05 febbraio 2010

Berlusconi e la fabbrica del debito



Se non avessi trovato questo debito pubblico...". Quante volte il presidente del Consiglio si è lamentato di non avere spazi di manovra nella finanza pubblica a causa del debito dello Stato? Un macigno da 1.800 miliardi, che genera ogni anno un costo mostruoso di circa 70/80 miliardi di euro. Dovendo pagare questa cifra ogni anno, di soldi per tutte le belle cose che lui vorrebbe fare (riduzione delle tasse, aiuti alle famiglie e chissà quali altri mirabolanti misure) non ce ne sono. Questa è la vulgata di Berlusconi. Ma le cose stanno davvero così?
Non proprio, guardando alle cifre della Banca d’Italia. Se prendiamo in considerazione tutti i periodi in cui lui è stato al governo, dal 1994 fino ad oggi, eliminando quindi tutti i periodi in cui ha governato il centro sinistra, viene fuori qualcosa di sorprendente: fra i tanti esecutivi italiani, sono stati proprio quelli a matrice Berlusconi a creare un considerevole lascito di debito pubblico.

In soldoni: durante i 7 anni e 2 mesi di governi di Berlusconi (fino al 30 novembre 2009, ultima data per la quale si hanno i dati) sono stati accumulati 430 miliardi di debito pubblico, ossia circa 7.500 euro per ciascun cittadino italiano, bambini e nonni compresi, che comporta il pagamento di 250 euro l’anno a persona di interessi (essendo 3,2% il tasso medio attuale pagato dai titoli di stato a tasso fisso).

Guardando il debito causato da Berlusconi dal punto di vista delle famiglie, ogni nucleo di 4 persone dovrà ridare prima o poi allo Stato la bellezza di 30mila euro, e per il momento gli toccherà pagare gli interessi di questo piccolo mutuo, perpetuo fino a quando non si restituiranno, pari a 1.000 euro l’anno, da assolvere ovviamente con maggiori tasse. Tutto questo solo perché Berlusconi ha ritenuto indispensabile prendersi cura del nostro Paese in questi 7 anni, con il consenso, è giusto ricordarlo, di diversi milioni di Italiani.

Il ruolo che ha avuto Berlusconi nell’impoverire gli italiani è ancora più chiaro se si considera il valore nominale dei titoli di stato emessi annualmente, in aggiunta a quelli esistenti l’anno precedente, durante i suoi governi: un quarto di tutto il debito pubblico della Repubblica Italiana. E non si tratta di una crescita proporzionale alla durata: perché gli esecutivi guidati da Berlusconi sono durati finora l’11% del tempo della storia della Repubblica, mentre hanno prodotto il 24% del debito totale.

Certo, questi confronti sono un po’ a spanne, perché non considerano che il vecchio debito "pesa" in realtà molto più di quello nuovo, che è espresso in euro "svalutati" rispetto al passato.
Ma se se si "rivaluta" secondo le tabelle dell’Istat il valore del debito pubblico degli anni passati, quindi lo si trasforma in euro di oggi, il contributo dei governi di Berlusconi al debito pubblico italiano risulta indubbiamente più contenuto (261 miliardi di euro al valore del 2009, pari al 15% del totale), ma resta comunque di gran lunga superiore al debito prodotto dai governi di centrosinistra che si sono succeduti dal 1995 al 2008.

Infatti, a fronte dei 261 miliardi di euro (al valore di oggi) di debito accumulato in 7 anni e 2 mesi da Berlusconi, vi sono solo 80 miliardi di euro di debito accumulato dai governi di Centrosinistra in 8 anni e 5 mesi di esistenza. Se si guarda l’evoluzione del debito pubblico pro capite in termini reali, ossia depurato dall’inflazione (in euro 2009), si ha la conferma che con Berlusconi gli Italiani ci hanno rimesso. Infatti, il debito pubblico pro capite è passato in termini reali dai 25.360 euro del 1994 ai 29.773 del 2009, un aumento quindi di 4.410 euro , di cui ben 3.390 (cioè il 77 per cento del totale) sono attribuibili agli anni di governo Berlusconi, che però hanno coperto meno della metà del tempo trascorso (7 anni su 15).

La situazione poi peggiora di molto se si considera che la quantificazione del debito pro capite include gli stranieri residenti in Italia, ma che non essendo cittadini italiani, non dovrebbero essere tenuti a rispondere del debito. Se quindi si escludono i residenti stranieri dalla popolazione italiana, il debito pro capite aumenta sensibilmente: nel 2009 sarebbe di 31.800 euro, e non di 29.733, ossia 2mila euro in più. Che Berlusconi non si sia preoccupato delle generazioni future, lo dimostrano anche i dati del rapporto debito pubblico/Pil, che vengono considerati dall’Unione europea per verificare il rispetto del Patto di Stabilità.

Quando Berlusconi fece la sua prima comparsa come Presidente del Consiglio, l’Italia aveva un rapporto debito pubblico/Pil del 121,8%, che lui lasciò inalterato in quei pochi mesi, ma che i Governi di centrosinistra (Dini, Prodi I, D’Alema, Amato) ridussero di 13 punti percentuali in 6 anni, portandolo nel 2001 al 108,8%. Negli anni successivi di Governo di Berlusconi, quel rapporto si ridusse di soli 2,3 punti percentuali nell’arco di 5 anni, mentre Prodi, che gli successe nel 2006, in appena un anno lo ridusse di ulteriori 3 punti.

Ma da quando Berlusconi ha ripreso le redini del Governo nel 2008, il rapporto è cresciuto a dismisura, complice anche bisogna riconoscerlo, comunque una crisi economica ben al di fuori dal comune. Nel 2009 il rapporto debito/Pil è risalito al 115%, un valore che ci riporta al 1998. In pratica, i sacrifici previsti da 10 anni di dure leggi finanziarie sono stati vanificati. In conclusione, i dati della Banca d’Italia smentiscono le affermazioni di Berlusconi, ossia che il debito pubblico costituisca l’eredità degli altri governi, e non del suo, e soprattutto che i suoi esecutivi non abbiano mai messo le mani nelle tasche degli italiani.

Lui le sue mani le ha messe in quelle tasche. E le mette ancora: infatti ogni anno, solamente per il debito pubblico di responsabilità dei suoi governi, lo Stato spende 1518 miliardi per interessi. Che lui trova, naturalmente, con le imposte o ulteriore debito. Di certo sono gli italiani che in un modo o nell’altro devono pagare questi interessi. Ecco la quadratura berlusconiana del cerchio: prendere i soldi dalle tasche degli Italiani senza che questi se ne accorgano.

Purtroppo il livello raggiunto dal debito pubblico italiano, 1.800 miliardi di euro, circa 30mila euro per cittadino, ossia 120mila per una famiglia di 4 persone, dovrebbe far suonare seri campanelli d’allarme, se non altro perché circa la metà dei titoli di stato italiani sono in possesso di investitori esteri: 816 miliardi di euro al 30 settembre 2009. Questo vuol dire che ogni anno escono dall’Italia in media circa 35 miliardi di euro come pagamento degli interessi sui titoli, che è un importo multiplo delle ultime leggi finanziarie, e non si sa per quanto tempo ancora lo Stato italiano se lo potrà permettere.

Non solo, ma l’Italia resta esposta al rischio, tutt’altro che teorico, di rimanere senza risorse, se alcuni fondi di investimento esteri decidono di non riacquistare i titoli di stato italiano giunti a scadenza. In una tale evenienza, lo Stato italiano potrebbe avere difficoltà a pagare gli stipendi dei 3,5 milioni di dipendenti pubblici, e le pensioni dei 16,8 milioni di pensionati, dato che le tasse, anche se ritenute alte, non sono sufficienti a pagare tutta la spesa pubblica, come prova il sistematico deficit pubblico.
by Affari e Finanza

04 febbraio 2010

Perché l'economia mondiale non è crollata nel 2009?




L'anno 2009 si è concluso con cifre che lasciano perplessa la maggior parte degli analisti economici. Infatti, il Dow Jones è aumentato del 18,82% nel 2009, lo S&P500 del 23,45% e il Nasdaq Composite del 43,89%. Per quanto riguarda il CAC 40, è stato guadagnato il 22,32% !

Naturalmente, questi dati vengono utilizzati da coloro che sostengono a gran voce che la crisi è passata. Eppure, dobbiamo ricordare che il nostro sistema economico implode e che bisogna quindi analizzare perché l'economia mondiale non è ancora crollata.

Un sistema economico zombi con fleboclisi.

Eravamo in pochi a prevedere un gigantesco crac economico nel 2009 che non si è prodotto perché non potevamo sapere che le "soluzioni" per cercare di impedirlo sarebbero state così ‘surrealiste’. Sono stati immessi migliaia di miliardi nell'economia, fatto che si tradurrà di conseguenza in un’ulteriore rovina per gli stati e soprattutto condurrà inevitabilmente all'inflazione e, tra l’altro, alla distruzione del dollaro e della sterlina. L'inflazione è ancora bassa, perché essa è contenuta dalla deflazione legata alla debolezza del mercato, ma la situazione dovrebbe cambiare nel 2010. Nonostante questa massiccia immissione di liquidità, abbiamo avuto nel 2009 il più grande fallimento della storia con General Motors e una disoccupazione che esplode ovunque nel mondo!

Inoltre, al fine di immettere ingenti somme nell’economia, gli Stati Uniti hanno commesso l'irreparabile errore, monetizzare il loro debito. Infatti, la Fed (banca centrale americana), il 18 marzo 2009, giorno in cui il dollaro è morto, ha deciso di riacquistare i buoni del tesoro (monetizzazione del debito) e il 29 aprile 2009 ha confermato che acquistava 1.700 miliardi di dollari, vale a dire il 12,5% del PIL, di titoli emessi dal privato e di obbligazioni.

Nel 2009, la Fed ha così riacquistato l'80% dei buoni del Tesoro degli Stati Uniti (80% del debito). Ancora più grave, per limitare i danni, gli Stati Uniti hanno messo in atto nuove norme contabili che permettono di far sparire dal bilancio delle banche i prodotti finanziari più problematici (i CDS ad esempio).

Intrallazzi contabili per salvare le banche

Il 2 aprile 2009, in pieno G20, gli Stati Uniti hanno cambiato le loro norme contabili (dietro minaccia) cosa che ha consentito, secondo Robert Willens, un ex direttore di Lehman Brothers Holdings Inc., di migliorare il bilancio delle banche del 20%. L’ Europa ha seguito l’esempio e ha modificato anch’essa le norme contabili. Avevo già fatto il punto di questo problema nel mio articolo "Crisi sistemica - soluzioni (n ° 5: una Costituzione per l'economia)” che potete trovare nel il mio blog a pagina 9.

Falsificazione dei dati e omertà

Per nascondere la realtà di una situazione economica disastrosa, " vengono riviste" le cifre. Gli economisti analizzano quindi dati sfalsati. Questa revisione ha un nome tecnico: rettifica periodica. Quindi si “aggiusta" a più non posso, come ai bei tempi di Stalin in URSS o come in Cina, e si passa così da -5,2% sulle vendite immobiliari negli Stati Uniti a +9,4%. La prova è sul mio blog a pagina 5 : La verità sulle cifre!.

Coloro che non vogliono piegarsi e che tentano di dire la verità, corrono un grosso rischio. Il direttore dell’osservatorio immobiliare del Crédit Foncier, Jean-Michel Cruch, è stato licenziato per aver detto che la crisi non era finita perché aveva calcolato che il ribasso degli affitti di beni immobili (uffici) era del 20% circa, ma ancora più importante, prevedeva tra il 20 e il 40% di diminuzione ulteriore nel 2010, un crac colossale.

Inoltre, i media bloccano sistematicamente le analisi che denunciano la gravità della situazione. E’ vero che di fronte al crescente numero di "dissidenti" (in particolare di personalità di alto livello) la situazione è sempre più complessa. Diventa a esempio difficile mantenere segreta l’analisi di Albert Edwards, responsabile della ricerca economica della Société Générale, che ha lanciato una bomba, spiegando ai clienti della sua banca di prepararsi a un crollo mondiale (global collapse). Fonte: The Telegraph.

La Finanza, un grande casinò globale

Per spingere oltre l'analisi, l'anno 2009 è stato eccezionale sul piano della comprensione del nostro sistema economico. Infatti, il funzionamento reale della borsa che era oscuro anche per la maggior parte degli analisti, si è svelato; un funzionamento che può essere paragonato a quello di un casinò, una truffa planetaria. Bisogna capire bene che la borsa ha una sola utilità sociale, quella di fornire capitali alle imprese. Attualmente sta accadendo il contrario: è l'intera società che è in ostaggio e si spoglia delle proprie ricchezze a beneficio di pochi. Gli Stati-nazioni non sopravviveranno a questo fatto e si ritroveranno anch’essi rovinati.

In primo luogo, dobbiamo sapere che il 40% della creazione di "ricchezza" negli Stati Uniti proviene dalla finanza. Come è potuto succedere? Béchade e François Philippe Leclerc, specialisti finanziari, hanno fatto analisi notevoli che ci permettono di veder chiaro oggi. Philippe Béchade (Chronique Agora) spiega così: "Per coloro che nutrivano ancora qualche dubbio, il comportamento robotico del mercato dimostra in modo eclatante che non vi è più alcun contro-potere reale di fronte alle macchine. I programmi di trading automatizzato regolano con precisione geometrica l'angolo di progressione del canale ascendente. Una volta bloccato l’indice al rialzo implicito (azioni, indici, materie prime) una serie di opportunità infinite viene offerta agli operatori. Possono arbitrare in tempo reale l’insieme delle categorie di derivati: opzioni, warrants, CFD (Contract for difference), contratti su indice”.

François Leclerc (blog di Paul Jorion) spinge l'analisi ancora oltre: "Questo dibattito, che rimbalzerà ovunque, e le informazioni che permette di raccogliere, contribuisce all'acquisizione di una visione d'insieme, sotto tutti gli aspetti, della finanza moderna. Quest’ultima esercita ormai la sua attività in modo molto sofisticato e, di fatto, spesso al di là di ogni possibile controllo delle autorità di regolamentazione, in particolare a causa della sua estrema complessità, della sua velocità, e delle sue interazioni. A meno che siano emanati divieti molto rigidi alla base stessa della sua attività e che sia effettuata una sorveglianza senza acquiescenza né tregua. Un approccio diametralmente opposto a quello che è stato adottato.

Lo ‘high frequency trading’ non è qui che uno dei piccoli pezzi di un grande puzzle, non ancora completamente ricostruito, ma che sta già prendendo forma di capitalismo finanziario, al giorno d’ oggi. Il quadro che emerge è quello di un’attività che pretende di rispettare solamente le proprie leggi, di liberarsi da tutte le tutele, di imporsi a prescindere dalle sue conseguenze devastanti e che, alla fine, a vantaggio solo di una piccolissima minoranza, tenendo sotto il suo controllo e in ostaggio tutti gli altri. Pretendendo di esercitare una forma di asservimento moderno (nel senso proprio di schiavitù), mira a regnare utilizzando tutte le leve di controllo sociale sempre più inebriante, sofisticato e onnipresente. Non senza pervenire a un’incontestabile interiorizzazione della sua posizione dominante, la crisi sociale in ascesa diventa l'opportunità di misurarne l'intensità".

In poche parole, la finanza, con l’aiuto della matematica finanziaria, ha trasformato la borsa in un casinò gigantesco. Peggio ancora, alcuni soggetti sono diventati i padroni.

Si noti che questi algoritmi finanziari estremamente complessi sono detenuti da poche persone. Permettono di sapere tutto in pochi secondi o addirittura in decimi di secondo prima di chiunque altro e quindi di guadagnare ogni volta. Il sistema può collassare, faranno quindi sempre soldi scommettendo al ribasso o al rialzo, prima di tutti, fino a quando il sistema collassa completamente, cosa che accadrà a breve. Alcuni se ne sono resi conto e si rifugiano nell’acquisto dell’oro: tuttavia, questo mercato è anch’esso una grande truffa poiché il mondo della finanza è un ambiente di squali che non esita a scommettere contro i suoi propri clienti, come HSBC custode dei depositi reali del fondo di investimento SPDR Gold Shares (GLD) che prende delle opzioni ribassiste sull’oro mentre essa stessa rivende contratti investiti in questi fondi ai suoi clienti. Grottesco e crudele! Tra l’altro ho realizzato un ampio studio su questo argomento dal titolo "Oro, una nuova truffa globale?" che potete leggere in Nexus Magazine del gennaio-febbraio 2010.

La piccola cerchia dell’alta finanza fa quindi ciò che vuole, senza controlli.

La rifeudalizzazione del mondo

Il mercato dei derivati continua a crescere, ma, ancora una volta, è quasi completamente bloccato da 5 banche (JP Morgan Chase, Goldman Sachs, Bank of America, Citibank, Wells Fargo) per un importo superiore a 200 000 miliardi di dollari (si parla di trilioni), vale a dire quasi 4 volte il PIL mondiale. Potete trovare tutti gli elementi (fonti, grafici) sul mio blog a pagina 7, "Crisi sistemica: mito e realtà. La cosiddetta teoria della domanda e dell'offerta è una frode intellettuale come tutto il nostro sistema economico che si basa su un solo pilastro: la legge del più forte.

J. K. Galbraith, economista canadese e consigliere dei presidenti Roosevelt e Kennedy aveva del resto dichiarato in un'intervista pubblicata su Nouvel Observateur del 4 novembre 2005 che "L'economia di mercato è facilmente descritta come un'antica eredità. In questo caso, si tratta di una truffa."

Inoltre, le 20 persone più ricche del mondo hanno una fortuna personale stimata nel 2009 a 415 miliardi di dollari cioè un po’ meno del PIL della Svizzera (500 miliardi di dollari)! Fonte : Elenco dei miliardari del mondo nel 2009.

L'1%, i più ricchi, rappresentavano il 10% del PIL nel 1979 e il 23% odierno. Il 53% nel 2039?

Albert Einstein, nel maggio del 1949, in un articolo pubblicato nella rivista Monthly Review spiegava, all’epoca: "Il risultato di questi sviluppi è un'oligarchia del capitale privato il cui potere esorbitante non può effettivamente essere accertato neanche da una società il cui sistema politico è democratico."

Ho anche dimostrato che il nostro sistema economico era strutturalmente irrecuperabile a pagina 8 del mio blog (Un sistema economico strutturalmente irrecuperabile I). Il desiderio di libertà, l'anarco-capitalismo, ha portato all’estremo l’ideale di libertà ed è un fallimento, poiché, come afferma Alexandre Minkowski "La libertà non è la libertà di fare qualsiasi cosa, è il rifiuto di fare ciò che è dannoso".

Ci troviamo quindi di fronte ad una situazione senza precedenti, perché abbiamo 2 sistemi economici che ci portano tutti verso la dittatura. Né comunismo né capitalismo hanno infatti ragione, dobbiamo quindi costruire un nuovo modello. Tuttavia, il problema è più profondo.

Tutte le organizzazioni sociali dipendono da una legge matematica fondamentale, la legge di Pareto o meglio, la legge di potenza che dimostra che in qualsiasi sistema organizzato, un piccolo numero si appropria sempre della quasi totalità delle ricchezze a spese altrui. La regola di base della dominazione è qui e le persone che controllano il mondo conoscono perfettamente questa legge fondamentale di cui fanno uso e abuso.

La rete, giorno dopo giorno, svela il funzionamento di questa dominazione la cui chiave è il nostro sistema di acquisizione delle ricchezze da parte di un piccolo gruppo, un funzionamento economico moralmente e matematicamente condannato. In effetti, questo sistema porta a trasformare tutto in modo esponenziale poiché la legge di Pareto (legge di potenza) è di per sé un esponenziale. La legge universale dell’equilibrio e dell’armonia (studiata da tutte le correnti spirituali e dalla scienza) deriva dalla analogia degli opposti, il principio dialogico di Edgar Morin che ha preso in prestito pesantemente da Eliphas Levi e dalla cabala . Di fronte a un’esponenziale di capitale accumulato nelle mani di pochi, ci ritroviamo quindi (il principio di equilibrio), con un’ esponenziale di debiti legati ad un consumo esponenziale, e quindi di distruzione del pianeta, di noi stessi. Questa legge di potenza è il risultato diretto del nostro cervello primitivo poiché alla fine, l'insegnamento dei frattali che si ritrova nel principio "hologrammatico" di Edgar Morin, dimostra che la parte è nel tutto, ma il tutto è nella parte e che tutto è correlato. I nostri sistemi economici non sono quindi che i riflessi di ciò che noi siamo. Voler costruire un sistema più giusto e redistributivo si oppone quindi all'animale che è in noi, perché alla fine, siamo in guerra contro noi stessi. La soluzione di fronte alla distruzione della nostra civiltà non può passare che tramite un cambiamento individuale radicale, una consapevolezza globale. La risposta non sarà allora economica, ma prima di tutto filosofica, spirituale.

"Dobbiamo diventare il cambiamento che ci auguriamo di vedere nel mondo". Mohandas Karamchand Gandhi.
di Gilles Bonafi

03 febbraio 2010

Una cospirazione bancaria segreta emerge da AIG




L’idea di cospirazioni bancarie segrete che controllino il paese e l’economia globale sono un fatto assodato tra i teorici del complotto che accatastano munizioni, bottiglie d’acqua e burro di arachidi. Dopo l’audizione al Congresso di questa settimana sul salvataggio di American International Group, dovrete chiedervi se dopotutto questi personaggi siano veramente dei pazzi.

L’audizione di mercoledì ha descritto un gruppo segreto che ha distribuito miliardi di dollari a banche di favore, operando grazie alla poca sorveglianza da parte dei funzionari pubblici o di quelli designati.



Stiamo parlando della Federal Reserve Bank di New York, il cui ruolo come parte più influente del sistema di Riserva Federale – tralasciando la vicenda del salvataggio di AIG – merita un ulteriore esame del Congresso.

Nel novembre 2008 la Fed di New York si trova nella difficile posizione di dover decidere se acquistare, per circa 30 miliardi di dollari, contratti assicurativi che AIG vendeva su titoli di debito tossici alle banche, tra cui Goldman Sachs Group Inc., Merrill Lynch & Co., Societe Generale e Deutsche Bank AG. Quella decisione, sostengono i critici, è consistita in un salvataggio dalla porta di servizio per le banche, che hanno ricevuto un prezzo pieno per contratti che avrebbero avuto un valore di gran lunga inferiore se fosse stato permesso il fallimento di AIG.

Quella decisione era giunta alcune settimane dopo che la Federal Reserve e il Dipartimento del Tesoro avevano sostenuto AIG sulla scia della dichiarazione di insolvenza di Lehman Brothers di metà settembre.

Salvare il sistema

Il Segretario al Tesoro Timothy Geithner era il responsabile della Fed di New York all’epoca delle manovre di AIG. Nel corso dell’audizione di mercoledì, Geithner ha sostenuto che la banca di New York doveva acquistare i contratti assicurativi, conosciuti anche come credit default swaps, per impedire ad AIG di fallire, cosa che avrebbe minacciato il sistema finanziario.

L’audizione di fronte alla Commissione di Sorveglianza e delle Riforme della Camera si è anche concentrata su quello che molti al Congresso credono sia stato il susseguente tentativo da parte della Fed di New York di insabbiare i dettagli dell’acquisto e chi ne abbia tratto profitto.

Continuando su questa linea di indagine, l’audizione ha rivelato alcuni dei meccanismi interni della Fed di New York e il ruolo enorme che riveste nel sistema bancario. Questo approfondimento ha un particolare valore considerato che la Fed di New York è un istituto semi-governativo che non è soggetto alle ingerenze dei cittadini come le normali richieste di informazioni, a differenza della Federal Reserve.

Questa impenetrabilità risulta molto comoda poiché la banca è lo strumento privilegiato per numerosi programmi di salvataggio della Fed. E’ come se la Fed di New York fosse l’organizzazione per le operazioni segrete per la banca centrale nazionale.

I capi di Geithner

La Fed di New York è una delle 12 banche della Federal Reserve che operano sotto la supervisione del consiglio di amministrazione della Federal Reserve, presieduta da Ben Bernanke. I presidenti delle banche membre sono nominati da consigli direttivi formati da nove membri, nominati a loro volta perlopiù da altre banche.

Come ha detto a Geithner la deputata Marcy Kaptur durante l’audizione: “Molte persone credono che il presidente della Fed di New York lavori per il governo degli Stati Uniti. Ma in realtà voi lavorate per le banche private che vi hanno eletto”.

Ciononostante la Fed di New York ha avuto un ruolo indispensabile nel salvataggio delle banche da parte del governo, spesso ricevendo a sorpresa carta bianca per comportarsi come se dovesse prendere lei stessa le decisioni.

Considerate AIG. Prendiamo le parole di Geithner che un fallimento per sistemare i default swap dell’assicuratore avrebbe portato ad un Armageddon finanziario. Tenuto conto della posta in gioco, potreste pensare che Geithner avesse coordinato le azioni con l’allora Segretario al Tesoro Henry Paulson. Eppure Paulson aveva testimoniato che non era informato sui fatti.

“Non avevo alcun coinvolgimento nel pagamento alle controparti, assolutamente nessun coinvolgimento”.

La smentita di Bernanke

Anche il presidente della Fed Bernanke non era coinvolto. In una risposta scritta alle interpellanze del deputato Darrell Issa, Bernanke ha dichiarato che “non era direttamente coinvolto nei negoziati” con le banche controparti di AIG.

Dovete chiedervi chi allora era veramente responsabile del futuro finanziario del nostro paese se AIG rappresentava una minaccia così seria come sosteneva Geithner.

Le domande sulla responsabilità della Fed di New York sono sorte dopo la nomina di Geithner a Segretario al Tesoro, il 24 novembre 2008, da parte dell’allora presidente eletto Barack Obama. Geithner ha affermato che si era astenuto dalle attività giornaliere della banca, anche se in realtà non aveva mai firmato una lettera formale di incompatibilità.

Questo ha lasciato i problemi relativi alle rivelazioni sull’accordo nelle mani degli avvocati e del personale delle banca, invece che ad un alto dirigente. Quei dipendenti non volevano che i dettagli sull’acquisto degli swaps divenissero pubblici.

Il personale della Fed di New York e gli avvocati esterni della Davis Polk & Wardell avevano curato le comunicazioni di AIG agli investitori ed erano intervenuti con la Securities and Exchange Commission per proteggere i dettagli sulle transazioni d’acquisto, secondo un rapporto redatto da Issa. Che la Fed di New York, un organismo semi-governativo, sia stato in grado di dare ordini alla SEC, un’agenzia del ramo esecutivo, merita un’audizione al Congresso a parte.

In seguito, quando è diventato chiaro che le informazioni sarebbe state divulgate, uno dei componenti del gruppo di legali della Fed di New York, James Bergin, ha inviato una e-mail ai colleghi dicendo: “Sono portato a credere che questo treno partirà presto dalla stazione e dovremo concentrare i nostri sforzi su come spiegare questa storia nel miglior modo possibile. Ci sono state troppe persone coinvolte nelle trattative – troppe controparti, troppi avvocati e consulenti, troppa gente di AIG – per nascondere le informazioni ad un Congresso così deciso”.

Pensate all’enormità di queste affermazioni. Un membro di un organismo di poca responsabilità pubblica e che esiste per servire i banchieri si lamenta dell’impossibilità di tenere all’oscuro il Congresso.

Questo smentisce la cultura della segretezza molto diffusa all’interno della Fed di New York. Il presidente della Commissione Edolphus Towns ha fatto notare nel corso dell’audizione che la banca all’inizio si era rifiutata di divulgare persino i nomi delle altre banche che hanno tratto profitto dalle sue azioni, sostenendo che queste informazioni danneggerebbero in qualche modo AIG.

‘La propensione alla segretezza’

“In effetti, quando le informazioni sono state alla fine pubblicate, sotto pressione del Congresso, non è accaduto nulla”, ha affermato Towns. “Non hanno avuto assolutamente alcun effetto sulle attività o sulla situazione finanziaria di AIG. Ma hanno avuto un effetto sulla credibilità della Federal Reserve e hanno messo in discussione questa sua propensione alla segretezza”.

Ora, non sto dicendo che il Congresso dovrebbe immischiarsi nelle decisioni sui tassi di interesse o gestire nei minini dettagli la regolamentazione bancaria. Né penso che dovremmo tutti metterci in testa un cappello di carta stagnola [1] e iniziare ad inveire contro la Commissione Trilaterale.

Eppure dovrebbere ribollire a tutti quanti il sangue quando le agenzie irresponsabili e non elette scelgono i vincitori del sistema bancario cercando di dribblare il Congresso, proprio mentre i contribuenti sono obbligati a dare a prestito, spendere e garantire all’incirca 8 miliardi di dollari per sostenere il sistema finanziario.
di David Reilly

02 febbraio 2010

I regali elettorali della casta


Se è vero che tre coincidenze fanno una prova, come diceva il grande principe del foro Carnelutti, che cosa succede quando le coincidenze sono decine? La Regione Lazio fa un concorso per assumere 141 impiegati e 25 dirigenti, si presentano in 94 mila e dei 116 già dichiarati vincitori ben 37 sono casualmente collaboratori dei politici: una decina riferibili al centrodestra e i restanti al centrosinistra. In Campania con una mano si tagliano le consulenze e con l’altra si confermano per tre anni 46 dirigenti in scadenza. La Liguria, ha raccontato il Sole 24 ore, bandisce un contratto per regolarizzare i precari regionali. Nelle Marche si approva un piano per stabilizzare i dipendenti a termine, senza escludere gli staff di assessori e consiglieri. Ma si potrebbe continuare, con i generosi stanziamenti anticrisi (1,2 miliardi) della Lombardia, il taglio dell’addizionale Irpef deciso dal Veneto... È in vista delle elezioni che molti amministratori locali danno il meglio di sé.
Le sanatorie, per esempio, sono un classico. E non soltanto quando interessano i precari. Semplicemente memorabile quella approvata dalla Regione Campania nel 2000, che riguardava la bellezza di 25.368 alloggi pubblici occupati abusivamente. Era un venerdì. Il venerdì precedente la domenica delle elezioni regionali. Ma come si può pretendere che la classe dirigente regionale non cada in tentazione prima del voto, se l’esempio del livello istituzionale superiore è quel che è? Basta vedere cosa accade tutte le volte che si comincia a sentire odore di scioglimento delle Camere. Da scuola è il caso dell’abolizione del canone Rai per gli ultrasettantacinquenni non abbienti, previsto nella Finanziaria 2008 con uno stanziamento simbolico di 500 mila euro.
Un mese dopo quella decisione improvvisamente si materializzavano le elezioni. Altrettanto improvvisamente, nel decreto milleproroghe, quei 500 mila euro diventavano 26 milioni, mentre spariva l’ostacolo rappresentato dall’obbligo di un successivo decreto per mettere in moto concretamente lo sgravio. L’obiettivo evidente era quello di rendere immediata l’esenzione, moltiplicare il numero dei beneficiari e incassare più voti. Ma non è andata esattamente così. Dei voti, neanche l’ombra. E due anni dopo, nell’indifferenza generale, i poveri anziani pagano sempre il canone nonostante siano esentati per legge: la Rai dice di aspettare ancora un decreto che nessuno sa di dover fare. Tutto questo a dimostrazione del fatto che talvolta scelte del genere possono essere perfino controproducenti. Anche se per chi le ha fatte non cambia niente.
Il conto tocca all’amministrazione che verrà dopo. Se si vincono le elezioni, bene: altrimenti, poco male. I sei milioni e mezzo di spesa in più che l’attuale Consiglio regionale del Lazio lascia in eredità al prossimo (l’aumento è dell’8,1%, dieci volte l’inflazione del 2009), in qualche modo salteranno fuori. Come anche i denari necessari alle iniziative clientelari di altre Regioni. I cui promotori devono soltanto sperare che un bel giorno i contribuenti elettori non si accorgano che a rimetterci, in fondo, sono sempre soltanto loro. Ecco perché, se ancora c’è tempo, tutti quanti dovrebbero darsi una bella regolata.
di Sergio Rizzo

31 gennaio 2010

Banche, banchieri e sovranità monetaria

Una giornalista parla di questo argomento che pare dimenticato da tutti i media. I lettori hanno risposto in modo massiccio intervenendo sul problema ma , i veri interessi sono chiari?
Dovremo aspettare un altro Beppe Grillo, infatti quello attuale lo ha già dimenticato il problema. Evviva la sovranità virtuale.


Ringrazio tutti coloro (e sono molti) che mi hanno scritto compiacendosi della pubblicazione su di quotidiano politico (Il Giornale) del mio articolo sulla questione della sovranità monetaria. Il silenzio da parte di tutti gli organi d’informazione, su un argomento determinante per l’indipendenza politica ed economica della Nazione come questo, è sempre stato così assoluto che l’apparizione di un solo articolo ha suscitato meraviglia e addirittura entusiasmo da parte dei lettori, sia di quelli che ignoravano del tutto il problema, sia e soprattutto di quelli che si battono da anni in questo campo ma che sanno bene che il silenzio dei giornalisti rappresenta la prova sostanziale dell’impossibilità di uscire dalla prigione.

Ebbene io prego tutti di non scrivere a me ma al Direttore Vittorio Feltri; di inondarlo di lettere, o nella rubrica apposita del sito web del Giornale, o in quella del quotidiano a stampa, oppure nelle rubriche riservate ai Lettori di altri organi di informazione perché, senza l’interesse e l’appoggio forte, esplicito, il più numeroso possibile dei Lettori, lo sforzo che è stato fatto per uscire allo scoperto non servirà a nulla.

Nessuno ci tornerà più sopra o, diciamo meglio, a nessuno sarà più permesso tornarci sopra. Si tratta di una battaglia davvero all’ultimo sangue, alla quale, però, tutti possono partecipare purché non si lasci spazio al silenzio neanche per un giorno. Banche, Banche, Banche: dobbiamo parlare sempre di Banche.

Faccio un esempio: coloro che abitano a Roma, non si sa per quale misteriosa ragione devono pagare la tassa per i rifiuti attraverso le agenzie della Banca Popolare di Sondrio. Viene logico domandarsi: Sondrio? Perché Sondrio? Il giro di denaro dei contribuenti del Comune di Roma è senza dubbio imponente, ma non sappiamo chi siano coloro che ci guadagnano visto che non conosciamo i nomi degli azionisti della Banca Popolare di Sondrio. Perché mai non dovrebbero essere i cittadini di Roma? Insomma si torna al problema principale: perché le Istituzioni - comunali, provinciali, regionali, nazionali - si servono di banche? E nel caso fosse utile servirsi di banche, perché debbono essere “private”? Perché i cittadini non debbono sapere chi ci guadagna e non essere eventualmente essi stessi a guadagnarci? Perché lo Stato non può possedere una sua banca? (Lo ripetiamo nel caso qualcuno ancora non lo sapesse: la Banca d’Italia non è la “Banca d’Italia” in quanto appartiene ad azionisti privati; dovremmo anzi proporci anche il compito di farle cambiare il nome per non indurre in errore i cittadini). Quello che per ora si può cominciare a fare è mettere in pubblico il nome delle banche di cui si servono gli Amministratori dei Comuni nei quali abitano i lettori di questo sito e di altri siti interessati alla questione monetaria. Certamente saranno molti i cittadini che, come si sorprendono gli abitanti di Roma di dover pagare la tassa per i rifiuti alla Banca di Sondrio, si sorprenderanno delle stranissime scelte, o predilezioni bancarie, dei propri amministratori. E’ probabile che ne vedremo delle belle e che, incrociando i dati, riusciremo forse a capire quali interessi possano avere oltre che Roma a Sondrio anche, chissà, Palermo a Trieste.

Marco della Luna, uno degli autori del bellissimo saggio intitolato “Euroschiavi” (Arianna ed.), si occupa con il suo Centro Studi Monetario proprio di questo tipo di accertamento: chi siano gli azionisti delle Banche. Contiamo sul suo aiuto, anche se la questione principale rimane la mancanza di sovranità monetaria dell’Italia. A dire la verità questa mancanza, naturalmente decisa a suo tempo da “maschi”, appare alle donne addirittura assurda, anzi comica, in quanto nessuno al mondo sa meglio delle donne come la loro minorità sociale, la difficoltà insuperabile a diventare “libere”, quali che fossero i loro meriti e i loro sforzi, ha attraversato pietrificata secoli e secoli solo e soltanto per questo motivo: non avevano denaro proprio e non se lo potevano procurare lavorando (per questo le prostitute si vantavano di essere libere a fronte delle donne “per bene”: guadagnavano dei soldi). Si può chiacchierare oggi quanto si vuole esaltando la dichiarazione dei diritti dell’Uomo, l’uguaglianza di tutti gli individui, quale che sia il sesso, la religione, ecc. ecc., ma è stato il lavoro retribuito, o meglio, è stato soltanto poter possedere in proprio del denaro a rendere le donne libere e indipendenti.

Come può, dunque, una Nazione essere “libera” se non è padrona dei soldi con i quali vive? La cosa più grottesca, poi, è la “giustificazione” che viene invocata per tale stato di cose: i politici non saprebbero regolare nel modo giusto il flusso del denaro da immettere nel mercato se fossero liberi di crearlo. Non vogliamo neanche evocare le terribili crisi economiche che si sono succedute nel tempo, provocate con il loro comportamento dagli abilissimi banchieri messi al posto dei politici proprio, a sentir loro, perché questo non accadesse. Rispondere con questa evocazione sarebbe come avallare una tale presa in giro dei cittadini. Nel momento in cui ai politici abbiamo devoluto, in nostra rappresentanza, il potere di fare le leggi, abbiamo devoluto tutto, assolutamente tutto quello che ci riguarda. Ben più che la quantità di denaro necessaria al mercato: il nostro territorio, il rapporto con amici e nemici, guerra, tassazione, diritto, educazione dei nostri figli. La costituzione italiana afferma che la sovranità appartiene al popolo. Quindi anche quella monetaria. Si tratta di studiare un modo per riappropriarsene. Esistono già diverse proposte in proposito. Ritengo che rivolgersi ai magistrati per delle cause singole, come indicato da alcuni studiosi del problema, sia un sistema, per quanto giusto in teoria, troppo lento e poco efficace a livello di consapevolezza collettiva in quanto, anche quando le cause si concludono con una vittoria del cittadino, sussiste pur sempre il silenzio dei mezzi d’informazione che le sprofonda nel nulla. Io mi auguro che si formi un Partito, nel quale convergano, superando piccole differenze di punti di vista, tutti i movimenti già esistenti, un Partito che si presenti all’opinione pubblica con l’unica etichetta della battaglia contro i Banchieri per riappropriarsi della sovranità monetaria. E’ questo l’unico modo, dato che vi sono obbligati per legge, per costringere i giornalisti a parlarne e per poter discutere apertamente di problemi di cui la maggioranza dei cittadini è all’oscuro. So che è difficile rinunciare a ciò che contraddistingue un gruppo dall’altro, ma nessuna battaglia è “per l’Italia” più di questa. E- ne sono sicura- non soltanto per l’Italia. Diversi paesi (in questi giorni si è spesso alluso alla Grecia, che però, piccola e povera com’è, non ha avuto il coraggio di mettersi contro l’UE) non desiderano altro che avere un buon motivo per rinunciare all’euro e allontanarsi anche così a poco a poco da quel Impero in fallimento che è l’Unione Europea.

Il progetto ultimo dei banchieri - una sola moneta in tutto il mondo, un solo governo in tutto il mondo – è con tutta evidenza un progetto privo di realtà. E’ questo che dobbiamo gridare a viso aperto: i grandi Banchieri che ci guidano sono dei folli giocolieri privi di principio di realtà, pronti a gettare al vento vite, valori, affetti di tutto il pianeta così come ne hanno gettato al vento le ricchezze nell’ultima crisi. I loro sogni di potere globale sono vuoti tanto quanto i “salsicciotti” con i quali hanno riempito le Borse di tutto il mondo. Denunciarli è un dovere assoluto, fermarli è un dovere assoluto.
di Ida Magli

30 gennaio 2010

Il colosso "statale" di nome Fiat

La crisi ha reso la Fiat un’impresa assetata di risorse pubbliche, più di quanto non lo fosse in passato. Un’azienda che non riesce a stare sul mercato, senza avvalersi della stampella statale, è un pessimo esempio, oltreché un fattore di destabilizzazione, per tutto il sistema-Paese il quale, tra mille difficoltà e peripezie, tenta strenuamente di reagire e di risollevarsi con le proprie forze, dopo essere stato sobbalzato dal sisma sistemico dell’ultimo anno.

Se l’organismo italiano non riuscirà a liberarsi della patologia assistenzialistica, specialmente in una congiuntura gravissima come quella attuale, perderà di elasticità e si sclerotizzerà definitivamente. Il rischio è quello di precipitare tra i paesi pezzenti del capitalismo all’occidentale, dove la debolezza economica implica la drastica dipendenza politica dagli Stati più saldi.

Semmai, le risorse e le energie, sempre più scarse, dovrebbero essere orientate verso politiche di rilancio generale dell’economia, con sostegno ai settori più innovativi e performativi, quelli cioè che garantiscono uno sviluppo accelerato e l’aggredimento dei mercati esteri.

In Italia abbiamo aziende molto virtuose che hanno dimostrato di saper produrre ricchezza senza sottrarre nulla allo Stato, proprio a quest’ultime la mano pubblica dovrebbe fornire appoggio politico e facilitazioni commerciali. Ci sono poi le PMI che si sgolano, da tempo immemorabile, per ottenere almeno gli sgravi fiscali, ma questi non arrivano perché il governo non sa ancora quanti mezzi finanziari potrà impegnare per garantirsi un certo equilibrio di bilancio, al fine di conciliare esigenze di rilancio dell’economia e stabilità di cassa.

Ma l’esecutivo sembra non tenere conto di questi problemi quando deve trattare con la Fiat e si ostina a dissipare le scarne risorse disponibili in un solo settore, peraltro tecnologicamente maturo ed incapace di generare progresso. La Fiat goded i appannaggi e di privilegi che non merita più dal punto di vista sociale, e men che meno da quello economico.

Questo gigante gargantuesco si mangia un mare di finanziamenti senza restituire niente al tessuto produttivo nazionale. Abbiamo detto in un’altra occasione quali sono pessimi i numeri di Torino (Fiat: cuore americano, portafoglio lussemburghese, sudore italiano) e qui ricordiamo soltanto, a supporto di quanto scritto, che il Lingotto si colloca all’ultimo posto tra i colossi europei per investimenti nella ricerca e nello sviluppo delle nuove tecnologie.

Data questa situazione è una pazzia per lo Stato proseguire nel foraggiamento di una parte privata che non produce innovazione e che sposta all’estero i suoi capitali, i suoi impianti e il grosso dell’occupazione. Quando la Fiat ha bisogno di qualcosa si attacca voracemente alle mammelle di "mamma Italia" , non disdegnando nemmeno l'arma del ricatto. L’ultimo è dell’altro ieri, Torino ha messo in cassa integrazione 30 mila addetti dei suoi stabilimenti italiani per fare pressione sul governo ed ottenere ulteriori incentivi alla rottamazione nel 2010. Altri 2 mld di euro che la Fiat sottrarrà allo Stato e ai contribuenti. Mentre il governo prende la sua decisione, Marchionne e Montezemolo ci costringono pure a sborsare i quattrini necessari alla CIG. Ricordiamo che questa misura sociale è assente in altri paesi dove il Lingotto opera e dove naturalmente non sono stati annunciati tagli di nessun tipo.

Marchionne ha detto più volte, negli ultimi tempi, che la Fiat è una multinazionale. Sarà verosimile... ma lui sembra il solo a non accorgersene

di Gianni Petrosillo

29 gennaio 2010

Bond in dollari? Si, come no



Fantastico. Degno da Banda degli Onesti. Anzi, sicuramente meno. Tremonti sta pensando a emettere Bond a cinque anni. In Dollari. Già sentita la puzza? Allora siete un passo avanti a molti italiani. Sicuramente anni luce rispetto al nostro Ministro.

Per tutti gli altri, piccolo riassunto della situazione.

Quando uno Stato finisce i soldi (per pagare i dipendenti pubblici e un milione di altre cose) allora emette dei Buoni del Tesoro. La cosa funziona, sinteticamente, così. Con periodicità ormai conclamata, lo Stato italiano - visto che non solo ha finito i soldi da un pezzo, ma anzi viaggia costantemente in deficit (per intenderci, non riesce neanche a pagare gli interessi sui debiti: roba che una azienda normale avrebbe portato i libri in Tribunale da un pezzo) - emette delle cambiali, con differente durata. Naturalmente non le chiama cambiali, ma Buoni del Tesoro, Titoli di Stato o cose del genere, così, tanto per farle suonare meglio.

I cittadini (ma anche gli stranieri) che decidono di acquistare questi "pagherò", versano allo Stato un tot (in moneta sonante) mentre lo Stato gli rende un pezzo di carta - appunto: una cambiale - con la quale si impegna, alla scadenza, a ridare indietro il denaro "investito" dal cittadino oltre a un certo interesse. Attualmente, intorno all'1%. Il cittadino, alla fine - naturalmente se nel frattempo lo Stato non è fallito - incassa il denaro versato più l'1% promesso.

Per quelli che pensano che la cosa sia un affare, tutto ok, si direbbe. Malgrado l'alta possibilità di default del nostro Stato (che molti si ostinano ancora a non far entrare nel novero delle possibilità), malgrado il fatto che con l'imminente inflazione galoppante (vista l'attività tipografica di Bce e soprattutto Fed nello stampare banconote e nel mandarle in giro senza controvalore) l'1% potrebbe essere veramente una miseria, oggi Tremonti si lancia in una operazione ulteriore, stile Madoff: decide di emettere Bond in Dollari. A cinque anni.

Proprio così: si acquistano titoli di Stato in Dollari, ovviamente acquistati al prezzo corrente del Dollaro e prestati allo Stato, e tra cinque anni si rivedrà indietro il proprio gruzzoletto oltre all'interesse. Sempre in Dollari e - dopo - essere stati riconvertiti in Euro. Ancora nessun odore?

Andiamo avanti. Siamo alla fine, niente paura.

Poniamo che oggi si decidesse di acquistare 100 Euro di Dollari: al tasso corrente (1,413) ci verrebbero consegnati 141 dollari e qualcosina. E poniamo che il Bond venduto dal nostro Totò sia al tasso del 3%. Alla fine dei cinque anni, lo Stato ci darà indietro 141 dollari più il 3%, ovvero 4,23 dollari in più. Ora, 141 più 4.23, ci troveremo in tasca ben 145.23 Dollari. Con i quali naturalmente possiamo soffiarci il naso, finché non li riconvertiamo in Euro. A questo punto lo Stato penserà per noi a riconvertirli in Euro, ergo andrà ad acquistare Euro pagando 145.23 Dollari, che è quanto ci spetta.

Naturalmente - ecco il punto - li acquisterà, alla scadenza, ovvero tra cinque anni, al tasso di allora. Non al tasso corrente con il quale abbiamo acquistato Dollari oggi. Se il Dollaro, tra cinque anni, varrà molto, avremo fatto un affare, riceveremo indietro molti più euro di quanti ne abbiamo versati oggi. Esempio: un Dollaro (tra cinque anni) con tasso di cambio uguale a oggi, ci farebbe tornare nelle tasche, interesse incluso, quasi 103 euro. E avremmo guadagnato. Effettivamente quanto - ovvero quanto varranno 103 Euro - naturalmente, lo sapremo solo tra cinque anni.

Dunque la prima domanda, già (quasi) risolutiva: quanto varranno 103 euro tra cinque anni?

E ora, "per i più abili e allenati", domandone finale, definitivo: vista la politica monetaria della Fed (stampa di banconote senza copertura aurea reale, e soprattutto senza specificare la quantità di banconote immesse sul mercato), vista la fine che stanno facendo i Titoli di Stato Usa (la Cina, maggior possessore mondiale, se ne sta disfacendo comperando oro, visto che puzza di bruciato - ovvero di default Usa - l'ha già annusata da un pezzo), visto lo stato della crisi in Usa (e le riserve auree che gli Stati Uniti dovranno vendere per continuare a finanziare i vari pantani, tipo Iraq e Afghanistan), ebbene, quanto varrà il Dollaro Usa tra cinque anni? Sarà debole o forte?

Poniamo il caso che - come chiunque dotato di buon senso capisce da sé - il Dollaro Usa tra cinque anni sarà scambiato non a 1,413 come oggi ma a 1,7, o a 2 euro, cosa accadrebbe? Lo Stato andrà ad acquistare tanti più Euro possibili con i nostri 145,23 Dollari accumulati, e con un cambio anche solo a 1,7, ci torneranno in tasca la bellezza di... 85 Euro. Dunque avremo perso il 15% da questo affarone targato Italia.

Fantastico, dicevamo, vero?

Ebbene, Tremonti è il "nostro" Ministro. E fa, ovviamente, il bene dello Stato. A spese di chi? Dei cittadini, naturalmente. Ma non sono i cittadini, lo Stato?
di Valerio Lo Monaco

28 gennaio 2010

Tremonti, i bond e il destino del dollaro

Da anni trattiamo l’argomento “dollaro” e la sua possibile fine, come moneta di riferimento mondiale, ma in Italia, ancora oggi, la maggioranza degli italiani è convinta che gli Stati Uniti siano la superpotenza economica che fu. I media italiani niente o poco hanno lasciato trapelare sulla reale situazione economica degli USA e della sua moneta, il dollaro, attraverso il quale, un tempo, hanno dominato il mondo. Il dollaro è destinato a svalutarsi e diventare carta straccia e gli italiani non si sono accorti di niente.Per un approfondimento sul tema, rimandiamo ai nostri precedenti articoli . Quello che mi preme rilevare in questo scritto è il ruolo della sinistra (si fa per dire) nel nascondere tali tematiche. Ancora oggi, i figliocci del PCI, i D’Alema, i Veltroni, i Fassino, ecc. guardano al mito americano (che fu) e spesso nei loro discorsi che sanno di antico e cadaverico guardano estasiati agli USA e addirittura riprendono pari pari gli slogan dei politici statunitensi di turno, senza neppure tradurli all’italiano, tipo “yes, we can”.I politici della presunta sinistra italiana non hanno capito assolutamente niente della realtà degli Stati Uniti. Il tramonto degli Stati Uniti è già iniziato e sicuramente ignorano anche la possibilità che possano arrivare ad un “default”, al fallimento e persino alla fine della stessa unione. Gli Stati Uniti potrebbero cessare di esistere come stato unitario e questi non si sono accorti di niente.Un partito di sinistra (se fosse di sinistra) dovrebbe trattare temi economici in difesa dei cittadini, per il bene dei cittadini ed in particolare delle classi più povere, contro la destra conservatrice, che storicamente rappresenta gli interessi dell’oligarchia, delle classi dominanti, imprenditoriali e capitalistiche.Non sarebbe compito dei politici di sinistra parlare della possibile truffa che sta architettando il signor Tremonti, ai danni degli ignari cittadini italiani? Invece ne parla principalmente una certa “destra” (2). Dove sono i sinistri politici italiani?Il Signor Tremonti, il superministro dell’Economia, che si ritrova nella disperata situazione di trovare soldi liquidi per mandare avanti la “baracca italiana” ha pensato ad un tranello, una truffa bella e buona ai danni degli ignari cittadini italiani, orfani dell’informazione e della sinistra: emettere buoni del tesoro in dollari, a cinque anni; ovviamente con allettanti tassi di interesse, sicuramente ben superiori al misero 0,5%/1% che ripaga un buono in Euro.Che cosa spera di ricavarne Tremonti?Lui – ma non il popoli italiano, tenuto nella più completa ignoranza in materia, dai media e dai partiti, compresi quelli di sinistra – sa bene che il dollaro rischia una forte svalutazione. Lui – ma non i Veltroni, i D’Alema, i Fassino, ecc. – conosce bene la situazione economica statunitense, con una disoccupazione crescente, una forte riduzione delle entrate fiscali, una bilancia commerciale sempre più negativa, un debito pubblico alle stelle ed un presidente, Barack Obama, spendaccione e guerrafondaio come nessun altro presidente USA. L’attuale presidente USA ha la necessità di grandi quantità di soldi, per finanziare le sue guerre in America Latina, in Asia e in Africa; soldi che appaiono magicamente, stampandoli! E, infatti, il pacifista Obama in un solo anno alla guida degli USA è stato capace di incrementare il debito pubblico USA di 1.611 miliardi di dollari, in sostanza un terzo di tutto l’incremento che ha subito il debito pubblico statunitense durante gli otto anni di gestione del guerrafondaio Bush . Lui, il Signor Tremonti - ma non i nostri sinistri politici – queste cose le conosce bene; anzi, sa che il pacifista Obama incrementando le spese ed estendendo le guerre al Pakistan, all’Iran, allo Yemen, al Corno d’Africa ed in America Latina, dove sono in atto ingenti spostamenti di truppe (circa 20.000 militari nell’occupazione di Haiti; migliaia nelle nuove basi in Colombia e nella Triplce Frontiera in America del Sud, in Honduras e tutto il centro America) avrà una crescente necessità di dollari, che appariranno magicamente facendoli fuoriuscire dal cilindro, ossia stampandoli, cosa che fa aumentare fortemente, da qua a cinque anni, il rischio di svalutazione. E’ sbagliato dire che Tremonti starebbe pensando all'emissione di buoni del tesoro in dollari per finanziare le spese dello stato italiano perché spera che il dollaro possa svalutarsi, da qui a cinque anni, facendo fare un affare all’Italia, o meglio al politico di turno, ossia a lui stesso (che immaginiamo tra cinque anni sarà ancora al comando del ministero che dirige oggi, vista l’inconsistenza della classe politica che dovrebbe sostituirlo). No, l’operazione non si baserebbe sulla speranza di veder svalutato il dollaro, da qui a cinque anni, ma su una certezza: il dollaro si svaluterà sicuramente; è solo questione di tempo e cinque anni sono un periodo sicuramente sufficiente per assistere alla sua svalutazione, e forse anche alla sua fine!Dunque, Tremonti ben sapendo che il dollaro da qui a cinque anni si svaluterà ha pensato bene di orchestrare questa manovra, che ben possiamo definire truffa. Ammettiamo che con tale operazione riesca a raccogliere 1.000 milioni di dollari, da restituire con un interesse ad esempio del 5%, che porta il debito complessivo a 1.050 milioni di dollari. Oggi, al cambio di 1,41 dollari per Euro, si ritroverebbe ad incassare circa 710 milioni di euro. Se il dollaro, in questi cinque anni si dovesse svalutare ad esempio del 50%, passando dagli attuali 1,41 a 2,11, lo stato italiano si ritroverebbe a dover pagare, per i 1.050 milioni di dollari ricevuti cinque anni prima, meno di 500 milioni di Euro. Un bell’affare per lo stato, una vera e propria truffa per i cittadini!Il dollaro è da considerarsi carta straccia e lo sta salvando solamente il fatto che è la moneta di riferimento per le transazioni economiche, soprattutto del petrolio. Di conseguenza tutti gli stati sono costretti ad avere scorte di dollari (le famose riserve internazionali).L'area di utilizzo del dollaro, però, è destinata a ridursi; infatti, in Africa, in America Latina ed in Medio oriente stanno nascendo o si cominciano ad utilizzare monete alternative, regionali. La Cina, al momento il più grande detentore di dollari, si sta liberando delle sue riserve in dollari, acquistando oro o investendoli in altri paesi asiatici, in Africa e in America Latina. Se il principale prodotto del mondo, il petrolio, riuscisse a svincolarsi del dollaro, ossia si potesse commercializzare anche in Euro o altra moneta, allora arriverebbe veramente la fine per il dollaro. Tutti gli stati, che detengono dollari sarebbero costretti a liberarsi per acquistare la nuova moneta necessaria per acquistare il petrolio. Questa enorme quantità di dollari in vendita farebbe crollare il suo valore. Certamente le cose non succederanno da un momento all’altro, ma succederanno. Il dollaro è destinato ad essere sostituito perché il paese emissore è in crisi profonda e non da più le garanzie che offriva una volta.Di seguito, proponiamo una tabella Il Dollaro, pur continuando ad essere largamente la principale moneta di riserva (nel 2008, il 64% delle riserve internazionali era costituita da dollari), mostra lievi ma inequivocabili segni di flessione. Sarà, però nei prossimi anni che si accelererà la caduta.Il ministro Tremonti se sta pensando a buoni del tesoro in dollari, è perché pensa che si svaluterà. E’ dunque una truffa, di cui però i partiti di sinistra, oggi stampella del capitale, si guardano bene dal parlare.Attilio Folliero, Caracas, 27/01/2010>

24 gennaio 2010

Tagliare le poltrone? Era solo un bluff

Solo gli ingenui potevano credere che alla vigilia delle elezioni degli amministratori la maggioranza avrebbe abolito... gli amministratori. In Italia infatti per eliminare un posto bisogna crearne due. È questa la vecchia regola della Democrazia cristiana che ha governato per sessanta anni con i proconsoli, con i cacicchi e con gli ascari ed è questa la regola anche di questo governo.
Questo governo ha appunto annunziato, per il secondo anno consecutivo, il rinvio di un anno – e fanno dunque due - del dimagrimento degli enti locali più obesi del mondo. Il Consiglio dei ministri ha già predisposto il decreto legge che contraddice la legge. Insomma è la strategia di Penelope applicata al contrario: quella voleva imbrogliare i «proci», che sono gli scrocconi e i gozzovigliatori della ricchezza pubblica, la ricchezza di Ulisse; qui invece vogliono imbrogliare Ulisse. Se dunque la legge finanziaria li aveva condannati, oggi il governo li resuscita.
Ma rimangono morti che camminano. Gli enti locali, infatti, sono troppo spesso assembramenti condominiali, distributori di prebende stipendiali e serbatoi di consenso per la famigerata partitocrazia italiana. Ed è significativo che la rivolta contro la riduzione del venti per cento dei consiglieri e del numero degli assessori sia stata trasversale, coinvolgendo anche i Comuni governati dalla sinistra. È ovvio che ciascuno difenda i propri privilegi, i propri amici, i propri stipendi. È il governo centrale che non deve consegnarsi in ostaggio. Anzi è nel rapporto con la periferia che si misura la sua forza. Nel punto più distante lo Stato verifica la sua vicinanza ai cittadini. In periferia si certifica la credibilità del centro.
E tuttavia la pessima figura del governo non ci stupisce e non ci coglie impreparati. È anzi un assaggio del futuro federalista, della prossima grande riforma e dell´alta sfida ai fannulloni nella pubblica amministrazione. È un ulteriore disvelamento della demagogia imbonitoria. L´abbattimento della burocrazia che si autoriproduce, l´abolizione delle Province e appunto la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori negli enti locali erano infatti tre obiettivi caratterizzanti del programma elettorale del Popolo della libertà, tre piccole-grandi riforme di buon senso, gli strumenti più ovvi di qualsiasi progetto di risparmio economico, il nuovo inizio di una stagione più seria e più responsabile anche sul piano morale.
Ma purtroppo il clientelismo è una vecchia piaga preunitaria del nostro Paese: era una specie di ‘spoil system´ dei conquistatori che si annettevano contrade estranee. Vi hanno fatto ricorso anche lo Stato piemontese e gli uomini del Risorgimento. Purtroppo è stato uno strumento dell´Unità d´Italia. Imponendo uomini fidati i nuovi amministratori cercavano di controllare le istituzioni ereditate non solo dal Borbone, ma anche dai Papalini, dagli austroungarici e da tutti gli Stati e staterelli preunitari. Se ne servì poi il fascismo che ingrossò a dismisura la pubblica amministrazione non solo collocando i camerati ma lenendo così la disoccupazione e domando il malumore sociale. Infine la Democrazia cristiana ne fece una scienza fondata sulla sua cultura comunitaria e antistatuale. Ai democrstiani non importavano l´efficienza e il rigore dello Stato laico ma soltanto il consenso e il benessere impiegatizio. Il risultato, noto a tutti gli studiosi, è che in Italia lo Stato non è la più alta e qualificata sintesi della maturità sociale ma è un ente di collocamento. E dunque ogni volta che c´è stata e c´è in progetto una riforma contro l´istituzione obesa i politici italiani finiscono col renderla ancora più panciuta.
Il ministro della Semplificazione, il leghista Calderoli, è uno dei generali del Federalismo, la più strombazzata delle riforme – la rivoluzione leghista – che dovrebbe appunto semplificare e rendere veloce il rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Ebbene, la sua ritirata di oggi, il salvataggio di ben trentamila poltrone e lo sperpero di dodici milioni di euro suonano come profezia del suo Federalismo e del suo destino. È infatti facile prevedere che il Federalismo aggiungerà alle burocrazie e ai ceti politici locali le burocrazie federali, i funzionari e i clienti del Federalismo. Oggi il ministro della Semplificazione si è trasformato nel ministro della Complicazione. (Presto avrà bisogno di un´agile struttura – almeno due sottosegretari – per risemplificarsi).

di Francesco Merlo

23 gennaio 2010

La bancarotta potrebbe giovare agli Stati Uniti




In una storia di Winnie-the-Pooh c’è un momento in cui viene chiesto all’orsetto se preferisca spalmare sulla sua fetta di pane il miele o latte condensato e lui risponde “tutti e due”, una questione non poi così importante per uno dei personaggi più amati dai bambini ma che diventa ben più problematica se una grande nazione inizia a comportarsi in modo altrettanto infantile: infatti, quando è stato chiesto agli americani cosa volessero, se meno tasse, un tenore di vita più alto o il miglior esercito al mondo, la risposta unanime è stata “tutto”.



Come risultato hanno ottenuto un considerevole aumento del debito pubblico e una diminuzione del prodotto interno lordo pari al 12% come normale reazione subito dopo una grande crisi come quella che li ha colpiti nel 2008. Ma quello che dovrebbe preoccupare gli americani è che, con le possibili ricadute sulla parte di azioni che riguarda settori pubblici come la sanità, non esiste un piano credibile per mantenere il deficit sotto controllo nel medio termine.

Gli Stati Uniti hanno formidabili forze economiche che permetteranno al suo governo di impegnare molti soldi e per più tempo rispetto ad altre nazioni, cosa che permetterà loro molto probabilmente di cavarsela ma, continuando a far aumentare il proprio debito pubblico, presto o tardi il paese inizierà a rischiare la bancarotta. Stranamente questo potrebbe essere un bene, cioè che la crisi arrivi subito piuttosto che tra un po’ di tempo perché per un sorprendente numero di paesi l’esaurirsi della moneta si è tradotto in un inizio di rinnovamento.

La liberalizzazione del mercato cinese introdotta da Dengxiaoping nel 1978 è stata causata sia da una crisi fiscale che del mercato delle esportazioni. Ritrovatosi senza soldi il governo cinese ha dovuto abbracciare un principio economico del tutto diverso per poter crescere velocemente ed avere alte entrate. Il resto è storia.

La stessa cosa è successa in India con la riforma economica del 1991. Il governo indiano si era ritrovato ad avere una liquidità che sarebbe bastata per pagare due settimane d’importazioni. Per risolvere la situazione il governo ha dovuto inviare a Londra parte del proprio oro a garanzia di un prestito del Fondo Monetario Internazionale, ma Manmohan Singh, allora ministro delle finanze e ora primo ministro, ha contemporaneamente spronato i suoi colleghi a “trasformare questa crisi un una opportunità per costruire una nuova India” riuscendoci trionfalmente.

Lo stesso vale per l’America latina nel 1982. Quando il Messico, non più in grado di pagare i propri debiti, ha innescato una crisi economica in tutto il continente sudamericano, le conseguenze a lungo termine sono state positive. Come ha sottolineato Michael Reid, storico contemporaneo, “I regimi dittatoriali crollano sotto il loro fallimento economico”. Così la junta argentina cadde nel 1983 e il Brasile ebbe una spinta democratica a partire dal 1985.

Problemi disastrosi con la gestione della finanza hanno anche giocato un grande ruolo nella riforma dell’Unione Sovietica. Quando Michail Gorbaciov sali al potere a Mosca si trovò a dover fronteggiare un debito pubblico quasi raddoppiato negli ultimi tre anni e sono state proprio le pressioni finanziarie a persuaderlo che una riforma economica, la perestroika, era assolutamente necessaria.

Infatti nel 1989 l’intero blocco sovietico lottava sotto il peso di un rapido aumento del debito estero. Per questo motivo la Germania dell’est non sparò ai dimostranti nell’Ottobre del 1989, perché non se lo poteva permettere: da un lato sfiorava la bancarotta e dall’altro stava negoziando disperatamente un prestito dalla Germania dell’ovest.

Questi salutari avvicinamenti alla bancarotta non sono accaduti soltanto nelle nazioni sottosviluppate dell’Asia, in scalcinati regimi dittatoriali dell’America latina o nei fatiscenti regimi comunisti. Gli inglesi tremano ancora oggi al ricordo del governo inglese che “cappello alla mano” si presentò al Fondo Monetario Internazionale nel 1976. Un fatto umiliante ma che è servito a qualcosa: il governo inglese vicino alla bancarotta convinse i cittadini che le cose dovevano cambiare, ponendo le basi per il tatcherismo. La Francia ha avuto un’esperienza simile all’inizio degli anni Ottanta, quando grandi somme di denaro uscirono dal paese e il collasso delle entrate relative a quei capitali hanno obbligato il governo Mitterand ad abbandonare la politica del pugno di ferro.

Probabilmente la frase più memorabile è stata pronunciata qualche tempo fa da un funzionario dell’amministrazione Obama, Rham Emanuel, responsabile dello staff della Casa Bianca, che disse: “ Non possiamo sprecare una crisi come questa”. Emanuel per questa frase è stato accusato di superficialità e cinismo, ma ad un esame della storia globale degli ultimi trent’anni probabilmente ci ha azzeccato. I così discussi paesi emergenti, Brasile, Russia, India e Cina (i cosiddetti Brics) hanno avuto bisogno di una grossa crisi fiscale per intraprendere la via delle riforme economiche e risorgere. Un giorno gli Stati Uniti potrebbero essere abbastanza fortunati da essere in grado di fare tesoro della loro crisi finanziaria. Speriamo che questa speranza non sia vana.

Titolo originale: "Bankruptcy could be good for America"
di Gideon Rachman

22 gennaio 2010

E' in crisi è la relazione tra uomini e donne

In qualche città italiana, cominciando da Milano, il numero delle persone che vivono da sole, i cosiddetti single, ha ormai superato quello di chi vive in coppia, o in famiglia. In Italia, oltre un quarto delle famiglie è costituita da una sola persona. Sarebbe però affrettato spiegarlo solo con la «crisi della famiglia».
Questo fenomeno, che forse si avvia a riprodurre in Italia lo scenario di città come New York, Chicago, Boston, rappresenta tendenze assai diverse tra loro. Nell’aumento dei single compaiono varie tipologie.
Dagli immigrati regolari, che inizialmente si registrano per solito come singoli, alle donne, che vivono più a lungo e si ritrovano spesso sole dopo lunghe convivenze familiari, ad altri e diversi fenomeni.

Il nucleo più forte della singleness è però sicuramente costituito dalle aumentate difficoltà nella relazione tra uomo e donna. È a questa fatica di stare insieme che si deve il crescente numero di coppie che si lasciano: ormai circa una su due nelle zone più ricche del Paese, sempre più spesso per iniziativa della donna. Ed è ancora questa difficoltà a far sì che molti giovani (soprattutto donne), decidono di metter su casa da soli, magari dopo aver tentato una convivenza o un matrimonio non riusciti.
A tutti costoro va poi aggiunto il vero e proprio esercito di giovani che rimangono in famiglia per opportunità economiche o di «servizio» (le cure della mamma, per esempio). Sono i cosiddetti bamboccioni di cui parlano le cronache. Meno responsabili, per solito, dei veri e propri single, essi uniscono spesso alla condizione di sostanziale solitudine una forte dipendenza verso la famiglia, in particolare verso la figura materna. Sono i classici pazienti degli psicoanalisti, noti al grande pubblico dalle caricature spietate che ne fa Woody Allen in molti suoi film.
Deplorati dai ministri dell’Economia, per i quali rappresentano un peso morto, i bamboccioni sono però assai popolari, in Italia, presso alcuni giudici, che spesso condannano i padri a mantenere a vita questi figli, anche se non lavorano né si laureano. Come ha fatto di recente il Tribunale di Bergamo che ha ingiunto a un artigiano trentino di 60 anni di pagare gli alimenti alla figlia di 32 anni, fuoricorso da 8 alla facoltà di Filosofia, avuta dalla prima moglie dalla quale aveva divorziato.
Il papà, che ora provvede a una nuova famiglia, l’ha mantenuta fino a 29 anni, e poi ha smesso perché non si decideva a laurearsi (forse sperando di spingerla a farlo).
Anche questa figlia, per sentenza del Tribunale a carico del padre, fino a quando non accetterà di mantenersi da sola, fa parte del variopinto esercito single. Una massa sempre più importante nel paese, e, come abbiamo visto dai volti assai diversi. Con però qualche tratto comune. Uno, assente in qualche raro caso (come quello delle vedove, o degli immigrati in attesa di congiungersi alla famiglia in arrivo), è un livello più o meno alto di conflitto, o almeno di diffidenza, tra uomini e donne. Questo tratto è presente anche nel caso della figlia trentaduenne che fa condannare il padre: vicende simili sono spesso, anche, una tardiva vendetta a favore della madre.
Osservando bene si vede come la condizione di single si sviluppi nelle smagliature (prima ancora che della famiglia) del rapporto tra uomini e donne, che stentano a intendersi, ad amarsi, a fidarsi l’uno dell’altro.
Oggi Adamo ed Eva si allontanano dal giardino dell’Eden ognuno per conto proprio, non sapendo bene che farsene l’uno dell’altro. Con molte paure, a stento mascherate da un’affettività senza entusiasmi e senza gioia.

di Claudio Risé

21 gennaio 2010

Il sistema è più in bancarotta che mai



Nel primo Angelus domenicale del 2010, recitato il 3 gennaio, Papa Benedetto XVI ha esortato i fedeli a non ascoltare i maghi e gli economisti. Non dobbiamo fare affidamento "su improbabili pronostici e nemmeno sulle previsioni economiche, pur importanti", ha affermato il Pontefice. Il futuro dell'uomo dipende dalla capacità di ciascuno di "collaborare con la grazia di Dio". Egli ha poi integrato queste affermazioni il giorno dell'Epifania, descrivendo i Re Magi come degli "uomini di scienza in un senso ampio, che osservavano il cosmo ritenendolo quasi un grande libro pieno di segni e di messaggi divini per l’uomo".

Benedetto XVI ha perciò condannato la falsa scienza degli economisti accademici, che basano le loro previsioni su modelli matematici riduzionistici, e ha indicato nella scienza dell'universo fisico, le cui radici affondano nella tradizione pitagorica delle Sferiche, il sentiero della vera conoscenza. È quanto Lyndon LaRouche, l'unico economista che abbia previsto la natura della crisi negli ultimi 40 anni, ha definito la scienza della "dinamica".

Nell'anno trascorso, gli economisti (compresi i banchieri centrali e quelli privati), che sono stati incapaci di accorgersi dello sviluppo della crisi, hanno sostenuto che "il peggio è passato", che "è stato salvato il sistema" e che "la ripresa è in arrivo". Niente è più lontano dalla verità. Il sistema non è stato salvato, la ripresa non è in vista e il peggio deve ancora arrivare. Il recente rapporto del Comptroller of the Currency degli Stati Uniti conferma che il sistema finanziario è oggi più in bancarotta di quanto lo fosse allo scoppio della crisi nel 2007. Solo gli sciocchi e gli economisti lo negano.

Secondo il rapporto, nel terzo trimestre 2009 il valore nominale dei contratti derivati delle banche americane ammontava a 204 trilioni di dollari, che è 14 volte il PIL degli Stati Uniti. Nel giugno 2007, ammontavano "solo" a 152 trilioni. Il 97% dei 204 trilioni è posseduto dalle cinque principali banche americane: JP Morgan, Goldman Sachs, Bank of America, Citibank e Wells Fargo.

Per coloro che sostengono che il valore nozionale dei derivati è fittizio, si guardi al livello di esposizione (ciò che tradizionalmente è considerato il rischio): nel terzo trimestre del 2009, era 484 miliardi di dollari, ben più del doppio dell'ammontare del giugno 2007 (199 miliardi). L'esposizione in derivati delle quattro principali banche USA ammonta al 371% del loro capitale.

Le banche europee non navigano in acque migliori. Nel terzo trimestre 2009, il 16% del reddito delle 20 principali banche europee proveniva dal trading, mentre nello stesso periodo del 2008 era solo il 3%. E questo, mentre il credito alle imprese veniva tagliato.

Alla Goldman Sachs, il deus ex machina della politica dei salvataggi americana, il rapporto derivati/attivi era di 40 a 1,6 nel marzo 2009, e di 42 a 1,1 nel settembre dello stesso anno. Queste cifre mostrano chiaramente che il prossimo collasso finanziario è dietro l'angolo. Mentre l'economia fisica si è ridotta di un terzo dal 2007, l'economia del debito è aumentata, grazie ai trilioni di dollari dei salvataggi messi in atto dalla Federal Reserve, dalla Bank of England e dalla BCE.

Quegli stessi banchieri centrali non nascondono il nervosismo. La Banca per i Regolamenti Internazionali ha convocato un conclave di tre giorni a Basilea lo scorso weekend per discutere dei "rischi eccessivi" incorsi dalle banche sui mercati finanziari. In linguaggio che più esplicito non si può per i banchieri centrali, si è constatato che "si stanno ricreando le condizioni che hanno portato allo scoppio della crisi finanziaria". Ma anche se vedono arrivare il treno in corsa, i banchieri centrali non sono in grado di fermarlo, perché incapaci di rinunciare all'attuale sistema della globalizzazione.

by (MoviSol)

19 gennaio 2010

Razzismo in econonomia non esiste


Nel dialetto veneto, soprattutto nell'hinterland vicentino, vi è una locuzione verbale molto diffusa, "gheto capio" che significa "hai capito ?" utilizzata spesso anche come modo per intercalare durante una conversazione con uno o più interlocutori. Scrivo questo redazionale per rispondere alle accuse di leghismo e razzismo che mi sono state rivolte in occasione della pubblicazione di un altro articolo di inchiesta, al cui interno analizzavo la società americana sulla base della sua attuale situazione macroeconomica come conseguenza della sua stessa struttura sociale. Premetto che i complimenti ed apprezzamenti migliori li ho ricevuti proprio da persone che vivono e lavorano negli States da anni, i quali hanno confermato pienamente l'outlook di analisi che ho dipinto per l'America dei 50 Stati. Le accuse più infamanti invece sono arrivate da lettori italiani (molti dei quali non hanno mai visitato il paese in questione) che hanno recepito il mio redazionale come una manifestazione di appoggio politico a questa o quella forza politica.

La caratteristica principale della popolazione italiana è rappresentata dal classismo sociale: questo significa che qualsiasi titpo di affermazione, proposta, contestazione o critica deve essere sempre riconducibile a qualche movimento politico. Della serie, se Benetazzo dice che l'America è fallita a causa della sua composizione etnica allora significa che è leghista o estremista di destra e pertanto questo determina l'ammirazione di quella parte politica o il disprezzo della parte avversaria. Mi rammarico per questo e temo che difficilmente il futuro del nostro paese possa essere roseo visto che non potrà mai vincere il buonsenso, ma solo un determinato colore politico. Quanto ho precedentemente scritto, come tutte le altre mie opere intellettuali, sono frrutto di un analisi economica e non di una appartenenza politica. Vi è di più: il periodo di studio all'interno degli States ha voluto essere di natura prettamente inquisitoria nei confronti della società e dell'apparato economico, e non volto a visitare la Statua della Libertà a NY, Ocean Drive a Miami, il Museo della Coca Cola ad Atlanta, Rodeo Drive a Los Angeles, la Strip a Las Vegas e così via. Nel mio caso questo tipo di attrazioni sono state ignorate (tranne in parte per Las Vegas), in quanto ho voluto conoscere e studiare l'America e gli Americani per come producono, per come consumano e lavorano, come si indebitano e cosi via. La mia permanenza pertanto non è stata caratterizzata dallo svago e dal divertimento, quanto piuttosto dall'analisi, sintesi e riflessione su quanto raccolto.

Ho avuto modo di visitare numerose banche e grandi corporation, intervistare brokers ed executive, incontrare giornalisti e reporter indipendenti: il quadro che ne è uscito (che vi piaccia oppure no) contempla quanto scritto in precedenza. Ad esempio a Miami non mi sono sollazzato in spiaggia sotto il sole o sbronzato di tequila nei locali latinoamericani durante le notti brave, quanto piuttosto ho incontrato numerosi realtor, building developer e mortgage brokers, oltre che visitare i famosi appartamenti in svendita con il 60 % di sconto. Ad Atlanta invece (correndo non pochi rischi) ho visitato il quartiere dei neri a Downtown intervistando numerose persone che avevano appena perduto il posto di lavoro e vivevano con il sussidio federale. Quello che ne è uscito è un quadro con una logica di esame ben comprensiva se vista nel suo insieme. Il primo paese al mondo che ha delocalizzato (prima in Messico, poi in Cina, dopo in India ed ora in Vietnam) sono stati proprio gli Stati Uniti, ed ora stanno pagando il conto di quella scellerata strategia di svendere le loro produzioni all'Oriente e contestualmente anche i posti di lavoro. In parallelo a questo si è verificato uno spropositato overbulding (eccesso di costruzione) grazie al mutuo facile a soggetti underscoring (low and bad credit, solitamente persone di etnia nera, ispanica od orientale). La Fed ha poi aiutato a far peggiorare il tutto con grande incoscienza attravreso una politica monetaria suicida.

L'accusa più ridicola mi è stata mossa da italiani (che non sono mai stati negli USA) i quali contestano i dati da me forniti circa la composizione demografica dell'America sostenendo che secondo l'ultimo censimento la popolazione statunitense è costituita dal 60% di bianchi caucasici, il 15% da afroamericani, il 15 % ispanici, il 5% da orientali ed il restante da una molteplicità di etnie. Presa in senso generalizzato questa è la statistica media della popolazione americana. Tuttavia i 2/3 degli americani vive in aree metropolitane od urbane con più di 100.000 abitanti: l'intera economia statunitense è radicate e sviluppata nelle grandi aree metropolitane. Ma nelle aree metropolitane non abbiamo questa ripartizione: suvvia, non crediate ciecamente a me, ma almeno ai rapporti demografici che descrivono le aree in questione. Solo nelle prime dieci aree metropolitane (ce ne sono 52 in USA) vivono almeno più di 100 milioni di persone.

Metro AreaPopolazioneCaucasiciNeriIspaniciAsiatici
New York19.000.00035252010
Los Angeles12.800.00020104010
Chicago9.500.00030302510
Miami5.400.00015254510
Dallas6.300.00030352010
Seattle3.350.00050201510
Phoenix4.200.0005010255
Houston5.700.0002825355
Detroit4.400.000128155
Atlanta5.300.000385535

La tabella di sintesi conferma pienamente quanto avevo precedentemente espresso. Se invece andate a visitare i paesini rurali in cui vive il restante 1/3 degli americani scoprirete con grande sorpresa che la popolazione è costituita al 98% da bianchi caucasici (ad esempio Springfiled in Nebrasca rappresenta una insignificante nucleo cittadino con appena 1500 abitanti, il 99% dei quali sono bianchi caucasici). Sono i nuclei di insediamento nelle aree rurali che alzano abbondantemente la percentuale dei bianchi per tutta la popolazione, tuttavia queste piccolissime comunità vivono di una economia stanziale caratterizzata da relazioni commerciali quasi rarefatte: difficilmente vi troverete la sede di una grande corporation o il jet market di una famosa catena alimentare.

Inoltre anche i dati in percentuale che io stesso ho preso come riferimento (sull'ultimo censimento datato dieci anni or sono) sono discutibili. Ma in peggio. Infatti non contemplano i flussi di immigrati clandestini che entrano in America soprattutto dal Messico, una stima piuttosto ottimistica parla infatti di almeno 15 milioni di clandestini. Solo nella città di Houston si stimano 500.000 presenze. Sono proprio le grandi città metropolitane infatti che diventano le porte di ingresso preferite per l'immigrazione clandestina e per le migrazioni dei nuclei familiari. Ma il dato più significativo che conferma il profondo cambiamento del tessuto sociale statunitense è riferito ai diversi trand di crescita di ogni etnia, con in testa al momento la popolazione ispanica, la quale rappresenterà il 40 % della popolazione statunitense entro il 2030.

Chi ancora non fosse convinto di questo quadro spero si convinga almeno della voce autorevole di Market Watch, la prestigiosa testata giornalistica online statunitense, la quale ancora nel 2007 in un passato
redazionale analizzava i rischi per l'economia americana legati al credito facile a fasce sociali dal basso rating creditizio. Voglio terminare infine con una considerazione rivolta proprio a tutti coloro i quali in questa ultima settimana non hanno fatto altro che etichettarmi come razzista o leghista: fate attenzione invece, cari lettori, a non essere proprio voi i razzisti. Chi non lo avesse ancora compreso i cosidetti processi di integrazione tanto propagandati in passato come fenomenali processi di crescita culturali per tutti i paesi che li vogliano abbracciare, conditi da buonismo ed accoglienza sfacciata, altro non hanno fatto se non istituzionalizzare lo schiavismo moderno asservito al capitale e sfruttare senza limiti tutte quelle popolazioni che avrebbero dovuto essere oggetto di integrazione, spingendo proprio queste persone ad accettare lavori pericolosi, insalubri o fisicamente usuranti per una paga notevolmente inferiore a quella che sarebbe invece spettata ad un lavoratore autoctono.

E questa strada è stata perpetrata ai danni di altri lavoratori (italiani, tedeschi, francesi, inglesi, americani e cosi via) che hanno visto in pochissimi anni modificarsi verso il basso i loro livelli minimi salariali. L'unico beneficio che ha portato la menzogna dell'integrazione razziale è stato il vile aumento dei profitti delle grandi corporations che hanno beneficiato cosi di manodopera a costo inferiore senza tante seccature sindacali o rispetto per la dignità umana altrui. Chi invece si scalda tanto per consentire ed osannare le fenomali opportunità dell'integrazione, perchè così pensa di poter aiutare queste popolazioni dai mezzi limitati, non fa altro che condannarle ad una nuova era di schiavismo moderno, andando nel contempo a compromettere il tenore reddituale dei lavoratori autoctoni. Fate quindi attenzione, ed iniziate a considerare le opportune conseguenze (i famigerati side effects) di queste politiche di integrazione infelice, in quanto il modello americano è stato esportato in tutto il mondo, Europa compresa. Gheto capio.

di Eugenio Benetazzo

05 febbraio 2010

Berlusconi e la fabbrica del debito



Se non avessi trovato questo debito pubblico...". Quante volte il presidente del Consiglio si è lamentato di non avere spazi di manovra nella finanza pubblica a causa del debito dello Stato? Un macigno da 1.800 miliardi, che genera ogni anno un costo mostruoso di circa 70/80 miliardi di euro. Dovendo pagare questa cifra ogni anno, di soldi per tutte le belle cose che lui vorrebbe fare (riduzione delle tasse, aiuti alle famiglie e chissà quali altri mirabolanti misure) non ce ne sono. Questa è la vulgata di Berlusconi. Ma le cose stanno davvero così?
Non proprio, guardando alle cifre della Banca d’Italia. Se prendiamo in considerazione tutti i periodi in cui lui è stato al governo, dal 1994 fino ad oggi, eliminando quindi tutti i periodi in cui ha governato il centro sinistra, viene fuori qualcosa di sorprendente: fra i tanti esecutivi italiani, sono stati proprio quelli a matrice Berlusconi a creare un considerevole lascito di debito pubblico.

In soldoni: durante i 7 anni e 2 mesi di governi di Berlusconi (fino al 30 novembre 2009, ultima data per la quale si hanno i dati) sono stati accumulati 430 miliardi di debito pubblico, ossia circa 7.500 euro per ciascun cittadino italiano, bambini e nonni compresi, che comporta il pagamento di 250 euro l’anno a persona di interessi (essendo 3,2% il tasso medio attuale pagato dai titoli di stato a tasso fisso).

Guardando il debito causato da Berlusconi dal punto di vista delle famiglie, ogni nucleo di 4 persone dovrà ridare prima o poi allo Stato la bellezza di 30mila euro, e per il momento gli toccherà pagare gli interessi di questo piccolo mutuo, perpetuo fino a quando non si restituiranno, pari a 1.000 euro l’anno, da assolvere ovviamente con maggiori tasse. Tutto questo solo perché Berlusconi ha ritenuto indispensabile prendersi cura del nostro Paese in questi 7 anni, con il consenso, è giusto ricordarlo, di diversi milioni di Italiani.

Il ruolo che ha avuto Berlusconi nell’impoverire gli italiani è ancora più chiaro se si considera il valore nominale dei titoli di stato emessi annualmente, in aggiunta a quelli esistenti l’anno precedente, durante i suoi governi: un quarto di tutto il debito pubblico della Repubblica Italiana. E non si tratta di una crescita proporzionale alla durata: perché gli esecutivi guidati da Berlusconi sono durati finora l’11% del tempo della storia della Repubblica, mentre hanno prodotto il 24% del debito totale.

Certo, questi confronti sono un po’ a spanne, perché non considerano che il vecchio debito "pesa" in realtà molto più di quello nuovo, che è espresso in euro "svalutati" rispetto al passato.
Ma se se si "rivaluta" secondo le tabelle dell’Istat il valore del debito pubblico degli anni passati, quindi lo si trasforma in euro di oggi, il contributo dei governi di Berlusconi al debito pubblico italiano risulta indubbiamente più contenuto (261 miliardi di euro al valore del 2009, pari al 15% del totale), ma resta comunque di gran lunga superiore al debito prodotto dai governi di centrosinistra che si sono succeduti dal 1995 al 2008.

Infatti, a fronte dei 261 miliardi di euro (al valore di oggi) di debito accumulato in 7 anni e 2 mesi da Berlusconi, vi sono solo 80 miliardi di euro di debito accumulato dai governi di Centrosinistra in 8 anni e 5 mesi di esistenza. Se si guarda l’evoluzione del debito pubblico pro capite in termini reali, ossia depurato dall’inflazione (in euro 2009), si ha la conferma che con Berlusconi gli Italiani ci hanno rimesso. Infatti, il debito pubblico pro capite è passato in termini reali dai 25.360 euro del 1994 ai 29.773 del 2009, un aumento quindi di 4.410 euro , di cui ben 3.390 (cioè il 77 per cento del totale) sono attribuibili agli anni di governo Berlusconi, che però hanno coperto meno della metà del tempo trascorso (7 anni su 15).

La situazione poi peggiora di molto se si considera che la quantificazione del debito pro capite include gli stranieri residenti in Italia, ma che non essendo cittadini italiani, non dovrebbero essere tenuti a rispondere del debito. Se quindi si escludono i residenti stranieri dalla popolazione italiana, il debito pro capite aumenta sensibilmente: nel 2009 sarebbe di 31.800 euro, e non di 29.733, ossia 2mila euro in più. Che Berlusconi non si sia preoccupato delle generazioni future, lo dimostrano anche i dati del rapporto debito pubblico/Pil, che vengono considerati dall’Unione europea per verificare il rispetto del Patto di Stabilità.

Quando Berlusconi fece la sua prima comparsa come Presidente del Consiglio, l’Italia aveva un rapporto debito pubblico/Pil del 121,8%, che lui lasciò inalterato in quei pochi mesi, ma che i Governi di centrosinistra (Dini, Prodi I, D’Alema, Amato) ridussero di 13 punti percentuali in 6 anni, portandolo nel 2001 al 108,8%. Negli anni successivi di Governo di Berlusconi, quel rapporto si ridusse di soli 2,3 punti percentuali nell’arco di 5 anni, mentre Prodi, che gli successe nel 2006, in appena un anno lo ridusse di ulteriori 3 punti.

Ma da quando Berlusconi ha ripreso le redini del Governo nel 2008, il rapporto è cresciuto a dismisura, complice anche bisogna riconoscerlo, comunque una crisi economica ben al di fuori dal comune. Nel 2009 il rapporto debito/Pil è risalito al 115%, un valore che ci riporta al 1998. In pratica, i sacrifici previsti da 10 anni di dure leggi finanziarie sono stati vanificati. In conclusione, i dati della Banca d’Italia smentiscono le affermazioni di Berlusconi, ossia che il debito pubblico costituisca l’eredità degli altri governi, e non del suo, e soprattutto che i suoi esecutivi non abbiano mai messo le mani nelle tasche degli italiani.

Lui le sue mani le ha messe in quelle tasche. E le mette ancora: infatti ogni anno, solamente per il debito pubblico di responsabilità dei suoi governi, lo Stato spende 1518 miliardi per interessi. Che lui trova, naturalmente, con le imposte o ulteriore debito. Di certo sono gli italiani che in un modo o nell’altro devono pagare questi interessi. Ecco la quadratura berlusconiana del cerchio: prendere i soldi dalle tasche degli Italiani senza che questi se ne accorgano.

Purtroppo il livello raggiunto dal debito pubblico italiano, 1.800 miliardi di euro, circa 30mila euro per cittadino, ossia 120mila per una famiglia di 4 persone, dovrebbe far suonare seri campanelli d’allarme, se non altro perché circa la metà dei titoli di stato italiani sono in possesso di investitori esteri: 816 miliardi di euro al 30 settembre 2009. Questo vuol dire che ogni anno escono dall’Italia in media circa 35 miliardi di euro come pagamento degli interessi sui titoli, che è un importo multiplo delle ultime leggi finanziarie, e non si sa per quanto tempo ancora lo Stato italiano se lo potrà permettere.

Non solo, ma l’Italia resta esposta al rischio, tutt’altro che teorico, di rimanere senza risorse, se alcuni fondi di investimento esteri decidono di non riacquistare i titoli di stato italiano giunti a scadenza. In una tale evenienza, lo Stato italiano potrebbe avere difficoltà a pagare gli stipendi dei 3,5 milioni di dipendenti pubblici, e le pensioni dei 16,8 milioni di pensionati, dato che le tasse, anche se ritenute alte, non sono sufficienti a pagare tutta la spesa pubblica, come prova il sistematico deficit pubblico.
by Affari e Finanza

04 febbraio 2010

Perché l'economia mondiale non è crollata nel 2009?




L'anno 2009 si è concluso con cifre che lasciano perplessa la maggior parte degli analisti economici. Infatti, il Dow Jones è aumentato del 18,82% nel 2009, lo S&P500 del 23,45% e il Nasdaq Composite del 43,89%. Per quanto riguarda il CAC 40, è stato guadagnato il 22,32% !

Naturalmente, questi dati vengono utilizzati da coloro che sostengono a gran voce che la crisi è passata. Eppure, dobbiamo ricordare che il nostro sistema economico implode e che bisogna quindi analizzare perché l'economia mondiale non è ancora crollata.

Un sistema economico zombi con fleboclisi.

Eravamo in pochi a prevedere un gigantesco crac economico nel 2009 che non si è prodotto perché non potevamo sapere che le "soluzioni" per cercare di impedirlo sarebbero state così ‘surrealiste’. Sono stati immessi migliaia di miliardi nell'economia, fatto che si tradurrà di conseguenza in un’ulteriore rovina per gli stati e soprattutto condurrà inevitabilmente all'inflazione e, tra l’altro, alla distruzione del dollaro e della sterlina. L'inflazione è ancora bassa, perché essa è contenuta dalla deflazione legata alla debolezza del mercato, ma la situazione dovrebbe cambiare nel 2010. Nonostante questa massiccia immissione di liquidità, abbiamo avuto nel 2009 il più grande fallimento della storia con General Motors e una disoccupazione che esplode ovunque nel mondo!

Inoltre, al fine di immettere ingenti somme nell’economia, gli Stati Uniti hanno commesso l'irreparabile errore, monetizzare il loro debito. Infatti, la Fed (banca centrale americana), il 18 marzo 2009, giorno in cui il dollaro è morto, ha deciso di riacquistare i buoni del tesoro (monetizzazione del debito) e il 29 aprile 2009 ha confermato che acquistava 1.700 miliardi di dollari, vale a dire il 12,5% del PIL, di titoli emessi dal privato e di obbligazioni.

Nel 2009, la Fed ha così riacquistato l'80% dei buoni del Tesoro degli Stati Uniti (80% del debito). Ancora più grave, per limitare i danni, gli Stati Uniti hanno messo in atto nuove norme contabili che permettono di far sparire dal bilancio delle banche i prodotti finanziari più problematici (i CDS ad esempio).

Intrallazzi contabili per salvare le banche

Il 2 aprile 2009, in pieno G20, gli Stati Uniti hanno cambiato le loro norme contabili (dietro minaccia) cosa che ha consentito, secondo Robert Willens, un ex direttore di Lehman Brothers Holdings Inc., di migliorare il bilancio delle banche del 20%. L’ Europa ha seguito l’esempio e ha modificato anch’essa le norme contabili. Avevo già fatto il punto di questo problema nel mio articolo "Crisi sistemica - soluzioni (n ° 5: una Costituzione per l'economia)” che potete trovare nel il mio blog a pagina 9.

Falsificazione dei dati e omertà

Per nascondere la realtà di una situazione economica disastrosa, " vengono riviste" le cifre. Gli economisti analizzano quindi dati sfalsati. Questa revisione ha un nome tecnico: rettifica periodica. Quindi si “aggiusta" a più non posso, come ai bei tempi di Stalin in URSS o come in Cina, e si passa così da -5,2% sulle vendite immobiliari negli Stati Uniti a +9,4%. La prova è sul mio blog a pagina 5 : La verità sulle cifre!.

Coloro che non vogliono piegarsi e che tentano di dire la verità, corrono un grosso rischio. Il direttore dell’osservatorio immobiliare del Crédit Foncier, Jean-Michel Cruch, è stato licenziato per aver detto che la crisi non era finita perché aveva calcolato che il ribasso degli affitti di beni immobili (uffici) era del 20% circa, ma ancora più importante, prevedeva tra il 20 e il 40% di diminuzione ulteriore nel 2010, un crac colossale.

Inoltre, i media bloccano sistematicamente le analisi che denunciano la gravità della situazione. E’ vero che di fronte al crescente numero di "dissidenti" (in particolare di personalità di alto livello) la situazione è sempre più complessa. Diventa a esempio difficile mantenere segreta l’analisi di Albert Edwards, responsabile della ricerca economica della Société Générale, che ha lanciato una bomba, spiegando ai clienti della sua banca di prepararsi a un crollo mondiale (global collapse). Fonte: The Telegraph.

La Finanza, un grande casinò globale

Per spingere oltre l'analisi, l'anno 2009 è stato eccezionale sul piano della comprensione del nostro sistema economico. Infatti, il funzionamento reale della borsa che era oscuro anche per la maggior parte degli analisti, si è svelato; un funzionamento che può essere paragonato a quello di un casinò, una truffa planetaria. Bisogna capire bene che la borsa ha una sola utilità sociale, quella di fornire capitali alle imprese. Attualmente sta accadendo il contrario: è l'intera società che è in ostaggio e si spoglia delle proprie ricchezze a beneficio di pochi. Gli Stati-nazioni non sopravviveranno a questo fatto e si ritroveranno anch’essi rovinati.

In primo luogo, dobbiamo sapere che il 40% della creazione di "ricchezza" negli Stati Uniti proviene dalla finanza. Come è potuto succedere? Béchade e François Philippe Leclerc, specialisti finanziari, hanno fatto analisi notevoli che ci permettono di veder chiaro oggi. Philippe Béchade (Chronique Agora) spiega così: "Per coloro che nutrivano ancora qualche dubbio, il comportamento robotico del mercato dimostra in modo eclatante che non vi è più alcun contro-potere reale di fronte alle macchine. I programmi di trading automatizzato regolano con precisione geometrica l'angolo di progressione del canale ascendente. Una volta bloccato l’indice al rialzo implicito (azioni, indici, materie prime) una serie di opportunità infinite viene offerta agli operatori. Possono arbitrare in tempo reale l’insieme delle categorie di derivati: opzioni, warrants, CFD (Contract for difference), contratti su indice”.

François Leclerc (blog di Paul Jorion) spinge l'analisi ancora oltre: "Questo dibattito, che rimbalzerà ovunque, e le informazioni che permette di raccogliere, contribuisce all'acquisizione di una visione d'insieme, sotto tutti gli aspetti, della finanza moderna. Quest’ultima esercita ormai la sua attività in modo molto sofisticato e, di fatto, spesso al di là di ogni possibile controllo delle autorità di regolamentazione, in particolare a causa della sua estrema complessità, della sua velocità, e delle sue interazioni. A meno che siano emanati divieti molto rigidi alla base stessa della sua attività e che sia effettuata una sorveglianza senza acquiescenza né tregua. Un approccio diametralmente opposto a quello che è stato adottato.

Lo ‘high frequency trading’ non è qui che uno dei piccoli pezzi di un grande puzzle, non ancora completamente ricostruito, ma che sta già prendendo forma di capitalismo finanziario, al giorno d’ oggi. Il quadro che emerge è quello di un’attività che pretende di rispettare solamente le proprie leggi, di liberarsi da tutte le tutele, di imporsi a prescindere dalle sue conseguenze devastanti e che, alla fine, a vantaggio solo di una piccolissima minoranza, tenendo sotto il suo controllo e in ostaggio tutti gli altri. Pretendendo di esercitare una forma di asservimento moderno (nel senso proprio di schiavitù), mira a regnare utilizzando tutte le leve di controllo sociale sempre più inebriante, sofisticato e onnipresente. Non senza pervenire a un’incontestabile interiorizzazione della sua posizione dominante, la crisi sociale in ascesa diventa l'opportunità di misurarne l'intensità".

In poche parole, la finanza, con l’aiuto della matematica finanziaria, ha trasformato la borsa in un casinò gigantesco. Peggio ancora, alcuni soggetti sono diventati i padroni.

Si noti che questi algoritmi finanziari estremamente complessi sono detenuti da poche persone. Permettono di sapere tutto in pochi secondi o addirittura in decimi di secondo prima di chiunque altro e quindi di guadagnare ogni volta. Il sistema può collassare, faranno quindi sempre soldi scommettendo al ribasso o al rialzo, prima di tutti, fino a quando il sistema collassa completamente, cosa che accadrà a breve. Alcuni se ne sono resi conto e si rifugiano nell’acquisto dell’oro: tuttavia, questo mercato è anch’esso una grande truffa poiché il mondo della finanza è un ambiente di squali che non esita a scommettere contro i suoi propri clienti, come HSBC custode dei depositi reali del fondo di investimento SPDR Gold Shares (GLD) che prende delle opzioni ribassiste sull’oro mentre essa stessa rivende contratti investiti in questi fondi ai suoi clienti. Grottesco e crudele! Tra l’altro ho realizzato un ampio studio su questo argomento dal titolo "Oro, una nuova truffa globale?" che potete leggere in Nexus Magazine del gennaio-febbraio 2010.

La piccola cerchia dell’alta finanza fa quindi ciò che vuole, senza controlli.

La rifeudalizzazione del mondo

Il mercato dei derivati continua a crescere, ma, ancora una volta, è quasi completamente bloccato da 5 banche (JP Morgan Chase, Goldman Sachs, Bank of America, Citibank, Wells Fargo) per un importo superiore a 200 000 miliardi di dollari (si parla di trilioni), vale a dire quasi 4 volte il PIL mondiale. Potete trovare tutti gli elementi (fonti, grafici) sul mio blog a pagina 7, "Crisi sistemica: mito e realtà. La cosiddetta teoria della domanda e dell'offerta è una frode intellettuale come tutto il nostro sistema economico che si basa su un solo pilastro: la legge del più forte.

J. K. Galbraith, economista canadese e consigliere dei presidenti Roosevelt e Kennedy aveva del resto dichiarato in un'intervista pubblicata su Nouvel Observateur del 4 novembre 2005 che "L'economia di mercato è facilmente descritta come un'antica eredità. In questo caso, si tratta di una truffa."

Inoltre, le 20 persone più ricche del mondo hanno una fortuna personale stimata nel 2009 a 415 miliardi di dollari cioè un po’ meno del PIL della Svizzera (500 miliardi di dollari)! Fonte : Elenco dei miliardari del mondo nel 2009.

L'1%, i più ricchi, rappresentavano il 10% del PIL nel 1979 e il 23% odierno. Il 53% nel 2039?

Albert Einstein, nel maggio del 1949, in un articolo pubblicato nella rivista Monthly Review spiegava, all’epoca: "Il risultato di questi sviluppi è un'oligarchia del capitale privato il cui potere esorbitante non può effettivamente essere accertato neanche da una società il cui sistema politico è democratico."

Ho anche dimostrato che il nostro sistema economico era strutturalmente irrecuperabile a pagina 8 del mio blog (Un sistema economico strutturalmente irrecuperabile I). Il desiderio di libertà, l'anarco-capitalismo, ha portato all’estremo l’ideale di libertà ed è un fallimento, poiché, come afferma Alexandre Minkowski "La libertà non è la libertà di fare qualsiasi cosa, è il rifiuto di fare ciò che è dannoso".

Ci troviamo quindi di fronte ad una situazione senza precedenti, perché abbiamo 2 sistemi economici che ci portano tutti verso la dittatura. Né comunismo né capitalismo hanno infatti ragione, dobbiamo quindi costruire un nuovo modello. Tuttavia, il problema è più profondo.

Tutte le organizzazioni sociali dipendono da una legge matematica fondamentale, la legge di Pareto o meglio, la legge di potenza che dimostra che in qualsiasi sistema organizzato, un piccolo numero si appropria sempre della quasi totalità delle ricchezze a spese altrui. La regola di base della dominazione è qui e le persone che controllano il mondo conoscono perfettamente questa legge fondamentale di cui fanno uso e abuso.

La rete, giorno dopo giorno, svela il funzionamento di questa dominazione la cui chiave è il nostro sistema di acquisizione delle ricchezze da parte di un piccolo gruppo, un funzionamento economico moralmente e matematicamente condannato. In effetti, questo sistema porta a trasformare tutto in modo esponenziale poiché la legge di Pareto (legge di potenza) è di per sé un esponenziale. La legge universale dell’equilibrio e dell’armonia (studiata da tutte le correnti spirituali e dalla scienza) deriva dalla analogia degli opposti, il principio dialogico di Edgar Morin che ha preso in prestito pesantemente da Eliphas Levi e dalla cabala . Di fronte a un’esponenziale di capitale accumulato nelle mani di pochi, ci ritroviamo quindi (il principio di equilibrio), con un’ esponenziale di debiti legati ad un consumo esponenziale, e quindi di distruzione del pianeta, di noi stessi. Questa legge di potenza è il risultato diretto del nostro cervello primitivo poiché alla fine, l'insegnamento dei frattali che si ritrova nel principio "hologrammatico" di Edgar Morin, dimostra che la parte è nel tutto, ma il tutto è nella parte e che tutto è correlato. I nostri sistemi economici non sono quindi che i riflessi di ciò che noi siamo. Voler costruire un sistema più giusto e redistributivo si oppone quindi all'animale che è in noi, perché alla fine, siamo in guerra contro noi stessi. La soluzione di fronte alla distruzione della nostra civiltà non può passare che tramite un cambiamento individuale radicale, una consapevolezza globale. La risposta non sarà allora economica, ma prima di tutto filosofica, spirituale.

"Dobbiamo diventare il cambiamento che ci auguriamo di vedere nel mondo". Mohandas Karamchand Gandhi.
di Gilles Bonafi

03 febbraio 2010

Una cospirazione bancaria segreta emerge da AIG




L’idea di cospirazioni bancarie segrete che controllino il paese e l’economia globale sono un fatto assodato tra i teorici del complotto che accatastano munizioni, bottiglie d’acqua e burro di arachidi. Dopo l’audizione al Congresso di questa settimana sul salvataggio di American International Group, dovrete chiedervi se dopotutto questi personaggi siano veramente dei pazzi.

L’audizione di mercoledì ha descritto un gruppo segreto che ha distribuito miliardi di dollari a banche di favore, operando grazie alla poca sorveglianza da parte dei funzionari pubblici o di quelli designati.



Stiamo parlando della Federal Reserve Bank di New York, il cui ruolo come parte più influente del sistema di Riserva Federale – tralasciando la vicenda del salvataggio di AIG – merita un ulteriore esame del Congresso.

Nel novembre 2008 la Fed di New York si trova nella difficile posizione di dover decidere se acquistare, per circa 30 miliardi di dollari, contratti assicurativi che AIG vendeva su titoli di debito tossici alle banche, tra cui Goldman Sachs Group Inc., Merrill Lynch & Co., Societe Generale e Deutsche Bank AG. Quella decisione, sostengono i critici, è consistita in un salvataggio dalla porta di servizio per le banche, che hanno ricevuto un prezzo pieno per contratti che avrebbero avuto un valore di gran lunga inferiore se fosse stato permesso il fallimento di AIG.

Quella decisione era giunta alcune settimane dopo che la Federal Reserve e il Dipartimento del Tesoro avevano sostenuto AIG sulla scia della dichiarazione di insolvenza di Lehman Brothers di metà settembre.

Salvare il sistema

Il Segretario al Tesoro Timothy Geithner era il responsabile della Fed di New York all’epoca delle manovre di AIG. Nel corso dell’audizione di mercoledì, Geithner ha sostenuto che la banca di New York doveva acquistare i contratti assicurativi, conosciuti anche come credit default swaps, per impedire ad AIG di fallire, cosa che avrebbe minacciato il sistema finanziario.

L’audizione di fronte alla Commissione di Sorveglianza e delle Riforme della Camera si è anche concentrata su quello che molti al Congresso credono sia stato il susseguente tentativo da parte della Fed di New York di insabbiare i dettagli dell’acquisto e chi ne abbia tratto profitto.

Continuando su questa linea di indagine, l’audizione ha rivelato alcuni dei meccanismi interni della Fed di New York e il ruolo enorme che riveste nel sistema bancario. Questo approfondimento ha un particolare valore considerato che la Fed di New York è un istituto semi-governativo che non è soggetto alle ingerenze dei cittadini come le normali richieste di informazioni, a differenza della Federal Reserve.

Questa impenetrabilità risulta molto comoda poiché la banca è lo strumento privilegiato per numerosi programmi di salvataggio della Fed. E’ come se la Fed di New York fosse l’organizzazione per le operazioni segrete per la banca centrale nazionale.

I capi di Geithner

La Fed di New York è una delle 12 banche della Federal Reserve che operano sotto la supervisione del consiglio di amministrazione della Federal Reserve, presieduta da Ben Bernanke. I presidenti delle banche membre sono nominati da consigli direttivi formati da nove membri, nominati a loro volta perlopiù da altre banche.

Come ha detto a Geithner la deputata Marcy Kaptur durante l’audizione: “Molte persone credono che il presidente della Fed di New York lavori per il governo degli Stati Uniti. Ma in realtà voi lavorate per le banche private che vi hanno eletto”.

Ciononostante la Fed di New York ha avuto un ruolo indispensabile nel salvataggio delle banche da parte del governo, spesso ricevendo a sorpresa carta bianca per comportarsi come se dovesse prendere lei stessa le decisioni.

Considerate AIG. Prendiamo le parole di Geithner che un fallimento per sistemare i default swap dell’assicuratore avrebbe portato ad un Armageddon finanziario. Tenuto conto della posta in gioco, potreste pensare che Geithner avesse coordinato le azioni con l’allora Segretario al Tesoro Henry Paulson. Eppure Paulson aveva testimoniato che non era informato sui fatti.

“Non avevo alcun coinvolgimento nel pagamento alle controparti, assolutamente nessun coinvolgimento”.

La smentita di Bernanke

Anche il presidente della Fed Bernanke non era coinvolto. In una risposta scritta alle interpellanze del deputato Darrell Issa, Bernanke ha dichiarato che “non era direttamente coinvolto nei negoziati” con le banche controparti di AIG.

Dovete chiedervi chi allora era veramente responsabile del futuro finanziario del nostro paese se AIG rappresentava una minaccia così seria come sosteneva Geithner.

Le domande sulla responsabilità della Fed di New York sono sorte dopo la nomina di Geithner a Segretario al Tesoro, il 24 novembre 2008, da parte dell’allora presidente eletto Barack Obama. Geithner ha affermato che si era astenuto dalle attività giornaliere della banca, anche se in realtà non aveva mai firmato una lettera formale di incompatibilità.

Questo ha lasciato i problemi relativi alle rivelazioni sull’accordo nelle mani degli avvocati e del personale delle banca, invece che ad un alto dirigente. Quei dipendenti non volevano che i dettagli sull’acquisto degli swaps divenissero pubblici.

Il personale della Fed di New York e gli avvocati esterni della Davis Polk & Wardell avevano curato le comunicazioni di AIG agli investitori ed erano intervenuti con la Securities and Exchange Commission per proteggere i dettagli sulle transazioni d’acquisto, secondo un rapporto redatto da Issa. Che la Fed di New York, un organismo semi-governativo, sia stato in grado di dare ordini alla SEC, un’agenzia del ramo esecutivo, merita un’audizione al Congresso a parte.

In seguito, quando è diventato chiaro che le informazioni sarebbe state divulgate, uno dei componenti del gruppo di legali della Fed di New York, James Bergin, ha inviato una e-mail ai colleghi dicendo: “Sono portato a credere che questo treno partirà presto dalla stazione e dovremo concentrare i nostri sforzi su come spiegare questa storia nel miglior modo possibile. Ci sono state troppe persone coinvolte nelle trattative – troppe controparti, troppi avvocati e consulenti, troppa gente di AIG – per nascondere le informazioni ad un Congresso così deciso”.

Pensate all’enormità di queste affermazioni. Un membro di un organismo di poca responsabilità pubblica e che esiste per servire i banchieri si lamenta dell’impossibilità di tenere all’oscuro il Congresso.

Questo smentisce la cultura della segretezza molto diffusa all’interno della Fed di New York. Il presidente della Commissione Edolphus Towns ha fatto notare nel corso dell’audizione che la banca all’inizio si era rifiutata di divulgare persino i nomi delle altre banche che hanno tratto profitto dalle sue azioni, sostenendo che queste informazioni danneggerebbero in qualche modo AIG.

‘La propensione alla segretezza’

“In effetti, quando le informazioni sono state alla fine pubblicate, sotto pressione del Congresso, non è accaduto nulla”, ha affermato Towns. “Non hanno avuto assolutamente alcun effetto sulle attività o sulla situazione finanziaria di AIG. Ma hanno avuto un effetto sulla credibilità della Federal Reserve e hanno messo in discussione questa sua propensione alla segretezza”.

Ora, non sto dicendo che il Congresso dovrebbe immischiarsi nelle decisioni sui tassi di interesse o gestire nei minini dettagli la regolamentazione bancaria. Né penso che dovremmo tutti metterci in testa un cappello di carta stagnola [1] e iniziare ad inveire contro la Commissione Trilaterale.

Eppure dovrebbere ribollire a tutti quanti il sangue quando le agenzie irresponsabili e non elette scelgono i vincitori del sistema bancario cercando di dribblare il Congresso, proprio mentre i contribuenti sono obbligati a dare a prestito, spendere e garantire all’incirca 8 miliardi di dollari per sostenere il sistema finanziario.
di David Reilly

02 febbraio 2010

I regali elettorali della casta


Se è vero che tre coincidenze fanno una prova, come diceva il grande principe del foro Carnelutti, che cosa succede quando le coincidenze sono decine? La Regione Lazio fa un concorso per assumere 141 impiegati e 25 dirigenti, si presentano in 94 mila e dei 116 già dichiarati vincitori ben 37 sono casualmente collaboratori dei politici: una decina riferibili al centrodestra e i restanti al centrosinistra. In Campania con una mano si tagliano le consulenze e con l’altra si confermano per tre anni 46 dirigenti in scadenza. La Liguria, ha raccontato il Sole 24 ore, bandisce un contratto per regolarizzare i precari regionali. Nelle Marche si approva un piano per stabilizzare i dipendenti a termine, senza escludere gli staff di assessori e consiglieri. Ma si potrebbe continuare, con i generosi stanziamenti anticrisi (1,2 miliardi) della Lombardia, il taglio dell’addizionale Irpef deciso dal Veneto... È in vista delle elezioni che molti amministratori locali danno il meglio di sé.
Le sanatorie, per esempio, sono un classico. E non soltanto quando interessano i precari. Semplicemente memorabile quella approvata dalla Regione Campania nel 2000, che riguardava la bellezza di 25.368 alloggi pubblici occupati abusivamente. Era un venerdì. Il venerdì precedente la domenica delle elezioni regionali. Ma come si può pretendere che la classe dirigente regionale non cada in tentazione prima del voto, se l’esempio del livello istituzionale superiore è quel che è? Basta vedere cosa accade tutte le volte che si comincia a sentire odore di scioglimento delle Camere. Da scuola è il caso dell’abolizione del canone Rai per gli ultrasettantacinquenni non abbienti, previsto nella Finanziaria 2008 con uno stanziamento simbolico di 500 mila euro.
Un mese dopo quella decisione improvvisamente si materializzavano le elezioni. Altrettanto improvvisamente, nel decreto milleproroghe, quei 500 mila euro diventavano 26 milioni, mentre spariva l’ostacolo rappresentato dall’obbligo di un successivo decreto per mettere in moto concretamente lo sgravio. L’obiettivo evidente era quello di rendere immediata l’esenzione, moltiplicare il numero dei beneficiari e incassare più voti. Ma non è andata esattamente così. Dei voti, neanche l’ombra. E due anni dopo, nell’indifferenza generale, i poveri anziani pagano sempre il canone nonostante siano esentati per legge: la Rai dice di aspettare ancora un decreto che nessuno sa di dover fare. Tutto questo a dimostrazione del fatto che talvolta scelte del genere possono essere perfino controproducenti. Anche se per chi le ha fatte non cambia niente.
Il conto tocca all’amministrazione che verrà dopo. Se si vincono le elezioni, bene: altrimenti, poco male. I sei milioni e mezzo di spesa in più che l’attuale Consiglio regionale del Lazio lascia in eredità al prossimo (l’aumento è dell’8,1%, dieci volte l’inflazione del 2009), in qualche modo salteranno fuori. Come anche i denari necessari alle iniziative clientelari di altre Regioni. I cui promotori devono soltanto sperare che un bel giorno i contribuenti elettori non si accorgano che a rimetterci, in fondo, sono sempre soltanto loro. Ecco perché, se ancora c’è tempo, tutti quanti dovrebbero darsi una bella regolata.
di Sergio Rizzo

31 gennaio 2010

Banche, banchieri e sovranità monetaria

Una giornalista parla di questo argomento che pare dimenticato da tutti i media. I lettori hanno risposto in modo massiccio intervenendo sul problema ma , i veri interessi sono chiari?
Dovremo aspettare un altro Beppe Grillo, infatti quello attuale lo ha già dimenticato il problema. Evviva la sovranità virtuale.


Ringrazio tutti coloro (e sono molti) che mi hanno scritto compiacendosi della pubblicazione su di quotidiano politico (Il Giornale) del mio articolo sulla questione della sovranità monetaria. Il silenzio da parte di tutti gli organi d’informazione, su un argomento determinante per l’indipendenza politica ed economica della Nazione come questo, è sempre stato così assoluto che l’apparizione di un solo articolo ha suscitato meraviglia e addirittura entusiasmo da parte dei lettori, sia di quelli che ignoravano del tutto il problema, sia e soprattutto di quelli che si battono da anni in questo campo ma che sanno bene che il silenzio dei giornalisti rappresenta la prova sostanziale dell’impossibilità di uscire dalla prigione.

Ebbene io prego tutti di non scrivere a me ma al Direttore Vittorio Feltri; di inondarlo di lettere, o nella rubrica apposita del sito web del Giornale, o in quella del quotidiano a stampa, oppure nelle rubriche riservate ai Lettori di altri organi di informazione perché, senza l’interesse e l’appoggio forte, esplicito, il più numeroso possibile dei Lettori, lo sforzo che è stato fatto per uscire allo scoperto non servirà a nulla.

Nessuno ci tornerà più sopra o, diciamo meglio, a nessuno sarà più permesso tornarci sopra. Si tratta di una battaglia davvero all’ultimo sangue, alla quale, però, tutti possono partecipare purché non si lasci spazio al silenzio neanche per un giorno. Banche, Banche, Banche: dobbiamo parlare sempre di Banche.

Faccio un esempio: coloro che abitano a Roma, non si sa per quale misteriosa ragione devono pagare la tassa per i rifiuti attraverso le agenzie della Banca Popolare di Sondrio. Viene logico domandarsi: Sondrio? Perché Sondrio? Il giro di denaro dei contribuenti del Comune di Roma è senza dubbio imponente, ma non sappiamo chi siano coloro che ci guadagnano visto che non conosciamo i nomi degli azionisti della Banca Popolare di Sondrio. Perché mai non dovrebbero essere i cittadini di Roma? Insomma si torna al problema principale: perché le Istituzioni - comunali, provinciali, regionali, nazionali - si servono di banche? E nel caso fosse utile servirsi di banche, perché debbono essere “private”? Perché i cittadini non debbono sapere chi ci guadagna e non essere eventualmente essi stessi a guadagnarci? Perché lo Stato non può possedere una sua banca? (Lo ripetiamo nel caso qualcuno ancora non lo sapesse: la Banca d’Italia non è la “Banca d’Italia” in quanto appartiene ad azionisti privati; dovremmo anzi proporci anche il compito di farle cambiare il nome per non indurre in errore i cittadini). Quello che per ora si può cominciare a fare è mettere in pubblico il nome delle banche di cui si servono gli Amministratori dei Comuni nei quali abitano i lettori di questo sito e di altri siti interessati alla questione monetaria. Certamente saranno molti i cittadini che, come si sorprendono gli abitanti di Roma di dover pagare la tassa per i rifiuti alla Banca di Sondrio, si sorprenderanno delle stranissime scelte, o predilezioni bancarie, dei propri amministratori. E’ probabile che ne vedremo delle belle e che, incrociando i dati, riusciremo forse a capire quali interessi possano avere oltre che Roma a Sondrio anche, chissà, Palermo a Trieste.

Marco della Luna, uno degli autori del bellissimo saggio intitolato “Euroschiavi” (Arianna ed.), si occupa con il suo Centro Studi Monetario proprio di questo tipo di accertamento: chi siano gli azionisti delle Banche. Contiamo sul suo aiuto, anche se la questione principale rimane la mancanza di sovranità monetaria dell’Italia. A dire la verità questa mancanza, naturalmente decisa a suo tempo da “maschi”, appare alle donne addirittura assurda, anzi comica, in quanto nessuno al mondo sa meglio delle donne come la loro minorità sociale, la difficoltà insuperabile a diventare “libere”, quali che fossero i loro meriti e i loro sforzi, ha attraversato pietrificata secoli e secoli solo e soltanto per questo motivo: non avevano denaro proprio e non se lo potevano procurare lavorando (per questo le prostitute si vantavano di essere libere a fronte delle donne “per bene”: guadagnavano dei soldi). Si può chiacchierare oggi quanto si vuole esaltando la dichiarazione dei diritti dell’Uomo, l’uguaglianza di tutti gli individui, quale che sia il sesso, la religione, ecc. ecc., ma è stato il lavoro retribuito, o meglio, è stato soltanto poter possedere in proprio del denaro a rendere le donne libere e indipendenti.

Come può, dunque, una Nazione essere “libera” se non è padrona dei soldi con i quali vive? La cosa più grottesca, poi, è la “giustificazione” che viene invocata per tale stato di cose: i politici non saprebbero regolare nel modo giusto il flusso del denaro da immettere nel mercato se fossero liberi di crearlo. Non vogliamo neanche evocare le terribili crisi economiche che si sono succedute nel tempo, provocate con il loro comportamento dagli abilissimi banchieri messi al posto dei politici proprio, a sentir loro, perché questo non accadesse. Rispondere con questa evocazione sarebbe come avallare una tale presa in giro dei cittadini. Nel momento in cui ai politici abbiamo devoluto, in nostra rappresentanza, il potere di fare le leggi, abbiamo devoluto tutto, assolutamente tutto quello che ci riguarda. Ben più che la quantità di denaro necessaria al mercato: il nostro territorio, il rapporto con amici e nemici, guerra, tassazione, diritto, educazione dei nostri figli. La costituzione italiana afferma che la sovranità appartiene al popolo. Quindi anche quella monetaria. Si tratta di studiare un modo per riappropriarsene. Esistono già diverse proposte in proposito. Ritengo che rivolgersi ai magistrati per delle cause singole, come indicato da alcuni studiosi del problema, sia un sistema, per quanto giusto in teoria, troppo lento e poco efficace a livello di consapevolezza collettiva in quanto, anche quando le cause si concludono con una vittoria del cittadino, sussiste pur sempre il silenzio dei mezzi d’informazione che le sprofonda nel nulla. Io mi auguro che si formi un Partito, nel quale convergano, superando piccole differenze di punti di vista, tutti i movimenti già esistenti, un Partito che si presenti all’opinione pubblica con l’unica etichetta della battaglia contro i Banchieri per riappropriarsi della sovranità monetaria. E’ questo l’unico modo, dato che vi sono obbligati per legge, per costringere i giornalisti a parlarne e per poter discutere apertamente di problemi di cui la maggioranza dei cittadini è all’oscuro. So che è difficile rinunciare a ciò che contraddistingue un gruppo dall’altro, ma nessuna battaglia è “per l’Italia” più di questa. E- ne sono sicura- non soltanto per l’Italia. Diversi paesi (in questi giorni si è spesso alluso alla Grecia, che però, piccola e povera com’è, non ha avuto il coraggio di mettersi contro l’UE) non desiderano altro che avere un buon motivo per rinunciare all’euro e allontanarsi anche così a poco a poco da quel Impero in fallimento che è l’Unione Europea.

Il progetto ultimo dei banchieri - una sola moneta in tutto il mondo, un solo governo in tutto il mondo – è con tutta evidenza un progetto privo di realtà. E’ questo che dobbiamo gridare a viso aperto: i grandi Banchieri che ci guidano sono dei folli giocolieri privi di principio di realtà, pronti a gettare al vento vite, valori, affetti di tutto il pianeta così come ne hanno gettato al vento le ricchezze nell’ultima crisi. I loro sogni di potere globale sono vuoti tanto quanto i “salsicciotti” con i quali hanno riempito le Borse di tutto il mondo. Denunciarli è un dovere assoluto, fermarli è un dovere assoluto.
di Ida Magli

30 gennaio 2010

Il colosso "statale" di nome Fiat

La crisi ha reso la Fiat un’impresa assetata di risorse pubbliche, più di quanto non lo fosse in passato. Un’azienda che non riesce a stare sul mercato, senza avvalersi della stampella statale, è un pessimo esempio, oltreché un fattore di destabilizzazione, per tutto il sistema-Paese il quale, tra mille difficoltà e peripezie, tenta strenuamente di reagire e di risollevarsi con le proprie forze, dopo essere stato sobbalzato dal sisma sistemico dell’ultimo anno.

Se l’organismo italiano non riuscirà a liberarsi della patologia assistenzialistica, specialmente in una congiuntura gravissima come quella attuale, perderà di elasticità e si sclerotizzerà definitivamente. Il rischio è quello di precipitare tra i paesi pezzenti del capitalismo all’occidentale, dove la debolezza economica implica la drastica dipendenza politica dagli Stati più saldi.

Semmai, le risorse e le energie, sempre più scarse, dovrebbero essere orientate verso politiche di rilancio generale dell’economia, con sostegno ai settori più innovativi e performativi, quelli cioè che garantiscono uno sviluppo accelerato e l’aggredimento dei mercati esteri.

In Italia abbiamo aziende molto virtuose che hanno dimostrato di saper produrre ricchezza senza sottrarre nulla allo Stato, proprio a quest’ultime la mano pubblica dovrebbe fornire appoggio politico e facilitazioni commerciali. Ci sono poi le PMI che si sgolano, da tempo immemorabile, per ottenere almeno gli sgravi fiscali, ma questi non arrivano perché il governo non sa ancora quanti mezzi finanziari potrà impegnare per garantirsi un certo equilibrio di bilancio, al fine di conciliare esigenze di rilancio dell’economia e stabilità di cassa.

Ma l’esecutivo sembra non tenere conto di questi problemi quando deve trattare con la Fiat e si ostina a dissipare le scarne risorse disponibili in un solo settore, peraltro tecnologicamente maturo ed incapace di generare progresso. La Fiat goded i appannaggi e di privilegi che non merita più dal punto di vista sociale, e men che meno da quello economico.

Questo gigante gargantuesco si mangia un mare di finanziamenti senza restituire niente al tessuto produttivo nazionale. Abbiamo detto in un’altra occasione quali sono pessimi i numeri di Torino (Fiat: cuore americano, portafoglio lussemburghese, sudore italiano) e qui ricordiamo soltanto, a supporto di quanto scritto, che il Lingotto si colloca all’ultimo posto tra i colossi europei per investimenti nella ricerca e nello sviluppo delle nuove tecnologie.

Data questa situazione è una pazzia per lo Stato proseguire nel foraggiamento di una parte privata che non produce innovazione e che sposta all’estero i suoi capitali, i suoi impianti e il grosso dell’occupazione. Quando la Fiat ha bisogno di qualcosa si attacca voracemente alle mammelle di "mamma Italia" , non disdegnando nemmeno l'arma del ricatto. L’ultimo è dell’altro ieri, Torino ha messo in cassa integrazione 30 mila addetti dei suoi stabilimenti italiani per fare pressione sul governo ed ottenere ulteriori incentivi alla rottamazione nel 2010. Altri 2 mld di euro che la Fiat sottrarrà allo Stato e ai contribuenti. Mentre il governo prende la sua decisione, Marchionne e Montezemolo ci costringono pure a sborsare i quattrini necessari alla CIG. Ricordiamo che questa misura sociale è assente in altri paesi dove il Lingotto opera e dove naturalmente non sono stati annunciati tagli di nessun tipo.

Marchionne ha detto più volte, negli ultimi tempi, che la Fiat è una multinazionale. Sarà verosimile... ma lui sembra il solo a non accorgersene

di Gianni Petrosillo

29 gennaio 2010

Bond in dollari? Si, come no



Fantastico. Degno da Banda degli Onesti. Anzi, sicuramente meno. Tremonti sta pensando a emettere Bond a cinque anni. In Dollari. Già sentita la puzza? Allora siete un passo avanti a molti italiani. Sicuramente anni luce rispetto al nostro Ministro.

Per tutti gli altri, piccolo riassunto della situazione.

Quando uno Stato finisce i soldi (per pagare i dipendenti pubblici e un milione di altre cose) allora emette dei Buoni del Tesoro. La cosa funziona, sinteticamente, così. Con periodicità ormai conclamata, lo Stato italiano - visto che non solo ha finito i soldi da un pezzo, ma anzi viaggia costantemente in deficit (per intenderci, non riesce neanche a pagare gli interessi sui debiti: roba che una azienda normale avrebbe portato i libri in Tribunale da un pezzo) - emette delle cambiali, con differente durata. Naturalmente non le chiama cambiali, ma Buoni del Tesoro, Titoli di Stato o cose del genere, così, tanto per farle suonare meglio.

I cittadini (ma anche gli stranieri) che decidono di acquistare questi "pagherò", versano allo Stato un tot (in moneta sonante) mentre lo Stato gli rende un pezzo di carta - appunto: una cambiale - con la quale si impegna, alla scadenza, a ridare indietro il denaro "investito" dal cittadino oltre a un certo interesse. Attualmente, intorno all'1%. Il cittadino, alla fine - naturalmente se nel frattempo lo Stato non è fallito - incassa il denaro versato più l'1% promesso.

Per quelli che pensano che la cosa sia un affare, tutto ok, si direbbe. Malgrado l'alta possibilità di default del nostro Stato (che molti si ostinano ancora a non far entrare nel novero delle possibilità), malgrado il fatto che con l'imminente inflazione galoppante (vista l'attività tipografica di Bce e soprattutto Fed nello stampare banconote e nel mandarle in giro senza controvalore) l'1% potrebbe essere veramente una miseria, oggi Tremonti si lancia in una operazione ulteriore, stile Madoff: decide di emettere Bond in Dollari. A cinque anni.

Proprio così: si acquistano titoli di Stato in Dollari, ovviamente acquistati al prezzo corrente del Dollaro e prestati allo Stato, e tra cinque anni si rivedrà indietro il proprio gruzzoletto oltre all'interesse. Sempre in Dollari e - dopo - essere stati riconvertiti in Euro. Ancora nessun odore?

Andiamo avanti. Siamo alla fine, niente paura.

Poniamo che oggi si decidesse di acquistare 100 Euro di Dollari: al tasso corrente (1,413) ci verrebbero consegnati 141 dollari e qualcosina. E poniamo che il Bond venduto dal nostro Totò sia al tasso del 3%. Alla fine dei cinque anni, lo Stato ci darà indietro 141 dollari più il 3%, ovvero 4,23 dollari in più. Ora, 141 più 4.23, ci troveremo in tasca ben 145.23 Dollari. Con i quali naturalmente possiamo soffiarci il naso, finché non li riconvertiamo in Euro. A questo punto lo Stato penserà per noi a riconvertirli in Euro, ergo andrà ad acquistare Euro pagando 145.23 Dollari, che è quanto ci spetta.

Naturalmente - ecco il punto - li acquisterà, alla scadenza, ovvero tra cinque anni, al tasso di allora. Non al tasso corrente con il quale abbiamo acquistato Dollari oggi. Se il Dollaro, tra cinque anni, varrà molto, avremo fatto un affare, riceveremo indietro molti più euro di quanti ne abbiamo versati oggi. Esempio: un Dollaro (tra cinque anni) con tasso di cambio uguale a oggi, ci farebbe tornare nelle tasche, interesse incluso, quasi 103 euro. E avremmo guadagnato. Effettivamente quanto - ovvero quanto varranno 103 Euro - naturalmente, lo sapremo solo tra cinque anni.

Dunque la prima domanda, già (quasi) risolutiva: quanto varranno 103 euro tra cinque anni?

E ora, "per i più abili e allenati", domandone finale, definitivo: vista la politica monetaria della Fed (stampa di banconote senza copertura aurea reale, e soprattutto senza specificare la quantità di banconote immesse sul mercato), vista la fine che stanno facendo i Titoli di Stato Usa (la Cina, maggior possessore mondiale, se ne sta disfacendo comperando oro, visto che puzza di bruciato - ovvero di default Usa - l'ha già annusata da un pezzo), visto lo stato della crisi in Usa (e le riserve auree che gli Stati Uniti dovranno vendere per continuare a finanziare i vari pantani, tipo Iraq e Afghanistan), ebbene, quanto varrà il Dollaro Usa tra cinque anni? Sarà debole o forte?

Poniamo il caso che - come chiunque dotato di buon senso capisce da sé - il Dollaro Usa tra cinque anni sarà scambiato non a 1,413 come oggi ma a 1,7, o a 2 euro, cosa accadrebbe? Lo Stato andrà ad acquistare tanti più Euro possibili con i nostri 145,23 Dollari accumulati, e con un cambio anche solo a 1,7, ci torneranno in tasca la bellezza di... 85 Euro. Dunque avremo perso il 15% da questo affarone targato Italia.

Fantastico, dicevamo, vero?

Ebbene, Tremonti è il "nostro" Ministro. E fa, ovviamente, il bene dello Stato. A spese di chi? Dei cittadini, naturalmente. Ma non sono i cittadini, lo Stato?
di Valerio Lo Monaco

28 gennaio 2010

Tremonti, i bond e il destino del dollaro

Da anni trattiamo l’argomento “dollaro” e la sua possibile fine, come moneta di riferimento mondiale, ma in Italia, ancora oggi, la maggioranza degli italiani è convinta che gli Stati Uniti siano la superpotenza economica che fu. I media italiani niente o poco hanno lasciato trapelare sulla reale situazione economica degli USA e della sua moneta, il dollaro, attraverso il quale, un tempo, hanno dominato il mondo. Il dollaro è destinato a svalutarsi e diventare carta straccia e gli italiani non si sono accorti di niente.Per un approfondimento sul tema, rimandiamo ai nostri precedenti articoli . Quello che mi preme rilevare in questo scritto è il ruolo della sinistra (si fa per dire) nel nascondere tali tematiche. Ancora oggi, i figliocci del PCI, i D’Alema, i Veltroni, i Fassino, ecc. guardano al mito americano (che fu) e spesso nei loro discorsi che sanno di antico e cadaverico guardano estasiati agli USA e addirittura riprendono pari pari gli slogan dei politici statunitensi di turno, senza neppure tradurli all’italiano, tipo “yes, we can”.I politici della presunta sinistra italiana non hanno capito assolutamente niente della realtà degli Stati Uniti. Il tramonto degli Stati Uniti è già iniziato e sicuramente ignorano anche la possibilità che possano arrivare ad un “default”, al fallimento e persino alla fine della stessa unione. Gli Stati Uniti potrebbero cessare di esistere come stato unitario e questi non si sono accorti di niente.Un partito di sinistra (se fosse di sinistra) dovrebbe trattare temi economici in difesa dei cittadini, per il bene dei cittadini ed in particolare delle classi più povere, contro la destra conservatrice, che storicamente rappresenta gli interessi dell’oligarchia, delle classi dominanti, imprenditoriali e capitalistiche.Non sarebbe compito dei politici di sinistra parlare della possibile truffa che sta architettando il signor Tremonti, ai danni degli ignari cittadini italiani? Invece ne parla principalmente una certa “destra” (2). Dove sono i sinistri politici italiani?Il Signor Tremonti, il superministro dell’Economia, che si ritrova nella disperata situazione di trovare soldi liquidi per mandare avanti la “baracca italiana” ha pensato ad un tranello, una truffa bella e buona ai danni degli ignari cittadini italiani, orfani dell’informazione e della sinistra: emettere buoni del tesoro in dollari, a cinque anni; ovviamente con allettanti tassi di interesse, sicuramente ben superiori al misero 0,5%/1% che ripaga un buono in Euro.Che cosa spera di ricavarne Tremonti?Lui – ma non il popoli italiano, tenuto nella più completa ignoranza in materia, dai media e dai partiti, compresi quelli di sinistra – sa bene che il dollaro rischia una forte svalutazione. Lui – ma non i Veltroni, i D’Alema, i Fassino, ecc. – conosce bene la situazione economica statunitense, con una disoccupazione crescente, una forte riduzione delle entrate fiscali, una bilancia commerciale sempre più negativa, un debito pubblico alle stelle ed un presidente, Barack Obama, spendaccione e guerrafondaio come nessun altro presidente USA. L’attuale presidente USA ha la necessità di grandi quantità di soldi, per finanziare le sue guerre in America Latina, in Asia e in Africa; soldi che appaiono magicamente, stampandoli! E, infatti, il pacifista Obama in un solo anno alla guida degli USA è stato capace di incrementare il debito pubblico USA di 1.611 miliardi di dollari, in sostanza un terzo di tutto l’incremento che ha subito il debito pubblico statunitense durante gli otto anni di gestione del guerrafondaio Bush . Lui, il Signor Tremonti - ma non i nostri sinistri politici – queste cose le conosce bene; anzi, sa che il pacifista Obama incrementando le spese ed estendendo le guerre al Pakistan, all’Iran, allo Yemen, al Corno d’Africa ed in America Latina, dove sono in atto ingenti spostamenti di truppe (circa 20.000 militari nell’occupazione di Haiti; migliaia nelle nuove basi in Colombia e nella Triplce Frontiera in America del Sud, in Honduras e tutto il centro America) avrà una crescente necessità di dollari, che appariranno magicamente facendoli fuoriuscire dal cilindro, ossia stampandoli, cosa che fa aumentare fortemente, da qua a cinque anni, il rischio di svalutazione. E’ sbagliato dire che Tremonti starebbe pensando all'emissione di buoni del tesoro in dollari per finanziare le spese dello stato italiano perché spera che il dollaro possa svalutarsi, da qui a cinque anni, facendo fare un affare all’Italia, o meglio al politico di turno, ossia a lui stesso (che immaginiamo tra cinque anni sarà ancora al comando del ministero che dirige oggi, vista l’inconsistenza della classe politica che dovrebbe sostituirlo). No, l’operazione non si baserebbe sulla speranza di veder svalutato il dollaro, da qui a cinque anni, ma su una certezza: il dollaro si svaluterà sicuramente; è solo questione di tempo e cinque anni sono un periodo sicuramente sufficiente per assistere alla sua svalutazione, e forse anche alla sua fine!Dunque, Tremonti ben sapendo che il dollaro da qui a cinque anni si svaluterà ha pensato bene di orchestrare questa manovra, che ben possiamo definire truffa. Ammettiamo che con tale operazione riesca a raccogliere 1.000 milioni di dollari, da restituire con un interesse ad esempio del 5%, che porta il debito complessivo a 1.050 milioni di dollari. Oggi, al cambio di 1,41 dollari per Euro, si ritroverebbe ad incassare circa 710 milioni di euro. Se il dollaro, in questi cinque anni si dovesse svalutare ad esempio del 50%, passando dagli attuali 1,41 a 2,11, lo stato italiano si ritroverebbe a dover pagare, per i 1.050 milioni di dollari ricevuti cinque anni prima, meno di 500 milioni di Euro. Un bell’affare per lo stato, una vera e propria truffa per i cittadini!Il dollaro è da considerarsi carta straccia e lo sta salvando solamente il fatto che è la moneta di riferimento per le transazioni economiche, soprattutto del petrolio. Di conseguenza tutti gli stati sono costretti ad avere scorte di dollari (le famose riserve internazionali).L'area di utilizzo del dollaro, però, è destinata a ridursi; infatti, in Africa, in America Latina ed in Medio oriente stanno nascendo o si cominciano ad utilizzare monete alternative, regionali. La Cina, al momento il più grande detentore di dollari, si sta liberando delle sue riserve in dollari, acquistando oro o investendoli in altri paesi asiatici, in Africa e in America Latina. Se il principale prodotto del mondo, il petrolio, riuscisse a svincolarsi del dollaro, ossia si potesse commercializzare anche in Euro o altra moneta, allora arriverebbe veramente la fine per il dollaro. Tutti gli stati, che detengono dollari sarebbero costretti a liberarsi per acquistare la nuova moneta necessaria per acquistare il petrolio. Questa enorme quantità di dollari in vendita farebbe crollare il suo valore. Certamente le cose non succederanno da un momento all’altro, ma succederanno. Il dollaro è destinato ad essere sostituito perché il paese emissore è in crisi profonda e non da più le garanzie che offriva una volta.Di seguito, proponiamo una tabella Il Dollaro, pur continuando ad essere largamente la principale moneta di riserva (nel 2008, il 64% delle riserve internazionali era costituita da dollari), mostra lievi ma inequivocabili segni di flessione. Sarà, però nei prossimi anni che si accelererà la caduta.Il ministro Tremonti se sta pensando a buoni del tesoro in dollari, è perché pensa che si svaluterà. E’ dunque una truffa, di cui però i partiti di sinistra, oggi stampella del capitale, si guardano bene dal parlare.Attilio Folliero, Caracas, 27/01/2010>

24 gennaio 2010

Tagliare le poltrone? Era solo un bluff

Solo gli ingenui potevano credere che alla vigilia delle elezioni degli amministratori la maggioranza avrebbe abolito... gli amministratori. In Italia infatti per eliminare un posto bisogna crearne due. È questa la vecchia regola della Democrazia cristiana che ha governato per sessanta anni con i proconsoli, con i cacicchi e con gli ascari ed è questa la regola anche di questo governo.
Questo governo ha appunto annunziato, per il secondo anno consecutivo, il rinvio di un anno – e fanno dunque due - del dimagrimento degli enti locali più obesi del mondo. Il Consiglio dei ministri ha già predisposto il decreto legge che contraddice la legge. Insomma è la strategia di Penelope applicata al contrario: quella voleva imbrogliare i «proci», che sono gli scrocconi e i gozzovigliatori della ricchezza pubblica, la ricchezza di Ulisse; qui invece vogliono imbrogliare Ulisse. Se dunque la legge finanziaria li aveva condannati, oggi il governo li resuscita.
Ma rimangono morti che camminano. Gli enti locali, infatti, sono troppo spesso assembramenti condominiali, distributori di prebende stipendiali e serbatoi di consenso per la famigerata partitocrazia italiana. Ed è significativo che la rivolta contro la riduzione del venti per cento dei consiglieri e del numero degli assessori sia stata trasversale, coinvolgendo anche i Comuni governati dalla sinistra. È ovvio che ciascuno difenda i propri privilegi, i propri amici, i propri stipendi. È il governo centrale che non deve consegnarsi in ostaggio. Anzi è nel rapporto con la periferia che si misura la sua forza. Nel punto più distante lo Stato verifica la sua vicinanza ai cittadini. In periferia si certifica la credibilità del centro.
E tuttavia la pessima figura del governo non ci stupisce e non ci coglie impreparati. È anzi un assaggio del futuro federalista, della prossima grande riforma e dell´alta sfida ai fannulloni nella pubblica amministrazione. È un ulteriore disvelamento della demagogia imbonitoria. L´abbattimento della burocrazia che si autoriproduce, l´abolizione delle Province e appunto la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori negli enti locali erano infatti tre obiettivi caratterizzanti del programma elettorale del Popolo della libertà, tre piccole-grandi riforme di buon senso, gli strumenti più ovvi di qualsiasi progetto di risparmio economico, il nuovo inizio di una stagione più seria e più responsabile anche sul piano morale.
Ma purtroppo il clientelismo è una vecchia piaga preunitaria del nostro Paese: era una specie di ‘spoil system´ dei conquistatori che si annettevano contrade estranee. Vi hanno fatto ricorso anche lo Stato piemontese e gli uomini del Risorgimento. Purtroppo è stato uno strumento dell´Unità d´Italia. Imponendo uomini fidati i nuovi amministratori cercavano di controllare le istituzioni ereditate non solo dal Borbone, ma anche dai Papalini, dagli austroungarici e da tutti gli Stati e staterelli preunitari. Se ne servì poi il fascismo che ingrossò a dismisura la pubblica amministrazione non solo collocando i camerati ma lenendo così la disoccupazione e domando il malumore sociale. Infine la Democrazia cristiana ne fece una scienza fondata sulla sua cultura comunitaria e antistatuale. Ai democrstiani non importavano l´efficienza e il rigore dello Stato laico ma soltanto il consenso e il benessere impiegatizio. Il risultato, noto a tutti gli studiosi, è che in Italia lo Stato non è la più alta e qualificata sintesi della maturità sociale ma è un ente di collocamento. E dunque ogni volta che c´è stata e c´è in progetto una riforma contro l´istituzione obesa i politici italiani finiscono col renderla ancora più panciuta.
Il ministro della Semplificazione, il leghista Calderoli, è uno dei generali del Federalismo, la più strombazzata delle riforme – la rivoluzione leghista – che dovrebbe appunto semplificare e rendere veloce il rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Ebbene, la sua ritirata di oggi, il salvataggio di ben trentamila poltrone e lo sperpero di dodici milioni di euro suonano come profezia del suo Federalismo e del suo destino. È infatti facile prevedere che il Federalismo aggiungerà alle burocrazie e ai ceti politici locali le burocrazie federali, i funzionari e i clienti del Federalismo. Oggi il ministro della Semplificazione si è trasformato nel ministro della Complicazione. (Presto avrà bisogno di un´agile struttura – almeno due sottosegretari – per risemplificarsi).

di Francesco Merlo

23 gennaio 2010

La bancarotta potrebbe giovare agli Stati Uniti




In una storia di Winnie-the-Pooh c’è un momento in cui viene chiesto all’orsetto se preferisca spalmare sulla sua fetta di pane il miele o latte condensato e lui risponde “tutti e due”, una questione non poi così importante per uno dei personaggi più amati dai bambini ma che diventa ben più problematica se una grande nazione inizia a comportarsi in modo altrettanto infantile: infatti, quando è stato chiesto agli americani cosa volessero, se meno tasse, un tenore di vita più alto o il miglior esercito al mondo, la risposta unanime è stata “tutto”.



Come risultato hanno ottenuto un considerevole aumento del debito pubblico e una diminuzione del prodotto interno lordo pari al 12% come normale reazione subito dopo una grande crisi come quella che li ha colpiti nel 2008. Ma quello che dovrebbe preoccupare gli americani è che, con le possibili ricadute sulla parte di azioni che riguarda settori pubblici come la sanità, non esiste un piano credibile per mantenere il deficit sotto controllo nel medio termine.

Gli Stati Uniti hanno formidabili forze economiche che permetteranno al suo governo di impegnare molti soldi e per più tempo rispetto ad altre nazioni, cosa che permetterà loro molto probabilmente di cavarsela ma, continuando a far aumentare il proprio debito pubblico, presto o tardi il paese inizierà a rischiare la bancarotta. Stranamente questo potrebbe essere un bene, cioè che la crisi arrivi subito piuttosto che tra un po’ di tempo perché per un sorprendente numero di paesi l’esaurirsi della moneta si è tradotto in un inizio di rinnovamento.

La liberalizzazione del mercato cinese introdotta da Dengxiaoping nel 1978 è stata causata sia da una crisi fiscale che del mercato delle esportazioni. Ritrovatosi senza soldi il governo cinese ha dovuto abbracciare un principio economico del tutto diverso per poter crescere velocemente ed avere alte entrate. Il resto è storia.

La stessa cosa è successa in India con la riforma economica del 1991. Il governo indiano si era ritrovato ad avere una liquidità che sarebbe bastata per pagare due settimane d’importazioni. Per risolvere la situazione il governo ha dovuto inviare a Londra parte del proprio oro a garanzia di un prestito del Fondo Monetario Internazionale, ma Manmohan Singh, allora ministro delle finanze e ora primo ministro, ha contemporaneamente spronato i suoi colleghi a “trasformare questa crisi un una opportunità per costruire una nuova India” riuscendoci trionfalmente.

Lo stesso vale per l’America latina nel 1982. Quando il Messico, non più in grado di pagare i propri debiti, ha innescato una crisi economica in tutto il continente sudamericano, le conseguenze a lungo termine sono state positive. Come ha sottolineato Michael Reid, storico contemporaneo, “I regimi dittatoriali crollano sotto il loro fallimento economico”. Così la junta argentina cadde nel 1983 e il Brasile ebbe una spinta democratica a partire dal 1985.

Problemi disastrosi con la gestione della finanza hanno anche giocato un grande ruolo nella riforma dell’Unione Sovietica. Quando Michail Gorbaciov sali al potere a Mosca si trovò a dover fronteggiare un debito pubblico quasi raddoppiato negli ultimi tre anni e sono state proprio le pressioni finanziarie a persuaderlo che una riforma economica, la perestroika, era assolutamente necessaria.

Infatti nel 1989 l’intero blocco sovietico lottava sotto il peso di un rapido aumento del debito estero. Per questo motivo la Germania dell’est non sparò ai dimostranti nell’Ottobre del 1989, perché non se lo poteva permettere: da un lato sfiorava la bancarotta e dall’altro stava negoziando disperatamente un prestito dalla Germania dell’ovest.

Questi salutari avvicinamenti alla bancarotta non sono accaduti soltanto nelle nazioni sottosviluppate dell’Asia, in scalcinati regimi dittatoriali dell’America latina o nei fatiscenti regimi comunisti. Gli inglesi tremano ancora oggi al ricordo del governo inglese che “cappello alla mano” si presentò al Fondo Monetario Internazionale nel 1976. Un fatto umiliante ma che è servito a qualcosa: il governo inglese vicino alla bancarotta convinse i cittadini che le cose dovevano cambiare, ponendo le basi per il tatcherismo. La Francia ha avuto un’esperienza simile all’inizio degli anni Ottanta, quando grandi somme di denaro uscirono dal paese e il collasso delle entrate relative a quei capitali hanno obbligato il governo Mitterand ad abbandonare la politica del pugno di ferro.

Probabilmente la frase più memorabile è stata pronunciata qualche tempo fa da un funzionario dell’amministrazione Obama, Rham Emanuel, responsabile dello staff della Casa Bianca, che disse: “ Non possiamo sprecare una crisi come questa”. Emanuel per questa frase è stato accusato di superficialità e cinismo, ma ad un esame della storia globale degli ultimi trent’anni probabilmente ci ha azzeccato. I così discussi paesi emergenti, Brasile, Russia, India e Cina (i cosiddetti Brics) hanno avuto bisogno di una grossa crisi fiscale per intraprendere la via delle riforme economiche e risorgere. Un giorno gli Stati Uniti potrebbero essere abbastanza fortunati da essere in grado di fare tesoro della loro crisi finanziaria. Speriamo che questa speranza non sia vana.

Titolo originale: "Bankruptcy could be good for America"
di Gideon Rachman

22 gennaio 2010

E' in crisi è la relazione tra uomini e donne

In qualche città italiana, cominciando da Milano, il numero delle persone che vivono da sole, i cosiddetti single, ha ormai superato quello di chi vive in coppia, o in famiglia. In Italia, oltre un quarto delle famiglie è costituita da una sola persona. Sarebbe però affrettato spiegarlo solo con la «crisi della famiglia».
Questo fenomeno, che forse si avvia a riprodurre in Italia lo scenario di città come New York, Chicago, Boston, rappresenta tendenze assai diverse tra loro. Nell’aumento dei single compaiono varie tipologie.
Dagli immigrati regolari, che inizialmente si registrano per solito come singoli, alle donne, che vivono più a lungo e si ritrovano spesso sole dopo lunghe convivenze familiari, ad altri e diversi fenomeni.

Il nucleo più forte della singleness è però sicuramente costituito dalle aumentate difficoltà nella relazione tra uomo e donna. È a questa fatica di stare insieme che si deve il crescente numero di coppie che si lasciano: ormai circa una su due nelle zone più ricche del Paese, sempre più spesso per iniziativa della donna. Ed è ancora questa difficoltà a far sì che molti giovani (soprattutto donne), decidono di metter su casa da soli, magari dopo aver tentato una convivenza o un matrimonio non riusciti.
A tutti costoro va poi aggiunto il vero e proprio esercito di giovani che rimangono in famiglia per opportunità economiche o di «servizio» (le cure della mamma, per esempio). Sono i cosiddetti bamboccioni di cui parlano le cronache. Meno responsabili, per solito, dei veri e propri single, essi uniscono spesso alla condizione di sostanziale solitudine una forte dipendenza verso la famiglia, in particolare verso la figura materna. Sono i classici pazienti degli psicoanalisti, noti al grande pubblico dalle caricature spietate che ne fa Woody Allen in molti suoi film.
Deplorati dai ministri dell’Economia, per i quali rappresentano un peso morto, i bamboccioni sono però assai popolari, in Italia, presso alcuni giudici, che spesso condannano i padri a mantenere a vita questi figli, anche se non lavorano né si laureano. Come ha fatto di recente il Tribunale di Bergamo che ha ingiunto a un artigiano trentino di 60 anni di pagare gli alimenti alla figlia di 32 anni, fuoricorso da 8 alla facoltà di Filosofia, avuta dalla prima moglie dalla quale aveva divorziato.
Il papà, che ora provvede a una nuova famiglia, l’ha mantenuta fino a 29 anni, e poi ha smesso perché non si decideva a laurearsi (forse sperando di spingerla a farlo).
Anche questa figlia, per sentenza del Tribunale a carico del padre, fino a quando non accetterà di mantenersi da sola, fa parte del variopinto esercito single. Una massa sempre più importante nel paese, e, come abbiamo visto dai volti assai diversi. Con però qualche tratto comune. Uno, assente in qualche raro caso (come quello delle vedove, o degli immigrati in attesa di congiungersi alla famiglia in arrivo), è un livello più o meno alto di conflitto, o almeno di diffidenza, tra uomini e donne. Questo tratto è presente anche nel caso della figlia trentaduenne che fa condannare il padre: vicende simili sono spesso, anche, una tardiva vendetta a favore della madre.
Osservando bene si vede come la condizione di single si sviluppi nelle smagliature (prima ancora che della famiglia) del rapporto tra uomini e donne, che stentano a intendersi, ad amarsi, a fidarsi l’uno dell’altro.
Oggi Adamo ed Eva si allontanano dal giardino dell’Eden ognuno per conto proprio, non sapendo bene che farsene l’uno dell’altro. Con molte paure, a stento mascherate da un’affettività senza entusiasmi e senza gioia.

di Claudio Risé

21 gennaio 2010

Il sistema è più in bancarotta che mai



Nel primo Angelus domenicale del 2010, recitato il 3 gennaio, Papa Benedetto XVI ha esortato i fedeli a non ascoltare i maghi e gli economisti. Non dobbiamo fare affidamento "su improbabili pronostici e nemmeno sulle previsioni economiche, pur importanti", ha affermato il Pontefice. Il futuro dell'uomo dipende dalla capacità di ciascuno di "collaborare con la grazia di Dio". Egli ha poi integrato queste affermazioni il giorno dell'Epifania, descrivendo i Re Magi come degli "uomini di scienza in un senso ampio, che osservavano il cosmo ritenendolo quasi un grande libro pieno di segni e di messaggi divini per l’uomo".

Benedetto XVI ha perciò condannato la falsa scienza degli economisti accademici, che basano le loro previsioni su modelli matematici riduzionistici, e ha indicato nella scienza dell'universo fisico, le cui radici affondano nella tradizione pitagorica delle Sferiche, il sentiero della vera conoscenza. È quanto Lyndon LaRouche, l'unico economista che abbia previsto la natura della crisi negli ultimi 40 anni, ha definito la scienza della "dinamica".

Nell'anno trascorso, gli economisti (compresi i banchieri centrali e quelli privati), che sono stati incapaci di accorgersi dello sviluppo della crisi, hanno sostenuto che "il peggio è passato", che "è stato salvato il sistema" e che "la ripresa è in arrivo". Niente è più lontano dalla verità. Il sistema non è stato salvato, la ripresa non è in vista e il peggio deve ancora arrivare. Il recente rapporto del Comptroller of the Currency degli Stati Uniti conferma che il sistema finanziario è oggi più in bancarotta di quanto lo fosse allo scoppio della crisi nel 2007. Solo gli sciocchi e gli economisti lo negano.

Secondo il rapporto, nel terzo trimestre 2009 il valore nominale dei contratti derivati delle banche americane ammontava a 204 trilioni di dollari, che è 14 volte il PIL degli Stati Uniti. Nel giugno 2007, ammontavano "solo" a 152 trilioni. Il 97% dei 204 trilioni è posseduto dalle cinque principali banche americane: JP Morgan, Goldman Sachs, Bank of America, Citibank e Wells Fargo.

Per coloro che sostengono che il valore nozionale dei derivati è fittizio, si guardi al livello di esposizione (ciò che tradizionalmente è considerato il rischio): nel terzo trimestre del 2009, era 484 miliardi di dollari, ben più del doppio dell'ammontare del giugno 2007 (199 miliardi). L'esposizione in derivati delle quattro principali banche USA ammonta al 371% del loro capitale.

Le banche europee non navigano in acque migliori. Nel terzo trimestre 2009, il 16% del reddito delle 20 principali banche europee proveniva dal trading, mentre nello stesso periodo del 2008 era solo il 3%. E questo, mentre il credito alle imprese veniva tagliato.

Alla Goldman Sachs, il deus ex machina della politica dei salvataggi americana, il rapporto derivati/attivi era di 40 a 1,6 nel marzo 2009, e di 42 a 1,1 nel settembre dello stesso anno. Queste cifre mostrano chiaramente che il prossimo collasso finanziario è dietro l'angolo. Mentre l'economia fisica si è ridotta di un terzo dal 2007, l'economia del debito è aumentata, grazie ai trilioni di dollari dei salvataggi messi in atto dalla Federal Reserve, dalla Bank of England e dalla BCE.

Quegli stessi banchieri centrali non nascondono il nervosismo. La Banca per i Regolamenti Internazionali ha convocato un conclave di tre giorni a Basilea lo scorso weekend per discutere dei "rischi eccessivi" incorsi dalle banche sui mercati finanziari. In linguaggio che più esplicito non si può per i banchieri centrali, si è constatato che "si stanno ricreando le condizioni che hanno portato allo scoppio della crisi finanziaria". Ma anche se vedono arrivare il treno in corsa, i banchieri centrali non sono in grado di fermarlo, perché incapaci di rinunciare all'attuale sistema della globalizzazione.

by (MoviSol)

19 gennaio 2010

Razzismo in econonomia non esiste


Nel dialetto veneto, soprattutto nell'hinterland vicentino, vi è una locuzione verbale molto diffusa, "gheto capio" che significa "hai capito ?" utilizzata spesso anche come modo per intercalare durante una conversazione con uno o più interlocutori. Scrivo questo redazionale per rispondere alle accuse di leghismo e razzismo che mi sono state rivolte in occasione della pubblicazione di un altro articolo di inchiesta, al cui interno analizzavo la società americana sulla base della sua attuale situazione macroeconomica come conseguenza della sua stessa struttura sociale. Premetto che i complimenti ed apprezzamenti migliori li ho ricevuti proprio da persone che vivono e lavorano negli States da anni, i quali hanno confermato pienamente l'outlook di analisi che ho dipinto per l'America dei 50 Stati. Le accuse più infamanti invece sono arrivate da lettori italiani (molti dei quali non hanno mai visitato il paese in questione) che hanno recepito il mio redazionale come una manifestazione di appoggio politico a questa o quella forza politica.

La caratteristica principale della popolazione italiana è rappresentata dal classismo sociale: questo significa che qualsiasi titpo di affermazione, proposta, contestazione o critica deve essere sempre riconducibile a qualche movimento politico. Della serie, se Benetazzo dice che l'America è fallita a causa della sua composizione etnica allora significa che è leghista o estremista di destra e pertanto questo determina l'ammirazione di quella parte politica o il disprezzo della parte avversaria. Mi rammarico per questo e temo che difficilmente il futuro del nostro paese possa essere roseo visto che non potrà mai vincere il buonsenso, ma solo un determinato colore politico. Quanto ho precedentemente scritto, come tutte le altre mie opere intellettuali, sono frrutto di un analisi economica e non di una appartenenza politica. Vi è di più: il periodo di studio all'interno degli States ha voluto essere di natura prettamente inquisitoria nei confronti della società e dell'apparato economico, e non volto a visitare la Statua della Libertà a NY, Ocean Drive a Miami, il Museo della Coca Cola ad Atlanta, Rodeo Drive a Los Angeles, la Strip a Las Vegas e così via. Nel mio caso questo tipo di attrazioni sono state ignorate (tranne in parte per Las Vegas), in quanto ho voluto conoscere e studiare l'America e gli Americani per come producono, per come consumano e lavorano, come si indebitano e cosi via. La mia permanenza pertanto non è stata caratterizzata dallo svago e dal divertimento, quanto piuttosto dall'analisi, sintesi e riflessione su quanto raccolto.

Ho avuto modo di visitare numerose banche e grandi corporation, intervistare brokers ed executive, incontrare giornalisti e reporter indipendenti: il quadro che ne è uscito (che vi piaccia oppure no) contempla quanto scritto in precedenza. Ad esempio a Miami non mi sono sollazzato in spiaggia sotto il sole o sbronzato di tequila nei locali latinoamericani durante le notti brave, quanto piuttosto ho incontrato numerosi realtor, building developer e mortgage brokers, oltre che visitare i famosi appartamenti in svendita con il 60 % di sconto. Ad Atlanta invece (correndo non pochi rischi) ho visitato il quartiere dei neri a Downtown intervistando numerose persone che avevano appena perduto il posto di lavoro e vivevano con il sussidio federale. Quello che ne è uscito è un quadro con una logica di esame ben comprensiva se vista nel suo insieme. Il primo paese al mondo che ha delocalizzato (prima in Messico, poi in Cina, dopo in India ed ora in Vietnam) sono stati proprio gli Stati Uniti, ed ora stanno pagando il conto di quella scellerata strategia di svendere le loro produzioni all'Oriente e contestualmente anche i posti di lavoro. In parallelo a questo si è verificato uno spropositato overbulding (eccesso di costruzione) grazie al mutuo facile a soggetti underscoring (low and bad credit, solitamente persone di etnia nera, ispanica od orientale). La Fed ha poi aiutato a far peggiorare il tutto con grande incoscienza attravreso una politica monetaria suicida.

L'accusa più ridicola mi è stata mossa da italiani (che non sono mai stati negli USA) i quali contestano i dati da me forniti circa la composizione demografica dell'America sostenendo che secondo l'ultimo censimento la popolazione statunitense è costituita dal 60% di bianchi caucasici, il 15% da afroamericani, il 15 % ispanici, il 5% da orientali ed il restante da una molteplicità di etnie. Presa in senso generalizzato questa è la statistica media della popolazione americana. Tuttavia i 2/3 degli americani vive in aree metropolitane od urbane con più di 100.000 abitanti: l'intera economia statunitense è radicate e sviluppata nelle grandi aree metropolitane. Ma nelle aree metropolitane non abbiamo questa ripartizione: suvvia, non crediate ciecamente a me, ma almeno ai rapporti demografici che descrivono le aree in questione. Solo nelle prime dieci aree metropolitane (ce ne sono 52 in USA) vivono almeno più di 100 milioni di persone.

Metro AreaPopolazioneCaucasiciNeriIspaniciAsiatici
New York19.000.00035252010
Los Angeles12.800.00020104010
Chicago9.500.00030302510
Miami5.400.00015254510
Dallas6.300.00030352010
Seattle3.350.00050201510
Phoenix4.200.0005010255
Houston5.700.0002825355
Detroit4.400.000128155
Atlanta5.300.000385535

La tabella di sintesi conferma pienamente quanto avevo precedentemente espresso. Se invece andate a visitare i paesini rurali in cui vive il restante 1/3 degli americani scoprirete con grande sorpresa che la popolazione è costituita al 98% da bianchi caucasici (ad esempio Springfiled in Nebrasca rappresenta una insignificante nucleo cittadino con appena 1500 abitanti, il 99% dei quali sono bianchi caucasici). Sono i nuclei di insediamento nelle aree rurali che alzano abbondantemente la percentuale dei bianchi per tutta la popolazione, tuttavia queste piccolissime comunità vivono di una economia stanziale caratterizzata da relazioni commerciali quasi rarefatte: difficilmente vi troverete la sede di una grande corporation o il jet market di una famosa catena alimentare.

Inoltre anche i dati in percentuale che io stesso ho preso come riferimento (sull'ultimo censimento datato dieci anni or sono) sono discutibili. Ma in peggio. Infatti non contemplano i flussi di immigrati clandestini che entrano in America soprattutto dal Messico, una stima piuttosto ottimistica parla infatti di almeno 15 milioni di clandestini. Solo nella città di Houston si stimano 500.000 presenze. Sono proprio le grandi città metropolitane infatti che diventano le porte di ingresso preferite per l'immigrazione clandestina e per le migrazioni dei nuclei familiari. Ma il dato più significativo che conferma il profondo cambiamento del tessuto sociale statunitense è riferito ai diversi trand di crescita di ogni etnia, con in testa al momento la popolazione ispanica, la quale rappresenterà il 40 % della popolazione statunitense entro il 2030.

Chi ancora non fosse convinto di questo quadro spero si convinga almeno della voce autorevole di Market Watch, la prestigiosa testata giornalistica online statunitense, la quale ancora nel 2007 in un passato
redazionale analizzava i rischi per l'economia americana legati al credito facile a fasce sociali dal basso rating creditizio. Voglio terminare infine con una considerazione rivolta proprio a tutti coloro i quali in questa ultima settimana non hanno fatto altro che etichettarmi come razzista o leghista: fate attenzione invece, cari lettori, a non essere proprio voi i razzisti. Chi non lo avesse ancora compreso i cosidetti processi di integrazione tanto propagandati in passato come fenomenali processi di crescita culturali per tutti i paesi che li vogliano abbracciare, conditi da buonismo ed accoglienza sfacciata, altro non hanno fatto se non istituzionalizzare lo schiavismo moderno asservito al capitale e sfruttare senza limiti tutte quelle popolazioni che avrebbero dovuto essere oggetto di integrazione, spingendo proprio queste persone ad accettare lavori pericolosi, insalubri o fisicamente usuranti per una paga notevolmente inferiore a quella che sarebbe invece spettata ad un lavoratore autoctono.

E questa strada è stata perpetrata ai danni di altri lavoratori (italiani, tedeschi, francesi, inglesi, americani e cosi via) che hanno visto in pochissimi anni modificarsi verso il basso i loro livelli minimi salariali. L'unico beneficio che ha portato la menzogna dell'integrazione razziale è stato il vile aumento dei profitti delle grandi corporations che hanno beneficiato cosi di manodopera a costo inferiore senza tante seccature sindacali o rispetto per la dignità umana altrui. Chi invece si scalda tanto per consentire ed osannare le fenomali opportunità dell'integrazione, perchè così pensa di poter aiutare queste popolazioni dai mezzi limitati, non fa altro che condannarle ad una nuova era di schiavismo moderno, andando nel contempo a compromettere il tenore reddituale dei lavoratori autoctoni. Fate quindi attenzione, ed iniziate a considerare le opportune conseguenze (i famigerati side effects) di queste politiche di integrazione infelice, in quanto il modello americano è stato esportato in tutto il mondo, Europa compresa. Gheto capio.

di Eugenio Benetazzo