La decrescita non piace a molti economisti, perché mette in discussione uno degli indicatori moderni del successo: il segno più. Tutto quello che ha un segno meno è meglio lasciarlo perdere. Ci minacciano ricordando che ogni forme di vita che sta bene cresce; quando non cresce più, muore. Ma le più importanti lezioni della natura sono invece a favore della moderazione, non degli eccessi e delle obesità che sono sempre distruttivi. E la natura, dove cresce in un modo sano, lo fa con tempi molto lenti. È dimostrato che i sovra-consumi dell’umanità sono la causa di disuguaglianze crescenti, di un impatto ambientale e climatico insostenibili , e vanno di pari passo con l’attitudine di gran parte dell’umanità a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Sono questi vizi collettivi che a livello locale e globale causano una tendenza a volere sempre di più, a non rispettare più le regole comuni, ad accelerare migrazioni insostenibili e disordinate, a provocare crisi economiche e conflitti interni ed internazionali per risorse sempre meno abbondanti.
Decrescita significa ridurre e localizzare produzioni e consumi, ridurre le ore di lavoro per produrre beni per il mercato e dedicare invece più tempo alla famiglia, la religione, l’arte, la musica, lo sport, tutte attività che contribuiscono alla felicità e al benessere della comunità. Lo Stato e le autorità possono facilitare tale inversione di marcia, ma esse sono possibili solo se i cittadini decidono volontariamente di capovolgere le aspirazioni collettive. Già nel 1972 il Club di Roma aveva suonato l’allarme sui limiti della crescita e nel 1973 Ernst Schumacher aveva proposto dei modelli alternativi nel suo famoso libro Piccolo è bello. Nel 1984 avevo sottolineato con lo slogan “Contro la fame cambia la vita” che la moderazione, la condivisione e la semplicità sono condizioni necessarie per costruire più equità nell’uso delle risorse globali, comprese quelle necessarie per la sopravvivenza dei popoli più poveri. Oggi la ricerca scientifica sul cambio climatico ha provato che la localizzazione di produzioni e commerci,dovunque possibili, riducono il danno all’ambiente e il consumo di energia.
Al contrario il boom di consumi in Cina, India e Brasile mostrano che l’aumento veloce e piuttosto diffuso del reddito causano le stesse forme di degrado ambientale e di sprechi che si sono registrate nei boom economici dell’Europa e dell’America. Secondo Serge Latouche, un gurudelle proposte di prosperità senza crescitae di economia sociale e comunitaria, la decrescita succederà comunque perchè i costi dell’economia in continua crescita, in termini politici, della salute pubblica, ecologici,militari e di accesso alle risorse,sono pari alla crescita economica e il saldo finale è comunque zero o meno di zero.
di Sandro Calvani
Giuseppe Stalin, in tutta la sua vita, ha avuto almeno un grande merito che nessuno potrà mai disconoscergli. È stato il primo, l’originale, l’inimitabile, l’impareggiabile, l’insuperabile e, soprattutto, il più conseguente picconatore della storia. Niente parole sferzanti come mannaie metaforiche alla Cossiga ma, direttamente, piccozze taglienti sulle teste “leonine” per evitare di perdersi in una savana chiacchiere vacue e locuzioni vane. Il Georgiano sarà forse stato troppo zelante nell’affrontare i traditori, abusando spesso della sua qualità d’identificarli immediatamente e di consegnarli all’altro mondo, cioè con poche perifrasi e zero processi, ma dobbiamo ammettere che raramente cadeva in fallo. Raramente sbagliava la mira, pur eccedendo in crudeltà e spietatezza. Purtroppo, la sua mirabile opera di pulizia umanitaria non ha impedito la proliferazione dei perfidi epigoni della rivoluzione permanente e dell’idiozia sussistente i quali, pur discendendo da un “Leone” della steppa, vanno assomigliando sempre più a conigli in cattività. Eppure il loro Capo, che per livore di successione aveva accettato un patto col demonio capitalista facendosi servire e riverire al calduccio messicano, era stato animale politico di una certa consistenza, fine letterato e freddo comandante militare. I suoi sostenitori odierni invece sono stalattiti e fossili col cervello pietrificato che sprecano inchiostro e forze intellettuali per appoggiare le guerre imperiali della Nato. Hanno incominciato affiancandosi all’UCK in Kosovo, cioè confondendo ladri, furfanti, spacciatori, signori della guerra ed espiantatori di organi sovvenzionati da Washington con coraggiosi rivoluzionari amanti del popolo e della libertà. Sono poi passati a supportare i ribelli libici, questi giovani con le maglie del “Che” che con armi leggere e male addestrati affronterebbero senza timore i cannoni e i missili dei lealisti di Gheddafi. Parole precise di uno di questi ammutinati del buon senso, il professor Antonio Moscato (è qui davvero il cognome è presagio di sbornia), il quale dopo l’ennesima bevuta internazionalista ha affermato: “i rivoluzionari vengono definiti nel migliore dei casi come “ribelli” o “militari ammutinati”, senza accorgersi che, purtroppo per loro, i militari esperti e dotati di carri armati e armi pesanti nelle loro file erano e sono pochi, perché la maggior parte degli ufficiali era rimasta con Gheddafi. E ai ragazzi entusiasti con la maglietta di Guevara non si insegna a combattere in pochi giorni”. Ma non è finita perchél’intellettuale col gomito alzato più del pugno ha proseguito rampognando le “persone che si considerano non solo di sinistra ma anche rivoluzionari” i quali si schierano impunemente “dalla parte di un tiranno che bombarda il suo popolo, giustificando la repressione con una eventuale “ambiguità” degli oppositori”. I bombardamenti li ha visti soltanto lui mentre persino la stampa più reazionaria parlava di set cinematografico costruito maldestramente per giustificare l’intervento sproporzionato dei protettori unificati. Dunque, colpa dei media i quali fanno opera di disinformazione, permettendosi di enfatizzare il ruolo degli islamisti nella ribellione libica, quale pretesto per non armare i ribelli. Ma anche colpa di Amnesty International che si è assunta la responsabilità di denunciare le efferatezze di quelli del CNT. E poi pure del Manifesto ammalato di ideologia stalinista (e te pareva!) il quale si è azzardato a riportare tali notizie con un metodo che lo “indigna perché alimenta, anche in quel poco di sinistra che rimane, un disprezzo per questa rivoluzione, che grazie a questo più facilmente potrà esser deviata e sconfitta, come in molti stanno provando a fare; e magari potrà essere davvero ereditata da quegli integralisti che finora non hanno contato niente se non nella propaganda di Gheddafi e nella fantasia di qualcuno”. E’ tutto un complotto ai danni della grandiosa rivoluzione libica, complotto al quale sta partecipando anche quella centrale imperialista della Croce Rossa (usurpatrice di colore rivoluzionario) che ha recentemente smentito bombardamenti, genocidi e fosse comuni. Su che pianeta vive Moscato? Sul pianeta della quarta internazionale dove i marxisti diventano marziani e fanno riunioni rivoluzionarie del quarto tipo. Addavenì Baffone spaziale!