22 settembre 2011

Crescita, idolo del nostro tempo




La decrescita non piace a molti economisti, perché mette in discussione uno degli indicatori moderni del successo: il segno più. Tutto quello che ha un segno meno è meglio lasciarlo perdere. Ci minacciano ricordando che ogni forme di vita che sta bene cresce; quando non cresce più, muore. Ma le più importanti lezioni della natura sono invece a favore della moderazione, non degli eccessi e delle obesità che sono sempre distruttivi. E la natura, dove cresce in un modo sano, lo fa con tempi molto lenti. È dimostrato che i sovra-consumi dell’umanità sono la causa di disuguaglianze crescenti, di un impatto ambientale e climatico insostenibili , e vanno di pari passo con l’attitudine di gran parte dell’umanità a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Sono questi vizi collettivi che a livello locale e globale causano una tendenza a volere sempre di più, a non rispettare più le regole comuni, ad accelerare migrazioni insostenibili e disordinate, a provocare crisi economiche e conflitti interni ed internazionali per risorse sempre meno abbondanti.

Decrescita significa ridurre e localizzare produzioni e consumi, ridurre le ore di lavoro per produrre beni per il mercato e dedicare invece più tempo alla famiglia, la religione, l’arte, la musica, lo sport, tutte attività che contribuiscono alla felicità e al benessere della comunità. Lo Stato e le autorità possono facilitare tale inversione di marcia, ma esse sono possibili solo se i cittadini decidono volontariamente di capovolgere le aspirazioni collettive. Già nel 1972 il Club di Roma aveva suonato l’allarme sui limiti della crescita e nel 1973 Ernst Schumacher aveva proposto dei modelli alternativi nel suo famoso libro Piccolo è bello. Nel 1984 avevo sottolineato con lo slogan “Contro la fame cambia la vita” che la moderazione, la condivisione e la semplicità sono condizioni necessarie per costruire più equità nell’uso delle risorse globali, comprese quelle necessarie per la sopravvivenza dei popoli più poveri. Oggi la ricerca scientifica sul cambio climatico ha provato che la localizzazione di produzioni e commerci,dovunque possibili, riducono il danno all’ambiente e il consumo di energia.

Al contrario il boom di consumi in Cina, India e Brasile mostrano che l’aumento veloce e piuttosto diffuso del reddito causano le stesse forme di degrado ambientale e di sprechi che si sono registrate nei boom economici dell’Europa e dell’America. Secondo Serge Latouche, un gurudelle proposte di prosperità senza crescitae di economia sociale e comunitaria, la decrescita succederà comunque perchè i costi dell’economia in continua crescita, in termini politici, della salute pubblica, ecologici,militari e di accesso alle risorse,sono pari alla crescita economica e il saldo finale è comunque zero o meno di zero.

di Sandro Calvani

21 settembre 2011

Addavenì Baffone spaziale!




stalinGiuseppe Stalin, in tutta la sua vita, ha avuto almeno un grande merito che nessuno potrà mai disconoscergli. È stato il primo, l’originale, l’inimitabile, l’impareggiabile, l’insuperabile e, soprattutto, il più conseguente picconatore della storia. Niente parole sferzanti come mannaie metaforiche alla Cossiga ma, direttamente, piccozze taglienti sulle teste “leonine” per evitare di perdersi in una savana chiacchiere vacue e locuzioni vane. Il Georgiano sarà forse stato troppo zelante nell’affrontare i traditori, abusando spesso della sua qualità d’identificarli immediatamente e di consegnarli all’altro mondo, cioè con poche perifrasi e zero processi, ma dobbiamo ammettere che raramente cadeva in fallo. Raramente sbagliava la mira, pur eccedendo in crudeltà e spietatezza. Purtroppo, la sua mirabile opera di pulizia umanitaria non ha impedito la proliferazione dei perfidi epigoni della rivoluzione permanente e dell’idiozia sussistente i quali, pur discendendo da un “Leone” della steppa, vanno assomigliando sempre più a conigli in cattività. Eppure il loro Capo, che per livore di successione aveva accettato un patto col demonio capitalista facendosi servire e riverire al calduccio messicano, era stato animale politico di una certa consistenza, fine letterato e freddo comandante militare. I suoi sostenitori odierni invece sono stalattiti e fossili col cervello pietrificato che sprecano inchiostro e forze intellettuali per appoggiare le guerre imperiali della Nato. Hanno incominciato affiancandosi all’UCK in Kosovo, cioè confondendo ladri, furfanti, spacciatori, signori della guerra ed espiantatori di organi sovvenzionati da Washington con coraggiosi rivoluzionari amanti del popolo e della libertà. Sono poi passati a supportare i ribelli libici, questi giovani con le maglie del “Che” che con armi leggere e male addestrati affronterebbero senza timore i cannoni e i missili dei lealisti di Gheddafi. Parole precise di uno di questi ammutinati del buon senso, il professor Antonio Moscato (è qui davvero il cognome è presagio di sbornia), il quale dopo l’ennesima bevuta internazionalista ha affermato: “i rivoluzionari vengono definiti nel migliore dei casi come “ribelli” o “militari ammutinati”, senza accorgersi che, purtroppo per loro, i militari esperti e dotati di carri armati e armi pesanti nelle loro file erano e sono pochi, perché la maggior parte degli ufficiali era rimasta con Gheddafi. E ai ragazzi entusiasti con la maglietta di Guevara non si insegna a combattere in pochi giorni”. Ma non è finita perchél’intellettuale col gomito alzato più del pugno ha proseguito rampognando le “persone che si considerano non solo di sinistra ma anche rivoluzionari” i quali si schierano impunemente “dalla parte di un tiranno che bombarda il suo popolo, giustificando la repressione con una eventuale “ambiguità” degli oppositori”. I bombardamenti li ha visti soltanto lui mentre persino la stampa più reazionaria parlava di set cinematografico costruito maldestramente per giustificare l’intervento sproporzionato dei protettori unificati. Dunque, colpa dei media i quali fanno opera di disinformazione, permettendosi di enfatizzare il ruolo degli islamisti nella ribellione libica, quale pretesto per non armare i ribelli. Ma anche colpa di Amnesty International che si è assunta la responsabilità di denunciare le efferatezze di quelli del CNT. E poi pure del Manifesto ammalato di ideologia stalinista (e te pareva!) il quale si è azzardato a riportare tali notizie con un metodo che lo “indigna perché alimenta, anche in quel poco di sinistra che rimane, un disprezzo per questa rivoluzione, che grazie a questo più facilmente potrà esser deviata e sconfitta, come in molti stanno provando a fare; e magari potrà essere davvero ereditata da quegli integralisti che finora non hanno contato niente se non nella propaganda di Gheddafi e nella fantasia di qualcuno”. E’ tutto un complotto ai danni della grandiosa rivoluzione libica, complotto al quale sta partecipando anche quella centrale imperialista della Croce Rossa (usurpatrice di colore rivoluzionario) che ha recentemente smentito bombardamenti, genocidi e fosse comuni. Su che pianeta vive Moscato? Sul pianeta della quarta internazionale dove i marxisti diventano marziani e fanno riunioni rivoluzionarie del quarto tipo. Addavenì Baffone spaziale!
di Gianni Petrosillo

14 settembre 2011

Quel che resta del rating




A volte gli americani non sanno cosa sia il pudore. E’ il caso del recente licenziamento di Deven Sharma, responsabile di Standard & Poor’s, cacciato a tamburo battente ( a Cagliari dicono “bogai a sono e corru”) per essersi permesso di declassare a 2A il debito americano e su esplicita richiesta del Presidente. La motivazione ufficiale è il comportamento dell’agenzia che, pur ammettendo un errore di 2.000 miliardi nel proprio computo (e fattogli rilevare dai funzionari del Tesoro americano), ha comunque deciso di confermare il declassamento. Comportamento, in effetti un po’ disinvolto, ma se l’errore avesse riguardato la Grecia, l’Italia, la Francia o il Giappone, cosa sarebbe successo? Assolutamente nulla, lo sappiamo perfettamente.
Che le agenzie di rating americane fossero un canale di direzione –più o meno occulta- della finanza mondiale nelle mani di Wall Street era noto. E non c’era bisogno della chiromante per scopreire che esse hanno (come dire…?) un rapporto …“privilegiato” con l’amministrazione americana. E che l’indipendenza delle agenzie di rating americane dai “poteri fortissimi” fosse solo una favola era chiaro al colto e all’inclita. Ma che non si salvasse nemmeno la forma e che il responsabile di una delle tre potentissime agenzie fosse licenziato in tronco come una colf, su esplicita richiesta del potere politico, era una prova di tutto questo che nemmeno il più sfegatato avversario degli Usa e del rating avrebbe mai osato sperare.

Ma questo finisce di distruggere la credibilità del rating. Immaginiamo che fra qualche mese S&P rettifichi il suo giudizio, restituendo la terza A ai bond Usa, che valore avrebbe questo apprezzamento? Tutti capirebbero che si tratterebbe di un giudizio politico e frutto di un accordo politico. Ma, qualcuno potrebbe obbiettare. la bocciatura a S&P è venuta dai mercati che hanno assorbito con entusiasmo la nuova emissione di bond, al punto che l’interesse –soprattutto dei poliennali- è sceso di quasi un punto e gli investitori hanno mostrato di credere piuttosto a Moody’s e Fich che hanno confermato le tre A. Ora, a parte il fatto che una manipolazione transitoria di mercato non è cosa impossibile quando si hanno alle spalle la Fed ed il servizio segreto del Tesoro (a proposito, lo sapevate che anche il dipartimento del Tesoro Usa ha un suo servizio di informazioni e sicurezza, vero?, va detto che il successo dell’asta è da mettere in relazione al crollo dei titoli azionari (soprattutto dei bancari) su tutte le piazze occidentali.

E’ noto che nelle fasi di turbolenze di borsa gli investitori (almeno sinora) hanno sempre premiato il dollaro ed i bond Usa visti come beni rifugio. Per cui, paradossalmente, il debito pubblico americano ha potuto giovarsi della stessa perturbazione che ha creato. Tutto sta a vedere quanto possa durare questa dinamica in una situazione di questo genere che ha pochi precedenti. Peraltro, anche accettando l’idea che la degradazione dei bond americani sia stata un errore (e che errore, a questo punto!) questo dice quanto poco credibili siano i giudizi del rating. Se il mercato avesse seguiti l’indicazione di S&P, questo sarebbe costato al Tesoro Usa molte centinaia di milioni di dollari. Vice versa, se è sbagliato il giudizio di Moody’s e di Ficht che hanno confermato le tre A, questo significa che le due agenzie manipolano il mercato, consentendo al Tesoro Usa di risparmiare indebitamente quelle centinaia di milioni di dollari.

Chi ha ragione? La questione potrebbe essere ragionevolmente risolta solo esaminando i calcoli delle società di rating ed i criteri che hanno usato per giungere alla loro conclusioni. Ma, qui sta il problema, le procedure delle agenzie di rating, i loro dati, i loro criteri, le loro formule di calcolo, sono segrete. Ufficialmente questo viene spiegato con la necessità di non rivelare i dati che i loro clienti gli hanno fornito per ottenere la “certificazione” del solo stato di solvenza. Peraltro, le stesse agenzie definiscono i loro giudizi come “pareri”, “consigli” che ogni singolo operatore è libero di seguire. Ad esempio, uno Stato è liberissimo di offrire i suoi titoli a basso interesse anche se ha un rating BB, anche se poi bisogna vedere se qualcuno se li compera.

In realtà, il rating appare come un servizio all’acquirente del titolo, ma, nello stesso tempo, fa un servizio anche al venditore che cerca una certificazione del suo grado di credibilità e, per questo, concede la visione dei suoi bilanci e della sua documentazione interna. Il risultato è il regno dell’ambiguità e dell’opacità che rende il rating uno strumento di governo occulto della finanza mondiale (le sue indicazioni, in regime di monopolio, non sono semplici consigli, ma profezie che si autoinverano).

Facciamo ora l’esempio opposto: che fra 6 mesi o un anno, anche Moody’ e Ficht declassino il debito americano, cosa succederebbe? Potrebbe essere un disastro senza prevedenti: S&P avrebbe avuto ragione ed, a questo punto, i mercati potrebbero registrare un effetto slavina nell’uscita dai bond americani, con esiti imprevedibili. Ergo, se anche le condizioni degli Usa peggiorassero molto di più del presente, non è immaginabile che lo facciano, per lo meno non per ora.

Ma, messa così, come si fa a credere ancora a qualsiasi cosa dicano dopo un episodio come quello di Sharma?

di Aldo Giannuli

22 settembre 2011

Crescita, idolo del nostro tempo




La decrescita non piace a molti economisti, perché mette in discussione uno degli indicatori moderni del successo: il segno più. Tutto quello che ha un segno meno è meglio lasciarlo perdere. Ci minacciano ricordando che ogni forme di vita che sta bene cresce; quando non cresce più, muore. Ma le più importanti lezioni della natura sono invece a favore della moderazione, non degli eccessi e delle obesità che sono sempre distruttivi. E la natura, dove cresce in un modo sano, lo fa con tempi molto lenti. È dimostrato che i sovra-consumi dell’umanità sono la causa di disuguaglianze crescenti, di un impatto ambientale e climatico insostenibili , e vanno di pari passo con l’attitudine di gran parte dell’umanità a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Sono questi vizi collettivi che a livello locale e globale causano una tendenza a volere sempre di più, a non rispettare più le regole comuni, ad accelerare migrazioni insostenibili e disordinate, a provocare crisi economiche e conflitti interni ed internazionali per risorse sempre meno abbondanti.

Decrescita significa ridurre e localizzare produzioni e consumi, ridurre le ore di lavoro per produrre beni per il mercato e dedicare invece più tempo alla famiglia, la religione, l’arte, la musica, lo sport, tutte attività che contribuiscono alla felicità e al benessere della comunità. Lo Stato e le autorità possono facilitare tale inversione di marcia, ma esse sono possibili solo se i cittadini decidono volontariamente di capovolgere le aspirazioni collettive. Già nel 1972 il Club di Roma aveva suonato l’allarme sui limiti della crescita e nel 1973 Ernst Schumacher aveva proposto dei modelli alternativi nel suo famoso libro Piccolo è bello. Nel 1984 avevo sottolineato con lo slogan “Contro la fame cambia la vita” che la moderazione, la condivisione e la semplicità sono condizioni necessarie per costruire più equità nell’uso delle risorse globali, comprese quelle necessarie per la sopravvivenza dei popoli più poveri. Oggi la ricerca scientifica sul cambio climatico ha provato che la localizzazione di produzioni e commerci,dovunque possibili, riducono il danno all’ambiente e il consumo di energia.

Al contrario il boom di consumi in Cina, India e Brasile mostrano che l’aumento veloce e piuttosto diffuso del reddito causano le stesse forme di degrado ambientale e di sprechi che si sono registrate nei boom economici dell’Europa e dell’America. Secondo Serge Latouche, un gurudelle proposte di prosperità senza crescitae di economia sociale e comunitaria, la decrescita succederà comunque perchè i costi dell’economia in continua crescita, in termini politici, della salute pubblica, ecologici,militari e di accesso alle risorse,sono pari alla crescita economica e il saldo finale è comunque zero o meno di zero.

di Sandro Calvani

21 settembre 2011

Addavenì Baffone spaziale!




stalinGiuseppe Stalin, in tutta la sua vita, ha avuto almeno un grande merito che nessuno potrà mai disconoscergli. È stato il primo, l’originale, l’inimitabile, l’impareggiabile, l’insuperabile e, soprattutto, il più conseguente picconatore della storia. Niente parole sferzanti come mannaie metaforiche alla Cossiga ma, direttamente, piccozze taglienti sulle teste “leonine” per evitare di perdersi in una savana chiacchiere vacue e locuzioni vane. Il Georgiano sarà forse stato troppo zelante nell’affrontare i traditori, abusando spesso della sua qualità d’identificarli immediatamente e di consegnarli all’altro mondo, cioè con poche perifrasi e zero processi, ma dobbiamo ammettere che raramente cadeva in fallo. Raramente sbagliava la mira, pur eccedendo in crudeltà e spietatezza. Purtroppo, la sua mirabile opera di pulizia umanitaria non ha impedito la proliferazione dei perfidi epigoni della rivoluzione permanente e dell’idiozia sussistente i quali, pur discendendo da un “Leone” della steppa, vanno assomigliando sempre più a conigli in cattività. Eppure il loro Capo, che per livore di successione aveva accettato un patto col demonio capitalista facendosi servire e riverire al calduccio messicano, era stato animale politico di una certa consistenza, fine letterato e freddo comandante militare. I suoi sostenitori odierni invece sono stalattiti e fossili col cervello pietrificato che sprecano inchiostro e forze intellettuali per appoggiare le guerre imperiali della Nato. Hanno incominciato affiancandosi all’UCK in Kosovo, cioè confondendo ladri, furfanti, spacciatori, signori della guerra ed espiantatori di organi sovvenzionati da Washington con coraggiosi rivoluzionari amanti del popolo e della libertà. Sono poi passati a supportare i ribelli libici, questi giovani con le maglie del “Che” che con armi leggere e male addestrati affronterebbero senza timore i cannoni e i missili dei lealisti di Gheddafi. Parole precise di uno di questi ammutinati del buon senso, il professor Antonio Moscato (è qui davvero il cognome è presagio di sbornia), il quale dopo l’ennesima bevuta internazionalista ha affermato: “i rivoluzionari vengono definiti nel migliore dei casi come “ribelli” o “militari ammutinati”, senza accorgersi che, purtroppo per loro, i militari esperti e dotati di carri armati e armi pesanti nelle loro file erano e sono pochi, perché la maggior parte degli ufficiali era rimasta con Gheddafi. E ai ragazzi entusiasti con la maglietta di Guevara non si insegna a combattere in pochi giorni”. Ma non è finita perchél’intellettuale col gomito alzato più del pugno ha proseguito rampognando le “persone che si considerano non solo di sinistra ma anche rivoluzionari” i quali si schierano impunemente “dalla parte di un tiranno che bombarda il suo popolo, giustificando la repressione con una eventuale “ambiguità” degli oppositori”. I bombardamenti li ha visti soltanto lui mentre persino la stampa più reazionaria parlava di set cinematografico costruito maldestramente per giustificare l’intervento sproporzionato dei protettori unificati. Dunque, colpa dei media i quali fanno opera di disinformazione, permettendosi di enfatizzare il ruolo degli islamisti nella ribellione libica, quale pretesto per non armare i ribelli. Ma anche colpa di Amnesty International che si è assunta la responsabilità di denunciare le efferatezze di quelli del CNT. E poi pure del Manifesto ammalato di ideologia stalinista (e te pareva!) il quale si è azzardato a riportare tali notizie con un metodo che lo “indigna perché alimenta, anche in quel poco di sinistra che rimane, un disprezzo per questa rivoluzione, che grazie a questo più facilmente potrà esser deviata e sconfitta, come in molti stanno provando a fare; e magari potrà essere davvero ereditata da quegli integralisti che finora non hanno contato niente se non nella propaganda di Gheddafi e nella fantasia di qualcuno”. E’ tutto un complotto ai danni della grandiosa rivoluzione libica, complotto al quale sta partecipando anche quella centrale imperialista della Croce Rossa (usurpatrice di colore rivoluzionario) che ha recentemente smentito bombardamenti, genocidi e fosse comuni. Su che pianeta vive Moscato? Sul pianeta della quarta internazionale dove i marxisti diventano marziani e fanno riunioni rivoluzionarie del quarto tipo. Addavenì Baffone spaziale!
di Gianni Petrosillo

14 settembre 2011

Quel che resta del rating




A volte gli americani non sanno cosa sia il pudore. E’ il caso del recente licenziamento di Deven Sharma, responsabile di Standard & Poor’s, cacciato a tamburo battente ( a Cagliari dicono “bogai a sono e corru”) per essersi permesso di declassare a 2A il debito americano e su esplicita richiesta del Presidente. La motivazione ufficiale è il comportamento dell’agenzia che, pur ammettendo un errore di 2.000 miliardi nel proprio computo (e fattogli rilevare dai funzionari del Tesoro americano), ha comunque deciso di confermare il declassamento. Comportamento, in effetti un po’ disinvolto, ma se l’errore avesse riguardato la Grecia, l’Italia, la Francia o il Giappone, cosa sarebbe successo? Assolutamente nulla, lo sappiamo perfettamente.
Che le agenzie di rating americane fossero un canale di direzione –più o meno occulta- della finanza mondiale nelle mani di Wall Street era noto. E non c’era bisogno della chiromante per scopreire che esse hanno (come dire…?) un rapporto …“privilegiato” con l’amministrazione americana. E che l’indipendenza delle agenzie di rating americane dai “poteri fortissimi” fosse solo una favola era chiaro al colto e all’inclita. Ma che non si salvasse nemmeno la forma e che il responsabile di una delle tre potentissime agenzie fosse licenziato in tronco come una colf, su esplicita richiesta del potere politico, era una prova di tutto questo che nemmeno il più sfegatato avversario degli Usa e del rating avrebbe mai osato sperare.

Ma questo finisce di distruggere la credibilità del rating. Immaginiamo che fra qualche mese S&P rettifichi il suo giudizio, restituendo la terza A ai bond Usa, che valore avrebbe questo apprezzamento? Tutti capirebbero che si tratterebbe di un giudizio politico e frutto di un accordo politico. Ma, qualcuno potrebbe obbiettare. la bocciatura a S&P è venuta dai mercati che hanno assorbito con entusiasmo la nuova emissione di bond, al punto che l’interesse –soprattutto dei poliennali- è sceso di quasi un punto e gli investitori hanno mostrato di credere piuttosto a Moody’s e Fich che hanno confermato le tre A. Ora, a parte il fatto che una manipolazione transitoria di mercato non è cosa impossibile quando si hanno alle spalle la Fed ed il servizio segreto del Tesoro (a proposito, lo sapevate che anche il dipartimento del Tesoro Usa ha un suo servizio di informazioni e sicurezza, vero?, va detto che il successo dell’asta è da mettere in relazione al crollo dei titoli azionari (soprattutto dei bancari) su tutte le piazze occidentali.

E’ noto che nelle fasi di turbolenze di borsa gli investitori (almeno sinora) hanno sempre premiato il dollaro ed i bond Usa visti come beni rifugio. Per cui, paradossalmente, il debito pubblico americano ha potuto giovarsi della stessa perturbazione che ha creato. Tutto sta a vedere quanto possa durare questa dinamica in una situazione di questo genere che ha pochi precedenti. Peraltro, anche accettando l’idea che la degradazione dei bond americani sia stata un errore (e che errore, a questo punto!) questo dice quanto poco credibili siano i giudizi del rating. Se il mercato avesse seguiti l’indicazione di S&P, questo sarebbe costato al Tesoro Usa molte centinaia di milioni di dollari. Vice versa, se è sbagliato il giudizio di Moody’s e di Ficht che hanno confermato le tre A, questo significa che le due agenzie manipolano il mercato, consentendo al Tesoro Usa di risparmiare indebitamente quelle centinaia di milioni di dollari.

Chi ha ragione? La questione potrebbe essere ragionevolmente risolta solo esaminando i calcoli delle società di rating ed i criteri che hanno usato per giungere alla loro conclusioni. Ma, qui sta il problema, le procedure delle agenzie di rating, i loro dati, i loro criteri, le loro formule di calcolo, sono segrete. Ufficialmente questo viene spiegato con la necessità di non rivelare i dati che i loro clienti gli hanno fornito per ottenere la “certificazione” del solo stato di solvenza. Peraltro, le stesse agenzie definiscono i loro giudizi come “pareri”, “consigli” che ogni singolo operatore è libero di seguire. Ad esempio, uno Stato è liberissimo di offrire i suoi titoli a basso interesse anche se ha un rating BB, anche se poi bisogna vedere se qualcuno se li compera.

In realtà, il rating appare come un servizio all’acquirente del titolo, ma, nello stesso tempo, fa un servizio anche al venditore che cerca una certificazione del suo grado di credibilità e, per questo, concede la visione dei suoi bilanci e della sua documentazione interna. Il risultato è il regno dell’ambiguità e dell’opacità che rende il rating uno strumento di governo occulto della finanza mondiale (le sue indicazioni, in regime di monopolio, non sono semplici consigli, ma profezie che si autoinverano).

Facciamo ora l’esempio opposto: che fra 6 mesi o un anno, anche Moody’ e Ficht declassino il debito americano, cosa succederebbe? Potrebbe essere un disastro senza prevedenti: S&P avrebbe avuto ragione ed, a questo punto, i mercati potrebbero registrare un effetto slavina nell’uscita dai bond americani, con esiti imprevedibili. Ergo, se anche le condizioni degli Usa peggiorassero molto di più del presente, non è immaginabile che lo facciano, per lo meno non per ora.

Ma, messa così, come si fa a credere ancora a qualsiasi cosa dicano dopo un episodio come quello di Sharma?

di Aldo Giannuli