La scorsa settimana abbiamo avuto comunicazione che Bankitalia – BCE hanno eseguito lo stress test sulle 5 maggiori banche italiane, e che tutte lo hanno superato. Quanto vale questo risultato e il metodo che lo ha prodotto? Perché i mercati l’hanno bocciato, affondando le azioni bancarie? Base degli stress test, ossia dei test di solidità delle banche rispetto a possibili shock finanziari, è la consistenza patrimoniale delle banche medesime. Il grosso dell’attivo patrimoniale delle banche è dato, ovviamente, dai crediti verso i clienti e verso gli stati. Quindi il punto di partenza di ogni stress test dovrebbe essere la verifica dell’effettiva sussistenza dei crediti vantati in portafoglio, e del grado di solvibilità dei rispettivi debitori. Gli stress test sinora condotti, a quanto si capisce, si basano sui dati di bilancio dichiarati dalle banche stesse, e non verificano se essi siano veritieri oppure no: vedi il press release 23.07.11 della BCE. Eppure, molti, recenti e clamorosi episodi di crack finanziari hanno dimostrato che sovente le grandi società (Parmalat, Halliburton, Lehman Brothers), così come fanno le piccole, al fine di ottenere o mantenere crediti o investimenti, dichiarano dati molto migliori di quelli reali. Sappiamo inoltre che tutte le società sono in grado di aggiustare i bilanci, quando serve, e che molte lo fanno (window dressing). Quindi il prendere per veri i dati dichiarati dalle banche che si dovrebbe controllare rende gli stress test pressoché inutili, come certificazione di solidità delle banche che lo superano. Se poi si deve controllare se una impresa sia solida oppure no, cioè se si vuole fugare il dubbio che sia pericolante, pretendere di farlo basandosi sui dati che essa stessa dichiara è ridicolo, è un controsenso come chiedere all’oste se il suo vino è buono. La conseguenza è che l’esito degli stress test non è stato rassicurante. Gli esperti sanno che chi li esegue non esegue prima un controllo analitico e in proprio soprattutto della qualità e consistenza dei crediti che ciascuna banca ha iscritto nello stato patrimoniale, nonché delle garanzie che essa ha prestato per debiti di altri soggetti (solitamente, società-veicolo da essa controllate) e che sono, o dovrebbero essere, esposte nei conti d’ordine. Ricordiamo che la mancata considerazione di tali fattori di rischio da parte di analisti, società di revisione e autorità finanziarie è stata decisiva per i crack-frodi delle banche americane degli ultimi anni. Vedremo se in Italia si imparerà da quella lezione. Nella realtà delle nostre banche, in effetti, mi risulta che molti crediti sono stati cartolarizzati, cioè ceduti dalle banche a società terze, ma, allo scopo di simulare una maggiore patrimonializzazione, vengono mantenuti contabilmente nell’attivo patrimoniale col pretesto che le banche partecipano le società cessionarie. Molti altri crediti sono mantenuti in bilancio come esigibili dalle banche, mentre i debitori sono morosi o addirittura insolventi. Traspare un mare di contenzioso sommerso, che le banche, ovviamente nel proprio interesse, non mettono in sofferenza. Per fare stress test attendibili, bisognerebbe dunque prima controllare seriamente, con apposite ispezioni della Banca d’Italia, i conti delle banche interessate, togliere dallo stato patrimoniale i crediti convogliati su società veicolo non cedute, togliere quelli inesigibili, ed eseguire gli accantonamenti per quelli da incaglio (accantonamento pari al 35% del credito) e per quelli da contenzioso (accantonamento pari al 50%). Altrimenti i dati patrimoniali del bilancio sono falsi per supposizione di attivi inesistenti e occultamento di passivi esistenti. E ciò, dentro il mondo bancario, è ben noto. Onde la sfiducia verso operazioni di rassicurazione anche se blasonate. Molte banche, di prassi, a quanto mi si riferisce, in violazione delle disposizioni di Bankitalia, non fanno le suddette quattro operazioni, perché se le facessero la loro patrimonializzazione si ridurrebbe a livelli di default o perlomeno critici per l’operatività. E qui ritorna l’incompatibilità logica di banche e loro controllanti o partecipate, che da un lato dovrebbero essere controllate e disciplinate da Bankitalia, mentre dall’altro lato la controllano come socie. Questo problema si estende alla BCE, partecipata da Bankitalia e co-autrice degli stress test. Le società di revisione, che dovrebbero assicurarsi che le banche formulino bilanci veritieri, che rispettino le predette disposizioni e che facciano gli accantonamenti, si rivelano poco attive, se è vero quanto sopra riferito. Per farlo, dovrebbero prendere in mano le singole pratiche, o almeno i tabulati integrali. Ma lo fanno? La Consob, che istituzionalmente ha il dovere di vigilare su di loro, dovrebbe farsi più attenta e penetrante. I controlli devono essere credibili, devono farsi sentire, oppure… Per fare le cose seriamente, propongo di mandare ispezioni a sorpresa nelle filiali e nelle sedi centrali, richiedendo i tabulati completi dei crediti in essere, con indicazione delle cessioni , per verificare se siano state eseguite o no le debite rettifriche; delle morosità, per verificare se siano stati fatti gli incagli, le segnalazioni e gli accantonamenti prescritti; ma anche per richiedere le pratiche dei debitori ammessi a “benefici” quali dilazioni, sospensioni, differimenti delle rate o degli interessi, onde verificare la condizione patrimoniale e reddituale dei debitori beneficiari, imprese o privati che siano. Queste sono tutte agevolazioni sponsorizzate dal governo a vantaggio sì dei consumatori-clienti ma anche delle banche, che beneficiano della regolarizzazione figurativa delle posizioni debitorie nel sistema differendo di anni la loro problematicità e ricavandone un’ottima immagine, un’immagine di competenza e coscienziosità e solidità, da spendere anche politicamente. Infatti molto spesso tali benefici sono mascheramenti di morosità e posizioni insolventi, che andrebbero cancellate dall’attivo patrimoniale o quantomeno controbilanciate con accantonamenti del 35% o del 50% a seconda dei casi. Benefici del tipo “sospensione per 24 mesi dei pagamenti” comportano, per chi è già moroso di massimo 12 rate, che la mora si faccia figurare sanata mentre non lo è, e che altre 12 rate a scadere, che pure non saranno pagate, figureranno pagate. Poiché tali benefici sono stati applicati a milioni di soggetti, se si dovesse sollevare la foglia di fico che essi costituiscono, salterebbe fuori un mare di morosità e inesigibilità di crediti, che pure dovrebbero essere tolti dall’attivo patrimoniale delle banche, o controbilanciati coi predetti accantonamenti. Ma la sospensione finisce, prima o poi, e allora il marcio riaffiora o riaffiorerà. E questa è una mina a scoppio ritardato, che, frazie anche agli incoraggiamenti del governo, ci ritroviamo nella pancia. Il risultato di tutte queste operazioni di correzione dei bilanci, di riduzione di attivi fasulli, sarebbe, verosimilmente, il crollo del settore bancario italiano, in quanto illiquido e decotto, gonfio di crdditi inesigibili o ceduti. Se e quanto la cosa emergerà, la capitalizzazione delle banche italiane quotate, già scesa da 222 a 75 miliardi in 4 anni nonostante i cospicui aumenti di capitale, potrebbe scendere alle più oscure profondità. Evitare o rinviare questo esito, è forse l’unica giustificazione del maquillage detto stress test: se non si maschera lo stato di decozione delle banche, succede il disastro, qualcosa che la politica non saprebbe governare. Il vecchio carrozziere in pensione, davanti a cui ho letto e corretto il presente articolo, annuisce e conferma: “Sì, ricordo di quando venivano da me gli ispettori della banca centrale a farsi riparare le loro vetture private richiedendomi di fatturare come se avessi riparato automobili delle banche che erano venuti a controllare, su indicazione e precisi accordi con le direzioni di queste. Può immaginare l’attendibilità di quei controlli.” La via per ristabilire, insieme, la verità economica e l’affidabilità delle banche, esiste, ma è contraria agli interessi dei banchieri, perché espone la natura della loro attività, e qui l’accenno solamente (ampiamente ne ho parlato nei saggi Euroschiavi e La Moneta Copernicana): essa inizia col rilevare che sono omissive le annotazioni di uscita di cassa e di entrata ( ”accensione” ) di un credito che accompagnano l’erogazione ( di crediti) da parte delle banche, perché non riportano che ciò che esce di cassa – il credito, la moneta bancaria – non preesiste all’erogazione, ma è creato dalla banca stessa. mediante l’atto dell’erogazione di credito. Quindi il corrispondente credito con essa generato non è controbilanciato dall’uscita di cassa di denaro o valore preesistente, ma è un ricavo netto, cui si sommeranno i pagamenti di interessi. I risultati di gestione e lo stato patrimoniale dovrebbero essere rivisti di conseguenza. E anche le tasse applicabili alle banche, naturalmente. In tal modo il problema della patrimonialità delle banche sarebbe radicalmente superato, e insieme quello della finanza pubblica. Ma far emergere questi redditi occulti presupporrebbe la rinuncia a usare, come oggi si usa, la moneta e il credito come strumenti per dominare la società e l’economia, anziché per fare il loro bene favorendo loro sviluppo. di Marco Della Luna |
24 luglio 2011
Stress test e contenzioso sommerso
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24 luglio 2011
Stress test e contenzioso sommerso
La scorsa settimana abbiamo avuto comunicazione che Bankitalia – BCE hanno eseguito lo stress test sulle 5 maggiori banche italiane, e che tutte lo hanno superato. Quanto vale questo risultato e il metodo che lo ha prodotto? Perché i mercati l’hanno bocciato, affondando le azioni bancarie? Base degli stress test, ossia dei test di solidità delle banche rispetto a possibili shock finanziari, è la consistenza patrimoniale delle banche medesime. Il grosso dell’attivo patrimoniale delle banche è dato, ovviamente, dai crediti verso i clienti e verso gli stati. Quindi il punto di partenza di ogni stress test dovrebbe essere la verifica dell’effettiva sussistenza dei crediti vantati in portafoglio, e del grado di solvibilità dei rispettivi debitori. Gli stress test sinora condotti, a quanto si capisce, si basano sui dati di bilancio dichiarati dalle banche stesse, e non verificano se essi siano veritieri oppure no: vedi il press release 23.07.11 della BCE. Eppure, molti, recenti e clamorosi episodi di crack finanziari hanno dimostrato che sovente le grandi società (Parmalat, Halliburton, Lehman Brothers), così come fanno le piccole, al fine di ottenere o mantenere crediti o investimenti, dichiarano dati molto migliori di quelli reali. Sappiamo inoltre che tutte le società sono in grado di aggiustare i bilanci, quando serve, e che molte lo fanno (window dressing). Quindi il prendere per veri i dati dichiarati dalle banche che si dovrebbe controllare rende gli stress test pressoché inutili, come certificazione di solidità delle banche che lo superano. Se poi si deve controllare se una impresa sia solida oppure no, cioè se si vuole fugare il dubbio che sia pericolante, pretendere di farlo basandosi sui dati che essa stessa dichiara è ridicolo, è un controsenso come chiedere all’oste se il suo vino è buono. La conseguenza è che l’esito degli stress test non è stato rassicurante. Gli esperti sanno che chi li esegue non esegue prima un controllo analitico e in proprio soprattutto della qualità e consistenza dei crediti che ciascuna banca ha iscritto nello stato patrimoniale, nonché delle garanzie che essa ha prestato per debiti di altri soggetti (solitamente, società-veicolo da essa controllate) e che sono, o dovrebbero essere, esposte nei conti d’ordine. Ricordiamo che la mancata considerazione di tali fattori di rischio da parte di analisti, società di revisione e autorità finanziarie è stata decisiva per i crack-frodi delle banche americane degli ultimi anni. Vedremo se in Italia si imparerà da quella lezione. Nella realtà delle nostre banche, in effetti, mi risulta che molti crediti sono stati cartolarizzati, cioè ceduti dalle banche a società terze, ma, allo scopo di simulare una maggiore patrimonializzazione, vengono mantenuti contabilmente nell’attivo patrimoniale col pretesto che le banche partecipano le società cessionarie. Molti altri crediti sono mantenuti in bilancio come esigibili dalle banche, mentre i debitori sono morosi o addirittura insolventi. Traspare un mare di contenzioso sommerso, che le banche, ovviamente nel proprio interesse, non mettono in sofferenza. Per fare stress test attendibili, bisognerebbe dunque prima controllare seriamente, con apposite ispezioni della Banca d’Italia, i conti delle banche interessate, togliere dallo stato patrimoniale i crediti convogliati su società veicolo non cedute, togliere quelli inesigibili, ed eseguire gli accantonamenti per quelli da incaglio (accantonamento pari al 35% del credito) e per quelli da contenzioso (accantonamento pari al 50%). Altrimenti i dati patrimoniali del bilancio sono falsi per supposizione di attivi inesistenti e occultamento di passivi esistenti. E ciò, dentro il mondo bancario, è ben noto. Onde la sfiducia verso operazioni di rassicurazione anche se blasonate. Molte banche, di prassi, a quanto mi si riferisce, in violazione delle disposizioni di Bankitalia, non fanno le suddette quattro operazioni, perché se le facessero la loro patrimonializzazione si ridurrebbe a livelli di default o perlomeno critici per l’operatività. E qui ritorna l’incompatibilità logica di banche e loro controllanti o partecipate, che da un lato dovrebbero essere controllate e disciplinate da Bankitalia, mentre dall’altro lato la controllano come socie. Questo problema si estende alla BCE, partecipata da Bankitalia e co-autrice degli stress test. Le società di revisione, che dovrebbero assicurarsi che le banche formulino bilanci veritieri, che rispettino le predette disposizioni e che facciano gli accantonamenti, si rivelano poco attive, se è vero quanto sopra riferito. Per farlo, dovrebbero prendere in mano le singole pratiche, o almeno i tabulati integrali. Ma lo fanno? La Consob, che istituzionalmente ha il dovere di vigilare su di loro, dovrebbe farsi più attenta e penetrante. I controlli devono essere credibili, devono farsi sentire, oppure… Per fare le cose seriamente, propongo di mandare ispezioni a sorpresa nelle filiali e nelle sedi centrali, richiedendo i tabulati completi dei crediti in essere, con indicazione delle cessioni , per verificare se siano state eseguite o no le debite rettifriche; delle morosità, per verificare se siano stati fatti gli incagli, le segnalazioni e gli accantonamenti prescritti; ma anche per richiedere le pratiche dei debitori ammessi a “benefici” quali dilazioni, sospensioni, differimenti delle rate o degli interessi, onde verificare la condizione patrimoniale e reddituale dei debitori beneficiari, imprese o privati che siano. Queste sono tutte agevolazioni sponsorizzate dal governo a vantaggio sì dei consumatori-clienti ma anche delle banche, che beneficiano della regolarizzazione figurativa delle posizioni debitorie nel sistema differendo di anni la loro problematicità e ricavandone un’ottima immagine, un’immagine di competenza e coscienziosità e solidità, da spendere anche politicamente. Infatti molto spesso tali benefici sono mascheramenti di morosità e posizioni insolventi, che andrebbero cancellate dall’attivo patrimoniale o quantomeno controbilanciate con accantonamenti del 35% o del 50% a seconda dei casi. Benefici del tipo “sospensione per 24 mesi dei pagamenti” comportano, per chi è già moroso di massimo 12 rate, che la mora si faccia figurare sanata mentre non lo è, e che altre 12 rate a scadere, che pure non saranno pagate, figureranno pagate. Poiché tali benefici sono stati applicati a milioni di soggetti, se si dovesse sollevare la foglia di fico che essi costituiscono, salterebbe fuori un mare di morosità e inesigibilità di crediti, che pure dovrebbero essere tolti dall’attivo patrimoniale delle banche, o controbilanciati coi predetti accantonamenti. Ma la sospensione finisce, prima o poi, e allora il marcio riaffiora o riaffiorerà. E questa è una mina a scoppio ritardato, che, frazie anche agli incoraggiamenti del governo, ci ritroviamo nella pancia. Il risultato di tutte queste operazioni di correzione dei bilanci, di riduzione di attivi fasulli, sarebbe, verosimilmente, il crollo del settore bancario italiano, in quanto illiquido e decotto, gonfio di crdditi inesigibili o ceduti. Se e quanto la cosa emergerà, la capitalizzazione delle banche italiane quotate, già scesa da 222 a 75 miliardi in 4 anni nonostante i cospicui aumenti di capitale, potrebbe scendere alle più oscure profondità. Evitare o rinviare questo esito, è forse l’unica giustificazione del maquillage detto stress test: se non si maschera lo stato di decozione delle banche, succede il disastro, qualcosa che la politica non saprebbe governare. Il vecchio carrozziere in pensione, davanti a cui ho letto e corretto il presente articolo, annuisce e conferma: “Sì, ricordo di quando venivano da me gli ispettori della banca centrale a farsi riparare le loro vetture private richiedendomi di fatturare come se avessi riparato automobili delle banche che erano venuti a controllare, su indicazione e precisi accordi con le direzioni di queste. Può immaginare l’attendibilità di quei controlli.” La via per ristabilire, insieme, la verità economica e l’affidabilità delle banche, esiste, ma è contraria agli interessi dei banchieri, perché espone la natura della loro attività, e qui l’accenno solamente (ampiamente ne ho parlato nei saggi Euroschiavi e La Moneta Copernicana): essa inizia col rilevare che sono omissive le annotazioni di uscita di cassa e di entrata ( ”accensione” ) di un credito che accompagnano l’erogazione ( di crediti) da parte delle banche, perché non riportano che ciò che esce di cassa – il credito, la moneta bancaria – non preesiste all’erogazione, ma è creato dalla banca stessa. mediante l’atto dell’erogazione di credito. Quindi il corrispondente credito con essa generato non è controbilanciato dall’uscita di cassa di denaro o valore preesistente, ma è un ricavo netto, cui si sommeranno i pagamenti di interessi. I risultati di gestione e lo stato patrimoniale dovrebbero essere rivisti di conseguenza. E anche le tasse applicabili alle banche, naturalmente. In tal modo il problema della patrimonialità delle banche sarebbe radicalmente superato, e insieme quello della finanza pubblica. Ma far emergere questi redditi occulti presupporrebbe la rinuncia a usare, come oggi si usa, la moneta e il credito come strumenti per dominare la società e l’economia, anziché per fare il loro bene favorendo loro sviluppo. di Marco Della Luna |
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