13 dicembre 2007

La banca d'Inghilterra riduce i tassi, ma il panico aumenta...


Il 6 dicembre la Banca d'Inghilterra ha portato i tassi d'interesse dal 5,75 al 5,50 percento, come da tempo stavano aspettanto tutti coloro che credono che ridurre il costo del denaro possa resuscitare un sistema finanziario morto. I risultati sono stati però deludenti: i tassi del denaro sul mercato sono saliti e le borse sono calate. Sul quotidiano londinese Telegraph sono apparsi titoli come “I mercati temono che la banca abbia 'perso il controllo'”, “Il taglio dei tassi ... non riesce a dissipare i timori”, “un mercato del denaro fuori controllo”, “non basta un taglio dei tassi...”.
Sul Times l'esperto finanziario di turno sentenzia che gli inglesi dovrebbero seguire l'esempio della Fed e continuare a tagliare i tassi: “Il sistema bancario britannico è sull'orlo del tracollo e la catastrofe completa si evita soltanto con la più grande operazione di sostegno mai fornita ad un'impresa privata da qualsiasi governo in qualsiasi parte del mondo”. “La commissione per la politica monetaria della Banca d'Inghiterra impara presto che tutto ciò che può fare è buttare dalla finestra i libri di testo”, ha scritto Edmond Conway sul Daily Telegraph il 7 dicembre in un articolo che spiega che - almeno per il momento - le banche centrali “hanno perso il controllo sulla politica monetaria”. I mercati monetari fanno quello che vogliono e non quello che dice la Commissione, e “i mercati del credito sono rosi dalla paura”.
Dire che nella City di Londra regna il panico sarebbe un understatement. Inevitabilmente i guai finanziari ed economici in Inghilterra si manifestano in anticipo rispetto agli USA. Dalla metà d'agosto il totale degli assets denominati in sterline ha perso circa 500 mila miliardi di sterline, passando da 3.244 miliardi a 2.876 miliardi, come riferisce l'Office for National Statistics. Il volume dei prestiti sul mercato del sistema bancario era a 640 miliardi di sterline ad agosto e si è ridotto a 249 miliardi alla fine di settembre, mostrando come le banche inglesi siano state colpite più duramente di quelle americane, sebbene si voglia far credere che quello dei subprime sia un problema americano.
In Inghilterra c'è anche una fazione impegnata a staccare la spina al dollaro credendo così che questo si trasformi in un “vantaggio relativo” per il sistema britannico, quando tutto va a fondo. I paesi del Medio Oriente e dell'Asia dovrebbero recidere i propri legami con il dollaro, sfruttando l'attuale debolezza del biglietto verde, ha spiegato Gerard Lyons, capo economista della Standard Chartered, una delle banche storiche dell'Impero Britannico. In un commento sul Financial Times Lynos ha scritto che sebbene il recente vertice degli stati del Golfo a Doha non abbia risolto la questione monetaria, su questo fronte sta maturando una svolta epocale della politica mediorientale. Sebbene il mondo sia stato in grado di cavarsela di fronte alla caduta del dollaro grazie a condizioni economiche favorevoli, “adesso il dollaro è vulnerabile e il clima economico è più ostile”, gongola Lyons. I politici asiatici e mediorientali non possono perdere l'opportunità di allentare i rispettivi vincoli con il dollaro, né dovrebbe farlo il settore privato, conclude il portavoce della City di Londra.
Negli USA invece c'è chi comincia a rendersi conto che il sistema non può essere salvato. “Il sistema è un castello di carte ... e sta per venir giù”, ha scritto Steven Pearlstein sul Washington Post. Nonostante “lo scoppio della più grande bolla creditizia mai vista al mondo, fatevelo dire: non avete ancora visto niente”, scrive Perlstein. “Non si tratta semplicemente di una crisi dei mutui o dell'edilizia. I giganti finanziari hanno prodotto, cartolarizzato, quotato e assicurato i titoli emessi sui mutui, crediti immobiliari commerciali, crediti delle carte di credito e credito per le acquisizioni delle attività. È molto improbabile che, in questi settori, siano riuscite a fare meglio di ciò che hanno fatto con i mutui”.
Pearlstein tratta anche il ruolo dei CDO (Obbligazioni di debito collateralizzato) “in questo disastro che si sta ancora svolgendo” della creazione di bonds ad alto rating sulla base di spazzatura. “Si è trattato di una grande operazione di alchimia finanziaria che ha fruttato alle banche di Wall Street ed alle agenzie di rating miliardi di dollari. Vista la grande quantità di denaro preso a prestito nell'acquisto dei mutui originali, le tranches per i CDO e poi le tranches degli stessi CDO, l'intera operazione aveva un rapporto di indebitamento tale da far apparire dei rendimenti che, almeno sulla carta, erano decisamente allettanti”. Adesso l'intero “castello di carte”, sta per “venir giù, con gravi consegeunze non solo per le banche e gli investitori ma per l'economia nel suo complesso”.

fonte: movisol.org

11 dicembre 2007

Clementina e le penne all’insabbiata


Quando funziona, l’informazione aiuta tutti a vivere e a lavorare meglio. I cittadini, i politici, gli imprenditori, i magistrati. Tutti. Quando non funziona, tutto peggiora. Il peggioramento della politica e dell’impresa e di una parte della cittadinanza non sono una novità. Quella della magistratura, anche quella perbene, incorrotta, insomma la migliore, è invece una novità degli ultimi mesi. Escono sentenze sempre più strane, ma sempre nella stessa direzione: a favore del potere. Si pensi soltanto all’incredibile assoluzione di Berlusconi nel processo Sme-Ariosto, praticamente per aver commesso il fatto. Se l’informazione l’avesse raccontata per quella che era, mettendone alla berlina l’illogicità e l’impermeabilità ai fatti accertati, altri giudici si sarebbero ben guardati dal riprovarci. Ma l’informazione non ne ha proprio parlato. Così la scomparsa dei fatti, dalle pagine dei giornali e dai teleschermi, si trasferisce nelle sentenze. L’altro giorno i giudici di Roma, tanto per cambiare, hanno archiviato l’inchiesta – nata dal lavoro dei loro colleghi di Potenza – a carico di Fabrizio Corona per la presunta estorsione ai danni di Francesco Totti. Se l’informazione fosse una cosa seria, avrebbe ricordato che per Corona hanno chiesto il rinvio a giudizio per una decina di estorsioni le Procure di Torino e di Milano, mentre il reuccio dei paparazzi resta indagato a Potenza per associazione per delinquere. E per questo reato, non per il caso Totti, era stato arrestato. Invece quel sapientone di Francesco Merlo, che vive a Parigi e ammira molto Giuliano Ferrara, scrive su Repubblica che Corona, a causa del pm Woodcock, subì “una galera che non gli spettava” (Merlo ignora che gli arresti li dispongono i gip, non i pm), ragion per cui ora il Csm dovrebbe “riflettere in seduta pubblica su come la sofferenza della galera e l’abuso del diritto riescano a vestire di buon gusto anche il cattivo gusto”. Parole in libertà di un giornalista disinformato sui fatti, che non potranno non condizionare i magistrati (altro che le fiction sulla mafia!) quando dovranno pronunciarsi sulle altre accuse a Corona: se archivieranno, verranno elogiati dal Merlo di turno come “molto saggi”; se rinvieranno a giudizio o condanneranno, saranno complici dei pm manettari che abusano della galera per “vestire di buon gusto anche il cattivo gusto”.

Da Woodcock a Clementina Forleo. Per mesi e mesi l’informazione che conta, salvo rarissime eccezioni, ha avallato le balle assolute che i politici di destra e di sinistra coinvolti nello scandalo delle scalate han raccontato per tutta l’estate e l’autunno su quel gip che “abusa del suo potere”, “calunnia” D’Alema e Latorre, “usurpa il potere della Procura” accusandoli di “complicità nel disegno criminoso” dei furbetti quando i pm non li hanno nemmeno indagati dunque li ritengono innocenti, e via delirando. Solo pochi esperti, come Franco Cordero e Giuseppe D’Avanzo su Repubblica, Michele Ainis sulla Stampa e Francesco Saverio Borrelli spiegarono l’assoluta correttezza dell’operato del gip in base alla demenziale (ora anche incostituzionale) legge Boato. Così ora le stesse bizzarrie si sono trasformate in un “capo di incolpazione” firmato dal Procuratore generale della Cassazione Mario Delli Priscoli, che ha avviato l’azione disciplinare contro la Forleo perché il Csm la sanzioni adeguatamente, oltre a esaminare (da lunedì) il suo eventuale trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, avendo osato andare addirittura in tv senza mai parlare dei suoi processi (il procuratore di Bari, invece, ha tenuto una conferenza stampa sull’arresto del padre dei bambini di Gravina, il procuratore di Arezzo ne ha tenuta un’altra sulla morte del tifoso della Lazio, ma nessuno ha ricordato loro che i magistrati non devono parlare dei loro processi, né tantomeno li ha proposti per il trasferimento). L’aspetto più stupefacente dell’azione intrapresa dal solerte Pg, sulla scia delle decine di iniziative assunte dai suoi predecessori contro l’intero pool di Milano, è che si basa su convincimenti errati e smentiti dai fatti che, però, sono diventati vulgata comune grazie alla disinfgormatija politico mediatica organizzata intorno allo scandalo delle scalate. Qualche esempio.

1) La Forleo avrebbe commesso una “negligenza grave e inescusabile” chiedendo alla Camera l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni del caso Unipol-Bnl non solo a carico di Giovanni Consorte, ma anche a carico di Massimo D’Alema e Nicola Latorre, sebbene “estranei al procedimento penale in quanto nessuna iniziativa era stata adottata dal pm” nei loro confronti. Ma il Pg forse non sa che il pm, cioè Francesco Greco, dichiarò subito che i politici non erano stati indagati in base alle intercettazioni perché la legge Boato impedisce di utilizzarle come prove finchè il Parlamento non ne abbia autorizzato l’uso. E il pm titolare dell’inchiesta, Luigi Orsi, aveva chiesto al Gip di chiedere il permesso al Parlamento per procedere non solo a carico dei furbetti (già indagati in base ad altri elementi di prova), ma anche nei confronti di “altri da identificare”: cioè gli interlocutori telefonici dei furbetti, cioè i parlamentari. Quindi il gip non è affatto andato al di là della richiesta della Procura, ma s’è limitato a recepirla e a inoltrarla al Parlamento, con le trascrizioni delle telefonate di cui si chiedeva il permesso all’uso e con una nota che spiegava la loro rilevanza penale anche a carico di due parlamentari. I quali appaiono – da quanto emerge dalle loro parole, non dalle congetture del giudice - “complici consapevoli del disegno criminoso”, cioè dell’aggiotaggio di Consorte & C.

2) Secondo il Pg, quello della Forleo su D’Alema e Latorre fu “un abnorme, non richiesto e ultroneo giudizio anticipato, espresso in termini perentori, fortemente connotati da accenti suggestivi e stigmatizzatorii”. Ma quella nota era “richiesta” dalla Procura e dalle legge, oltrechè da un dovere di lealtà nei confronti del Parlamento, che doveva ben sapere quale uso si sarebbe fatto delle telefonate, se autorizzate, e nei confronti di chi, e per quale reato. Il giudizio era tutt’altro che “abnorme”, ma perfettamente aderente alla realtà emersa dalle intercettazioni, come può desumere chiunque legga le parole di D’Alema e Latorre, che trafficano con Consorte, per procurargli le alleanze auspicate in vista dell’acquisizione occulta del 51% di Bnl (con Vito Bonsignore e Francesco Gaetano Caltagirone, entrambi soci di Bnl).

3) Scrive ancora sorprendentemente il Pg che la Forleo ha arrecato ai parlamentari, “arbitrariamente coinvolti, un ingiusto danno… con espressioni che hanno leso i diritti personali (la reputazione, il prestigio, l’immagine) di uomini politici”. Ma i parlamentari in questione si sono coinvolti da soli, partecipando attivamente a una scalata occulta e illegale, in pessima compagnia, e poi mentendo spudoratamente quando hanno negato di aver fatto nient’altro che un semplice, innocuo “tifo” per Unipol. E sono gli stessi parlamentari ad avere pregiudicato la propria reputazione, prestigio e immagine mettendosi in combutta con personaggi del calibro di Consorte, Sacchetti, Bonsignore, Caltagirone, alleati di altre preclare figure come Gnutti, Fiorani, Ricucci, Coppola, tre dei quali poi finiti in galera. Che doveva fare, il gip? Scrivere che quelle telefonate di grande rilevanza penale non avevano rilevanza penale solo per evitare di offendere i politici che le avevano fatte? Se lo specchio riflette una brutta faccia, la colpa è del titolare della faccia medesima, non dello specchio. Che queste cose fingano di non capirle i politici interessati, è comprensibile. Fanno propaganda e sollevano polveroni per nascondere le proprie vergogne. Ma che non lo capisca un alto magistrato come il Pg Delli Piscoli, è davvero allarmante.

4) Clementina Forleo, a suo avviso, va pure punita perché un giorno, avendo visto due poliziotti che pestavano un immigrato reo di non aver pagato il biglietto sulla metropolitana, intervenne a farli smettere gridando “è ora di finirla”, salvando il malcapitato dal pestaggio e poi dichiarando ai giornali che i due agenti “l’hanno sbattuto brutalmente per terra”. Che c’è che non va? Così facendo, secondo il Pg, la Forleo “dapprima offendeva l’onore e il decoro degli agenti” e addirittura “la reputazione dell’intero corpo di Polizia dello Stato”, venendo così meno “ai doveri di correttezza e di equilibrio”. Ecco: doveva lasciare che i due completassero l’opera, e magari venissero promossi dirigenti della Polizia o dei servizi segreti, come i loro colleghi del G8 di Genova. Peccato che il magistrato abbia l’obbligo di denunciare i reati di cui è a conoscenza e, se può, di impedire che vengano commessi. Sembra una macabra barzelletta, ma è anche per aver salvato un magrebino da un pestaggio che Clementina Forleo rischia di essere punita dal Csm (lo stesso Csm che ha reintegrato in Cassazione Corrado Carnevale, quello che cassava le condanne dei mafiosi perché mancava un timbro, che riceveva gli avvocati dei mafiosi in casa sua prima delle camere di consiglio, che insultava Falcone e Borsellino anche appena morti ammazzati). Il fatto che si stesse occupando anche dei possibili reati di Massimo D’Alema è puramente casuale.
M.Travaglio

10 dicembre 2007

Montezemolo e, il pubblico impiego


"Più un paese cresce e più un paese è in condizione di ripagare il proprio debito”.

Queste sono le parole del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, durante l’odierno intervento alla Luiss di Roma, preceduto da quello del Presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo.

Questa è la questione centrale per risolvere il problema del debito pubblico italiano. Tuttavia, bisogna intenderci su come si intende “far crescere il Paese”. Montezemolo sostiene che debba essere la produttività delle imprese il perno della crescita, che poi consentirà anche un innalzamento dei salari. Ma anche l'aumento della capacità produttiva risulta insufficiente se non si ferma l'aumento ben più grande della liquidità legata solamente all'economia di carta. Il problema centrale è allora il blocco delle attività speculative, ossia di quelle attività dove all’emissione di credito – istituto che deve inevitabilmente avere una “funzione sociale” per dirla col nostro Costituente – non corrisponde un aumento dell’economia fisica. Basterebbe semplicemente distogliere la liquidità che finisce nel rifinanziamento della bolla speculativa e destinarla ad un aumento dei redditi, per non assistere ad alcun processo inflazionistico. Tuttavia, un immediato innalzamento dei redditi senza interventi limitativi o meglio ad eliminazione dei fenomeni speculativi (pensiamo solo a tutto quel credito destinato alle operazioni in derivati finanziari), rappresenterebbe un palliativo, nella migliore delle ipotesi, di brevissima durata.

Eliminati i fenomeni di tipo speculativo che distraggono fonti finanziarie dalla crescita dell’economia fisica, il problema è come aumentare 1) la produttività del lavoro, e dunque l’offerta quantitativa e qualitativa di beni e 2) di nuovo, (proporzionalmente) i redditi da lavoro.

Ci sono due modelli di società, con due differenti paradigmi ad ispirarli, che qui entrano in gioco: 1) una società dedita al Bene Comune – vero fine della Nazione – dove lo Stato è a ciò preposto per lo sviluppo armonico di tutte le energie individuali e collettive – siamo allora di fronte ad una Repubblica – ; 2) oppure una società dedita al profitto, rimessa ad un potere a lei sovraordinato, quello della casta delle banche centrali (consorzi di banche private) che controllano la moneta circolante come più le aggrada, e che subordinano costantemente il benessere generale ai propri interessi di bottega – siamo allora di fronte ad un’Oligarchia.

Nel caso della Repubblica – il modello che noi vogliamo venga concretamente risposato – la produttività è rilanciata passando per un programma di credito pubblico diretto in tal senso. La produttività deve aumentare sia a livello pro-capite che per chilometro quadrato. Per farlo, la questione infrastrutturale è centrale. Un sistema infrastrutturale carente, infatti, non può consentire un salto di qualità nella produzione. Sono dunque necessarie politiche di stampo rooseveltiano, volte a finanziare con credito pubblico a lunga scadenza ed a basso tasso d’interesse, opere pubbliche che elevino il contenuto tecnologico della base infrastrutturale su cui si erge una civiltà. Il credito pubblico, poi, può andare direttamente verso quelle imprese private che investono in ricerca e puntano su tecnologie produttive avanzate in settori di interesse strategico (non certo verso quelle aziende che si occupano di speculazione finanziaria). Interventi di defiscalizzazione devono andare nella stessa direzione.

Nel caso dell’Oligarchia, e noi temiamo che sia Draghi che Montezemolo restino aggrappati a questo modello che sinora hanno sostenuto, il credito necessario per lo sviluppo della produttività lo si racimola distraendolo dalle voci del welfare. Questo sistema, rimette il costo del futuro sviluppo alla popolazione inerme, già in forte difficoltà, creando un sistema ancor più orientato ad ampliare la forbice tra bassi ed alti redditi.

Questo secondo sistema è dunque una trappola per ignoranti.

D’altra parte gli interventi di Montezemolo e Draghi alla Luiss, hanno sviluppato un coro stonato, dove prima il Presidente di Confindustria ha attaccato il mondo dei lavoratori pubblici dicendo che colpendo questo settore potremmo racimolare cifre corrispondenti ad un punto di p.i.l.; poi, Draghi ha spiegato che per risanare il debito – peccato che tale conquista concettuale avvenga dopo finanziarie che hanno ridimensionato fortemente il welfare italiano e corrispondentemente aumentato la pressione fiscale – sia necessario aumentare la produttività. I due, dunque, si pongono senza ombra di dubbio sulla sella del modello oligarchico, andando a finanziare lo sviluppo economico con i sacrifici dei lavoratori, piuttosto che andando a colpire la speculazione ed intervenendo con sforzi pubblici in investimenti in produttività.

Montezemolo, il quale dubitiamo si rechi personalmente presso gli uffici della pubblica amministrazione, dovrebbe andare presso quelle cancellerie di tribunale dove gli impiegati, quasi fossero lavoratori a cottimo, oberati da pratiche e richieste di avvocati e notai, si recano al bagno solo alla fine della giornata lavorativa. Oppure presso quei centri per l’impiego – la cui efficienza il Sole 24 ore ogni tanto si diverte a diffamare con paragoni con le società di lavoro interinale – a cui è stato quasi dimezzato il personale e dove i giovani assunti, quasi sempre con contratti a tempo determinato rinnovati di nove mesi in nove mesi per anni, gestiscono il lavoro con un senso di responsabilità impensabile per chi come Montezemolo può permettersi di spendere anche tremila euro a pranzo.

Questi signori, come spacciatori di fumo che fanno credere alla propria clientela di dargli cose buone, stanno scatenando una vera e propria guerra tra poveri dove purtroppo in molti stanno cadendo.

Si sta creando un mix populista tra politica e mass media, dove ad essere attaccati sono sempre interi settori del lavoro, piuttosto che il cancro speculativo nazionale ed internazionale che distrae le fonti finanziarie dallo sviluppo del Paese, e di cui sia Montezemolo che Draghi sono esponenti di primo piano.

Per comprendere che si tratta di una vera e propria guerra tra poveri è interessante soffermare la nostra attenzione su un’indagine Codacons del 6 maggio scorso, per cui le categorie più odiate sarebbero: benzinai al 20%, tassisti al 18%, commercianti al 17%, impiegati di enti pubblici al 13%, lavavetri al 10%, professionisti e artigiani al 9%, commessi e camerieri al 5%, farmacisti al 4%, bancari e assicuratori all’1%. Nella classifica non vi sono le multinazionali del petrolio (ma i benzinai!) e non vi sono i banchieri (ma i bancari!). E’ ovvio che questo è il risultato di una visione distorta indotta dai media, per cui non si vanno ad individuare le vere lobbies responsabili della disastrosa situazione italiana.

Tutte queste categorie di lavoratori, direttamente o indirettamente, vengono continuamente attaccate da quei soliti signori – finanzieri, politici e giornalisti – che in tutti questi anni, mentre l’Italia crollava, se la spassavano con la bella vita, ed ora pretendono, come se nel frattempo avessero vissuto su un altro pianeta, di sciolinare ricette. Guarda caso il prezzo di queste ricette è sempre a carico dei più deboli e le soluzioni proposte sono sempre a vantaggio degli oligarchi. Si strumentalizzano i problemi esistenti, invece che col reale intento di risolverli, per agevolare i processi di acquisizione di nuovi settori (trasporti, distribuzione, servizi pubblici locali) da parte dell’oligarchia finanziaria. Le nuove società private che sorgono sulle ceneri del settore inghiottito, offrono sempre bassi redditi e turni di lavoro estenuanti. Si guardi Telecom su chi ha riversato il costo della nuova grande efficienza che doveva sostituirsi all’inefficiente azienda pubblica di un tempo! Dipendenti ed utenza. Oppure si guardi ad Autostrade di Benetton che a fronte del costante aumento del prezzo delle tratte stradali, ha sostenuto solo in minima parte gli investimenti infrastrutturali a cui si era impegnata.

Perché Montezemolo non denuncia il fallito modello liberista delle privatizzazioni tanto decantato durante gli anni ’90?

Questi signori stanno diventando molto pericolosi per il Bene Comune, a causa degli approcci reazionari sempre più radicali che sostengono. Infatti, la crisi finanziaria mondiale accelera e loro proporzionalmente vedono accelerare il timore di uscire sconfitti dagli scontri tra oligarchie che nel dietro le quinte (di ciò che i media mostrano) si stanno verificando. Il prezzo di tutto ciò vorrebbero riversarlo su chi in questo momento per loro rappresenta un intralcio, ossia la popolazione che si era comunitariamente organizzata per perseguire in modo constante l’interesse generale.
Fonte movisol.org

13 dicembre 2007

La banca d'Inghilterra riduce i tassi, ma il panico aumenta...


Il 6 dicembre la Banca d'Inghilterra ha portato i tassi d'interesse dal 5,75 al 5,50 percento, come da tempo stavano aspettanto tutti coloro che credono che ridurre il costo del denaro possa resuscitare un sistema finanziario morto. I risultati sono stati però deludenti: i tassi del denaro sul mercato sono saliti e le borse sono calate. Sul quotidiano londinese Telegraph sono apparsi titoli come “I mercati temono che la banca abbia 'perso il controllo'”, “Il taglio dei tassi ... non riesce a dissipare i timori”, “un mercato del denaro fuori controllo”, “non basta un taglio dei tassi...”.
Sul Times l'esperto finanziario di turno sentenzia che gli inglesi dovrebbero seguire l'esempio della Fed e continuare a tagliare i tassi: “Il sistema bancario britannico è sull'orlo del tracollo e la catastrofe completa si evita soltanto con la più grande operazione di sostegno mai fornita ad un'impresa privata da qualsiasi governo in qualsiasi parte del mondo”. “La commissione per la politica monetaria della Banca d'Inghiterra impara presto che tutto ciò che può fare è buttare dalla finestra i libri di testo”, ha scritto Edmond Conway sul Daily Telegraph il 7 dicembre in un articolo che spiega che - almeno per il momento - le banche centrali “hanno perso il controllo sulla politica monetaria”. I mercati monetari fanno quello che vogliono e non quello che dice la Commissione, e “i mercati del credito sono rosi dalla paura”.
Dire che nella City di Londra regna il panico sarebbe un understatement. Inevitabilmente i guai finanziari ed economici in Inghilterra si manifestano in anticipo rispetto agli USA. Dalla metà d'agosto il totale degli assets denominati in sterline ha perso circa 500 mila miliardi di sterline, passando da 3.244 miliardi a 2.876 miliardi, come riferisce l'Office for National Statistics. Il volume dei prestiti sul mercato del sistema bancario era a 640 miliardi di sterline ad agosto e si è ridotto a 249 miliardi alla fine di settembre, mostrando come le banche inglesi siano state colpite più duramente di quelle americane, sebbene si voglia far credere che quello dei subprime sia un problema americano.
In Inghilterra c'è anche una fazione impegnata a staccare la spina al dollaro credendo così che questo si trasformi in un “vantaggio relativo” per il sistema britannico, quando tutto va a fondo. I paesi del Medio Oriente e dell'Asia dovrebbero recidere i propri legami con il dollaro, sfruttando l'attuale debolezza del biglietto verde, ha spiegato Gerard Lyons, capo economista della Standard Chartered, una delle banche storiche dell'Impero Britannico. In un commento sul Financial Times Lynos ha scritto che sebbene il recente vertice degli stati del Golfo a Doha non abbia risolto la questione monetaria, su questo fronte sta maturando una svolta epocale della politica mediorientale. Sebbene il mondo sia stato in grado di cavarsela di fronte alla caduta del dollaro grazie a condizioni economiche favorevoli, “adesso il dollaro è vulnerabile e il clima economico è più ostile”, gongola Lyons. I politici asiatici e mediorientali non possono perdere l'opportunità di allentare i rispettivi vincoli con il dollaro, né dovrebbe farlo il settore privato, conclude il portavoce della City di Londra.
Negli USA invece c'è chi comincia a rendersi conto che il sistema non può essere salvato. “Il sistema è un castello di carte ... e sta per venir giù”, ha scritto Steven Pearlstein sul Washington Post. Nonostante “lo scoppio della più grande bolla creditizia mai vista al mondo, fatevelo dire: non avete ancora visto niente”, scrive Perlstein. “Non si tratta semplicemente di una crisi dei mutui o dell'edilizia. I giganti finanziari hanno prodotto, cartolarizzato, quotato e assicurato i titoli emessi sui mutui, crediti immobiliari commerciali, crediti delle carte di credito e credito per le acquisizioni delle attività. È molto improbabile che, in questi settori, siano riuscite a fare meglio di ciò che hanno fatto con i mutui”.
Pearlstein tratta anche il ruolo dei CDO (Obbligazioni di debito collateralizzato) “in questo disastro che si sta ancora svolgendo” della creazione di bonds ad alto rating sulla base di spazzatura. “Si è trattato di una grande operazione di alchimia finanziaria che ha fruttato alle banche di Wall Street ed alle agenzie di rating miliardi di dollari. Vista la grande quantità di denaro preso a prestito nell'acquisto dei mutui originali, le tranches per i CDO e poi le tranches degli stessi CDO, l'intera operazione aveva un rapporto di indebitamento tale da far apparire dei rendimenti che, almeno sulla carta, erano decisamente allettanti”. Adesso l'intero “castello di carte”, sta per “venir giù, con gravi consegeunze non solo per le banche e gli investitori ma per l'economia nel suo complesso”.

fonte: movisol.org

11 dicembre 2007

Clementina e le penne all’insabbiata


Quando funziona, l’informazione aiuta tutti a vivere e a lavorare meglio. I cittadini, i politici, gli imprenditori, i magistrati. Tutti. Quando non funziona, tutto peggiora. Il peggioramento della politica e dell’impresa e di una parte della cittadinanza non sono una novità. Quella della magistratura, anche quella perbene, incorrotta, insomma la migliore, è invece una novità degli ultimi mesi. Escono sentenze sempre più strane, ma sempre nella stessa direzione: a favore del potere. Si pensi soltanto all’incredibile assoluzione di Berlusconi nel processo Sme-Ariosto, praticamente per aver commesso il fatto. Se l’informazione l’avesse raccontata per quella che era, mettendone alla berlina l’illogicità e l’impermeabilità ai fatti accertati, altri giudici si sarebbero ben guardati dal riprovarci. Ma l’informazione non ne ha proprio parlato. Così la scomparsa dei fatti, dalle pagine dei giornali e dai teleschermi, si trasferisce nelle sentenze. L’altro giorno i giudici di Roma, tanto per cambiare, hanno archiviato l’inchiesta – nata dal lavoro dei loro colleghi di Potenza – a carico di Fabrizio Corona per la presunta estorsione ai danni di Francesco Totti. Se l’informazione fosse una cosa seria, avrebbe ricordato che per Corona hanno chiesto il rinvio a giudizio per una decina di estorsioni le Procure di Torino e di Milano, mentre il reuccio dei paparazzi resta indagato a Potenza per associazione per delinquere. E per questo reato, non per il caso Totti, era stato arrestato. Invece quel sapientone di Francesco Merlo, che vive a Parigi e ammira molto Giuliano Ferrara, scrive su Repubblica che Corona, a causa del pm Woodcock, subì “una galera che non gli spettava” (Merlo ignora che gli arresti li dispongono i gip, non i pm), ragion per cui ora il Csm dovrebbe “riflettere in seduta pubblica su come la sofferenza della galera e l’abuso del diritto riescano a vestire di buon gusto anche il cattivo gusto”. Parole in libertà di un giornalista disinformato sui fatti, che non potranno non condizionare i magistrati (altro che le fiction sulla mafia!) quando dovranno pronunciarsi sulle altre accuse a Corona: se archivieranno, verranno elogiati dal Merlo di turno come “molto saggi”; se rinvieranno a giudizio o condanneranno, saranno complici dei pm manettari che abusano della galera per “vestire di buon gusto anche il cattivo gusto”.

Da Woodcock a Clementina Forleo. Per mesi e mesi l’informazione che conta, salvo rarissime eccezioni, ha avallato le balle assolute che i politici di destra e di sinistra coinvolti nello scandalo delle scalate han raccontato per tutta l’estate e l’autunno su quel gip che “abusa del suo potere”, “calunnia” D’Alema e Latorre, “usurpa il potere della Procura” accusandoli di “complicità nel disegno criminoso” dei furbetti quando i pm non li hanno nemmeno indagati dunque li ritengono innocenti, e via delirando. Solo pochi esperti, come Franco Cordero e Giuseppe D’Avanzo su Repubblica, Michele Ainis sulla Stampa e Francesco Saverio Borrelli spiegarono l’assoluta correttezza dell’operato del gip in base alla demenziale (ora anche incostituzionale) legge Boato. Così ora le stesse bizzarrie si sono trasformate in un “capo di incolpazione” firmato dal Procuratore generale della Cassazione Mario Delli Priscoli, che ha avviato l’azione disciplinare contro la Forleo perché il Csm la sanzioni adeguatamente, oltre a esaminare (da lunedì) il suo eventuale trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, avendo osato andare addirittura in tv senza mai parlare dei suoi processi (il procuratore di Bari, invece, ha tenuto una conferenza stampa sull’arresto del padre dei bambini di Gravina, il procuratore di Arezzo ne ha tenuta un’altra sulla morte del tifoso della Lazio, ma nessuno ha ricordato loro che i magistrati non devono parlare dei loro processi, né tantomeno li ha proposti per il trasferimento). L’aspetto più stupefacente dell’azione intrapresa dal solerte Pg, sulla scia delle decine di iniziative assunte dai suoi predecessori contro l’intero pool di Milano, è che si basa su convincimenti errati e smentiti dai fatti che, però, sono diventati vulgata comune grazie alla disinfgormatija politico mediatica organizzata intorno allo scandalo delle scalate. Qualche esempio.

1) La Forleo avrebbe commesso una “negligenza grave e inescusabile” chiedendo alla Camera l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni del caso Unipol-Bnl non solo a carico di Giovanni Consorte, ma anche a carico di Massimo D’Alema e Nicola Latorre, sebbene “estranei al procedimento penale in quanto nessuna iniziativa era stata adottata dal pm” nei loro confronti. Ma il Pg forse non sa che il pm, cioè Francesco Greco, dichiarò subito che i politici non erano stati indagati in base alle intercettazioni perché la legge Boato impedisce di utilizzarle come prove finchè il Parlamento non ne abbia autorizzato l’uso. E il pm titolare dell’inchiesta, Luigi Orsi, aveva chiesto al Gip di chiedere il permesso al Parlamento per procedere non solo a carico dei furbetti (già indagati in base ad altri elementi di prova), ma anche nei confronti di “altri da identificare”: cioè gli interlocutori telefonici dei furbetti, cioè i parlamentari. Quindi il gip non è affatto andato al di là della richiesta della Procura, ma s’è limitato a recepirla e a inoltrarla al Parlamento, con le trascrizioni delle telefonate di cui si chiedeva il permesso all’uso e con una nota che spiegava la loro rilevanza penale anche a carico di due parlamentari. I quali appaiono – da quanto emerge dalle loro parole, non dalle congetture del giudice - “complici consapevoli del disegno criminoso”, cioè dell’aggiotaggio di Consorte & C.

2) Secondo il Pg, quello della Forleo su D’Alema e Latorre fu “un abnorme, non richiesto e ultroneo giudizio anticipato, espresso in termini perentori, fortemente connotati da accenti suggestivi e stigmatizzatorii”. Ma quella nota era “richiesta” dalla Procura e dalle legge, oltrechè da un dovere di lealtà nei confronti del Parlamento, che doveva ben sapere quale uso si sarebbe fatto delle telefonate, se autorizzate, e nei confronti di chi, e per quale reato. Il giudizio era tutt’altro che “abnorme”, ma perfettamente aderente alla realtà emersa dalle intercettazioni, come può desumere chiunque legga le parole di D’Alema e Latorre, che trafficano con Consorte, per procurargli le alleanze auspicate in vista dell’acquisizione occulta del 51% di Bnl (con Vito Bonsignore e Francesco Gaetano Caltagirone, entrambi soci di Bnl).

3) Scrive ancora sorprendentemente il Pg che la Forleo ha arrecato ai parlamentari, “arbitrariamente coinvolti, un ingiusto danno… con espressioni che hanno leso i diritti personali (la reputazione, il prestigio, l’immagine) di uomini politici”. Ma i parlamentari in questione si sono coinvolti da soli, partecipando attivamente a una scalata occulta e illegale, in pessima compagnia, e poi mentendo spudoratamente quando hanno negato di aver fatto nient’altro che un semplice, innocuo “tifo” per Unipol. E sono gli stessi parlamentari ad avere pregiudicato la propria reputazione, prestigio e immagine mettendosi in combutta con personaggi del calibro di Consorte, Sacchetti, Bonsignore, Caltagirone, alleati di altre preclare figure come Gnutti, Fiorani, Ricucci, Coppola, tre dei quali poi finiti in galera. Che doveva fare, il gip? Scrivere che quelle telefonate di grande rilevanza penale non avevano rilevanza penale solo per evitare di offendere i politici che le avevano fatte? Se lo specchio riflette una brutta faccia, la colpa è del titolare della faccia medesima, non dello specchio. Che queste cose fingano di non capirle i politici interessati, è comprensibile. Fanno propaganda e sollevano polveroni per nascondere le proprie vergogne. Ma che non lo capisca un alto magistrato come il Pg Delli Piscoli, è davvero allarmante.

4) Clementina Forleo, a suo avviso, va pure punita perché un giorno, avendo visto due poliziotti che pestavano un immigrato reo di non aver pagato il biglietto sulla metropolitana, intervenne a farli smettere gridando “è ora di finirla”, salvando il malcapitato dal pestaggio e poi dichiarando ai giornali che i due agenti “l’hanno sbattuto brutalmente per terra”. Che c’è che non va? Così facendo, secondo il Pg, la Forleo “dapprima offendeva l’onore e il decoro degli agenti” e addirittura “la reputazione dell’intero corpo di Polizia dello Stato”, venendo così meno “ai doveri di correttezza e di equilibrio”. Ecco: doveva lasciare che i due completassero l’opera, e magari venissero promossi dirigenti della Polizia o dei servizi segreti, come i loro colleghi del G8 di Genova. Peccato che il magistrato abbia l’obbligo di denunciare i reati di cui è a conoscenza e, se può, di impedire che vengano commessi. Sembra una macabra barzelletta, ma è anche per aver salvato un magrebino da un pestaggio che Clementina Forleo rischia di essere punita dal Csm (lo stesso Csm che ha reintegrato in Cassazione Corrado Carnevale, quello che cassava le condanne dei mafiosi perché mancava un timbro, che riceveva gli avvocati dei mafiosi in casa sua prima delle camere di consiglio, che insultava Falcone e Borsellino anche appena morti ammazzati). Il fatto che si stesse occupando anche dei possibili reati di Massimo D’Alema è puramente casuale.
M.Travaglio

10 dicembre 2007

Montezemolo e, il pubblico impiego


"Più un paese cresce e più un paese è in condizione di ripagare il proprio debito”.

Queste sono le parole del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, durante l’odierno intervento alla Luiss di Roma, preceduto da quello del Presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo.

Questa è la questione centrale per risolvere il problema del debito pubblico italiano. Tuttavia, bisogna intenderci su come si intende “far crescere il Paese”. Montezemolo sostiene che debba essere la produttività delle imprese il perno della crescita, che poi consentirà anche un innalzamento dei salari. Ma anche l'aumento della capacità produttiva risulta insufficiente se non si ferma l'aumento ben più grande della liquidità legata solamente all'economia di carta. Il problema centrale è allora il blocco delle attività speculative, ossia di quelle attività dove all’emissione di credito – istituto che deve inevitabilmente avere una “funzione sociale” per dirla col nostro Costituente – non corrisponde un aumento dell’economia fisica. Basterebbe semplicemente distogliere la liquidità che finisce nel rifinanziamento della bolla speculativa e destinarla ad un aumento dei redditi, per non assistere ad alcun processo inflazionistico. Tuttavia, un immediato innalzamento dei redditi senza interventi limitativi o meglio ad eliminazione dei fenomeni speculativi (pensiamo solo a tutto quel credito destinato alle operazioni in derivati finanziari), rappresenterebbe un palliativo, nella migliore delle ipotesi, di brevissima durata.

Eliminati i fenomeni di tipo speculativo che distraggono fonti finanziarie dalla crescita dell’economia fisica, il problema è come aumentare 1) la produttività del lavoro, e dunque l’offerta quantitativa e qualitativa di beni e 2) di nuovo, (proporzionalmente) i redditi da lavoro.

Ci sono due modelli di società, con due differenti paradigmi ad ispirarli, che qui entrano in gioco: 1) una società dedita al Bene Comune – vero fine della Nazione – dove lo Stato è a ciò preposto per lo sviluppo armonico di tutte le energie individuali e collettive – siamo allora di fronte ad una Repubblica – ; 2) oppure una società dedita al profitto, rimessa ad un potere a lei sovraordinato, quello della casta delle banche centrali (consorzi di banche private) che controllano la moneta circolante come più le aggrada, e che subordinano costantemente il benessere generale ai propri interessi di bottega – siamo allora di fronte ad un’Oligarchia.

Nel caso della Repubblica – il modello che noi vogliamo venga concretamente risposato – la produttività è rilanciata passando per un programma di credito pubblico diretto in tal senso. La produttività deve aumentare sia a livello pro-capite che per chilometro quadrato. Per farlo, la questione infrastrutturale è centrale. Un sistema infrastrutturale carente, infatti, non può consentire un salto di qualità nella produzione. Sono dunque necessarie politiche di stampo rooseveltiano, volte a finanziare con credito pubblico a lunga scadenza ed a basso tasso d’interesse, opere pubbliche che elevino il contenuto tecnologico della base infrastrutturale su cui si erge una civiltà. Il credito pubblico, poi, può andare direttamente verso quelle imprese private che investono in ricerca e puntano su tecnologie produttive avanzate in settori di interesse strategico (non certo verso quelle aziende che si occupano di speculazione finanziaria). Interventi di defiscalizzazione devono andare nella stessa direzione.

Nel caso dell’Oligarchia, e noi temiamo che sia Draghi che Montezemolo restino aggrappati a questo modello che sinora hanno sostenuto, il credito necessario per lo sviluppo della produttività lo si racimola distraendolo dalle voci del welfare. Questo sistema, rimette il costo del futuro sviluppo alla popolazione inerme, già in forte difficoltà, creando un sistema ancor più orientato ad ampliare la forbice tra bassi ed alti redditi.

Questo secondo sistema è dunque una trappola per ignoranti.

D’altra parte gli interventi di Montezemolo e Draghi alla Luiss, hanno sviluppato un coro stonato, dove prima il Presidente di Confindustria ha attaccato il mondo dei lavoratori pubblici dicendo che colpendo questo settore potremmo racimolare cifre corrispondenti ad un punto di p.i.l.; poi, Draghi ha spiegato che per risanare il debito – peccato che tale conquista concettuale avvenga dopo finanziarie che hanno ridimensionato fortemente il welfare italiano e corrispondentemente aumentato la pressione fiscale – sia necessario aumentare la produttività. I due, dunque, si pongono senza ombra di dubbio sulla sella del modello oligarchico, andando a finanziare lo sviluppo economico con i sacrifici dei lavoratori, piuttosto che andando a colpire la speculazione ed intervenendo con sforzi pubblici in investimenti in produttività.

Montezemolo, il quale dubitiamo si rechi personalmente presso gli uffici della pubblica amministrazione, dovrebbe andare presso quelle cancellerie di tribunale dove gli impiegati, quasi fossero lavoratori a cottimo, oberati da pratiche e richieste di avvocati e notai, si recano al bagno solo alla fine della giornata lavorativa. Oppure presso quei centri per l’impiego – la cui efficienza il Sole 24 ore ogni tanto si diverte a diffamare con paragoni con le società di lavoro interinale – a cui è stato quasi dimezzato il personale e dove i giovani assunti, quasi sempre con contratti a tempo determinato rinnovati di nove mesi in nove mesi per anni, gestiscono il lavoro con un senso di responsabilità impensabile per chi come Montezemolo può permettersi di spendere anche tremila euro a pranzo.

Questi signori, come spacciatori di fumo che fanno credere alla propria clientela di dargli cose buone, stanno scatenando una vera e propria guerra tra poveri dove purtroppo in molti stanno cadendo.

Si sta creando un mix populista tra politica e mass media, dove ad essere attaccati sono sempre interi settori del lavoro, piuttosto che il cancro speculativo nazionale ed internazionale che distrae le fonti finanziarie dallo sviluppo del Paese, e di cui sia Montezemolo che Draghi sono esponenti di primo piano.

Per comprendere che si tratta di una vera e propria guerra tra poveri è interessante soffermare la nostra attenzione su un’indagine Codacons del 6 maggio scorso, per cui le categorie più odiate sarebbero: benzinai al 20%, tassisti al 18%, commercianti al 17%, impiegati di enti pubblici al 13%, lavavetri al 10%, professionisti e artigiani al 9%, commessi e camerieri al 5%, farmacisti al 4%, bancari e assicuratori all’1%. Nella classifica non vi sono le multinazionali del petrolio (ma i benzinai!) e non vi sono i banchieri (ma i bancari!). E’ ovvio che questo è il risultato di una visione distorta indotta dai media, per cui non si vanno ad individuare le vere lobbies responsabili della disastrosa situazione italiana.

Tutte queste categorie di lavoratori, direttamente o indirettamente, vengono continuamente attaccate da quei soliti signori – finanzieri, politici e giornalisti – che in tutti questi anni, mentre l’Italia crollava, se la spassavano con la bella vita, ed ora pretendono, come se nel frattempo avessero vissuto su un altro pianeta, di sciolinare ricette. Guarda caso il prezzo di queste ricette è sempre a carico dei più deboli e le soluzioni proposte sono sempre a vantaggio degli oligarchi. Si strumentalizzano i problemi esistenti, invece che col reale intento di risolverli, per agevolare i processi di acquisizione di nuovi settori (trasporti, distribuzione, servizi pubblici locali) da parte dell’oligarchia finanziaria. Le nuove società private che sorgono sulle ceneri del settore inghiottito, offrono sempre bassi redditi e turni di lavoro estenuanti. Si guardi Telecom su chi ha riversato il costo della nuova grande efficienza che doveva sostituirsi all’inefficiente azienda pubblica di un tempo! Dipendenti ed utenza. Oppure si guardi ad Autostrade di Benetton che a fronte del costante aumento del prezzo delle tratte stradali, ha sostenuto solo in minima parte gli investimenti infrastrutturali a cui si era impegnata.

Perché Montezemolo non denuncia il fallito modello liberista delle privatizzazioni tanto decantato durante gli anni ’90?

Questi signori stanno diventando molto pericolosi per il Bene Comune, a causa degli approcci reazionari sempre più radicali che sostengono. Infatti, la crisi finanziaria mondiale accelera e loro proporzionalmente vedono accelerare il timore di uscire sconfitti dagli scontri tra oligarchie che nel dietro le quinte (di ciò che i media mostrano) si stanno verificando. Il prezzo di tutto ciò vorrebbero riversarlo su chi in questo momento per loro rappresenta un intralcio, ossia la popolazione che si era comunitariamente organizzata per perseguire in modo constante l’interesse generale.
Fonte movisol.org