11 marzo 2013

l diritto di Grillo e i suoi a snobbare la tivù


L’ultimo episodio ha avuto per protagonista un giornalista diBallarò. Presentatosi a un’assemblea del Movimento 5 stelle a Napoli, non è stato fatto entrare nella sala perché l’intrusione delle telecamere non era gradita. Ma ci sono una serie di vicende analoghe che dimostrano l’idiosincrasia dei grillini verso i media, e al tempo stesso il senso di astio misto a sconcerto che questi provano verso chi inopinatamente li respinge.
Abituati ad avere campo libero, a essere addirittura blanditi perché considerati un indispensabile volano del consenso, tivù e giornali sono increduli di fronte a chi ostentatamente li rifugge. La novità ha del clamoroso, perché fino ad ora la sottomissione della vita pubblica ai palinsesti televisivi è stata totale. 

Il M5S spezza la logica tivù-centrica del berlusconismo

L’estromissione dei luoghi istituzionali della politica, il passaggio dalle Camere alle telecamere, è una metamorfosi che si è consumata all’interno della Seconda Repubblica. Non foss’altro che a dettarne tempi e modi è stato il suo interprete per antonomasia, Silvio Berlusconi, che dalla piccolo schermo proveniva e dunque meglio di tutti ne conosceva il richiamo seduttivo.
Agli albori della Terza, ci si trova fare i conti con un partito che non vuole più sottostare a questa logica. E rivendica un ritorno del fare politica non solo ai luoghi che le erano propri, in primis quella che era la sua sede naturale: il parlamento. Ma ambisce anche a separarla dalla sua rappresentazione mediatica accusata, secondo noi con ragione, di rimandarne un’immagine deformata, se non palesemente falsa.
MA LA FUGA DAGLI SCHERMI NON È UN VULNUS DEMOCRATICO. Ora, se questa è la motivazione che spinge il M5S a eludere la pretesa di chi vorrebbe strumentalizzarlo ai fini dell’audience, non si capisce perché ciò susciti tanta riprovazione verso il movimento, con accuse di opacità e scarsa attitudine democratica. Come se  bastasse un rifiuto a farsi intervistare (quello di Grillo a Sky  ha dato il via da parte dell’emittente a due giorni di reprimenda) o andare in tivù per arrecare alla democrazia un irreparabile vulnus.
UNA SCELTA COERENTE PER CHI PRIVILEGIA INTERNET. Per un movimento che ha fatto di Internet e della Rete il luogo privilegiato della comunicazione, e che proprio per questo teorizza un ritorno alla partecipazione diretta scevra il più possibile alle intermediazioni, rovesciare il rapporto di sudditanza ai media, la loro famelica smania di filtrare  la lettura e l’interpretazione del mondo, è un atteggiamento assolutamente condivisibile.
Così come la severità per chi trasgredisce quella che appare una regola fondante, paragonabile al rifiuto sin qui ostentato ad allearsi in qualsiasi forma con la vecchia partitocrazia.

Il dialogo coi media esteri estranei al consociativismo

Se, a giudizio dei grillini, i media sono stati sin qui uno strumento collusivo al vecchio modo di fare politica, se hanno contribuito a enfatizzare la degenerazione di un sistema, è obligatorio tenersene lontani. O essere sicuri, prima di aprire loro le porte, che il proprio messaggio non subisca stravolgimenti. Di qui la predilezione del leader per i media stranieri, considerati non parte del gioco consociativo, o l’uso diretto dei blog.
Che questo approccio susciti riprovazione a destra è comprensibile, in fondo è l’antitesi di ciò che è stato alla base della irresistibile ascesa di Berlusconi imperniata, sin dagli albori della sua discesa in campo, sul formidabile potere persuasivo della tivù. E riaffermato ancora una volta dalla strepitosa rimonta del Cav alle ultime elezioni. Ma che sia la sinistra a fare le pulci, a storcere il naso, questo stupisce non poco.
LA SINISTRA CHE STORCE IL NASO DIMENTICA LA SUA TRADIZIONE. Sembra abbia dimenticato che la sua tradizione culturale, specie negli anni Settanta, è stata attraversata da una robusta corrente di critica dell’informazione, nutrita da un impianto teorico-filosofico di tutto rispetto.
E dunque quello di Grillo dovrebbe suonarle come un invito a meditare su un tema cruciale per la democrazia, a riscoprire quello che fu un tratto distintivo della sua analisi, lo stesso che ora l’ex comico  incarna con la giusta ambizione di marcare una differenza. Ma in quest’ambito, con Bersani e i suoi, siamo purtroppo a una disarmante pochezza della riflessione.
QUEL CHE BERSANI E IL PD RIFIUTANO DI COMPRENDERE. Non hanno ancora capito che, eccezion fatta per Berlusconi che fa storia a sé, l’assenza è il miglior modo per evocare la presenza. E che i media comunque vanno usati con discernimento, capendone le regole ed evitando l’incondizionata adesione, ovvero sottomissione,  alle loro logiche. Senza scomodare  Casaleggio,  che oltretutto è un irriducibile avversario, basterebbe interpellassero Carlo Freccero per farsi spiegare l’arcano.
Domenica, 10 Marzo 2013


di Paolo Madron

10 marzo 2013

Il debito pubblico tocca il record del 127% sul Pil


Il debito pubblico italiano ha toccato a fine dicembre il record del 127% sul Prodotto Interno lordo. A metà  novembre del 2011 quando Berlusconi venne disarcionato dal governo a causa dello spread tra Btp e Bund tedeschi giunto a 570 punti, il debito era al 120,1%. Decisamente una gran bella gestione della situazione da parte del governo di Mario Monti che non può nascondersi dietro il fatto che questa deriva è colpa della recessione diffusa  a livello globale che ha rallentato o meglio fatto arrestare l’economia e di conseguenza ha tagliato tutte le entrate, da quelle fiscali a quelle contributive. Il governo ha infatti dato l’idea di essersi limitato a gestire l’esistente limitandosi, è una battuta, ad introdurre misure che nelle sue speranze, evidentemente campate in aria, avrebbero dovuto consentire di tagliare le spese e di aiutare le imprese a riacquisire competitività. A conti fatti non è stato così. Il primo provvedimento è stata una misura tampone come l’innalzamento dell’età pensionabile per rimandare di qualche anno l’aggravio di impegni finanziari da parte dell’Inps. Ma non  è stato così perché l’Inps, proprio alcuni giorni fa, ha denunciato per il 2012 un disavanzo di 10,7 miliardi, di 2,7 miliardi in più rispetto al preventivato a causa dell’incorporazione dell’ex Inpdap e dei molti lavoratori che, fiutando la tempesta in arrivo, sono riusciti a mettersi in quiescenza prima dell’approvazione della riforma. Né il governo dell’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s può rallegrarsi di essere riuscito a portare il disavanzo al 3% sul Pil. La prima tappa richiesta dalla Commissione europea per poi arrivare al pareggio di bilancio che, visto l’andazzo, è un traguardo tutt’altro che facile e vicino. Se infatti al momento della caduta di Berlusconi il disavanzo era al 4,2% il risultato raggiunta dall’attuale esecutivo è stato raggiunto esclusivamente grazie all’impennata delle entrate fiscali. Dall’aumento dell’Iva che ha pesato sulle imprese e sui consumatori fino all’introduzione dell’Imu sulla prima e sulle seconde case. Una tassa che ha permesso al Tesoro di ramazzare una barca di miliardi ma anche una misura che, per molte famiglie che possiedono la casa come unico bene, ha rappresentato una autentica mazzata. Un autentico scippo che drenando risorse finanziarie dalle tasche dei cittadini si è riflessa molto negativamente sui consumi e sulla domanda interna di beni e di servizi.
Da qui la caduta del Pil secondo il più classico schema del cane che si morde la coda. Il calo del Pil del 2,4% sul 2011 è dovuto soprattutto a queste misure che sono servite più che altro a finanziare alcune banche che dovevano essere ricapitalizzate e a versare la quota di spettanza dell’Italia ai fondi europei salva Stati. Insomma, è stato come se una parte consistenza della ricchezza privata nazionale fosse stata prelevata forzosamente, come in effetti è stato, e messa da parte. La pressione fiscale nel 2012 è salita al 44% rispetto al 42,6% registrato nel 2011. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Lo testimonia il calo della produzione dello 0,8% che sembra poco ma è tantissimo perché testimonia la continuazione di una tendenza in atto dal 2008, l’anno in cui iniziò la crisi finanziaria in Usa poi trasformatasi in crisi economica e poi in recessione e depressione. Lo testimonia pure la diminuzione della spesa per consumi delle famiglie con un meno 4,3% a fronte di un “accettabile” calo dello 0,1% nel 2011.  

di Filippo Ghira 

09 marzo 2013

L’equo sciacallaggio.





Non volevo farlo, non ne vedevo il senso, e poi queste cose mi danno fastidio. Avevo letto della cosiddetta “inchiesta” de l’Espresso sugli affari dell’autista di Grillo; è bastata un’occhiata per capire che si trattava di fumo, niente di più. La solita operazione di basso sciacallaggio indirizzata a persone vicine all’obiettivo da colpire; in altri ambienti si chiama “vendetta trasversale”. Nulla su cui valesse la pena di perdere tempo.
Poi mi capita sotto gli occhi questo articolo di Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano di oggi. E mi incazzo. Sì, perché se l’operazione dell’Espresso è la solita, meschina, squallida, vigliacca palata di fango, quello di Feltri (omen nomen?) è un ignobile tentativo di giustificare e legittimare questo fango come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Anzi, non è solo normale, nelle sue parole diventa addirittura un atto nobile, un pezzo di alto giornalismo.
Benvenuto in politica, caro Beppe Grillo.
Ironia. Mi piace molto l’ironia, e uno come Grillo, che dell’ironia ha fatto un mestiere, dovrebbe apprezzarla.
Quando uno diventa un personaggio pubblico, specie se il più noto, deve dare per scontato che della sua vita tutto, ma proprio tutto, verrà analizzato e raccontato.
Che Grillo sia un personaggio pubblico non c’è dubbio. Che tutta la sua vita debba essere analizzata e raccontata invece non sta né in cielo né in terra. Perché mai dovrebbe essere raccontato tutto? I fatti privati possono essere interessanti (e la cosa non è automatica) solo se hanno risvolti pubblici, se costituiscono reato, se hanno implicazioni che comunque influenzano l’attività pubblica del personaggio. Se Grillo si masturba guardando film porno sono fatti suoi, se invece traffica in pedopornografia lo voglio sapere.
Sono le regole base dell’informazione e del giornalismo – quello più sano – che trova notizie e le racconta, lasciando poi al lettore il compito di farsi un’opinione.
Non è solo giornalismo, è giornalismo “sano” secondo Feltri. Peccato che in tutto questo manchi l’elemento essenziale: la notizia.
Funziona così, anche se chi magari vive soltanto sui blog, immune da ogni input sgradito, non se lo ricorda più.
Funziona così per chi è abituato a confondere giornalismo e sciacallaggio. Funziona così per chi, non avendo evidentemente niente con cui attaccare il personaggio pubblico, spala fango addosso a persone che, magari incidentalmente, gli stanno vicino.
L’inchiesta de L’Espresso, firmata da [...] è, appunto, un’inchiesta.
Tecnicamente questa è una tautologia, forma normalmente utilizzata quando, non riuscendo a spiegare un concetto, non resta che ripeterlo. Mi ricorda un nanetto pelato che a furia di ripetere “comunisti” ha convinto milioni di persone che l’Italia è in mano ai comunisti.
…racconta una storia interessante, come dimostra il fatto che tutti ne stiano parlando, e che quindi meritava eccome di essere pubblicata.
Il fatto che tutti ne parlino non dimostra affatto che meritasse di essere raccontata, ma solo che è stata pompata a dovere e che ha raggiunto il suo scopo.
La risposta di Grillo sul suo blog è, come prevedibile, la replica di un politico piccato, che non nasconde il suo disprezzo per i giornalisti (in questo Beppe ricorda Massimo D’Alema). E che non spiega nulla, non chiarisce e non replica a tono. E’ solo un Vaffanculo, difficile forse aspettarsi altro.
E che ti aspettavi, l’applauso? Un vaffanculo è il minimo. Anzi, fossi stato io al suo posto non avrei nemmeno risposto, che certe cose non meritano considerazione.
Segue una serie di supercazzole con cui Feltri tenta di dare sostanza ad un’operazione che di sostanza non ne ha, e il tutto si riduce nell’arroccamento della corporazione, nella scontata difesa della categoria.
Infine riesce a concludere peggio di come ha cominciato (e non era facile).
Nessuno sta facendo illazioni su Grillo (che pure qualche guaio con l’agenzia delle entrate ce l’ha, per una storia di Irap, ma non l’ha mai negato neppure lui).
Ah no? E questa cos’è? Sembra tanto un colpo basso menato dopo il suono del gong mentre l’avversario sta tornando al suo angolo.
Ma in questi anni abbiamo passato al setaccio i collaboratori di tutti i protagonisti della scena politica (segretarie, portaborse, assistenti ecc.). Ora tocca anche a Grillo.
Certo, se sciacallaggio deve essere, che almeno sia fatto con equità: tutti nella stessa barca. E il riferimento che tutti fanno, incluso Feltri, è a Gianfranco Fini e ai guai che avuto grazie agli affari del cognato; solo che nel caso di Fini c’erano di mezzo soldi del partito, per cui la faccenda assumeva un rilievo decisamente diverso. Qui invece, oltre al fatto che Grillo personalmente non c’entra niente, non risulta alcun reato, non c’è alcun interesse pubblico, non c’è assolutamente niente.
Caro Feltri, in uno stato di diritto, l’onere della prova è a carico dell’accusa; pretendere che qualcuno si difenda senza accuse precise e circostanziate è, come minimo, ipocrita.
Come? No, non sono un grillino. Anzi, a dirla tutta Grillo e il suo movimento non mi piacciono proprio, ma devo riconoscere che quando maltratta i giornalisti ha le sue ragioni.

sito curato da Gianalessio Ridolfi Pacifici

11 marzo 2013

l diritto di Grillo e i suoi a snobbare la tivù


L’ultimo episodio ha avuto per protagonista un giornalista diBallarò. Presentatosi a un’assemblea del Movimento 5 stelle a Napoli, non è stato fatto entrare nella sala perché l’intrusione delle telecamere non era gradita. Ma ci sono una serie di vicende analoghe che dimostrano l’idiosincrasia dei grillini verso i media, e al tempo stesso il senso di astio misto a sconcerto che questi provano verso chi inopinatamente li respinge.
Abituati ad avere campo libero, a essere addirittura blanditi perché considerati un indispensabile volano del consenso, tivù e giornali sono increduli di fronte a chi ostentatamente li rifugge. La novità ha del clamoroso, perché fino ad ora la sottomissione della vita pubblica ai palinsesti televisivi è stata totale. 

Il M5S spezza la logica tivù-centrica del berlusconismo

L’estromissione dei luoghi istituzionali della politica, il passaggio dalle Camere alle telecamere, è una metamorfosi che si è consumata all’interno della Seconda Repubblica. Non foss’altro che a dettarne tempi e modi è stato il suo interprete per antonomasia, Silvio Berlusconi, che dalla piccolo schermo proveniva e dunque meglio di tutti ne conosceva il richiamo seduttivo.
Agli albori della Terza, ci si trova fare i conti con un partito che non vuole più sottostare a questa logica. E rivendica un ritorno del fare politica non solo ai luoghi che le erano propri, in primis quella che era la sua sede naturale: il parlamento. Ma ambisce anche a separarla dalla sua rappresentazione mediatica accusata, secondo noi con ragione, di rimandarne un’immagine deformata, se non palesemente falsa.
MA LA FUGA DAGLI SCHERMI NON È UN VULNUS DEMOCRATICO. Ora, se questa è la motivazione che spinge il M5S a eludere la pretesa di chi vorrebbe strumentalizzarlo ai fini dell’audience, non si capisce perché ciò susciti tanta riprovazione verso il movimento, con accuse di opacità e scarsa attitudine democratica. Come se  bastasse un rifiuto a farsi intervistare (quello di Grillo a Sky  ha dato il via da parte dell’emittente a due giorni di reprimenda) o andare in tivù per arrecare alla democrazia un irreparabile vulnus.
UNA SCELTA COERENTE PER CHI PRIVILEGIA INTERNET. Per un movimento che ha fatto di Internet e della Rete il luogo privilegiato della comunicazione, e che proprio per questo teorizza un ritorno alla partecipazione diretta scevra il più possibile alle intermediazioni, rovesciare il rapporto di sudditanza ai media, la loro famelica smania di filtrare  la lettura e l’interpretazione del mondo, è un atteggiamento assolutamente condivisibile.
Così come la severità per chi trasgredisce quella che appare una regola fondante, paragonabile al rifiuto sin qui ostentato ad allearsi in qualsiasi forma con la vecchia partitocrazia.

Il dialogo coi media esteri estranei al consociativismo

Se, a giudizio dei grillini, i media sono stati sin qui uno strumento collusivo al vecchio modo di fare politica, se hanno contribuito a enfatizzare la degenerazione di un sistema, è obligatorio tenersene lontani. O essere sicuri, prima di aprire loro le porte, che il proprio messaggio non subisca stravolgimenti. Di qui la predilezione del leader per i media stranieri, considerati non parte del gioco consociativo, o l’uso diretto dei blog.
Che questo approccio susciti riprovazione a destra è comprensibile, in fondo è l’antitesi di ciò che è stato alla base della irresistibile ascesa di Berlusconi imperniata, sin dagli albori della sua discesa in campo, sul formidabile potere persuasivo della tivù. E riaffermato ancora una volta dalla strepitosa rimonta del Cav alle ultime elezioni. Ma che sia la sinistra a fare le pulci, a storcere il naso, questo stupisce non poco.
LA SINISTRA CHE STORCE IL NASO DIMENTICA LA SUA TRADIZIONE. Sembra abbia dimenticato che la sua tradizione culturale, specie negli anni Settanta, è stata attraversata da una robusta corrente di critica dell’informazione, nutrita da un impianto teorico-filosofico di tutto rispetto.
E dunque quello di Grillo dovrebbe suonarle come un invito a meditare su un tema cruciale per la democrazia, a riscoprire quello che fu un tratto distintivo della sua analisi, lo stesso che ora l’ex comico  incarna con la giusta ambizione di marcare una differenza. Ma in quest’ambito, con Bersani e i suoi, siamo purtroppo a una disarmante pochezza della riflessione.
QUEL CHE BERSANI E IL PD RIFIUTANO DI COMPRENDERE. Non hanno ancora capito che, eccezion fatta per Berlusconi che fa storia a sé, l’assenza è il miglior modo per evocare la presenza. E che i media comunque vanno usati con discernimento, capendone le regole ed evitando l’incondizionata adesione, ovvero sottomissione,  alle loro logiche. Senza scomodare  Casaleggio,  che oltretutto è un irriducibile avversario, basterebbe interpellassero Carlo Freccero per farsi spiegare l’arcano.
Domenica, 10 Marzo 2013


di Paolo Madron

10 marzo 2013

Il debito pubblico tocca il record del 127% sul Pil


Il debito pubblico italiano ha toccato a fine dicembre il record del 127% sul Prodotto Interno lordo. A metà  novembre del 2011 quando Berlusconi venne disarcionato dal governo a causa dello spread tra Btp e Bund tedeschi giunto a 570 punti, il debito era al 120,1%. Decisamente una gran bella gestione della situazione da parte del governo di Mario Monti che non può nascondersi dietro il fatto che questa deriva è colpa della recessione diffusa  a livello globale che ha rallentato o meglio fatto arrestare l’economia e di conseguenza ha tagliato tutte le entrate, da quelle fiscali a quelle contributive. Il governo ha infatti dato l’idea di essersi limitato a gestire l’esistente limitandosi, è una battuta, ad introdurre misure che nelle sue speranze, evidentemente campate in aria, avrebbero dovuto consentire di tagliare le spese e di aiutare le imprese a riacquisire competitività. A conti fatti non è stato così. Il primo provvedimento è stata una misura tampone come l’innalzamento dell’età pensionabile per rimandare di qualche anno l’aggravio di impegni finanziari da parte dell’Inps. Ma non  è stato così perché l’Inps, proprio alcuni giorni fa, ha denunciato per il 2012 un disavanzo di 10,7 miliardi, di 2,7 miliardi in più rispetto al preventivato a causa dell’incorporazione dell’ex Inpdap e dei molti lavoratori che, fiutando la tempesta in arrivo, sono riusciti a mettersi in quiescenza prima dell’approvazione della riforma. Né il governo dell’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s può rallegrarsi di essere riuscito a portare il disavanzo al 3% sul Pil. La prima tappa richiesta dalla Commissione europea per poi arrivare al pareggio di bilancio che, visto l’andazzo, è un traguardo tutt’altro che facile e vicino. Se infatti al momento della caduta di Berlusconi il disavanzo era al 4,2% il risultato raggiunta dall’attuale esecutivo è stato raggiunto esclusivamente grazie all’impennata delle entrate fiscali. Dall’aumento dell’Iva che ha pesato sulle imprese e sui consumatori fino all’introduzione dell’Imu sulla prima e sulle seconde case. Una tassa che ha permesso al Tesoro di ramazzare una barca di miliardi ma anche una misura che, per molte famiglie che possiedono la casa come unico bene, ha rappresentato una autentica mazzata. Un autentico scippo che drenando risorse finanziarie dalle tasche dei cittadini si è riflessa molto negativamente sui consumi e sulla domanda interna di beni e di servizi.
Da qui la caduta del Pil secondo il più classico schema del cane che si morde la coda. Il calo del Pil del 2,4% sul 2011 è dovuto soprattutto a queste misure che sono servite più che altro a finanziare alcune banche che dovevano essere ricapitalizzate e a versare la quota di spettanza dell’Italia ai fondi europei salva Stati. Insomma, è stato come se una parte consistenza della ricchezza privata nazionale fosse stata prelevata forzosamente, come in effetti è stato, e messa da parte. La pressione fiscale nel 2012 è salita al 44% rispetto al 42,6% registrato nel 2011. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Lo testimonia il calo della produzione dello 0,8% che sembra poco ma è tantissimo perché testimonia la continuazione di una tendenza in atto dal 2008, l’anno in cui iniziò la crisi finanziaria in Usa poi trasformatasi in crisi economica e poi in recessione e depressione. Lo testimonia pure la diminuzione della spesa per consumi delle famiglie con un meno 4,3% a fronte di un “accettabile” calo dello 0,1% nel 2011.  

di Filippo Ghira 

09 marzo 2013

L’equo sciacallaggio.





Non volevo farlo, non ne vedevo il senso, e poi queste cose mi danno fastidio. Avevo letto della cosiddetta “inchiesta” de l’Espresso sugli affari dell’autista di Grillo; è bastata un’occhiata per capire che si trattava di fumo, niente di più. La solita operazione di basso sciacallaggio indirizzata a persone vicine all’obiettivo da colpire; in altri ambienti si chiama “vendetta trasversale”. Nulla su cui valesse la pena di perdere tempo.
Poi mi capita sotto gli occhi questo articolo di Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano di oggi. E mi incazzo. Sì, perché se l’operazione dell’Espresso è la solita, meschina, squallida, vigliacca palata di fango, quello di Feltri (omen nomen?) è un ignobile tentativo di giustificare e legittimare questo fango come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Anzi, non è solo normale, nelle sue parole diventa addirittura un atto nobile, un pezzo di alto giornalismo.
Benvenuto in politica, caro Beppe Grillo.
Ironia. Mi piace molto l’ironia, e uno come Grillo, che dell’ironia ha fatto un mestiere, dovrebbe apprezzarla.
Quando uno diventa un personaggio pubblico, specie se il più noto, deve dare per scontato che della sua vita tutto, ma proprio tutto, verrà analizzato e raccontato.
Che Grillo sia un personaggio pubblico non c’è dubbio. Che tutta la sua vita debba essere analizzata e raccontata invece non sta né in cielo né in terra. Perché mai dovrebbe essere raccontato tutto? I fatti privati possono essere interessanti (e la cosa non è automatica) solo se hanno risvolti pubblici, se costituiscono reato, se hanno implicazioni che comunque influenzano l’attività pubblica del personaggio. Se Grillo si masturba guardando film porno sono fatti suoi, se invece traffica in pedopornografia lo voglio sapere.
Sono le regole base dell’informazione e del giornalismo – quello più sano – che trova notizie e le racconta, lasciando poi al lettore il compito di farsi un’opinione.
Non è solo giornalismo, è giornalismo “sano” secondo Feltri. Peccato che in tutto questo manchi l’elemento essenziale: la notizia.
Funziona così, anche se chi magari vive soltanto sui blog, immune da ogni input sgradito, non se lo ricorda più.
Funziona così per chi è abituato a confondere giornalismo e sciacallaggio. Funziona così per chi, non avendo evidentemente niente con cui attaccare il personaggio pubblico, spala fango addosso a persone che, magari incidentalmente, gli stanno vicino.
L’inchiesta de L’Espresso, firmata da [...] è, appunto, un’inchiesta.
Tecnicamente questa è una tautologia, forma normalmente utilizzata quando, non riuscendo a spiegare un concetto, non resta che ripeterlo. Mi ricorda un nanetto pelato che a furia di ripetere “comunisti” ha convinto milioni di persone che l’Italia è in mano ai comunisti.
…racconta una storia interessante, come dimostra il fatto che tutti ne stiano parlando, e che quindi meritava eccome di essere pubblicata.
Il fatto che tutti ne parlino non dimostra affatto che meritasse di essere raccontata, ma solo che è stata pompata a dovere e che ha raggiunto il suo scopo.
La risposta di Grillo sul suo blog è, come prevedibile, la replica di un politico piccato, che non nasconde il suo disprezzo per i giornalisti (in questo Beppe ricorda Massimo D’Alema). E che non spiega nulla, non chiarisce e non replica a tono. E’ solo un Vaffanculo, difficile forse aspettarsi altro.
E che ti aspettavi, l’applauso? Un vaffanculo è il minimo. Anzi, fossi stato io al suo posto non avrei nemmeno risposto, che certe cose non meritano considerazione.
Segue una serie di supercazzole con cui Feltri tenta di dare sostanza ad un’operazione che di sostanza non ne ha, e il tutto si riduce nell’arroccamento della corporazione, nella scontata difesa della categoria.
Infine riesce a concludere peggio di come ha cominciato (e non era facile).
Nessuno sta facendo illazioni su Grillo (che pure qualche guaio con l’agenzia delle entrate ce l’ha, per una storia di Irap, ma non l’ha mai negato neppure lui).
Ah no? E questa cos’è? Sembra tanto un colpo basso menato dopo il suono del gong mentre l’avversario sta tornando al suo angolo.
Ma in questi anni abbiamo passato al setaccio i collaboratori di tutti i protagonisti della scena politica (segretarie, portaborse, assistenti ecc.). Ora tocca anche a Grillo.
Certo, se sciacallaggio deve essere, che almeno sia fatto con equità: tutti nella stessa barca. E il riferimento che tutti fanno, incluso Feltri, è a Gianfranco Fini e ai guai che avuto grazie agli affari del cognato; solo che nel caso di Fini c’erano di mezzo soldi del partito, per cui la faccenda assumeva un rilievo decisamente diverso. Qui invece, oltre al fatto che Grillo personalmente non c’entra niente, non risulta alcun reato, non c’è alcun interesse pubblico, non c’è assolutamente niente.
Caro Feltri, in uno stato di diritto, l’onere della prova è a carico dell’accusa; pretendere che qualcuno si difenda senza accuse precise e circostanziate è, come minimo, ipocrita.
Come? No, non sono un grillino. Anzi, a dirla tutta Grillo e il suo movimento non mi piacciono proprio, ma devo riconoscere che quando maltratta i giornalisti ha le sue ragioni.

sito curato da Gianalessio Ridolfi Pacifici