14 settembre 2008

Afghanistan: sette anni dopo la cacciata dei talebani



In Afghanistan, il vertiginoso aumento del livello di scontro registrato negli ultimi mesi sta mettendo a dura prova le forze della coalizione internazionale. Dalla fine dello scorso anno le milizie talebane hanno cambiato strategia e alla guerra aperta hanno preferito il terrorismo usato dalla guerriglia irachena: più snervante, più efficace e meno rischioso. La scelta é dovuta soprattutto alla schiacciante supremazia dimostrata in precedenza dalle Forze della Nato e dai paesi che partecipano alla missione, ai mezzi a disposizione, alla loro potenza di fuoco e alla capacità operativa. Tutti fattori che avrebbero portato le milizie ad evitare il combattimento diretto in favore di una strategia basata su azioni clamorose, sull’uso massiccio di ordigni esplosivi improvvisati (più comunemente conosciuti come IED o Improvised Explosive Device), di bombe piazzate sul ciglio delle strade, di attacchi suicidi e rapide sortite. I successi ottenuti dalla guerriglia stanno determinato la reazione delle truppe della coalizione, che in questo modo si espone al rischio di errori tattici ed operativi; si conta un elevato numero di perdite e una crescente percentuale di “danni collaterali”, leggasi vittime civili che pagano con la vita tragici errori di valutazione. A sette anni dalla cacciata del regime talebano la popolazione afgana inizia a considerare le truppe straniere come una sorta di esercito di occupazione, un esercito da combattere cosi come furono combattuti i sovietici negli anni Ottanta.

Il frenetico aumento delle attività ha portato i talebani a ridosso della capitale; la guerriglia ha amplificato la pressione contro la rete stradale e ha sviluppato una serie di spregiudicati attacchi che stanno preoccupando seriamente i vertici militari della coalizione: l’assalto alla prigione di Kandahar, che ha permesso la fuga di centinaia di prigionieri; il commando suicida che il 14 gennaio scorso ha portato un attacco al cuore internazionale di Kabul colpendo l’interno dell’hotel Serena e uccidendo sette persone, tra cui un reporter norvegese; l'auto-bomba esplosa il 7 luglio contro due veicoli diplomatici che si trovavano vicino al cancello principale dell'ambasciata indiana e che ha ucciso almeno 44 persone e ne ha ferite più di 150. Questi sono solo alcuni degli esempi che documentano l’abilità dei talebani nel condurre lo scontro sul terreno del terrorismo senza comunque rinunciare ad una guerra di tipo convenzionale, come l’attacco del 13 luglio contro la base di Kunar, costato la vita a nove militari statunitensi, o l’azione sferrata il 19 agosto scorso a non più di 30 miglia ad est di Kabul nella quale sono morti 10 soldati francesi.

Negli ultimi mesi i vertici militari statunitensi hanno risposto agli attacchi talebani con un intenso aumento dell’attività aerea; è stata rafforzata la presenza americana nell’Oceano Indiano con il rischieramento della flotta guidata dalla portaerei USS Abraham Lincoln. Per quanto riguarda le operazioni di terra, il Pentagono ha lavorato per raggiungere un maggiore coordinamento con l’intelligence pakistano, obiettivo tragicamente fallito se si pensa all’incursione militare su Jalal Khel, villaggio del Waziristan meridionale bombardato da elicotteri da guerra che hanno causato la morte almeno 15 persone, soprattutto donne e bambini. Senza ottenere risultati positivi Washington si è anche impegnata sul piano diplomatico, cercando di appianare le profonde divergenze che dividono l’Afghanistan dal vicino Pakistan.

Nel 2008 l’attività di guerriglia è cresciuta in modo vertiginoso, soprattutto lungo il confine con il Pakistan; per i talebani le aree tribali ad Amministrazione Federale (Khyber, Kurram, Bajaur, Mohmand, Orakzai, Nord e Sud Waziristan) sono diventate una vera e propria roccaforte, rifugio e base logistica da dove lanciano azioni dimostrative come l’attacco kamikaze compiuto il 21 agosto scorso contro una fabbrica di armi e munizioni di Wah, città strategica che sorge nella provincia di Punjab, attacco nel quale hanno perso la vita 64 civili. Un territorio difficile quello a cavallo tra Pakistan ed Afghanistan, dove i talebani addestrano i volontari destinati alla jihad afgana, ragazzi reclutati nelle madrasse di Karachi, Peshawar, Lahore e Quetta, santuario dei capi del movimento religioso puritano; dove le azioni di contenimento condotte dall’esercito pakistano non producono praticamente alcun effetto e dove le truppe della coalizione sono sempre più invise alla popolazione.

In un articolo pubblicato il 25 Agosto scorso dall’Associated Press, Jason Straziuso parla delle perdite americane in Afghanistan: dall’inizio del conflitto, ottobre 2001, l’esercito USA hanno perso 580 militari; 105 nei primi otto mesi del 2008; 65 nel bimestre maggio-giugno, il peggiore bilancio registrato dal giorno dell’invasione. La fiducia della popolazione afgana nei confronti della coalizione sta diminuendo costantemente; gli errori e i danni collaterali iniziano ad avere il loro peso. Nei primi otto mesi dell’anno le operazioni di terra e l’aviazione americana avrebbero causato la morte di circa 700 civili: il 21 agosto un raid aereo su Herat ha provocato la morte di 90 civili, 60 erano bambini; secondo alcune testimonianze, il giorno seguente, un neonato, quattro bambini, una ragazza e quattro donne, una di loro incinta, sarebbero stati feriti gravemente dalle schegge di alcuni razzi lanciati dall’esercito britannico su una abitazione di Lashkargah.

Nell’Afghanistan meridionale e sud orientale la strategia talebana sta sviluppando una sorta di consenso e la presenza dei gruppi legati ad al-Qaida sta diventando ogni giorno più influente. I guerriglieri iniziano a controllore gran parte della frontiera con il Pakistan e la rete stradale che da Karachi porta verso Kabul ed Islamabad, di vitale importanza ora che la crisi caucasica sta mettendo in discussione l’accordo con la Russia per il transito dei rifornimenti Nato, sta entrando sotto l’influenza talebana. A questo punto, per il Pentagono le prospettive non sono rosee. La presenza delle truppe Usa è determinante per il successo dell’International Security Assistance Force (Isaf) e, a meno che non si decida di lasciare che il paese in mano ai talebani, travolto da una sanguinosa guerra civile, dal punto di vista della coalizione occidentale il ritiro rimane un’opzione impraticabile; di questo ne sono coscienti entrambi i candidati alla presidenza americana. Anche se con diverse finalità, John McCain e Barack Obama non possono fare altro che promuovere l’aumento della presenza militare in Afghanistan, soprattutto ora che un parziale ritiro dall’Iraq sembra diventato possibile.

Restare a Kabul aumentando il contingente non può però che avere della conseguenze, ripercussioni che Washington e i suoi alleati dovranno prima o poi affrontare. Un numero maggiore di militari implicherebbe una proporzionale crescita di errori e quindi un incremento del numero di vittime collaterali; l’aumento delle forze in campo verrebbe percepito in modo negativo dalla popolazione che di conseguenza darebbe maggiore sostegno alla guerriglia. La persistente presenza occidentale verrebbe paragonata all’invasione sovietica del 1979 e questo non farebbe altro che dar vita a nuove forme di resistenza. Il vertiginoso aumento dello scontro potrebbe mettere infine a rischio gli equilibri politici del vicino Pakistan, dove la jihad potrebbe approfittare dell’incertezza causata dal dopo Musharraf e della cronica instabilità delle regioni nord-occidentali per trascinare il paese verso la guerra civile. In conclusione, comunque la si voglia prendere, il conflitto afgano è destinato a durare ancora a lungo, molto più e molti morti in più di quanto avesse previsto il presidente Bush quando diede inizio all’Operazione Enduring Freedom.

di Eugenio Roscini Vital

Brontolo, Pisolo e Ceausescu



Cominciamo a fare un bilancio a consuntivo sulla fine dell'ultima stagione turistica e vediamo se troviamo dei punti di tangenza con il più grande salvataggio finanziario della storia americana sui due colossi Fannie Mae e Freddie Mac. In prima battuta abbiamo i mass media che sembrano non accorgersi di come in Italia ci sia stato un crollo delle presenze turistiche, stiamo parlando di un milione di turisti in meno, corrispondenti a un - 35 % per le giornate feriali ed un - 15 % nei weekend. Dati che fanno decisamente crollare una delle industrie più floride che avevamo un tempo in Italia: quella turistica. L'incoming turistico si è ormai modificato già da qualche anno, trasformandosi in orde di famiglie morte di fame dell'Europa dell'Est (unite a quelle italiane) che passano una settimana nella Riviera Adriatica in alberghi da 20 euro a notte. Prendete Rimini (una volta la capitale del turismo italiano) e guardate come si è trasformata progressivamente in nemmeno dieci anni.

A fronte di una barbarica orda di morti di fame (che acquista la mortadella e la birra al supermercato per consumarle nelle camere di alberghi ormai fatiscenti) si contrappongono copiose schiere di miliardari russi (con le loro accompagnatrici dai facili costumi) che rappresentano l'essenza del capitalismo marcio del nuovo secolo: da Cortina a Capri, da Forte dei Marmi alla Costa Smeralda, da Taormina al Lido di Venezia, sono ormai gli unici che fanno la bella vita, sperperando all'inverosimile capitali e risorse che mai hanno meritatamente quadagnato. Sono loro che stanno sostenendo il mercato immobiliare, soprattutto nelle aree turistiche, comprando alla cieca il nuovo ed il vecchio, senza badare al prezzo. Forse perchè l'esigenza primaria non è l'investimento immobiliare ma il riciclo di denaro di dubbia provenienza. Hanno talmente comprato spingendo i prezzi in alto, al punto da portare i miniappartamenti a Jesolo al modico importo di 500.000 euro. Vorrei conoscere l'investitore italiano (per non chiamarlo il pirla della situazione) che si compra per quell'importo un buco in una località che vive di turismo si e no due mesi all'anno, con il sole ad intermittenza, il mare che assomiglia ad una fogna a cielo aperto ed infine l'allegra compagnia di zanzare di giorno e di notte !

Possiamo suddividere l'imprenditoria turistica in Italia in due grandi classi (anche se qualcuno si salva ancora, ma rappresenta una morente minoranza all'interno di prosperosa maggioranza): la classe dei Brontolo e quella dei Pisolo. La prima si lamenta, brontola appunto, di come ormai il mercato del soggiorno turistico si sia frantumato, ridotto, trasformato quasi svanito, sostituito da un puerile turismo hit and run italiano (stile mordi e fuggi) che a stento trova una sua posizione di nicchia tra le orde dei nuovi morti di fame. La seconda classe, quella dei Pisolo, è più infantile, quasi fanciullesca, infatti mentre pisola, quindi dorme, si sollazza a sognare. E sogna i decenni nel passato in cui il benessere italiano lo si misurava dalle due settimane in pensione completa di tutta la famiglia, in cui non ci si faceva mancare nulla, dai bomboloni alla crema al cono con quattro palline di gelato per i bambini in spiaggia.

Sia Brontolo che Pisolo purtroppo nel pieno della loro vocazione imprenditoriale non hanno fatto i conti con le diaboliche trasformazioni socioeconomiche che lentamente si sono verificate in questi ultimi dieci anni: prima fra tutte la distruzione della capacità di risparmio. Senza risparmio non vi è futuro: da secondo popolo al mondo per propensione al risparmio siamo scivolati, per non dire piombati, miseramente sul fondo della classifica. L'Italiano medio non risparmia, anzi deve andare a prestito per evitare l'apnea finanziaria. Quando il portafoglio si contrae, si inizia a tagliare il superfluo (quindi le vacanze, anche se le vacanze di superfluo hanno veramente poco, rappresentano un momento di appagamento sociale nella vita di ognuno di noi). Comunque grazie al ricorso al debito qualche migliaia di scellerati hanno ugualmente deciso di trascorrere una vacanza, anche se non capisco che tipo di beneficio psicofisico possa avere un momento di svago realizzato con questa architettura finanziaria.

Brontolo e Pisolo non si stanno ancora rendendo conto di quello che sta accadendo nel loro settore ed attorno a loro, più che brontolare sulla attuale situazione congiunturale e sognare le geste di un passato che non rivedranno mai più, oltre non sanno fare. Proprio come tanti altri imprenditori italiani in altri settori dell'economia che hanno prosperato sin tanto che la torta era grande per tutti, vi era risparmio generato ogni mese e la globalizzazione non aveva ancora fatto capolino. Diverso è avere vocazione e spirito imprenditoriale dall'essere un imprenditore. Proprio per questo motivo oggi abbiamo aziende che si sforzano scioccamente a stare in piedi quando non comprendono che sono innanzi ad un mutamento di scenario epocale, e per questo dovrebbero quanto prima abbandonare la nave prima che essa trascini quel poco messo da parte nel fondo dell'abisso.

Quanto è accaduto con il salvataggio di Fannie Mac e Freddie Mae non si discosta molto dalla lettura sin qui proposta: che sia un albergo nell'adriatico o qualsiasi altra attività imprenditoriale il destino è tristemente segnato. Il debito e la sua facilità di accesso ha consentito a molti paesi di continuare a consumare come se nessuno si stesse accorgendo di quanto stava accadendo. Dall'acquisto della prima casa con i mutui ad intervento integrale, alle vacanze a rate, alle carte di credito revolving (la prossima bolla che scoppierà entro un anno), tutto questo ha portato ad una saturazione finanziaria nel lungo termine insostenibile.
Crollo dell'incoming turistico e salvataggio delle due grandi banche americane vengono affrontati dai mass media con lo stesso approccio: l'importante è nascondere e non far trafugare la sostanzialità del problema (ovvero che ci troviamo innanzi ad una depressione economica senza precedenti). Tutti i mass media sono in pole position per magnificare il salvataggio finanziario che permetterà al sistema (o forse dovremmo definirlo il malato moribondo) di continuare a stare in piedi. Nessuno si sofferma a sottolineare come i relativi titoli azionari si siano ormai polverizzati (solo Lunedì 8 Settembre le quotazioni hanno collassato oltre l'80 %) e di come queste mega iniezioni di liquidità si ripercuoteranno sulle spalle e sui portafogli del popolo americano, andando a peggiorare ulteriormente lo scenario socioeconomico della scassata locomotiva statunitense.

Assistiamo ormai da un anno ad interventi straordinari da parte di tutte le banche centrali del pianeta nel penoso tentativo di tappare ogni falla che inizia ad aprirsi, con risultati piuttosto preoccupanti. In realtà non si fa altro che continuare a spostare in avanti il giorno del decesso. Il PIL mondiale è palesemente in recessione, nemmeno sull'euro si crede più visto il recente crollo estivo, a dimostrazione che anche l'Europa presto avrà le sue banche in difficoltà. A tal proposito vi consiglio di detenere sotto forma liquida più denaro possibile (nel senso di banconote cartacee). Due anni fa venni bannato come un catastrofista dalla penna facile proprio dal personale di banca che adesso si ritrova a casa licenziato: vedete voi a chi credere d'ora innanzi. Fatevi questa domanda: chi salverà le banche europee che non possono essere salvate dalla BCE e non possono contare sugli intervento di stato ? Purtroppo l'intero pianeta è un'economia che si basa ancora sul dollaro, per quanto l'euro abbia fatto sentire in questi ultimi due anni la sua voce. Non vi è soluzione indolore al male che ha colpito l'intero sistema economico, la convergenza diabolica di quattro variabili in crisi: risparmio, investimenti immobiliari, energia e materie prime.

Un sistema economico cessa di esistere quando non sono più controllabili i soggetti economici coinvolti e quando il benessere cessa di essere diffuso in maniera capillare. In molti considerano il crollo del muro di Berlino (09/11/1989) come l'evento storico che ha messo fine al comunismo o meglio come l'evento che ha spronato al cambiamento ed alla rivoluzione da un sistema economico che aveva portato e causato povertà e malessere sociale (nonostante promettesse esattamente il contrario). Dal punto di vista puramente economico io sostengo che dovrebbe essere il Natale dello stesso anno con la fucilazione di Nicolae Ceausescu, la data che individua il punto di non ritorno. Il dittatore rumeno venne barbaramente trucidato mediante fucilazione assieme alla moglie Elena in seguito alla sentenza casalinga di un tribunale volante del popolo che lo aveva accusato di aver distrutto l'economia nazionale, aver condotto la popolazione rumena alla povertà ed aver consentito ad alcune corporations di accumulare illegalmente enormi ricchezze.

Io sto aspettando. Sto aspettando quello che presto verrà scritto nei libri di scuola nei prossimi anni: qualcuno pagherà per quello che sta accadendo in quest'epoca. Proprio come Ceausescu per la Romania con il suo regime comunista, anche oggi qualcuno ben individuato sta portando molti paesi drogati dalle false aspettative del suo regime economico (la globalizzazione) ad uno stadio di povertà, disagio e malessere sociale per tanti ed in uno spudorato arricchimento per pochi. Quando l'esasperazione economica sarà portata all'estremo, si tratterà solo di aspettare la conseguente rivoluzione sociale proclamata dai tanti Brontolo e Pisolo e la successiva quanto salutare fucilazione di un altro Ceausescu

Fermiamo gli speculatori sul petrolio



Quali fattori stanno causando la rapida salita del prezzo di petrolio, gasolio e dei prodotti da riscaldamento?
Cosa si dovrebbe fare in questo caso?
Non contate sulla Casa Bianca - con Bush e Cheney immersi nel petrolio - o sul congresso - che ha ascoltato quei potenti petrolieri i quali sanno che nulla sta per accadere a Capitol Hill.
La scorsa settimana il prezzo del greggio raggiunse quasi i $130 al barile dopo aver raggiunto anche i $140.
La causa immediata?
Il petroliere T. Boone Pickens pensa che presto il petrolio potrebbe arrivare a $150 Goldman Sachs dice $200 al barile. Essi si stanno riferendo a quella che può essere chiamata la festa del lancio del prezzo al New York Mercantile Exchange. (NYMEX)
Intanto, i consumatori, i lavoratori e i piccoli imprenditori soffrono per il prezzo della benzina $4 al gallone e del diesel a $4,50. Soffrono ma non protestano come fecero i camionisti indipendenti.
Una rivolta di piccole imprese e dei consumatori sarebbe politicamente forte. Ma cosa otterrebbe una rivolta?
Il governo è paralizzato e non sarà capace di agire se il petrolio arriverà a $200 o $400 al barile.
Washington, D.C. lascia la gente senza difesa e non ha una strategia per quando questo accadrà.
Il petrolio era a $50 al barile a Gennaio 2007, a $75 ad Agosto 2007. Ora a $130 o più al barile, è chiaro che il suo prezzo è un affare speculativo che non deriva da offerta e da domanda fisica. Una merce basilare - il petrolio - è gestita da speculatori che si basano sulla diceria, l'avidità e la paura di predizioni incontrollate.
Col tempo dall'inizio del 2007, la domanda di petrolio USA è calata del 1% e quella mondiale è cresciuta del 1,3 per cento.
Le forniture di greggio sono abbondanti, secondo il Wall Street Journal, "i commercianti del greggio dicono che il loro mercato soffre per l'eccesso di fornitura non per la carenza".
L'Iran, ad esempio, ha in magazzino 25 milioni di barili di greggio acido e pesante e Hossein kazempour Ardebili (amministratore del petrolio iraniano) dice: "non ci sono compratori, il mercato ha più petrolio del necessario".
Mike Wittner, ricercatore capo della Societe Generale di Londra è d'accordo.
"Ci sono vari segnali che dicono in modo chiaro che i mercati sono ben riforniti di greggio".
Nella storia il petrolio ha spesso sofferto a causa del controllo dei monopolisti.
Fin dall'inizio del XIX secolo (il tempo di John D. Rockefeller, e del monopolio della Standard Oil) fino all'emergenza dell'oligopolio delle "Sette Sorelle" fatto da Standard Oil, Shell, BP, Texaco, Mobil, Gulf e Socal, fino alla crescita dell'OPEC che rappresenta i maggiori stati produttori, il prezzo da "mercato libero" del petrolio è stato un miraggio.
Nonostante lo smantellamento della Standard Oil (fatto da una legge governativa di circa 100 anni fa che vendette i cartelli) gli oligopoli d'acquisto si ricostituirono.
Per un intreccio ironico, il prezzo più importante è deciso dall'OPEC (che produce solo il 40% del petrolio mondiale) e dai petrolieri grazie agli speculatori dei mercati delle merci.
Che cosa accade al non regolato di fatto New York Mercantile Exchange (NIMEX) (senza la Commissione sul commercio dei Futures sulle merci -CFTC - crebbero le richieste a cauzione e, sfortunatamente i vostri acquisti personali non tassati) che è oggi il posto dove i titoli petroliferi volano fino al cielo.
L'OPEC e i grandi petrolieri raccolgono i benefici e dicono che la colpa è degli speculatori. Date nuovi significati al "passaggio di responsabilità".
D. Fineman, presidente di Mitchell Supreme Fuel Co. a Orange, New Jersey, riepilogò i fatti: "I mercati dell'energia sono stati controllati per troppo tempo dai fondi hedge e da speculatori, che manipolano in modo artificiale i numeri a proprio beneficio. Il mercato corrente non è basato sui sani principi dell'offerta e della domanda ma è sempre più manovrato dalle compagnie e da speculatori che stanno aumentando i prezzi per la loro avidità".
Harry C. Johnson, ex banchiere che lavorò per molti anni al Big Oil e che diresse una piccola impresa petrolifera in Oklahoma, biasima il CFTC, il Ministero dell'energia, la pubblica amministrazione, e il Congresso, come "incapaci di risolvere un problema che con probabilità costa agli americani 1 miliardo di dollari al giorno".
Egli cita "degli esperti industriali che guadagnano molto dal prezzo alto del greggio, e che hanno detto in modo chiaro che il prezzo del greggio, senza la speculazione, sarebbe tra i $50 e i $60 a barile".
Immaginate, il nostro governo permette che il prezzo della benzina e del gasolio da riscaldamento sia deciso nel casinò di Wall Street detto NYMEX. La gente necessita di una protezione regolatrice dagli speculatori e di una tassa sui profitti eccessivi derivanti dal Big Oil.
Inoltre, un governo sano vedrebbe le attuali crisi del prezzo come un'opportunità per migliorare le ferrovie, la loro dimensione e la loro tecnologia.
Un governo sano taglierebbe i sussidi e le scappatoie fiscali per i profitti del Big Oil e dei carburanti fossili e avvierebbe una missione statale per "solarizzare" l'economia e avere forti risparmi dalla tecnologia di conservazione energetica, dagli edifici adattati, e promuovendo gli standard di efficienza per motoveicoli, apparecchi domestici, macchine industriali e impianti elettrici.
Questi sono i modi permanenti per avere l'indipendenza energetica, ridurre il nostro deficit commerciale, creare buoni lavori che potrebbero essere esportati e proteggere la salute ambientale della gente e della natura.
Queste sono le riforme e i miglioramenti che una lotta del piccolo imprenditore, del lavoratore e del consumatore deciso realizzerebbe nelle prossime settimane.
Che dici America?

di Ralph Nader

Tradotto da F. Allegri

14 settembre 2008

Afghanistan: sette anni dopo la cacciata dei talebani



In Afghanistan, il vertiginoso aumento del livello di scontro registrato negli ultimi mesi sta mettendo a dura prova le forze della coalizione internazionale. Dalla fine dello scorso anno le milizie talebane hanno cambiato strategia e alla guerra aperta hanno preferito il terrorismo usato dalla guerriglia irachena: più snervante, più efficace e meno rischioso. La scelta é dovuta soprattutto alla schiacciante supremazia dimostrata in precedenza dalle Forze della Nato e dai paesi che partecipano alla missione, ai mezzi a disposizione, alla loro potenza di fuoco e alla capacità operativa. Tutti fattori che avrebbero portato le milizie ad evitare il combattimento diretto in favore di una strategia basata su azioni clamorose, sull’uso massiccio di ordigni esplosivi improvvisati (più comunemente conosciuti come IED o Improvised Explosive Device), di bombe piazzate sul ciglio delle strade, di attacchi suicidi e rapide sortite. I successi ottenuti dalla guerriglia stanno determinato la reazione delle truppe della coalizione, che in questo modo si espone al rischio di errori tattici ed operativi; si conta un elevato numero di perdite e una crescente percentuale di “danni collaterali”, leggasi vittime civili che pagano con la vita tragici errori di valutazione. A sette anni dalla cacciata del regime talebano la popolazione afgana inizia a considerare le truppe straniere come una sorta di esercito di occupazione, un esercito da combattere cosi come furono combattuti i sovietici negli anni Ottanta.

Il frenetico aumento delle attività ha portato i talebani a ridosso della capitale; la guerriglia ha amplificato la pressione contro la rete stradale e ha sviluppato una serie di spregiudicati attacchi che stanno preoccupando seriamente i vertici militari della coalizione: l’assalto alla prigione di Kandahar, che ha permesso la fuga di centinaia di prigionieri; il commando suicida che il 14 gennaio scorso ha portato un attacco al cuore internazionale di Kabul colpendo l’interno dell’hotel Serena e uccidendo sette persone, tra cui un reporter norvegese; l'auto-bomba esplosa il 7 luglio contro due veicoli diplomatici che si trovavano vicino al cancello principale dell'ambasciata indiana e che ha ucciso almeno 44 persone e ne ha ferite più di 150. Questi sono solo alcuni degli esempi che documentano l’abilità dei talebani nel condurre lo scontro sul terreno del terrorismo senza comunque rinunciare ad una guerra di tipo convenzionale, come l’attacco del 13 luglio contro la base di Kunar, costato la vita a nove militari statunitensi, o l’azione sferrata il 19 agosto scorso a non più di 30 miglia ad est di Kabul nella quale sono morti 10 soldati francesi.

Negli ultimi mesi i vertici militari statunitensi hanno risposto agli attacchi talebani con un intenso aumento dell’attività aerea; è stata rafforzata la presenza americana nell’Oceano Indiano con il rischieramento della flotta guidata dalla portaerei USS Abraham Lincoln. Per quanto riguarda le operazioni di terra, il Pentagono ha lavorato per raggiungere un maggiore coordinamento con l’intelligence pakistano, obiettivo tragicamente fallito se si pensa all’incursione militare su Jalal Khel, villaggio del Waziristan meridionale bombardato da elicotteri da guerra che hanno causato la morte almeno 15 persone, soprattutto donne e bambini. Senza ottenere risultati positivi Washington si è anche impegnata sul piano diplomatico, cercando di appianare le profonde divergenze che dividono l’Afghanistan dal vicino Pakistan.

Nel 2008 l’attività di guerriglia è cresciuta in modo vertiginoso, soprattutto lungo il confine con il Pakistan; per i talebani le aree tribali ad Amministrazione Federale (Khyber, Kurram, Bajaur, Mohmand, Orakzai, Nord e Sud Waziristan) sono diventate una vera e propria roccaforte, rifugio e base logistica da dove lanciano azioni dimostrative come l’attacco kamikaze compiuto il 21 agosto scorso contro una fabbrica di armi e munizioni di Wah, città strategica che sorge nella provincia di Punjab, attacco nel quale hanno perso la vita 64 civili. Un territorio difficile quello a cavallo tra Pakistan ed Afghanistan, dove i talebani addestrano i volontari destinati alla jihad afgana, ragazzi reclutati nelle madrasse di Karachi, Peshawar, Lahore e Quetta, santuario dei capi del movimento religioso puritano; dove le azioni di contenimento condotte dall’esercito pakistano non producono praticamente alcun effetto e dove le truppe della coalizione sono sempre più invise alla popolazione.

In un articolo pubblicato il 25 Agosto scorso dall’Associated Press, Jason Straziuso parla delle perdite americane in Afghanistan: dall’inizio del conflitto, ottobre 2001, l’esercito USA hanno perso 580 militari; 105 nei primi otto mesi del 2008; 65 nel bimestre maggio-giugno, il peggiore bilancio registrato dal giorno dell’invasione. La fiducia della popolazione afgana nei confronti della coalizione sta diminuendo costantemente; gli errori e i danni collaterali iniziano ad avere il loro peso. Nei primi otto mesi dell’anno le operazioni di terra e l’aviazione americana avrebbero causato la morte di circa 700 civili: il 21 agosto un raid aereo su Herat ha provocato la morte di 90 civili, 60 erano bambini; secondo alcune testimonianze, il giorno seguente, un neonato, quattro bambini, una ragazza e quattro donne, una di loro incinta, sarebbero stati feriti gravemente dalle schegge di alcuni razzi lanciati dall’esercito britannico su una abitazione di Lashkargah.

Nell’Afghanistan meridionale e sud orientale la strategia talebana sta sviluppando una sorta di consenso e la presenza dei gruppi legati ad al-Qaida sta diventando ogni giorno più influente. I guerriglieri iniziano a controllore gran parte della frontiera con il Pakistan e la rete stradale che da Karachi porta verso Kabul ed Islamabad, di vitale importanza ora che la crisi caucasica sta mettendo in discussione l’accordo con la Russia per il transito dei rifornimenti Nato, sta entrando sotto l’influenza talebana. A questo punto, per il Pentagono le prospettive non sono rosee. La presenza delle truppe Usa è determinante per il successo dell’International Security Assistance Force (Isaf) e, a meno che non si decida di lasciare che il paese in mano ai talebani, travolto da una sanguinosa guerra civile, dal punto di vista della coalizione occidentale il ritiro rimane un’opzione impraticabile; di questo ne sono coscienti entrambi i candidati alla presidenza americana. Anche se con diverse finalità, John McCain e Barack Obama non possono fare altro che promuovere l’aumento della presenza militare in Afghanistan, soprattutto ora che un parziale ritiro dall’Iraq sembra diventato possibile.

Restare a Kabul aumentando il contingente non può però che avere della conseguenze, ripercussioni che Washington e i suoi alleati dovranno prima o poi affrontare. Un numero maggiore di militari implicherebbe una proporzionale crescita di errori e quindi un incremento del numero di vittime collaterali; l’aumento delle forze in campo verrebbe percepito in modo negativo dalla popolazione che di conseguenza darebbe maggiore sostegno alla guerriglia. La persistente presenza occidentale verrebbe paragonata all’invasione sovietica del 1979 e questo non farebbe altro che dar vita a nuove forme di resistenza. Il vertiginoso aumento dello scontro potrebbe mettere infine a rischio gli equilibri politici del vicino Pakistan, dove la jihad potrebbe approfittare dell’incertezza causata dal dopo Musharraf e della cronica instabilità delle regioni nord-occidentali per trascinare il paese verso la guerra civile. In conclusione, comunque la si voglia prendere, il conflitto afgano è destinato a durare ancora a lungo, molto più e molti morti in più di quanto avesse previsto il presidente Bush quando diede inizio all’Operazione Enduring Freedom.

di Eugenio Roscini Vital

Brontolo, Pisolo e Ceausescu



Cominciamo a fare un bilancio a consuntivo sulla fine dell'ultima stagione turistica e vediamo se troviamo dei punti di tangenza con il più grande salvataggio finanziario della storia americana sui due colossi Fannie Mae e Freddie Mac. In prima battuta abbiamo i mass media che sembrano non accorgersi di come in Italia ci sia stato un crollo delle presenze turistiche, stiamo parlando di un milione di turisti in meno, corrispondenti a un - 35 % per le giornate feriali ed un - 15 % nei weekend. Dati che fanno decisamente crollare una delle industrie più floride che avevamo un tempo in Italia: quella turistica. L'incoming turistico si è ormai modificato già da qualche anno, trasformandosi in orde di famiglie morte di fame dell'Europa dell'Est (unite a quelle italiane) che passano una settimana nella Riviera Adriatica in alberghi da 20 euro a notte. Prendete Rimini (una volta la capitale del turismo italiano) e guardate come si è trasformata progressivamente in nemmeno dieci anni.

A fronte di una barbarica orda di morti di fame (che acquista la mortadella e la birra al supermercato per consumarle nelle camere di alberghi ormai fatiscenti) si contrappongono copiose schiere di miliardari russi (con le loro accompagnatrici dai facili costumi) che rappresentano l'essenza del capitalismo marcio del nuovo secolo: da Cortina a Capri, da Forte dei Marmi alla Costa Smeralda, da Taormina al Lido di Venezia, sono ormai gli unici che fanno la bella vita, sperperando all'inverosimile capitali e risorse che mai hanno meritatamente quadagnato. Sono loro che stanno sostenendo il mercato immobiliare, soprattutto nelle aree turistiche, comprando alla cieca il nuovo ed il vecchio, senza badare al prezzo. Forse perchè l'esigenza primaria non è l'investimento immobiliare ma il riciclo di denaro di dubbia provenienza. Hanno talmente comprato spingendo i prezzi in alto, al punto da portare i miniappartamenti a Jesolo al modico importo di 500.000 euro. Vorrei conoscere l'investitore italiano (per non chiamarlo il pirla della situazione) che si compra per quell'importo un buco in una località che vive di turismo si e no due mesi all'anno, con il sole ad intermittenza, il mare che assomiglia ad una fogna a cielo aperto ed infine l'allegra compagnia di zanzare di giorno e di notte !

Possiamo suddividere l'imprenditoria turistica in Italia in due grandi classi (anche se qualcuno si salva ancora, ma rappresenta una morente minoranza all'interno di prosperosa maggioranza): la classe dei Brontolo e quella dei Pisolo. La prima si lamenta, brontola appunto, di come ormai il mercato del soggiorno turistico si sia frantumato, ridotto, trasformato quasi svanito, sostituito da un puerile turismo hit and run italiano (stile mordi e fuggi) che a stento trova una sua posizione di nicchia tra le orde dei nuovi morti di fame. La seconda classe, quella dei Pisolo, è più infantile, quasi fanciullesca, infatti mentre pisola, quindi dorme, si sollazza a sognare. E sogna i decenni nel passato in cui il benessere italiano lo si misurava dalle due settimane in pensione completa di tutta la famiglia, in cui non ci si faceva mancare nulla, dai bomboloni alla crema al cono con quattro palline di gelato per i bambini in spiaggia.

Sia Brontolo che Pisolo purtroppo nel pieno della loro vocazione imprenditoriale non hanno fatto i conti con le diaboliche trasformazioni socioeconomiche che lentamente si sono verificate in questi ultimi dieci anni: prima fra tutte la distruzione della capacità di risparmio. Senza risparmio non vi è futuro: da secondo popolo al mondo per propensione al risparmio siamo scivolati, per non dire piombati, miseramente sul fondo della classifica. L'Italiano medio non risparmia, anzi deve andare a prestito per evitare l'apnea finanziaria. Quando il portafoglio si contrae, si inizia a tagliare il superfluo (quindi le vacanze, anche se le vacanze di superfluo hanno veramente poco, rappresentano un momento di appagamento sociale nella vita di ognuno di noi). Comunque grazie al ricorso al debito qualche migliaia di scellerati hanno ugualmente deciso di trascorrere una vacanza, anche se non capisco che tipo di beneficio psicofisico possa avere un momento di svago realizzato con questa architettura finanziaria.

Brontolo e Pisolo non si stanno ancora rendendo conto di quello che sta accadendo nel loro settore ed attorno a loro, più che brontolare sulla attuale situazione congiunturale e sognare le geste di un passato che non rivedranno mai più, oltre non sanno fare. Proprio come tanti altri imprenditori italiani in altri settori dell'economia che hanno prosperato sin tanto che la torta era grande per tutti, vi era risparmio generato ogni mese e la globalizzazione non aveva ancora fatto capolino. Diverso è avere vocazione e spirito imprenditoriale dall'essere un imprenditore. Proprio per questo motivo oggi abbiamo aziende che si sforzano scioccamente a stare in piedi quando non comprendono che sono innanzi ad un mutamento di scenario epocale, e per questo dovrebbero quanto prima abbandonare la nave prima che essa trascini quel poco messo da parte nel fondo dell'abisso.

Quanto è accaduto con il salvataggio di Fannie Mac e Freddie Mae non si discosta molto dalla lettura sin qui proposta: che sia un albergo nell'adriatico o qualsiasi altra attività imprenditoriale il destino è tristemente segnato. Il debito e la sua facilità di accesso ha consentito a molti paesi di continuare a consumare come se nessuno si stesse accorgendo di quanto stava accadendo. Dall'acquisto della prima casa con i mutui ad intervento integrale, alle vacanze a rate, alle carte di credito revolving (la prossima bolla che scoppierà entro un anno), tutto questo ha portato ad una saturazione finanziaria nel lungo termine insostenibile.
Crollo dell'incoming turistico e salvataggio delle due grandi banche americane vengono affrontati dai mass media con lo stesso approccio: l'importante è nascondere e non far trafugare la sostanzialità del problema (ovvero che ci troviamo innanzi ad una depressione economica senza precedenti). Tutti i mass media sono in pole position per magnificare il salvataggio finanziario che permetterà al sistema (o forse dovremmo definirlo il malato moribondo) di continuare a stare in piedi. Nessuno si sofferma a sottolineare come i relativi titoli azionari si siano ormai polverizzati (solo Lunedì 8 Settembre le quotazioni hanno collassato oltre l'80 %) e di come queste mega iniezioni di liquidità si ripercuoteranno sulle spalle e sui portafogli del popolo americano, andando a peggiorare ulteriormente lo scenario socioeconomico della scassata locomotiva statunitense.

Assistiamo ormai da un anno ad interventi straordinari da parte di tutte le banche centrali del pianeta nel penoso tentativo di tappare ogni falla che inizia ad aprirsi, con risultati piuttosto preoccupanti. In realtà non si fa altro che continuare a spostare in avanti il giorno del decesso. Il PIL mondiale è palesemente in recessione, nemmeno sull'euro si crede più visto il recente crollo estivo, a dimostrazione che anche l'Europa presto avrà le sue banche in difficoltà. A tal proposito vi consiglio di detenere sotto forma liquida più denaro possibile (nel senso di banconote cartacee). Due anni fa venni bannato come un catastrofista dalla penna facile proprio dal personale di banca che adesso si ritrova a casa licenziato: vedete voi a chi credere d'ora innanzi. Fatevi questa domanda: chi salverà le banche europee che non possono essere salvate dalla BCE e non possono contare sugli intervento di stato ? Purtroppo l'intero pianeta è un'economia che si basa ancora sul dollaro, per quanto l'euro abbia fatto sentire in questi ultimi due anni la sua voce. Non vi è soluzione indolore al male che ha colpito l'intero sistema economico, la convergenza diabolica di quattro variabili in crisi: risparmio, investimenti immobiliari, energia e materie prime.

Un sistema economico cessa di esistere quando non sono più controllabili i soggetti economici coinvolti e quando il benessere cessa di essere diffuso in maniera capillare. In molti considerano il crollo del muro di Berlino (09/11/1989) come l'evento storico che ha messo fine al comunismo o meglio come l'evento che ha spronato al cambiamento ed alla rivoluzione da un sistema economico che aveva portato e causato povertà e malessere sociale (nonostante promettesse esattamente il contrario). Dal punto di vista puramente economico io sostengo che dovrebbe essere il Natale dello stesso anno con la fucilazione di Nicolae Ceausescu, la data che individua il punto di non ritorno. Il dittatore rumeno venne barbaramente trucidato mediante fucilazione assieme alla moglie Elena in seguito alla sentenza casalinga di un tribunale volante del popolo che lo aveva accusato di aver distrutto l'economia nazionale, aver condotto la popolazione rumena alla povertà ed aver consentito ad alcune corporations di accumulare illegalmente enormi ricchezze.

Io sto aspettando. Sto aspettando quello che presto verrà scritto nei libri di scuola nei prossimi anni: qualcuno pagherà per quello che sta accadendo in quest'epoca. Proprio come Ceausescu per la Romania con il suo regime comunista, anche oggi qualcuno ben individuato sta portando molti paesi drogati dalle false aspettative del suo regime economico (la globalizzazione) ad uno stadio di povertà, disagio e malessere sociale per tanti ed in uno spudorato arricchimento per pochi. Quando l'esasperazione economica sarà portata all'estremo, si tratterà solo di aspettare la conseguente rivoluzione sociale proclamata dai tanti Brontolo e Pisolo e la successiva quanto salutare fucilazione di un altro Ceausescu

Fermiamo gli speculatori sul petrolio



Quali fattori stanno causando la rapida salita del prezzo di petrolio, gasolio e dei prodotti da riscaldamento?
Cosa si dovrebbe fare in questo caso?
Non contate sulla Casa Bianca - con Bush e Cheney immersi nel petrolio - o sul congresso - che ha ascoltato quei potenti petrolieri i quali sanno che nulla sta per accadere a Capitol Hill.
La scorsa settimana il prezzo del greggio raggiunse quasi i $130 al barile dopo aver raggiunto anche i $140.
La causa immediata?
Il petroliere T. Boone Pickens pensa che presto il petrolio potrebbe arrivare a $150 Goldman Sachs dice $200 al barile. Essi si stanno riferendo a quella che può essere chiamata la festa del lancio del prezzo al New York Mercantile Exchange. (NYMEX)
Intanto, i consumatori, i lavoratori e i piccoli imprenditori soffrono per il prezzo della benzina $4 al gallone e del diesel a $4,50. Soffrono ma non protestano come fecero i camionisti indipendenti.
Una rivolta di piccole imprese e dei consumatori sarebbe politicamente forte. Ma cosa otterrebbe una rivolta?
Il governo è paralizzato e non sarà capace di agire se il petrolio arriverà a $200 o $400 al barile.
Washington, D.C. lascia la gente senza difesa e non ha una strategia per quando questo accadrà.
Il petrolio era a $50 al barile a Gennaio 2007, a $75 ad Agosto 2007. Ora a $130 o più al barile, è chiaro che il suo prezzo è un affare speculativo che non deriva da offerta e da domanda fisica. Una merce basilare - il petrolio - è gestita da speculatori che si basano sulla diceria, l'avidità e la paura di predizioni incontrollate.
Col tempo dall'inizio del 2007, la domanda di petrolio USA è calata del 1% e quella mondiale è cresciuta del 1,3 per cento.
Le forniture di greggio sono abbondanti, secondo il Wall Street Journal, "i commercianti del greggio dicono che il loro mercato soffre per l'eccesso di fornitura non per la carenza".
L'Iran, ad esempio, ha in magazzino 25 milioni di barili di greggio acido e pesante e Hossein kazempour Ardebili (amministratore del petrolio iraniano) dice: "non ci sono compratori, il mercato ha più petrolio del necessario".
Mike Wittner, ricercatore capo della Societe Generale di Londra è d'accordo.
"Ci sono vari segnali che dicono in modo chiaro che i mercati sono ben riforniti di greggio".
Nella storia il petrolio ha spesso sofferto a causa del controllo dei monopolisti.
Fin dall'inizio del XIX secolo (il tempo di John D. Rockefeller, e del monopolio della Standard Oil) fino all'emergenza dell'oligopolio delle "Sette Sorelle" fatto da Standard Oil, Shell, BP, Texaco, Mobil, Gulf e Socal, fino alla crescita dell'OPEC che rappresenta i maggiori stati produttori, il prezzo da "mercato libero" del petrolio è stato un miraggio.
Nonostante lo smantellamento della Standard Oil (fatto da una legge governativa di circa 100 anni fa che vendette i cartelli) gli oligopoli d'acquisto si ricostituirono.
Per un intreccio ironico, il prezzo più importante è deciso dall'OPEC (che produce solo il 40% del petrolio mondiale) e dai petrolieri grazie agli speculatori dei mercati delle merci.
Che cosa accade al non regolato di fatto New York Mercantile Exchange (NIMEX) (senza la Commissione sul commercio dei Futures sulle merci -CFTC - crebbero le richieste a cauzione e, sfortunatamente i vostri acquisti personali non tassati) che è oggi il posto dove i titoli petroliferi volano fino al cielo.
L'OPEC e i grandi petrolieri raccolgono i benefici e dicono che la colpa è degli speculatori. Date nuovi significati al "passaggio di responsabilità".
D. Fineman, presidente di Mitchell Supreme Fuel Co. a Orange, New Jersey, riepilogò i fatti: "I mercati dell'energia sono stati controllati per troppo tempo dai fondi hedge e da speculatori, che manipolano in modo artificiale i numeri a proprio beneficio. Il mercato corrente non è basato sui sani principi dell'offerta e della domanda ma è sempre più manovrato dalle compagnie e da speculatori che stanno aumentando i prezzi per la loro avidità".
Harry C. Johnson, ex banchiere che lavorò per molti anni al Big Oil e che diresse una piccola impresa petrolifera in Oklahoma, biasima il CFTC, il Ministero dell'energia, la pubblica amministrazione, e il Congresso, come "incapaci di risolvere un problema che con probabilità costa agli americani 1 miliardo di dollari al giorno".
Egli cita "degli esperti industriali che guadagnano molto dal prezzo alto del greggio, e che hanno detto in modo chiaro che il prezzo del greggio, senza la speculazione, sarebbe tra i $50 e i $60 a barile".
Immaginate, il nostro governo permette che il prezzo della benzina e del gasolio da riscaldamento sia deciso nel casinò di Wall Street detto NYMEX. La gente necessita di una protezione regolatrice dagli speculatori e di una tassa sui profitti eccessivi derivanti dal Big Oil.
Inoltre, un governo sano vedrebbe le attuali crisi del prezzo come un'opportunità per migliorare le ferrovie, la loro dimensione e la loro tecnologia.
Un governo sano taglierebbe i sussidi e le scappatoie fiscali per i profitti del Big Oil e dei carburanti fossili e avvierebbe una missione statale per "solarizzare" l'economia e avere forti risparmi dalla tecnologia di conservazione energetica, dagli edifici adattati, e promuovendo gli standard di efficienza per motoveicoli, apparecchi domestici, macchine industriali e impianti elettrici.
Questi sono i modi permanenti per avere l'indipendenza energetica, ridurre il nostro deficit commerciale, creare buoni lavori che potrebbero essere esportati e proteggere la salute ambientale della gente e della natura.
Queste sono le riforme e i miglioramenti che una lotta del piccolo imprenditore, del lavoratore e del consumatore deciso realizzerebbe nelle prossime settimane.
Che dici America?

di Ralph Nader

Tradotto da F. Allegri