22 settembre 2011

Crescita, idolo del nostro tempo




La decrescita non piace a molti economisti, perché mette in discussione uno degli indicatori moderni del successo: il segno più. Tutto quello che ha un segno meno è meglio lasciarlo perdere. Ci minacciano ricordando che ogni forme di vita che sta bene cresce; quando non cresce più, muore. Ma le più importanti lezioni della natura sono invece a favore della moderazione, non degli eccessi e delle obesità che sono sempre distruttivi. E la natura, dove cresce in un modo sano, lo fa con tempi molto lenti. È dimostrato che i sovra-consumi dell’umanità sono la causa di disuguaglianze crescenti, di un impatto ambientale e climatico insostenibili , e vanno di pari passo con l’attitudine di gran parte dell’umanità a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Sono questi vizi collettivi che a livello locale e globale causano una tendenza a volere sempre di più, a non rispettare più le regole comuni, ad accelerare migrazioni insostenibili e disordinate, a provocare crisi economiche e conflitti interni ed internazionali per risorse sempre meno abbondanti.

Decrescita significa ridurre e localizzare produzioni e consumi, ridurre le ore di lavoro per produrre beni per il mercato e dedicare invece più tempo alla famiglia, la religione, l’arte, la musica, lo sport, tutte attività che contribuiscono alla felicità e al benessere della comunità. Lo Stato e le autorità possono facilitare tale inversione di marcia, ma esse sono possibili solo se i cittadini decidono volontariamente di capovolgere le aspirazioni collettive. Già nel 1972 il Club di Roma aveva suonato l’allarme sui limiti della crescita e nel 1973 Ernst Schumacher aveva proposto dei modelli alternativi nel suo famoso libro Piccolo è bello. Nel 1984 avevo sottolineato con lo slogan “Contro la fame cambia la vita” che la moderazione, la condivisione e la semplicità sono condizioni necessarie per costruire più equità nell’uso delle risorse globali, comprese quelle necessarie per la sopravvivenza dei popoli più poveri. Oggi la ricerca scientifica sul cambio climatico ha provato che la localizzazione di produzioni e commerci,dovunque possibili, riducono il danno all’ambiente e il consumo di energia.

Al contrario il boom di consumi in Cina, India e Brasile mostrano che l’aumento veloce e piuttosto diffuso del reddito causano le stesse forme di degrado ambientale e di sprechi che si sono registrate nei boom economici dell’Europa e dell’America. Secondo Serge Latouche, un gurudelle proposte di prosperità senza crescitae di economia sociale e comunitaria, la decrescita succederà comunque perchè i costi dell’economia in continua crescita, in termini politici, della salute pubblica, ecologici,militari e di accesso alle risorse,sono pari alla crescita economica e il saldo finale è comunque zero o meno di zero.

di Sandro Calvani

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22 settembre 2011

Crescita, idolo del nostro tempo




La decrescita non piace a molti economisti, perché mette in discussione uno degli indicatori moderni del successo: il segno più. Tutto quello che ha un segno meno è meglio lasciarlo perdere. Ci minacciano ricordando che ogni forme di vita che sta bene cresce; quando non cresce più, muore. Ma le più importanti lezioni della natura sono invece a favore della moderazione, non degli eccessi e delle obesità che sono sempre distruttivi. E la natura, dove cresce in un modo sano, lo fa con tempi molto lenti. È dimostrato che i sovra-consumi dell’umanità sono la causa di disuguaglianze crescenti, di un impatto ambientale e climatico insostenibili , e vanno di pari passo con l’attitudine di gran parte dell’umanità a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Sono questi vizi collettivi che a livello locale e globale causano una tendenza a volere sempre di più, a non rispettare più le regole comuni, ad accelerare migrazioni insostenibili e disordinate, a provocare crisi economiche e conflitti interni ed internazionali per risorse sempre meno abbondanti.

Decrescita significa ridurre e localizzare produzioni e consumi, ridurre le ore di lavoro per produrre beni per il mercato e dedicare invece più tempo alla famiglia, la religione, l’arte, la musica, lo sport, tutte attività che contribuiscono alla felicità e al benessere della comunità. Lo Stato e le autorità possono facilitare tale inversione di marcia, ma esse sono possibili solo se i cittadini decidono volontariamente di capovolgere le aspirazioni collettive. Già nel 1972 il Club di Roma aveva suonato l’allarme sui limiti della crescita e nel 1973 Ernst Schumacher aveva proposto dei modelli alternativi nel suo famoso libro Piccolo è bello. Nel 1984 avevo sottolineato con lo slogan “Contro la fame cambia la vita” che la moderazione, la condivisione e la semplicità sono condizioni necessarie per costruire più equità nell’uso delle risorse globali, comprese quelle necessarie per la sopravvivenza dei popoli più poveri. Oggi la ricerca scientifica sul cambio climatico ha provato che la localizzazione di produzioni e commerci,dovunque possibili, riducono il danno all’ambiente e il consumo di energia.

Al contrario il boom di consumi in Cina, India e Brasile mostrano che l’aumento veloce e piuttosto diffuso del reddito causano le stesse forme di degrado ambientale e di sprechi che si sono registrate nei boom economici dell’Europa e dell’America. Secondo Serge Latouche, un gurudelle proposte di prosperità senza crescitae di economia sociale e comunitaria, la decrescita succederà comunque perchè i costi dell’economia in continua crescita, in termini politici, della salute pubblica, ecologici,militari e di accesso alle risorse,sono pari alla crescita economica e il saldo finale è comunque zero o meno di zero.

di Sandro Calvani

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