parte delle banche, perché non riportano che ciò che esce di cassa – il credito, la moneta bancaria – non preesiste all’erogazione, ma è creato dalla banca stessa. mediante l’atto dell’erogazione di credito. Quindi il corrispondente credito con essa generato non è controbilanciato dall’uscita di cassa di denaro o valore preesistente, ma è un ricavo netto, cui si sommeranno i pagamenti di interessi. I risultati di gestione e lo stato patrimoniale dovrebbero essere rivisti di conseguenza. E anche le tasse applicabili alle banche, naturalmente. In tal modo il problema della patrimonialità delle banche sarebbe radicalmente superato, e insieme quello della finanza pubblica. Ma far emergere questi redditi occulti presupporrebbe la rinuncia a usare, come oggi si usa, la moneta e il credito come strumenti per dominare la società e l’economia, anziché per fare il loro bene favorendo loro sviluppo.
di Marco Della Luna

23 luglio 2011

La vogliamo finire con gli indugi?

E’ da quasi vent’anni che ci raccontano balle a non finire; non nel senso che tutto quanto viene detto è pura menzogna, ma si deviano gli obiettivi, si cerca di nascondere quali sono quelli reali. Nel ’92, gli Usa (quelli di Clinton) attaccarono in pieno il regime Dc-Psi in Italia, coadiuvati dalla Confindustria agnelliana, i “poteri forti” sempre in auge, quelli che – tenendo conto che dalla prima rivoluzione industriale siamo passati alla terza ed è trascorso un secolo e mezzo – corrispondono ai cotonieri del sud degli Usa, il cui “seppellimento” (in senso spesso letterale) è stato il vero atto di nascita della potenza Usa. Noi non abbiamo la pretesa di divenire quello che sono diventati gli “oltreatlantici”, ma un bel “seppellimento” di tali “poteri forti” – con i loro corifei pseudo-politici – sarebbe l’autentico toccasana per questo paese.

Invece no, si fanno manovre antipopolari (anti-ceto medio e medio-basso soprattutto). Ci si racconta della speculazione dei cattivi finanzieri, ci si scatena contro la Casta. Quest’ultima va aggredita non tanto nei suoi privilegi, ma nei settori che più sono manutengoli dei poteri forti e degli Usa (quelli di Obama, eredi di quelli di Clinton). Anche vent’anni fa ci si disse (sia chiaro, era in parte vero, non voglio difenderli) che i politici erano tutti ladroni. Si salvarono però i rinnegati, quelli che avevano già negli anni ’70 (anche attraverso opportuni “viaggi”) tradito il loro “campo d’origine”, ma che poterono manifestare apertamente il loro voltafaccia solo al crollo del socialismo e dell’Urss, in casuale ma opportuna coincidenza con l’ascesa degli ambienti statunitensi rappresentati da Clinton.

I rinnegati erano ladroni come gli altri, ma una magistratura addomesticata li salvò (qualche ingenuo, che credé di poterli perseguire, ricevette l’opportuna “lezione”). La magistratura era però strumento d’oltreoceano e dei “poteri forti”, i nostri “cotonieri” che non ricevono mai la lezione definitiva impartita ai “confederati” nel 1861-65. Nei primi anni ’90, il crollo repentino del campo socialista implicò la fretta del “colpo di Stato” mascherato da giustizia e l’altrettanto frettoloso passaggio di campo dei rinnegati (che l’avevano compiuto già da anni, ma si erano tenuti nascosti come fanno tutti i furfanti di bassa tacca). Si presentò questo “naso di Cleopatra”, cioè questo “accidente storico” che fu Berlusconi, e il piano originario fallì. Allora apriti cielo! Vent’anni di inganni e prese in giro. Ogni secondo momento vi era l’ascesa del “fascismo” (berlusconiano), dall’altra parte agivano ancora “comunisti” e “toghe rosse”.

Un rimbecillimento totale, che oggi si ripete con l’attacco alla Casta, fonte di tutti i mali. Nessuna difesa di quest’ultima. Sarei felice se venisse un gruppo politico capace di spazzarla via e di portare i “bivacchi” in Parlamento; non è però questo il reale obiettivo finale. Bisogna spazzare via i nostri cotonieri, bisogna tagliare le unghie ai burattini degli Usa di Obama che, eredi di quelli di Clinton, vogliono ora concludere l’operazione non riuscita allora. Difficile sapere i mezzi adottati per appiattire completamente il nostro premier attuale (non credo per molto tempo ancora), che è ormai ridotto a dire: “non volevo fare questo o quello”, “l’avevo detto che ci si imbarcava male” e cose consimili. Ormai non conta nulla; è tenuto in piedi dalla Casta (in cima alla quale c’è chi non si può nemmeno nominare a dimostrazione di quale democrazia esista oggi in Italia) perché così vuole il “bell’abbronzato”, tenuto conto che non c’è alcun repentino crollo di un (ormai inesistente) polo avverso; di conseguenza, nessuna fretta di approfittare della situazione. Si può procedere con calma, con qualche mese di tempo (o forse qualche settimana o forse molti mesi). Impossibile fare previsioni esatte; l’importante è stavolta preparare bene il “poppolo” a prenderla in c…. senza che arrivino altri “accidenti storici” e si becchino i voti dei “moderati”.

Tanti sono i conniventi: alcuni consapevoli in quanto autentici sicari degli Usa di Obama e dei nostri finanzieri e industriali del piffero, parassiti che bisognerebbe disinfestare come il nord fece con i cotonieri del sud negli Usa ottocenteschi; altri invece sciocchi nel loro opportunismo, tipo i leghisti, pronti a reimboccare la strada giustizialista di vent’anni fa, che non porterà loro nulla di buono. Solo qualche loro personaggio, fattosi fama alla guisa di Erostrato, passerà alla fine con i vincitori (sapete già i nomi di alcuni di questi bei tomi, no?). Perché un altro degli inganni, utili a fregare questo “poppolo” di rincoglioniti, è quello del dissidio nord-sud. Adesso si è trovato il pomo della discordia nella “monnezza”, ma si rinfocolerà sempre l’astio; i “nordici” stufi di certi indubbi comportamenti odiosi dei meridionali, questi ultimi che, altrettanto giustificatamente, avversano gli atteggiamenti di superiorità dei primi. Alla fine, chi metterà tutti d’accordo sarà l’Inno di Mameli, la ritrovata (nella retorica degli affossatori del paese) Unità d’Italia, la Costituzione, che ormai hanno fatto diventare odiosa perché chi la difende è odioso, è ipocrita, ci sta svendendo agli Usa di Obama (e ai “cotonieri” italiani).

Occorre uno sforzo per ripercorrere gli ultimi vent’anni, cercando di riportare alla luce l’attività dei rinnegati e liquidatori del paese, quelli che dovrebbero essere processati per alto tradimento. Occorre riandare agli anni cruciali del dopoguerra, soprattutto al decennio ’70 (perché qui si annida il “serpe” che continua ad avvelenarci). Purtroppo hanno celato tutto dietro spesse cortine fumogene. Cominciamo a lanciare altre ipotesi rispetto a quelle della schiera dei traditori, che in quegli anni prepararono le svolte da cui si è originata l’infezione degli ultimi vent’anni e l’attuale cancrena; azione favorita da un laido ceto intellettuale di “estrema sinistra”, fonte della purulenza che ci avvolge e che trasuda dalla stampa, dall’editoria, dai mass media. Lanciamo sempre il nostro appello favorito : vogliamo infine il Grande Chirurgo, che operi e amputi il paese di tutto il marciume politico e intellettuale. Noi siamo però “piccini”. Cominciamo quindi dal poco, dal mettere ordine in certi eventi.

Smettiamola, se possibile, con questa diffidenza che sta bloccando utili rapporti. Abbiamo provenienze (politiche, ideologiche, ecc.) diverse, ma non sono pochi quelli che avvertono il malanno che ci ha colpiti. E poi, detto esplicitamente: perfino tra coloro, che in fondo si sentono ancora vicini agli Usa, ci sono individui per nulla d’accordo con i farabutti, nostri seviziatori. Abbiamo per troppo tempo agito in modo un po’ manicheo, con mentalità da computer, o sì o no; non è così, siamo entrati in un’epoca di grandi sfumature e di colori cangianti a seconda del tempo “meteorologico” e dell’angolo di incidenza della luce.

di Gianfranco La Grassa -