14 settembre 2011

Quel che resta del rating




A volte gli americani non sanno cosa sia il pudore. E’ il caso del recente licenziamento di Deven Sharma, responsabile di Standard & Poor’s, cacciato a tamburo battente ( a Cagliari dicono “bogai a sono e corru”) per essersi permesso di declassare a 2A il debito americano e su esplicita richiesta del Presidente. La motivazione ufficiale è il comportamento dell’agenzia che, pur ammettendo un errore di 2.000 miliardi nel proprio computo (e fattogli rilevare dai funzionari del Tesoro americano), ha comunque deciso di confermare il declassamento. Comportamento, in effetti un po’ disinvolto, ma se l’errore avesse riguardato la Grecia, l’Italia, la Francia o il Giappone, cosa sarebbe successo? Assolutamente nulla, lo sappiamo perfettamente.
Che le agenzie di rating americane fossero un canale di direzione –più o meno occulta- della finanza mondiale nelle mani di Wall Street era noto. E non c’era bisogno della chiromante per scopreire che esse hanno (come dire…?) un rapporto …“privilegiato” con l’amministrazione americana. E che l’indipendenza delle agenzie di rating americane dai “poteri fortissimi” fosse solo una favola era chiaro al colto e all’inclita. Ma che non si salvasse nemmeno la forma e che il responsabile di una delle tre potentissime agenzie fosse licenziato in tronco come una colf, su esplicita richiesta del potere politico, era una prova di tutto questo che nemmeno il più sfegatato avversario degli Usa e del rating avrebbe mai osato sperare.

Ma questo finisce di distruggere la credibilità del rating. Immaginiamo che fra qualche mese S&P rettifichi il suo giudizio, restituendo la terza A ai bond Usa, che valore avrebbe questo apprezzamento? Tutti capirebbero che si tratterebbe di un giudizio politico e frutto di un accordo politico. Ma, qualcuno potrebbe obbiettare. la bocciatura a S&P è venuta dai mercati che hanno assorbito con entusiasmo la nuova emissione di bond, al punto che l’interesse –soprattutto dei poliennali- è sceso di quasi un punto e gli investitori hanno mostrato di credere piuttosto a Moody’s e Fich che hanno confermato le tre A. Ora, a parte il fatto che una manipolazione transitoria di mercato non è cosa impossibile quando si hanno alle spalle la Fed ed il servizio segreto del Tesoro (a proposito, lo sapevate che anche il dipartimento del Tesoro Usa ha un suo servizio di informazioni e sicurezza, vero?, va detto che il successo dell’asta è da mettere in relazione al crollo dei titoli azionari (soprattutto dei bancari) su tutte le piazze occidentali.

E’ noto che nelle fasi di turbolenze di borsa gli investitori (almeno sinora) hanno sempre premiato il dollaro ed i bond Usa visti come beni rifugio. Per cui, paradossalmente, il debito pubblico americano ha potuto giovarsi della stessa perturbazione che ha creato. Tutto sta a vedere quanto possa durare questa dinamica in una situazione di questo genere che ha pochi precedenti. Peraltro, anche accettando l’idea che la degradazione dei bond americani sia stata un errore (e che errore, a questo punto!) questo dice quanto poco credibili siano i giudizi del rating. Se il mercato avesse seguiti l’indicazione di S&P, questo sarebbe costato al Tesoro Usa molte centinaia di milioni di dollari. Vice versa, se è sbagliato il giudizio di Moody’s e di Ficht che hanno confermato le tre A, questo significa che le due agenzie manipolano il mercato, consentendo al Tesoro Usa di risparmiare indebitamente quelle centinaia di milioni di dollari.

Chi ha ragione? La questione potrebbe essere ragionevolmente risolta solo esaminando i calcoli delle società di rating ed i criteri che hanno usato per giungere alla loro conclusioni. Ma, qui sta il problema, le procedure delle agenzie di rating, i loro dati, i loro criteri, le loro formule di calcolo, sono segrete. Ufficialmente questo viene spiegato con la necessità di non rivelare i dati che i loro clienti gli hanno fornito per ottenere la “certificazione” del solo stato di solvenza. Peraltro, le stesse agenzie definiscono i loro giudizi come “pareri”, “consigli” che ogni singolo operatore è libero di seguire. Ad esempio, uno Stato è liberissimo di offrire i suoi titoli a basso interesse anche se ha un rating BB, anche se poi bisogna vedere se qualcuno se li compera.

In realtà, il rating appare come un servizio all’acquirente del titolo, ma, nello stesso tempo, fa un servizio anche al venditore che cerca una certificazione del suo grado di credibilità e, per questo, concede la visione dei suoi bilanci e della sua documentazione interna. Il risultato è il regno dell’ambiguità e dell’opacità che rende il rating uno strumento di governo occulto della finanza mondiale (le sue indicazioni, in regime di monopolio, non sono semplici consigli, ma profezie che si autoinverano).

Facciamo ora l’esempio opposto: che fra 6 mesi o un anno, anche Moody’ e Ficht declassino il debito americano, cosa succederebbe? Potrebbe essere un disastro senza prevedenti: S&P avrebbe avuto ragione ed, a questo punto, i mercati potrebbero registrare un effetto slavina nell’uscita dai bond americani, con esiti imprevedibili. Ergo, se anche le condizioni degli Usa peggiorassero molto di più del presente, non è immaginabile che lo facciano, per lo meno non per ora.

Ma, messa così, come si fa a credere ancora a qualsiasi cosa dicano dopo un episodio come quello di Sharma?

di Aldo Giannuli

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14 settembre 2011

Quel che resta del rating




A volte gli americani non sanno cosa sia il pudore. E’ il caso del recente licenziamento di Deven Sharma, responsabile di Standard & Poor’s, cacciato a tamburo battente ( a Cagliari dicono “bogai a sono e corru”) per essersi permesso di declassare a 2A il debito americano e su esplicita richiesta del Presidente. La motivazione ufficiale è il comportamento dell’agenzia che, pur ammettendo un errore di 2.000 miliardi nel proprio computo (e fattogli rilevare dai funzionari del Tesoro americano), ha comunque deciso di confermare il declassamento. Comportamento, in effetti un po’ disinvolto, ma se l’errore avesse riguardato la Grecia, l’Italia, la Francia o il Giappone, cosa sarebbe successo? Assolutamente nulla, lo sappiamo perfettamente.
Che le agenzie di rating americane fossero un canale di direzione –più o meno occulta- della finanza mondiale nelle mani di Wall Street era noto. E non c’era bisogno della chiromante per scopreire che esse hanno (come dire…?) un rapporto …“privilegiato” con l’amministrazione americana. E che l’indipendenza delle agenzie di rating americane dai “poteri fortissimi” fosse solo una favola era chiaro al colto e all’inclita. Ma che non si salvasse nemmeno la forma e che il responsabile di una delle tre potentissime agenzie fosse licenziato in tronco come una colf, su esplicita richiesta del potere politico, era una prova di tutto questo che nemmeno il più sfegatato avversario degli Usa e del rating avrebbe mai osato sperare.

Ma questo finisce di distruggere la credibilità del rating. Immaginiamo che fra qualche mese S&P rettifichi il suo giudizio, restituendo la terza A ai bond Usa, che valore avrebbe questo apprezzamento? Tutti capirebbero che si tratterebbe di un giudizio politico e frutto di un accordo politico. Ma, qualcuno potrebbe obbiettare. la bocciatura a S&P è venuta dai mercati che hanno assorbito con entusiasmo la nuova emissione di bond, al punto che l’interesse –soprattutto dei poliennali- è sceso di quasi un punto e gli investitori hanno mostrato di credere piuttosto a Moody’s e Fich che hanno confermato le tre A. Ora, a parte il fatto che una manipolazione transitoria di mercato non è cosa impossibile quando si hanno alle spalle la Fed ed il servizio segreto del Tesoro (a proposito, lo sapevate che anche il dipartimento del Tesoro Usa ha un suo servizio di informazioni e sicurezza, vero?, va detto che il successo dell’asta è da mettere in relazione al crollo dei titoli azionari (soprattutto dei bancari) su tutte le piazze occidentali.

E’ noto che nelle fasi di turbolenze di borsa gli investitori (almeno sinora) hanno sempre premiato il dollaro ed i bond Usa visti come beni rifugio. Per cui, paradossalmente, il debito pubblico americano ha potuto giovarsi della stessa perturbazione che ha creato. Tutto sta a vedere quanto possa durare questa dinamica in una situazione di questo genere che ha pochi precedenti. Peraltro, anche accettando l’idea che la degradazione dei bond americani sia stata un errore (e che errore, a questo punto!) questo dice quanto poco credibili siano i giudizi del rating. Se il mercato avesse seguiti l’indicazione di S&P, questo sarebbe costato al Tesoro Usa molte centinaia di milioni di dollari. Vice versa, se è sbagliato il giudizio di Moody’s e di Ficht che hanno confermato le tre A, questo significa che le due agenzie manipolano il mercato, consentendo al Tesoro Usa di risparmiare indebitamente quelle centinaia di milioni di dollari.

Chi ha ragione? La questione potrebbe essere ragionevolmente risolta solo esaminando i calcoli delle società di rating ed i criteri che hanno usato per giungere alla loro conclusioni. Ma, qui sta il problema, le procedure delle agenzie di rating, i loro dati, i loro criteri, le loro formule di calcolo, sono segrete. Ufficialmente questo viene spiegato con la necessità di non rivelare i dati che i loro clienti gli hanno fornito per ottenere la “certificazione” del solo stato di solvenza. Peraltro, le stesse agenzie definiscono i loro giudizi come “pareri”, “consigli” che ogni singolo operatore è libero di seguire. Ad esempio, uno Stato è liberissimo di offrire i suoi titoli a basso interesse anche se ha un rating BB, anche se poi bisogna vedere se qualcuno se li compera.

In realtà, il rating appare come un servizio all’acquirente del titolo, ma, nello stesso tempo, fa un servizio anche al venditore che cerca una certificazione del suo grado di credibilità e, per questo, concede la visione dei suoi bilanci e della sua documentazione interna. Il risultato è il regno dell’ambiguità e dell’opacità che rende il rating uno strumento di governo occulto della finanza mondiale (le sue indicazioni, in regime di monopolio, non sono semplici consigli, ma profezie che si autoinverano).

Facciamo ora l’esempio opposto: che fra 6 mesi o un anno, anche Moody’ e Ficht declassino il debito americano, cosa succederebbe? Potrebbe essere un disastro senza prevedenti: S&P avrebbe avuto ragione ed, a questo punto, i mercati potrebbero registrare un effetto slavina nell’uscita dai bond americani, con esiti imprevedibili. Ergo, se anche le condizioni degli Usa peggiorassero molto di più del presente, non è immaginabile che lo facciano, per lo meno non per ora.

Ma, messa così, come si fa a credere ancora a qualsiasi cosa dicano dopo un episodio come quello di Sharma?

di Aldo Giannuli

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