27 maggio 2008

La “Gladio dei carburanti”



Attraversa 6 Regioni, 17 Province e 136 Comuni italiani. Totalmente finanziato dall’Alleanza Atlantica, e’ stato costruito negli anni Sessanta per rifornire in modo autonomo e continuativo carburante Jet A1 (kerosene) ai velivoli dislocati negli aeroporti militari di tutta Europa.
Il suo nome è NATO-POL (acronimo che sta per Petroleum Oil Lubrificant) ed è un sistema completo di terminal marini, depositi di stoccaggio sotterranei e gruppi di pompaggio: una rete di oleodotti le cui condutture corrono per oltre 11.000 chilometri, dal mare fino al cuore dell’Europa.
Il sistema POL è una delle infrastrutture NATO meno note: la frazione italiana della rete - denominata North Italian Pipeline System (NIPS) - raggiunge le basi USA-NATO di Ghedi (Brescia), Aviano (Pordenone), Rivolto (Udine) e Cervia (Ravenna), nonché altre infrastrutture utilizzate esclusivamente dall’Aeronautica Militare Italiana. Dal terminale marino di Vezzano, in Val Mulinello, nei pressi di La Spezia, giunge al nodo di Collecchio (Parma) e lì si ramifica in tre direzioni, per un’estensione dcomplessiva pari a circa 850 chilometri. Importanti depositi si trovano anche a Mestre, ad Augusta per rifornire la base US Navy di Sigonella, ed a Taranto.
Un braccio arriva fino in Germania, attraversando l’Austria. Un altro capo è in Portogallo, a Lisbona, dove un intero molo è riservato al NATO-POL. Altri depositi sono in Gran Bretagna. Reti analoghe a quella italiana sono inoltre presenti in Norvegia, Grecia e Turchia. Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Olanda sono invece collegate da un sistema centrale europeo.
Di approfondirne la natura si era fatto carico il senatore Severino Galante (PdCI), con un’interrogazione parlamentare in cui chiedeva al governo italiano chiarimenti in merito alla segretezza dell’oleodotto e ad un’eventuale autorizzazione concessa alla NATO per ampliarlo nel tratto che da Vicenza (dove recentemente si è verificato un guasto)¹ porta ad Aviano. L’allora ministro della Difesa Parisi si era affrettato a precisare che “l’aeroporto Dal Molin di Vicenza non è alimentato da tale rete” e che l’opera non riveste “carattere di segretezza” in quanto il tracciato è punteggiato, ogni duecento metri, da un cartello con la dicitura “Amministrazione dello Stato”.
Il combustibile dalle petroliere approdate a La Spezia viene riversato in Val Mulinello fino a 20.000 litri all’ora, quindi stoccato in serbatoi di cemento armato rinforzati da una lamina in acciaio e ricoperti di terra, non solo per impedire eventuali sversamenti ma anche per protezione da ipotetici attacchi. La portata dell’oleodotto nella parte italiana raggiunge, secondo dati aggiornati al 1999 (durante l’aggressione NATO alla ex Jugoslavia) un massimo di 1 milione e 600mila litri al giorno. Logisticamente, esso dipende dall’Aeronautica Militare Italiana (AMI), ed in particolare dal Comando situato presso l’Aeroporto di Parma, in via Cremonese 35.
La gestione e la manutenzione dell’impianto in Italia sono invece affidate alla società privata IG (Infrastrutture e Gestioni) S.p.A., con sede a Roma in via Castello della Magliana 75. Controllata dalla holding francese Technip, la IG vanta una consolidata esperienza tecnica ed organizzativa acquisita in oltre trenta anni di attività nei settori della realizzazione e gestione di impianti industriali ed infrastrutture in Italia ed all’estero, in campo civile e militare.
Il relativo contratto, stipulato nel 2000 con la Direzione Generale degli Armamenti Aeronautici del Ministero della Difesa, ha durata di 14 anni e comprende: l’esercizio con presa in consegna e riconsegna nelle aree di impiego dei prodotti petroliferi; la manutenzione ordinaria e straordinaria;
il controllo delle servitù e concessioni; i servizi tecnici; l’addestramento del personale; la custodia delle aree; il management generale.
Qualcuno, argutamente, ha parlato di “Gladio dei carburanti”.

NOTE:
1)“«Un vero e proprio disastro ambientale»: se lo dice l’assessore provinciale alle risorse idriche Paolo Pellizzari, c’è da crederci. L’incidente all’oleodotto Nato che da Pisa porta il cherosene ad Aviano ha compromesso i fiumi Astichello e Bacchiglione; e nessuno aggiunge che il luogo dell’incidente, avvenuto a Monticello C.Otto, è un territorio di ricarica della falda acquifera vicentina, quella che dà da bere alle province di Vicenza e Padova: uno tra i bacini idrici sotterranei più grandi d’Europa.
Decine di ettolitri di cherosene riversati nella acque dell’Astichello: sono queste le dichiarazioni delle fonti ufficiali. L’incidente, avvenuto questa mattina alle 7, è stato segnalato dalle agenzie di stampa solo in serata, alle 20. Nel frattempo migliaia di cittadini hanno avuto il tempo di allarmarsi, pur non sapendo cosa era successo, sentendo l’intenso odore di cherosene in prossimità dei due corsi d’acqua vicentini; in poche ore la chiazza inquinante ha raggiunto la città attraversando Ponte degli Angeli e si è spinta almeno fino alla Riviera Berica.
Ma non dicevano che gli impianti militari sono sicuri? L’oleodotto di cui si parla, infatti, serve a portare il cherosene da Pisa ad Aviano, dove viene imbarcato sugli aerei militari in partenza per i loro voli di guerra e di addestramento. Una struttura che, a detta dei militari, non dovrebbe procurare alcun danno al territorio, ma che oggi si è resa responsabile di «un vero e proprio disastro ambientale».
Nei prossimi giorni conosceremo esattamente le dimensioni di questo disastro; per ora registriamo le prime voci che parlano di un miliardo di euro soltanto per le valutazioni del danno. Nel frattempo il cherosene è filtrato nel terreno, si è mescolato con l’acqua dei nostri fiumi, ha iniziato la sua opera di distruzione della fauna e della vegetazione fluviale.
Nessuno provi più a darci false rassicurazioni: le installazioni militari sono pericolose per gli abitanti dei territori nei quali sono situate. Se verrà realizzata, lo sarà anche la base statunitense al Dal Molin, situata proprio sopra la nostra falda acquifera e nei pressi di una zona naturale protetta; cosa potrebbe avvenire se, in un giorno disgraziato, dovesse verificarsi un incidente ad una delle cisterne di carburante? O agli edifici in cui saranno accatastati gli armamenti della 173° Brigata Aereotrasportata e magari - chi può escluderlo? - proiettili all’uranio impoverito? Potremmo fare una lista infinita dei rischi legati alle basi militari: ci fermiamo qui perchè ognuno può identificarli da se; e perchè tutti sanno che una base militare, per la sua semplice presenza, è già dannosa.
Seguiranno aggiornamenti.”
di byebyeunclesam

26 maggio 2008

Aggiotaggio sul Petrolio: i soliti noti


Da settimane ormai i media ripetono la «previsione» emessa da Goldman Sachs: «Il barile arriverà a 200 dollari». E ciò, «inevitabilmente». Quel che non dicono i media è che Goldman Sach gestisce (e manipola) il GSCI, l’indice dei prezzi delle materie prime più usato nel mondo, e nel GSCI il greggio ha un «peso» sproporzionato.

Goldman Sachs ha anche contribuito a far nascere il London ICE Futures Exchange, attraverso l’Atlanta Georgia ICE (International Commodities Exchange), che possiede la filiale di Londra, e di cui Goldman è comproprietaria: e l’ICE, dal gennaio 2006, è stato esentato dall’amministrazione Bush persino dalle lievissime regole vigenti in America. L’organo di controllo sui futures americani, la Commodities Futures Trading Commission, che già non brilla per poteri di repressione, non ha accesso nemmeno ai dati degli scambi dell’ICE di Londra.

L’ICE di Londra è stato oggetto di due inchieste del Congresso USA (al Senato nel giugno 2006, alla Camera bassa nel dicembre 2007) le quali hanno appurato che i rincari del greggio sono causati da contratti futures per miliardi di dollari, improvvisamente aumentati in quantità, che avvengono appunto in quel «buco nero» finanziario.

Il rapporto senatoriale del 2006 ha scritto: «Ci sono là pochi gestori di fondi che sono maestri nello sfruttare le teorie sul picco petrolifero e i momentanei colli di bottiglia della domanda-offerta (1), e facendo audaci previsioni di straordinari rincari imminenti, essi gettano benzina sul fuoco rialzista in una sorta di profezie auto-avverantisi».

Insomma è chiaro: Goldman Sachs si è data i mezzi per manipolare al rialzo i prezzi del petrolio, e lo sta facendo con grande zelo. La sola domanda è come mai, dopo un simile rapporto del Senato USA, i suoi dirigenti non siano stati chiamati in giudizio per aggiotaggio o, come minimo, per conflitto d’interesse. Misteri del popolo eletto.

Manipolare i rincari attraverso i futures è facilissimo, perchè all’ICE si può comprare sulla carta una partita di petrolio ad una data stabilita (future, appunto), versando in anticipo solo il 6% del prezzo. Con un margine così lieve, gli speculatori hanno in mano una leva moltiplicatrice da 16 ad 1. Rischiando mille dollari, generano una domanda di 16 mila dollari di petrolio. Domanda fittizia.

William Engdahl (2) infatti avanza il sospetto che la bolla speculativa petrolifera stia per scoppiare (come già quella edilizia sub-prime), e Goldman usi la sua «profezia» e le sue manipolazioni per rifilare agli ingenui investitori (tipicamente, i devastati fondi-pensione USA) contratti di cui la stessa Goldman si sta silenziosamente disfacendo. Sarebbe interessante vedere le posizioni sui futures petroliferi della stessa Goldman, dice Engdahl, per constatare se ha impiegato i suoi capitali sulla scommessa che il greggio andrà a 200; se, insomma, crede alla sua profezia.

Naturalmente, dato che l’ICE di Londra è una stanza oscura o un buco nero, è quasi impossibile saperlo. Ma Engdahl ricorda che nel 2001, quando a salire prodigiosamente erano i titoli delle «dot.com», ossia di micro-aziende neonate, con due o tre dipendenti, che promettevano mirabolanti avanzamenti nel software e nelle telecom e il cui valore azionario saliva in modo astronomico in base a quel che i media magnificavano di loro, avvenne proprio questo: alcuni lupi di Wall Street spingevano all’acquisto di tali azioni sopravvalutate, mentre loro, zitti zitti, le vendevano; o magnificavano le azioni di compagnie in cui le loro banche-madri avevano interessi.

Poi, la bolla delle dot.com scoppiò, l’indice NASDAQ crollò, e un’altra inchiesta del Congresso appurò che i lupi di Wall street avevano rifilato anche notizie esagerate ai grandi media ufficiali proprio per vendere a caro prezzo le azioni che stavano per cadere. Anche allora si seppe tutto «dopo», quando ormai i lupi avevano le tasche piene, i fondi-pensione le casse vuote, e senza conseguenze penali.

I segnali che la bolla petrolifera sia gonfiata deliberatamente dalla speculazione finanziaria non mancano. In aprile, l’analista petrolifero di Lehman Brothers, Michael Waldron, intervistato dal Telegraph, ha dichiarato: «L’offerta di petrolio sta superando la crescita della domanda. Le riserve sono in aumento dall’inizio dell’anno». Pochi giorni dopo a Dallas, si riuniva la American Association of Petroleum Geologists, da cui usciva questa indiscrezione: «I prezzi del greggio caleranno presto drammaticamente; sarà il gas naturale a mantenere una tendenza al rialzo a lungo termine». Infatti, «una delle cose che è molto importante comprendere è che la crescita della domanda mondiale in petrolio non è tanto forte», ha detto David Kelly, l’analista strategico della J.P.Morgan funds. Infatti la domanda è piatta, e ciò non giustifica i rialzi.

Cresce alquanto in Cina, ma cala in USA per la recessione americana: attualmente di 190 mila barili al giorno secondo i dati ufficiali dell’Energy Information Administration (ente del governo USA). E per valutare il dato occorre aver presente la differenza tra USA e Cina: la Cina consuma 7 milioni di barili al giorno, gli USA il triplo, 20,7 milioni barili al giorno. Un calo americano conta dunque molto più, sui mercati, di una accresciuta domanda cinese.

La quale, peraltro, non è poi così esplosiva come ci raccontano i media (e Goldman): secondo l’ente ufficiale USA suddetto, la domanda cinese aumenterà quest’anno di 400 mila barili/giorno, un aumento non tale da turbare i mercati, rispetto ai 3,2 milioni di barili al giorno che la Cina importa.

E’ nel più grosso consumatore mondiale, l’America, che si sta profilando un calo dei consumi, che diverrà via via più pronunciato quanto più la recessione americana morderà i consumi delle famiglie, colpite dai pignoramenti, dai debiti, dalla disoccupazione crescente. Secondo Master Card, in un rapporto del 7 maggio, la domanda americana di carburanti è scesa di un imponente 5,8 %.

Difatti, le riserve petrolifere americane aumentano («Per prepararsi alla guerra con l’Iran», dicono gli aggiotatori: ogni allarme è buono per tener alti i futures), mentre le raffinerie hanno ridotto i loro ritmi di raffinazione per affrontare la domanda calante: oggi lavorano all’85 per cento delle capacità, contro l’89 dell’anno scorso. E tengono basse le loro riserve di benzina allo scopo di sostenere i prezzi e i profitti.

Come non bastasse, nuovi giacimenti entreranno in produzione nel 2008, aumentando l’offerta. L’Arabia Saudita ha in progetto di aumentare di un terzo l’attività estrattiva, e di accrescere gli investimenti nel settore del 40%, per soddisfare la crescente domanda dell’Asia. Dall’anno prossimo la sua capacità di estrazione aumenterà dell’11% rispetto all’attuale.

Già nell’aprile scorso funziona il nuovo campo petrolifero saudita di Khursanyah, aggiungendo all’offerta globale mezzo milione di barili al giorno di pregiato Arabian Light Crude; dal 2009 il giacimento di Khurai, il più grosso dei nuovi progetti di sfruttamento sauditi, aggiungerà 1,2 milioni del miglior greggio (e al più basso costo estrattivo) alla offerta mondiale.

In Brasile, la Petrobras sta cominciando a sfruttare il giacimento offshore di Tupi, che si valuta in 8 miliardi di barili, e dovrà portare il Brasile fra i primi dieci produttori globali, sotto la Nigeria ma sopra il Venezuela. In USA, la US Geological Survey ha riferito di nuove riserve in un’area che va dal North Dakota al Montana, e che stima in 3,65 miliardi di barili.

L’Iraq ha riserve valutate non inferiori a quelle saudite, se solo il disordine americano non ne impedisse lo sfruttamento. E si tenga presente che già a 60 dollari il barile, diventano convenienti economicamente una quantità di pozzi chiusi quando il barile era a 27.

Insomma: la domanda non cresce, l’offerta aumenta - eppure, misteriosamente, i prezzi salgono. Non durerà molto: anche questa bolla scoppierà. Quando?

Questo lo deciderà Goldman Sachs, quando riterrà di averci depredato e impoverito abbastanza. Per intanto, tutti i media gridano con il padrone: «Petrolio a 200!».
M. Blondet

La falsa guerra di Berlusconi alle banche

La misura presentata a sorpresa dal governo due giorni fa in materia di mutui ha spinto molti a credere che Berlusconi abbia deciso di dichiarare guerra ai poteri forti, quei “salotti buoni” dove non è mai stato accettato davvero. “Se le banche non accettano, allora gli mandiamo la guardia di Finanza”, ha infatti commentato scherzando il presidente del Consiglio, lanciando un segnale al mondo della finanza. Non sono mancati però coloro che hanno evidenziato che il provvedimento, a ben vedere, non risolve il problema e rappresenta al contrario l’ennesimo regalo alle banche, seppur differito nel tempo. Vediamo come stanno davvero le cose. La misura voluta dal ministro Tremonti prevede la possibilità per 1.250.000 famiglie che hanno stipulato un mutuo prima del gennaio 2007 di sostituire l’attuale rata variabile con una fissa, il cui importo è inferiore e pari a quello pagato in media nel 2006, quando i saggi di interesse non avevano ancora iniziato a crescere. La scadenza, ha assicurato l’inquilino di via XX settembre, “sarà quella del mutuo” e, se nel frattempo i tassi saranno saliti, il contratto durerà un po’ di più, altrimenti le banche restituiranno i soldi in più versati dal cliente. Stando ai calcoli dell’Abi, per un mutuo ventennale di 80.000 euro si potrebbe arrivare a circa 850 euro l’anno. I tassi di interesse però, è giusto sottolinearlo, rimarrebbero variabili: il saldo finale dare/avere quindi non potrà che dipendere dall’andamento dei saggi nei prossimi decenni. Ciò significa che la misura attutisce nel breve periodo le difficoltà delle famiglie, oberate dalle rate crescenti dei mutui per la prima casa e dal reddito fermo e corroso dall’inflazione, coerentemente con la visione lievemente “sociale” sostenuta da Tremonti nel suo discusso libro sulla globalizzazione; nel lungo periodo, però, se i tassi di interesse dovessero essere sfavorevoli per i clienti, la misura finirebbero per far pagare loro di più dal momento che nei primi anni del mutuo, per il noto meccanismo di calcolo alla francese degli interesse, il capitale restituito sarebbe inferiore e le rate coprirebbero solo gli interessi crescenti. Come ha sottolineato Gianni Pittella, presidente della Delegazione italiana del Gruppo socialista al Parlamento europeo, inoltre, “l’accordo siglato tra il governo Berlusconi e le banche non affronta il problema principale”, il fatto cioè che “nel settore dei servizi bancari al dettaglio il livello di mobilità dei consumatori non è garantito adeguatamente”. “Finché i consumatori non saranno messi in grado di passare da una banca all’altra con la facilità a cui hanno già diritto grazie alla Legge Bersani - ha spiegato - il mercato non sarà competitivo dal punto di vista dei costi per i consumatori”. Non affrontando nel suo negoziato con le banche il nodo mobilità, richiesto anche dalla Commissione e invano rincorso dal precedente governo con il decreto Bersani, l’esecutivo ha in sostanza attuato un “pannicello caldo”, proteggendo il sistema creditizio dalla corsa al ribasso delle tariffe innescata dalla mobilità. “Bene poter rinegoziare a tassi favorevoli il proprio mutuo, ma molto meglio sarebbe potere anche scegliere di rinegoziarlo” con una banca che offra tassi migliori, ha concluso non senza ragioni Pittella, esortando l’esecutivo ad impegnarsi a far rispettare la legge Bersani.
Che l’attacco alle banche sia stato per ora rinviato, d’altronde, si evince anche da un’altra scelta: il rinvio della misura che prevedeva di far restituire alle banche i pingui regali fatti dal governo Prodi con il taglio dell’aliquota fiscale delle imprese bancarie e i lauti extra-profitti derivati dalla congiuntura. Ufficialmente la ragione è che il governo vuole studiare meglio la questione; non è da escludere però che il contro-documento presentato dall’Abi con la richiesta di concrete contropartite all’esecutivo abbia influito non poco alla decisione finale.
Di certo l’atmosfera per le banche è cambiata rispetto al periodo Prodi, come ha ammesso il presidente dell’Abi, Corrado Fissola, parlando di “sacrifici da fare per le banche” per dare sollievo alla pianificazione finanziaria delle famiglie e “per il sostegno dell’economia nazionale”. Il compromesso raggiunto, però, alla lunga potrebbe addirittura essere favorevole per il settore, basti pensare che il comitato esecutivo dell’Abi ha approvato all’unanimità l’intesa, confermando che tali sacrifici non sono poi così grandi. Il numero uno di Unicredit Alessandro Profumo, inoltre, ha definito l’accordo raggiunto sui mutui “ottimo”, confermando così indirettamente che il “nuovo rapporto con le banche”, voluto dal Pdl, ha solo slittato i vantaggi economici delle banche, costringendole a pagare di più oggi sul mercato interbancario la liquidità mancante a causa del provvedimento. Frasi come “questa volta devono pagare” o “non possono più dettare legge”, riferite alle banche si riveleranno quindi solo bandiere demagogiche se non saranno accompagnate presto da misure cogenti sulla mobilità, che diano al consumatore la possibilità di ottenere un’offerta migliore dagli istituti di credito. I primi segnali si vedranno già con il tavolo negoziale che sarà istituito tra Abi e governo per redigere la Convenzione che renderà operativo il decreto.
Nonostante ciò, non si può non sottolinearlo, Tremonti ha ottenuto un importante obiettivo: risparmiare ingenti risorse pubbliche da destinare, in un momento molto difficile dell’economia, a necessità più urgenti, tagliando da 4 a 2,8 miliardi le risorse destinate al decreto e scaricando sulle banche parte dello sforzo finanziario odierno. Il maggior reddito su cui i consumatori potranno contare pagando una rata inferiore consentirà infatti di dare più fiato ai bilanci familiari ma anche di stimolare immediatamente i consumi del Paese, fermi da tempo. L’effetto della misura taglia rate sulla crescita sarà infatti sicuramente maggiore di quello garantito dal taglio dell’Ici e dalla detassazione degli straordinari.
di Diana Pugliese

27 maggio 2008

La “Gladio dei carburanti”



Attraversa 6 Regioni, 17 Province e 136 Comuni italiani. Totalmente finanziato dall’Alleanza Atlantica, e’ stato costruito negli anni Sessanta per rifornire in modo autonomo e continuativo carburante Jet A1 (kerosene) ai velivoli dislocati negli aeroporti militari di tutta Europa.
Il suo nome è NATO-POL (acronimo che sta per Petroleum Oil Lubrificant) ed è un sistema completo di terminal marini, depositi di stoccaggio sotterranei e gruppi di pompaggio: una rete di oleodotti le cui condutture corrono per oltre 11.000 chilometri, dal mare fino al cuore dell’Europa.
Il sistema POL è una delle infrastrutture NATO meno note: la frazione italiana della rete - denominata North Italian Pipeline System (NIPS) - raggiunge le basi USA-NATO di Ghedi (Brescia), Aviano (Pordenone), Rivolto (Udine) e Cervia (Ravenna), nonché altre infrastrutture utilizzate esclusivamente dall’Aeronautica Militare Italiana. Dal terminale marino di Vezzano, in Val Mulinello, nei pressi di La Spezia, giunge al nodo di Collecchio (Parma) e lì si ramifica in tre direzioni, per un’estensione dcomplessiva pari a circa 850 chilometri. Importanti depositi si trovano anche a Mestre, ad Augusta per rifornire la base US Navy di Sigonella, ed a Taranto.
Un braccio arriva fino in Germania, attraversando l’Austria. Un altro capo è in Portogallo, a Lisbona, dove un intero molo è riservato al NATO-POL. Altri depositi sono in Gran Bretagna. Reti analoghe a quella italiana sono inoltre presenti in Norvegia, Grecia e Turchia. Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Olanda sono invece collegate da un sistema centrale europeo.
Di approfondirne la natura si era fatto carico il senatore Severino Galante (PdCI), con un’interrogazione parlamentare in cui chiedeva al governo italiano chiarimenti in merito alla segretezza dell’oleodotto e ad un’eventuale autorizzazione concessa alla NATO per ampliarlo nel tratto che da Vicenza (dove recentemente si è verificato un guasto)¹ porta ad Aviano. L’allora ministro della Difesa Parisi si era affrettato a precisare che “l’aeroporto Dal Molin di Vicenza non è alimentato da tale rete” e che l’opera non riveste “carattere di segretezza” in quanto il tracciato è punteggiato, ogni duecento metri, da un cartello con la dicitura “Amministrazione dello Stato”.
Il combustibile dalle petroliere approdate a La Spezia viene riversato in Val Mulinello fino a 20.000 litri all’ora, quindi stoccato in serbatoi di cemento armato rinforzati da una lamina in acciaio e ricoperti di terra, non solo per impedire eventuali sversamenti ma anche per protezione da ipotetici attacchi. La portata dell’oleodotto nella parte italiana raggiunge, secondo dati aggiornati al 1999 (durante l’aggressione NATO alla ex Jugoslavia) un massimo di 1 milione e 600mila litri al giorno. Logisticamente, esso dipende dall’Aeronautica Militare Italiana (AMI), ed in particolare dal Comando situato presso l’Aeroporto di Parma, in via Cremonese 35.
La gestione e la manutenzione dell’impianto in Italia sono invece affidate alla società privata IG (Infrastrutture e Gestioni) S.p.A., con sede a Roma in via Castello della Magliana 75. Controllata dalla holding francese Technip, la IG vanta una consolidata esperienza tecnica ed organizzativa acquisita in oltre trenta anni di attività nei settori della realizzazione e gestione di impianti industriali ed infrastrutture in Italia ed all’estero, in campo civile e militare.
Il relativo contratto, stipulato nel 2000 con la Direzione Generale degli Armamenti Aeronautici del Ministero della Difesa, ha durata di 14 anni e comprende: l’esercizio con presa in consegna e riconsegna nelle aree di impiego dei prodotti petroliferi; la manutenzione ordinaria e straordinaria;
il controllo delle servitù e concessioni; i servizi tecnici; l’addestramento del personale; la custodia delle aree; il management generale.
Qualcuno, argutamente, ha parlato di “Gladio dei carburanti”.

NOTE:
1)“«Un vero e proprio disastro ambientale»: se lo dice l’assessore provinciale alle risorse idriche Paolo Pellizzari, c’è da crederci. L’incidente all’oleodotto Nato che da Pisa porta il cherosene ad Aviano ha compromesso i fiumi Astichello e Bacchiglione; e nessuno aggiunge che il luogo dell’incidente, avvenuto a Monticello C.Otto, è un territorio di ricarica della falda acquifera vicentina, quella che dà da bere alle province di Vicenza e Padova: uno tra i bacini idrici sotterranei più grandi d’Europa.
Decine di ettolitri di cherosene riversati nella acque dell’Astichello: sono queste le dichiarazioni delle fonti ufficiali. L’incidente, avvenuto questa mattina alle 7, è stato segnalato dalle agenzie di stampa solo in serata, alle 20. Nel frattempo migliaia di cittadini hanno avuto il tempo di allarmarsi, pur non sapendo cosa era successo, sentendo l’intenso odore di cherosene in prossimità dei due corsi d’acqua vicentini; in poche ore la chiazza inquinante ha raggiunto la città attraversando Ponte degli Angeli e si è spinta almeno fino alla Riviera Berica.
Ma non dicevano che gli impianti militari sono sicuri? L’oleodotto di cui si parla, infatti, serve a portare il cherosene da Pisa ad Aviano, dove viene imbarcato sugli aerei militari in partenza per i loro voli di guerra e di addestramento. Una struttura che, a detta dei militari, non dovrebbe procurare alcun danno al territorio, ma che oggi si è resa responsabile di «un vero e proprio disastro ambientale».
Nei prossimi giorni conosceremo esattamente le dimensioni di questo disastro; per ora registriamo le prime voci che parlano di un miliardo di euro soltanto per le valutazioni del danno. Nel frattempo il cherosene è filtrato nel terreno, si è mescolato con l’acqua dei nostri fiumi, ha iniziato la sua opera di distruzione della fauna e della vegetazione fluviale.
Nessuno provi più a darci false rassicurazioni: le installazioni militari sono pericolose per gli abitanti dei territori nei quali sono situate. Se verrà realizzata, lo sarà anche la base statunitense al Dal Molin, situata proprio sopra la nostra falda acquifera e nei pressi di una zona naturale protetta; cosa potrebbe avvenire se, in un giorno disgraziato, dovesse verificarsi un incidente ad una delle cisterne di carburante? O agli edifici in cui saranno accatastati gli armamenti della 173° Brigata Aereotrasportata e magari - chi può escluderlo? - proiettili all’uranio impoverito? Potremmo fare una lista infinita dei rischi legati alle basi militari: ci fermiamo qui perchè ognuno può identificarli da se; e perchè tutti sanno che una base militare, per la sua semplice presenza, è già dannosa.
Seguiranno aggiornamenti.”
di byebyeunclesam

26 maggio 2008

Aggiotaggio sul Petrolio: i soliti noti


Da settimane ormai i media ripetono la «previsione» emessa da Goldman Sachs: «Il barile arriverà a 200 dollari». E ciò, «inevitabilmente». Quel che non dicono i media è che Goldman Sach gestisce (e manipola) il GSCI, l’indice dei prezzi delle materie prime più usato nel mondo, e nel GSCI il greggio ha un «peso» sproporzionato.

Goldman Sachs ha anche contribuito a far nascere il London ICE Futures Exchange, attraverso l’Atlanta Georgia ICE (International Commodities Exchange), che possiede la filiale di Londra, e di cui Goldman è comproprietaria: e l’ICE, dal gennaio 2006, è stato esentato dall’amministrazione Bush persino dalle lievissime regole vigenti in America. L’organo di controllo sui futures americani, la Commodities Futures Trading Commission, che già non brilla per poteri di repressione, non ha accesso nemmeno ai dati degli scambi dell’ICE di Londra.

L’ICE di Londra è stato oggetto di due inchieste del Congresso USA (al Senato nel giugno 2006, alla Camera bassa nel dicembre 2007) le quali hanno appurato che i rincari del greggio sono causati da contratti futures per miliardi di dollari, improvvisamente aumentati in quantità, che avvengono appunto in quel «buco nero» finanziario.

Il rapporto senatoriale del 2006 ha scritto: «Ci sono là pochi gestori di fondi che sono maestri nello sfruttare le teorie sul picco petrolifero e i momentanei colli di bottiglia della domanda-offerta (1), e facendo audaci previsioni di straordinari rincari imminenti, essi gettano benzina sul fuoco rialzista in una sorta di profezie auto-avverantisi».

Insomma è chiaro: Goldman Sachs si è data i mezzi per manipolare al rialzo i prezzi del petrolio, e lo sta facendo con grande zelo. La sola domanda è come mai, dopo un simile rapporto del Senato USA, i suoi dirigenti non siano stati chiamati in giudizio per aggiotaggio o, come minimo, per conflitto d’interesse. Misteri del popolo eletto.

Manipolare i rincari attraverso i futures è facilissimo, perchè all’ICE si può comprare sulla carta una partita di petrolio ad una data stabilita (future, appunto), versando in anticipo solo il 6% del prezzo. Con un margine così lieve, gli speculatori hanno in mano una leva moltiplicatrice da 16 ad 1. Rischiando mille dollari, generano una domanda di 16 mila dollari di petrolio. Domanda fittizia.

William Engdahl (2) infatti avanza il sospetto che la bolla speculativa petrolifera stia per scoppiare (come già quella edilizia sub-prime), e Goldman usi la sua «profezia» e le sue manipolazioni per rifilare agli ingenui investitori (tipicamente, i devastati fondi-pensione USA) contratti di cui la stessa Goldman si sta silenziosamente disfacendo. Sarebbe interessante vedere le posizioni sui futures petroliferi della stessa Goldman, dice Engdahl, per constatare se ha impiegato i suoi capitali sulla scommessa che il greggio andrà a 200; se, insomma, crede alla sua profezia.

Naturalmente, dato che l’ICE di Londra è una stanza oscura o un buco nero, è quasi impossibile saperlo. Ma Engdahl ricorda che nel 2001, quando a salire prodigiosamente erano i titoli delle «dot.com», ossia di micro-aziende neonate, con due o tre dipendenti, che promettevano mirabolanti avanzamenti nel software e nelle telecom e il cui valore azionario saliva in modo astronomico in base a quel che i media magnificavano di loro, avvenne proprio questo: alcuni lupi di Wall Street spingevano all’acquisto di tali azioni sopravvalutate, mentre loro, zitti zitti, le vendevano; o magnificavano le azioni di compagnie in cui le loro banche-madri avevano interessi.

Poi, la bolla delle dot.com scoppiò, l’indice NASDAQ crollò, e un’altra inchiesta del Congresso appurò che i lupi di Wall street avevano rifilato anche notizie esagerate ai grandi media ufficiali proprio per vendere a caro prezzo le azioni che stavano per cadere. Anche allora si seppe tutto «dopo», quando ormai i lupi avevano le tasche piene, i fondi-pensione le casse vuote, e senza conseguenze penali.

I segnali che la bolla petrolifera sia gonfiata deliberatamente dalla speculazione finanziaria non mancano. In aprile, l’analista petrolifero di Lehman Brothers, Michael Waldron, intervistato dal Telegraph, ha dichiarato: «L’offerta di petrolio sta superando la crescita della domanda. Le riserve sono in aumento dall’inizio dell’anno». Pochi giorni dopo a Dallas, si riuniva la American Association of Petroleum Geologists, da cui usciva questa indiscrezione: «I prezzi del greggio caleranno presto drammaticamente; sarà il gas naturale a mantenere una tendenza al rialzo a lungo termine». Infatti, «una delle cose che è molto importante comprendere è che la crescita della domanda mondiale in petrolio non è tanto forte», ha detto David Kelly, l’analista strategico della J.P.Morgan funds. Infatti la domanda è piatta, e ciò non giustifica i rialzi.

Cresce alquanto in Cina, ma cala in USA per la recessione americana: attualmente di 190 mila barili al giorno secondo i dati ufficiali dell’Energy Information Administration (ente del governo USA). E per valutare il dato occorre aver presente la differenza tra USA e Cina: la Cina consuma 7 milioni di barili al giorno, gli USA il triplo, 20,7 milioni barili al giorno. Un calo americano conta dunque molto più, sui mercati, di una accresciuta domanda cinese.

La quale, peraltro, non è poi così esplosiva come ci raccontano i media (e Goldman): secondo l’ente ufficiale USA suddetto, la domanda cinese aumenterà quest’anno di 400 mila barili/giorno, un aumento non tale da turbare i mercati, rispetto ai 3,2 milioni di barili al giorno che la Cina importa.

E’ nel più grosso consumatore mondiale, l’America, che si sta profilando un calo dei consumi, che diverrà via via più pronunciato quanto più la recessione americana morderà i consumi delle famiglie, colpite dai pignoramenti, dai debiti, dalla disoccupazione crescente. Secondo Master Card, in un rapporto del 7 maggio, la domanda americana di carburanti è scesa di un imponente 5,8 %.

Difatti, le riserve petrolifere americane aumentano («Per prepararsi alla guerra con l’Iran», dicono gli aggiotatori: ogni allarme è buono per tener alti i futures), mentre le raffinerie hanno ridotto i loro ritmi di raffinazione per affrontare la domanda calante: oggi lavorano all’85 per cento delle capacità, contro l’89 dell’anno scorso. E tengono basse le loro riserve di benzina allo scopo di sostenere i prezzi e i profitti.

Come non bastasse, nuovi giacimenti entreranno in produzione nel 2008, aumentando l’offerta. L’Arabia Saudita ha in progetto di aumentare di un terzo l’attività estrattiva, e di accrescere gli investimenti nel settore del 40%, per soddisfare la crescente domanda dell’Asia. Dall’anno prossimo la sua capacità di estrazione aumenterà dell’11% rispetto all’attuale.

Già nell’aprile scorso funziona il nuovo campo petrolifero saudita di Khursanyah, aggiungendo all’offerta globale mezzo milione di barili al giorno di pregiato Arabian Light Crude; dal 2009 il giacimento di Khurai, il più grosso dei nuovi progetti di sfruttamento sauditi, aggiungerà 1,2 milioni del miglior greggio (e al più basso costo estrattivo) alla offerta mondiale.

In Brasile, la Petrobras sta cominciando a sfruttare il giacimento offshore di Tupi, che si valuta in 8 miliardi di barili, e dovrà portare il Brasile fra i primi dieci produttori globali, sotto la Nigeria ma sopra il Venezuela. In USA, la US Geological Survey ha riferito di nuove riserve in un’area che va dal North Dakota al Montana, e che stima in 3,65 miliardi di barili.

L’Iraq ha riserve valutate non inferiori a quelle saudite, se solo il disordine americano non ne impedisse lo sfruttamento. E si tenga presente che già a 60 dollari il barile, diventano convenienti economicamente una quantità di pozzi chiusi quando il barile era a 27.

Insomma: la domanda non cresce, l’offerta aumenta - eppure, misteriosamente, i prezzi salgono. Non durerà molto: anche questa bolla scoppierà. Quando?

Questo lo deciderà Goldman Sachs, quando riterrà di averci depredato e impoverito abbastanza. Per intanto, tutti i media gridano con il padrone: «Petrolio a 200!».
M. Blondet

La falsa guerra di Berlusconi alle banche

La misura presentata a sorpresa dal governo due giorni fa in materia di mutui ha spinto molti a credere che Berlusconi abbia deciso di dichiarare guerra ai poteri forti, quei “salotti buoni” dove non è mai stato accettato davvero. “Se le banche non accettano, allora gli mandiamo la guardia di Finanza”, ha infatti commentato scherzando il presidente del Consiglio, lanciando un segnale al mondo della finanza. Non sono mancati però coloro che hanno evidenziato che il provvedimento, a ben vedere, non risolve il problema e rappresenta al contrario l’ennesimo regalo alle banche, seppur differito nel tempo. Vediamo come stanno davvero le cose. La misura voluta dal ministro Tremonti prevede la possibilità per 1.250.000 famiglie che hanno stipulato un mutuo prima del gennaio 2007 di sostituire l’attuale rata variabile con una fissa, il cui importo è inferiore e pari a quello pagato in media nel 2006, quando i saggi di interesse non avevano ancora iniziato a crescere. La scadenza, ha assicurato l’inquilino di via XX settembre, “sarà quella del mutuo” e, se nel frattempo i tassi saranno saliti, il contratto durerà un po’ di più, altrimenti le banche restituiranno i soldi in più versati dal cliente. Stando ai calcoli dell’Abi, per un mutuo ventennale di 80.000 euro si potrebbe arrivare a circa 850 euro l’anno. I tassi di interesse però, è giusto sottolinearlo, rimarrebbero variabili: il saldo finale dare/avere quindi non potrà che dipendere dall’andamento dei saggi nei prossimi decenni. Ciò significa che la misura attutisce nel breve periodo le difficoltà delle famiglie, oberate dalle rate crescenti dei mutui per la prima casa e dal reddito fermo e corroso dall’inflazione, coerentemente con la visione lievemente “sociale” sostenuta da Tremonti nel suo discusso libro sulla globalizzazione; nel lungo periodo, però, se i tassi di interesse dovessero essere sfavorevoli per i clienti, la misura finirebbero per far pagare loro di più dal momento che nei primi anni del mutuo, per il noto meccanismo di calcolo alla francese degli interesse, il capitale restituito sarebbe inferiore e le rate coprirebbero solo gli interessi crescenti. Come ha sottolineato Gianni Pittella, presidente della Delegazione italiana del Gruppo socialista al Parlamento europeo, inoltre, “l’accordo siglato tra il governo Berlusconi e le banche non affronta il problema principale”, il fatto cioè che “nel settore dei servizi bancari al dettaglio il livello di mobilità dei consumatori non è garantito adeguatamente”. “Finché i consumatori non saranno messi in grado di passare da una banca all’altra con la facilità a cui hanno già diritto grazie alla Legge Bersani - ha spiegato - il mercato non sarà competitivo dal punto di vista dei costi per i consumatori”. Non affrontando nel suo negoziato con le banche il nodo mobilità, richiesto anche dalla Commissione e invano rincorso dal precedente governo con il decreto Bersani, l’esecutivo ha in sostanza attuato un “pannicello caldo”, proteggendo il sistema creditizio dalla corsa al ribasso delle tariffe innescata dalla mobilità. “Bene poter rinegoziare a tassi favorevoli il proprio mutuo, ma molto meglio sarebbe potere anche scegliere di rinegoziarlo” con una banca che offra tassi migliori, ha concluso non senza ragioni Pittella, esortando l’esecutivo ad impegnarsi a far rispettare la legge Bersani.
Che l’attacco alle banche sia stato per ora rinviato, d’altronde, si evince anche da un’altra scelta: il rinvio della misura che prevedeva di far restituire alle banche i pingui regali fatti dal governo Prodi con il taglio dell’aliquota fiscale delle imprese bancarie e i lauti extra-profitti derivati dalla congiuntura. Ufficialmente la ragione è che il governo vuole studiare meglio la questione; non è da escludere però che il contro-documento presentato dall’Abi con la richiesta di concrete contropartite all’esecutivo abbia influito non poco alla decisione finale.
Di certo l’atmosfera per le banche è cambiata rispetto al periodo Prodi, come ha ammesso il presidente dell’Abi, Corrado Fissola, parlando di “sacrifici da fare per le banche” per dare sollievo alla pianificazione finanziaria delle famiglie e “per il sostegno dell’economia nazionale”. Il compromesso raggiunto, però, alla lunga potrebbe addirittura essere favorevole per il settore, basti pensare che il comitato esecutivo dell’Abi ha approvato all’unanimità l’intesa, confermando che tali sacrifici non sono poi così grandi. Il numero uno di Unicredit Alessandro Profumo, inoltre, ha definito l’accordo raggiunto sui mutui “ottimo”, confermando così indirettamente che il “nuovo rapporto con le banche”, voluto dal Pdl, ha solo slittato i vantaggi economici delle banche, costringendole a pagare di più oggi sul mercato interbancario la liquidità mancante a causa del provvedimento. Frasi come “questa volta devono pagare” o “non possono più dettare legge”, riferite alle banche si riveleranno quindi solo bandiere demagogiche se non saranno accompagnate presto da misure cogenti sulla mobilità, che diano al consumatore la possibilità di ottenere un’offerta migliore dagli istituti di credito. I primi segnali si vedranno già con il tavolo negoziale che sarà istituito tra Abi e governo per redigere la Convenzione che renderà operativo il decreto.
Nonostante ciò, non si può non sottolinearlo, Tremonti ha ottenuto un importante obiettivo: risparmiare ingenti risorse pubbliche da destinare, in un momento molto difficile dell’economia, a necessità più urgenti, tagliando da 4 a 2,8 miliardi le risorse destinate al decreto e scaricando sulle banche parte dello sforzo finanziario odierno. Il maggior reddito su cui i consumatori potranno contare pagando una rata inferiore consentirà infatti di dare più fiato ai bilanci familiari ma anche di stimolare immediatamente i consumi del Paese, fermi da tempo. L’effetto della misura taglia rate sulla crescita sarà infatti sicuramente maggiore di quello garantito dal taglio dell’Ici e dalla detassazione degli straordinari.
di Diana Pugliese