31 luglio 2010

LA VERA STORIA DELLA CRISI DEL DEBITO EUROPEO




I caffè di Atene sono pieni, frotte di turisti visitano ancora il Partenone e saltano da un’isola all’altra nel favoloso Egeo. Ma sotto la facciata estiva, c’è confusione, rabbia e disperazione mentre il paese precipita nella sua peggiore crisi degli ultimi decenni.

I media mondiali hanno presentato la Grecia, la piccola Grecia, come l’epicentro della seconda fase della crisi finanziaria internazionale, allo stesso modo in cui ha ritratto Wall Street come il ground zero della sua prima fase.

Tuttavia, si riscontra un’interessante differenza nelle storie che girano attorno a questi due episodi.

Storie in conflitto

Le attività sregolate delle istituzioni finanziarie, che hanno creato strumenti ancora più complessi per moltiplicare magicamente il denaro, hanno portato al crollo di Wall Street che si è trasformato nella crisi finanziaria globale.

Con la Grecia, tuttavia, la narrazione popolare recita così: questo paese ha raggiunto un insostenibile livello di indebitamento per costruire uno stato di welfare che non poteva permettersi, ed ora è visto come lo spendaccione che deve stringere al cinghia. Bruxelles, Berlino e le banche sono gli austeri puritani che esigono una penitenza dagli edonisti del Mediterraneo per aver vissuto al di là delle loro possibilità e per aver peccato d’orgoglio ospitando le costose Olimpiadi del 2004.

Questa penitenza arriva sotto forma di un programma dell’UE e del FMI che prevederà l’aumento del tasso nazionale dell’IVA al 23%, l’estensione dell’età di pensionamento a 65 anni, sia per gli uomini che per le donne, dei tagli profondi alle pensioni ed ai salari del settore pubblico e l’eliminazione delle pratiche che promuovono la sicurezza di lavoro. Lo scopo apparente di questa mossa è di snellire lo stato di welfare e lasciare che i greci vivano nell’ambito delle loro possibilità.

Sebbene la storia dello stato di welfare presenti degli sprazzi di verità, è fondamentalmente scorretta. La crisi greca ha essenzialmente origine dallo stesso impulso frenetico del capitale finanziario di trarre profitto dalla massiccia ed indiscriminata estensione del credito che ha portato all’implosione di Wall Street. La crisi greca rientra nel modello disegnato da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel loro libro This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly [“Stavolta è Diverso: Otto Secoli di Follia Finanziaria”, ndt] – periodi di prestiti sfrenati e speculativi seguiti inesorabilmente da default dei debiti pubblici, o quasi default. Come la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80 e quella finanziaria in Asia negli ultimi anni ’90, il cosiddetto problema del debito pubblico di paesi come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo è principalmente una crisi determinata dall’offerta, non dalla domanda.

Nel loro impeto di aumentare sempre più i profitti facendo prestiti, le banche europee hanno versato circa 2.5 trilioni di dollari alle economie europee che ora si trovano nei guai: Irlanda, Grecia, Belgio, Portogallo e Spagna. Le banche tedesche e francesi trattengono il 70% del debito di 400 miliardi di dollari della Grecia. Le banche tedesche sono state grandi compratrici di patrimoni di subprime dalle istituzioni finanziarie americane ed hanno applicato la stessa mancanza di discriminazione nel comprare i bond del governo greco. Da parte loro, le banche francesi, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, hanno aumentato i loro prestiti alla Grecia del 23%, alla Spagna dell’11%, al Portogallo del 26%.

La frenetica scena del credito greco non ha avuto come protagonisti i soli attori finanziari europei. La squadra della Goldman Sachs di Wall Street ha mostrato alle autorità finanziarie greche come degli strumenti finanziari, conosciuti come derivati, potevano essere usati per far “scomparire” grosse parti del debito, quindi far risultare buoni i conti nazionali a bancari impazienti di concedere ancora più prestiti. Poi, la stessa azienda ha fatto marcia indietro e, tramite un tipo di strumenti derivati commerciali conosciuti come “credit default swap” [sorta di assicurazione che il possessore di una obbligazione può contrarre per mettere al riparo l’importo investito, ndt], hanno scommesso sulla possibilità che la Grecia sarebbe venuta meno al pagamento, aumentando il tasso di interesse del paese dalle banche, ma ricavandone un piccolo profitto per se stessa.

Se c’è mai stata una crisi creata dalla finanza globale, la Grecia ne sta soffrendo proprio ora.

Dirottare la storia

Ci sono due motivi chiave per cui la storia della Grecia è diventata un racconto di ammonimento consumato dal tempo, che parla di persone che vivono al di là delle loro possibilità, piuttosto che un caso di irresponsabilità finanziaria da parte di investitori e bancari.

Prima di tutto, le istituzioni finanziarie hanno dirottato con successo la storia della crisi per il loro tornaconto personale. Le grandi banche ora sono davvero preoccupate delle terribili condizioni dei loro stati patrimoniali, indeboliti come sono dai patrimoni tossici di subprime che si sono accollati e rendendosi conto di aver sovraesteso gravemente le loro operazioni di prestito. Il modo principale con il quale cercano di ricostruire i loro stati patrimoniali è generare nuovi capitali usando i loro debitori come pedine. Come colonna portante di questa tragedia, le banche cercano di persuadere le autorità pubbliche a finanziarle ancora una volta, come fecero nella prima fase della crisi sotto forma di fondi di soccorso e tassi ufficiali di sconto ridotti.

Le banche erano fiduciose che i governi dominanti dell’Eurozona non avrebbero mai permesso il default alla Grecia ed agli altri paesi europei altamente indebitati, in quanto avrebbe portato al collasso dell’Euro. Con i mercati che scommettevano contro la Grecia ed il suo aumento del tasso di interesse, le banche sapevano che i governi dell’Eurozona sarebbero ricorsi a pacchetti di finanziamenti, la maggior parte dei quali sarebbero andanti incontro al pagamento degli interessi del debito greco. Promosso come un soccorso alla Grecia, il massiccio pacchetto di 100 miliardi di Euro, messo insieme dai governi dominanti dell’Eurozona e dal FMI, andrà per lo più in soccorso alle banche per la loro irresponsabile e sregolata smania dei prestiti.

Le banche e le istituzioni finanziarie internazionali hanno giocato lo stesso vecchio gioco della fiducia con i debitori nei paesi in via di sviluppo durante la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80, come anche in Thailandia ed Indonesia durante la crisi finanziaria in Asia negli anni ’90. Le stesse misure di austerità – conosciute poi come regolazioni strutturali – sono state la conseguenza dell’esagerazione dei prestiti delle banche del nord e degli speculatori. E c’è stato lo stesso scenario: addossare la colpa sulle vittime facendole apparire come persone che vivono al di là delle loro possibilità, fare in modo che le agenzie pubbliche vengano in soccorso con pagamenti anticipati ed accollare alla gente il terribile compito di ripagare il prestito impegnando una massiccia parte dei loro flussi di credito presenti e futuri come pagamenti alle agenzie di credito.

Senza dubbio le autorità stanno preparando simili massici pacchetti di soccorso da miliardi di Euro per le banche che si sono sovraestese in Spagna, Portogallo e Irlanda.

Riversare la colpa

Il secondo motivo per promuovere la storia del “vivere al di là delle loro possibilità”, nel caso della Grecia a degli altri paesi gravemente indebitati, è quello di deviare la pressione da una regolamentazione finanziaria più rigida, proveniente dai cittadini ed i governi dall’inizio della crisi. Le banche vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. Hanno assicurato fondi di finanziamento dai governi nella prima fase della crisi, ma non vogliono rispettare quello che i governi hanno presentato ai loro cittadini come parte essenziale dell’accordo: il rafforzamento della regolamentazione finanziaria.

I governi, dagli USA alla Cina e la Grecia, sono ricorsi a massicci programmi di politiche fiscali per prevenire il collasso dell’economia reale durante la prima fase della sua crisi. Promuovendo una storia che sposta l’attenzione dalla mancanza di regolamentazione finanziaria alle ingenti spese statali come problema chiave dell’economia globale, le banche cercano di prevenire l’imposizione di un severo regime normativo.

Ma questo è giocare con il fuoco. Il vincitore del Premio Nobel Paul Krugman ed altri avevano avvertito che se questa versione dei fatti avesse avuto successo, la mancanza di nuovi programmi di politica fiscale e severe normative bancarie avrebbero provocato una profonda recessione, se non una vera e propria depressione. Sfortunatamente, come suggerito dal recente meeting del G20 a Toronto, i governi dell’Europa e degli USA stanno cedendo all’agenda poco lungimirante delle banche, che hanno l’appoggio di ideologi neo-liberali irriducibili che continuano a vedere lo stato interventista ed attivista come il problema di fondo. Questi ideologi credono che una profonda recessione – e persino una depressione – sia il processo naturale tramite il quale un’economia si stabilizza e che questo modo keynesiano di spendere per evitare il collasso servirà solo a rimandare l’inevitabile.

Resistenza: farà la differenza?

I greci non stanno di certo a guardare. Lo scorso 8 luglio, l’approvazione del pacchetto UE-FMI da parte del parlamento greco è stata accolta con enormi proteste. In una precedente protesta, molto più estesa, lo scorso 5 maggio, 400.000 persone si sono unite nella più grande dimostrazione dai tempi della caduta della dittatura militare del 1974. Eppure, le proteste in strada sembrano servire poco ad evitare la catastrofe sociale che il programma UE-FMI scatenerà. L’economia è tale da contrarsi del 4% nel 2010. Secondo Alexis Tsipras, presidente della coalizione di sinistra del parlamento (Synapsismos), è probabile che il tasso di disoccupazione aumenti dal 15% al 20% in due anni, con un tasso del 30% previsto tra i giovani.

Come anche per la povertà, un recente sondaggio congiunto del Kapa Research e la London School of Economics ha rivelato che, anche prima della crisi attuale, quasi un terzo degli 11 milioni di greci vivevano sull’orlo della miseria. Questo processo di creare un “terzo mondo” all’interno della Grecia sarà accelerato dal programma di assestamento dell’UE e del FMI.

Ironicamente, questo assestamento è presieduto da un governo socialista, capeggiato da Georges Papandreou, eletto alla carica lo scorso ottobre per annullare la corruzione della precedente amministrazione conservatrice e gli effetti nocivi delle sue economie politiche. “All’interno del partito di Papandreou c’è resistenza nei confronti del piano dell’UE-FMI”, ammette Paulina Lampsa, il segretario internazionale del partito. Ma la sensazione schiacciante all’interno del contingente parlamentare del partito è, usando una famosa espressione di Margaret Thatcher, “TINA: There Is No Alternative” [Non ci sono alternative, ndt].

Le conseguenze dell’obbedienza

Di fronte alle conseguenze selvagge del programma, un numero sempre crescente di greci parla di adottare la strategia di minacciare il default o un radicale riduzione unilaterale del debito. Un tale approccio potrebbe essere coordinato, dice Tsipras, con gli altri paesi europei oppressi dai debiti, come il Portogallo e la Spagna. L’Argentina potrebbe fare da modello: ha dato un taglio alla percentuale dei suoi creditori nel 2003, pagando solo 25 cent per ogni dollaro che gli doveva. Non solo l’Argentina se l’è cavata così, ma le risorse che altrimenti avrebbero costituito interessi del debito che il paese doveva pagare sono state incanalate nell’economia domestica, dando il via ad una crescita economica media annuale del 10% tra il 2003 ed il 2008.

La “Soluzione Argentina” è di certo piena di rischi. Ma arrendersi ha delle conseguenze dolorosamente chiare, se si esaminano i registri dei paesi che hanno sottoscritto il programma di assestamento del FMI. Sganciando annualmente circa il 25-30% del bilancio statale per i creditori stranieri, le Filippine sono entrate in un decennio di inattività nella metà degli anni ’80, dalla quale non si sono mai riprese e che l’hanno condannate ad un tasso permanente di povertà di più del 30%. Spremuto da misure di assestamento draconiane, il Messico è stato risucchiato in vent’anni di continua crisi economica, con conseguenze come il dilagante narcotraffico che l’ha portato sul punto di essere uno stato fallito. L’attuale stato della guerra di classe virtuale in Thailandia può essere in parte fatto risalire alle ricadute politiche della sofferenza economica imposte dal programma di austerità del FMI dieci anni fa.

L’assestamento della Grecia da parte di Bruxelles e del FMI mostra che il capitalismo finanziario alle prese con la crisi non rispetta più la divisione tra Nord e Sud. I cinici direbbero: “Benvenuta nel Terzo Mondo, Grecia”.

Ma questo non è il momento per il cinismo. Piuttosto, è un momento chiave per la solidarietà globale. Ci siamo tutti dentro, adesso.
DI WALDEN BELLO

Titolo originale: "Greek Mythology: The Real Story of the European Debt Crisis"

Fonte: http://www.yesmagazine.org

30 luglio 2010

Wikileaks cancella le omissioni

Se qualcuno sottovaluta l’oscuro potere omissivo di non dare le notizie, anche quelle certe e documentate, nascondendole dietro la cortina (quasi) impenetrabile del “top secret”, invocando (a sproposito) la “sicurezza nazionale”, egli è un suddito che accetta che la propria nazione agisca, come gli USA in Afghanistan, al di fuori di tutte le convenzioni internazionali, dove le torture, gli squadroni della morte, i bombardamenti sui civili, i suicidi dei soldati impegnati in queste porcherie, sono fatti da secretare come se non fossero mai accaduti.

Il sito wikileaks (leaks: falla, fuga, trapelare) ha pubblicato documenti relativi a tali informazioni. e quindi è solo grazie ad internet che abbiamo la certezza di queste notizie, che gettano pesantissimi dubbi sul fatto che gli USA siano una democrazia, visto che è il Pentagono a decidere la prosecuzione di una guerra, feroce, fuori da ogni controllo internazionale (dov’è l’ONU?), nascondendo ai contribuenti americani che, dopo 8 anni e spese enormi, la partita è quasi sicuramente perduta, omettendo di dare notizie vere sull’ andamento del conflitto e quindi ritenendo i cittadini americani dei sudditi a cui dare solo le notizie gradite all’apparato militare.

Il fastidio con cui anche il presidente Obama ha reagito alla pubblicazione dei documenti su Wikileaks, dimostra che il suo potere non è grande come quello del Pentagono, tanto è vero che, invece di porre immediatamente fine a questa aggressione voluta da Bush, risparmiando vite e denaro, pensa addirittura ad un aumento del numero di soldati per una (impossibile) “vittoria”. Nemmeno di fronte ad una precisa documentazione del fallimento di questa guerra, ad una constatazione dei metodi terroristici usati dai mercenari del Pentagono, alle cifre sul numero dei morti e dei costi economici, ai suicidi e ai mutilati che, ritornati in patria, impazziscono e sparano nel mucchio, un Presidente americano è in grado di dare ordini al Pentagono (e quindi alla lobby degli armamenti), e far finire immediatamente questa follia.

La grande democrazia americana, nel caso che un presidente fermi il Pentagono, prevede la sola opzione di fermare il presidente, con una bella pallottola. Obama lo sa bene e si sdegna per la fuga di notizie, che naturalmente “mettono a rischio la sicurezza nazionale”.

Ecco la formula salvavita che protegge i politici dal potere del Pentagono e del “complesso militare industriale”, che è di gran lunga il primo potere americano, che ben ricorda il DNA di questa nazione, nata rubando la terra ai nativi, sterminandoli e, successivamente, basando il suo sviluppo sullo sfruttamento bestiale della schiavitù, il tutto a mano armata, Il litio, il rame, l’oro che sono abbondanti nel sottosuolo dell’Afghanistan, sono il vero scopo e la “lotta al terrorismo” e “l’esportazione della democrazia” sono le balle che i sudditi americani si bevono senza reagire. Ancora più paradossale appare la partecipazione dell’Italia, che, mentre perde uomini e soldi per compiacere il grande fratello USA, continua a sostenere che il mattatoio afgano è una missione di pace.

di Paolo De Gregorio

La morte della cartamoneta






Mentre si preparano per la lettura estiva in Toscana, i banchieri della City stanno facendo incetta delle rare copie di un testo oscuro sulla meccanica dell’inflazione durante la Repubblica di Weimar pubblicato nel 1974.

Ebay offre un volume letto e riletto di ‘Dying of Money : Lessons of the Great German and American Inflations’ ad un prezzo d’offerta iniziale di $699 dollari (senza spese di spedizione… grazie tante).

Il punto cruciale arriva al capitolo 17 intitolato ‘Velocity’. Ogni grande inflazione -- sia quella dei primi anni ’20 in Germania, che quella della guerra contro la Corea o il Vietnam negli Stati Uniti -- inizia con un’espansione passiva della quantità denaro. Che rimane inerte per un periodo sorprendentemente lungo. I prezzi delle azioni possono salire, ma l’inflazione latente dei prezzi è camuffata. L’effetto è simile a quello di una ricarica per accendini su un falò prima che sia stato ancora acceso il fiammifero.



La volontà delle persone di detenere il denaro può cambiare improvvisamente per una ‘ragione psicologica e spontanea’, provocando una punta della velocità [di circolazione] monetaria. Invariabilmente, i cambiamenti colgono gli economisti di sorpresa. Aspettano troppo per drenare l’eccesso di denaro.

‘La velocità è salita quasi ad angolo retto nell’estate del 1922’, ha detto il sig. O Parsson. I funzionari della Reichsbank erano perplessi. Non riuscivano a capacitarsi del perché i tedeschi avessero iniziato a comportarsi in modo diverso quasi due anni dopo che la banca aveva già aumentato la fornitura di denaro. Sostiene che la pazienza del pubblico è saltata di colpo nel momento in cui la gente ha perso fiducia ed ha incominciato a ‘sentire puzza di bruciato nel governo’.

Qualcuno sorride di fronte alla ‘sorpresa’ della Banca d’Inghilterra per il recente aumento dell’inflazione in Gran Bretagna. Dall’altra parte dell’Atlantico i critici della Fed dicono che la crescita della base monetaria degli USA da $871 bilioni di dollari a $2024 bilioni di dollari in due soli anni è una pira incendiaria che prenderà fuoco non appena la velocità del denaro negli USA tornerà alla normalità.

La Morgan Stanley si aspetta una carneficina delle obbligazioni quando questa raggiungerà la Fed, predicendo che il rendimenti dei buoni del tesoro americani saliranno al 5,5 per cento. Questo non è mai successo finora. I rendimenti di 10 anni sono scesi al 3 per cento, e la velocità dell’aggregato monetario M2 è rimasta ai minimi storici di 1,72.

Come appartenente alla fazione della deflazione, credo che la Banca e la Fed abbiano ragione a mantenere i nervi saldi e a ritardare la sospensione dello stimolo -- anche se è una tesi più facile da sostenere negli Stati Uniti dove l’inflazione core è scesa al minimo dalla metà degli anni ’60. Ma il fatto che il libro di O Parsson sia improvvisamente richiesto nei circoli elitari dei banchieri è in sé un segno del genere di cambiamento del comportamento che può diventare fine a se stesso[1] .

Per l’appunto, un altro libro degli anni ’70 intitolato ‘When Money Dies : the Nightmare of the Weimar Hyper-Inflation’ è stato appena ristampato. Scritto dall’ex parlamentare europeo conservatore Adam Fergusson -- e consigliato da Warren Buffett come un libro da leggere assolutamente -- si tratta di un vivido resoconto tratto dai diari di coloro che hanno vissuto durante il fermento in Germania, in Austria e in Ungheria mentre gli imperi andavano smembrandosi.

La vicina guerra civile tra città e campagna era un tratto comune in questo crollo dell’ordine sociale. Frotte di cittadini mezzi morti di fame e vendicativi invadevano i villaggi per sottrarre cibo agli allevatori, accusati di accaparrarselo. Il diario di una ragazza ha descritto la scena nella fattoria di suo cugino. Ha scritto: ‘nella carretta ho visto tre maiali macellati. La stalla era tutta bagnata di sangue. Una vacca era stata macellata lì dove si trovava e le era stata strappata la carne dalle ossa. Quei mostri avevano tagliato la mammella della miglior mucca da latte, così che l’abbiamo dovuta sopprimere immediatamente. Nel granaio uno straccio bagnato di benzina bruciava ancora, a dimostrazione di quello che queste bestie avrebbero voluto fare’.

I pianoforti a coda divennero una sorta di moneta di scambio mentre i membri impoveriti delle elite dei funzionari pubblici barattavano i simboli del loro vecchio status con un sacco di patate o con un pezzo di pancetta. C’è un momento straziante in cui ciascuna famiglia borghese inizia a capire che i loro titoli di prim’ordine e il loro ‘war loan’, (il prestito di guerra) non riprenderanno mai più. Li aspetta la rovina irreversibile. Delle coppie di anziani si sono suicidate con il gas nei loro appartamenti. Gli stranieri con i dollari, le sterline, i franchi svizzeri o le corone ceche vivevano nell’opulenza. Venivano odiati. ‘I tempi che corrono ci hanno reso cinici. Tutti vedono il nemico in tutti gli altri’, ha detto Erna von Pustau, figlia di un mercante di pesce di Amburgo.

Un gran numero di persone non hanno intuito quello che sarebbe successo. ‘i miei conoscenti e i miei amici erano degli stupidi. Non capivano cosa volesse dire l’inflazione. E i nostri avvocati non erano di meglio. Il direttore di banca di mia madre le ha dato dei consigli terribili’ ha detto una signora con conoscenze influenti.

‘Si vedeva gradualmente cambiare l’aspetto dei loro appartamenti. Ci si ricordava dove una volta c’era stato un quadro o un tappeto, o un secretaire. Alla fine le loro stanze erano quasi del tutto vuote. Alcuni di loro chiedevano l’elemosina -- non per le strade -- ma facendo visite casuali. Si sapeva fin troppo bene per che cosa erano venuti’.

La corruzione divenne incontrollata. La gente per strada veniva derubata del cappotto e delle scarpe con il coltello puntato. I vincitori erano quelli che -- per sorte o per piano -- avevano ottenuto ingenti prestiti dalle banche per investire su beni concreti, o conglomerati industriali che avevano emesso obbligazioni. Ci fu un grande trasferimento di ricchezza da risparmiatore a debitore, nonostante il Reichstag abbia in seguito approvato una legge che legava i vecchi contratti al prezzo dell’oro. I creditori hanno recuperato qualcosa.

Prese piede una teoria di cospirazione che l’inflazione fosse un complotto degli ebrei per rovinare la Germania. La valuta venne definita ‘Judenfetzen’ (coriandoli – ebrei), accennando alla catena di eventi che avrebbero portato dieci anni dopo alla Kristallnacht.

Se la storia di Weimar è uno studio senza tempo di disintegrazione sociale, non può far molta luce sugli eventi del giorno d’oggi. La causa scatenante finale del crollo del 1923 fu l’occupazione francese della Ruhr, che ha strappato un grosso pezzo dell’industria tedesca, innescando una resistenza di massa.

Lloyd George sospettava che i Francesi stessero cercando di far precipitare la disintegrazione della Germania sostenendo lo stato secessionista della Renania (come effettivamente facevano). Per un breve periodo i ribelli hanno formato un governo separatista a Dusseldorf. Con giustizia poetica, la crisi si è ritorta contro Parigi ed ha distrutto il franco.

La pace cartaginese di Versailles aveva a quel punto già avvelenato tutto. Era un dovere patriottico non pagare le tasse che sarebbero state sequestrate per i pagamenti delle riparazioni di guerra al nemico. Influenzata dai bolsceviti, la Germania era diventata un calderone comunista. Gli spartachisti hanno cercato di prendere il controllo di Berlino. I ‘soviet’ lavoratori proliferavano. Gli scaricatori di porto e i lavoratori marittimi occuparono le centrali di polizia ed eressero barricate ad Amburgo. Centinaia di comunisti rossi combatterono battaglie letali contro le milizie di destra.

I nostalgici complottavano per la ristorazione della monarchia di Baviera dei Wittelsbach e della vecchia valuta, il tallero sostenuto dall’oro. Il senato di Brema emise le proprie banconote legate all’oro. Altri emisero valute legate al prezzo della segale.

Questo non è il quadro dell’America, della Gran Bretagna, né dell’Europa del 2010. Ma dovremmo stare attenti a non abbracciare la teoria opposta e troppo rassicurante che questa non sia altro che una lieve ripetizione della “decade persa” del Giappone, ossia uno scivolamento lento ed ampiamente benevolo nella deflazione, mentre il deleveraging del debito esercita la sua disciplina.

Il Giappone era il maggior creditore esterno del mondo quando la bolla del Nikkei è scoppiata vent’anni fa. Aveva un tasso di risparmio privato pari al 15 per cento del PIL. I Giapponesi hanno gradualmente ridotto questo tasso al 2 per cento, attutendo gli effetti della lunga depressione. Ma gli anglosassoni non hanno questa possibilità.

C’è la chiara tentazione per l’Occidente di districarsi dagli errori della bolla degli asset di Greenspan, della bolla del credito di Brown, e dalla bolla sovrana dell’UME automaticamente attraverso l’inflazione. Ma questo rappresenta un pericolo per gli anni a venire. Per prima cosa abbiamo lo shock della deflazione della vita. Dopo -- e solo a questo punto -- le banche centrali saranno disposte a rischiare di perdere il controllo del loro esperimento di stampa, mentre decolla la velocità. Un problema alla volta per favore.

di Ambrose Evans-Pritchard

Fonte: www.telegraph.co.uk

31 luglio 2010

LA VERA STORIA DELLA CRISI DEL DEBITO EUROPEO




I caffè di Atene sono pieni, frotte di turisti visitano ancora il Partenone e saltano da un’isola all’altra nel favoloso Egeo. Ma sotto la facciata estiva, c’è confusione, rabbia e disperazione mentre il paese precipita nella sua peggiore crisi degli ultimi decenni.

I media mondiali hanno presentato la Grecia, la piccola Grecia, come l’epicentro della seconda fase della crisi finanziaria internazionale, allo stesso modo in cui ha ritratto Wall Street come il ground zero della sua prima fase.

Tuttavia, si riscontra un’interessante differenza nelle storie che girano attorno a questi due episodi.

Storie in conflitto

Le attività sregolate delle istituzioni finanziarie, che hanno creato strumenti ancora più complessi per moltiplicare magicamente il denaro, hanno portato al crollo di Wall Street che si è trasformato nella crisi finanziaria globale.

Con la Grecia, tuttavia, la narrazione popolare recita così: questo paese ha raggiunto un insostenibile livello di indebitamento per costruire uno stato di welfare che non poteva permettersi, ed ora è visto come lo spendaccione che deve stringere al cinghia. Bruxelles, Berlino e le banche sono gli austeri puritani che esigono una penitenza dagli edonisti del Mediterraneo per aver vissuto al di là delle loro possibilità e per aver peccato d’orgoglio ospitando le costose Olimpiadi del 2004.

Questa penitenza arriva sotto forma di un programma dell’UE e del FMI che prevederà l’aumento del tasso nazionale dell’IVA al 23%, l’estensione dell’età di pensionamento a 65 anni, sia per gli uomini che per le donne, dei tagli profondi alle pensioni ed ai salari del settore pubblico e l’eliminazione delle pratiche che promuovono la sicurezza di lavoro. Lo scopo apparente di questa mossa è di snellire lo stato di welfare e lasciare che i greci vivano nell’ambito delle loro possibilità.

Sebbene la storia dello stato di welfare presenti degli sprazzi di verità, è fondamentalmente scorretta. La crisi greca ha essenzialmente origine dallo stesso impulso frenetico del capitale finanziario di trarre profitto dalla massiccia ed indiscriminata estensione del credito che ha portato all’implosione di Wall Street. La crisi greca rientra nel modello disegnato da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel loro libro This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly [“Stavolta è Diverso: Otto Secoli di Follia Finanziaria”, ndt] – periodi di prestiti sfrenati e speculativi seguiti inesorabilmente da default dei debiti pubblici, o quasi default. Come la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80 e quella finanziaria in Asia negli ultimi anni ’90, il cosiddetto problema del debito pubblico di paesi come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo è principalmente una crisi determinata dall’offerta, non dalla domanda.

Nel loro impeto di aumentare sempre più i profitti facendo prestiti, le banche europee hanno versato circa 2.5 trilioni di dollari alle economie europee che ora si trovano nei guai: Irlanda, Grecia, Belgio, Portogallo e Spagna. Le banche tedesche e francesi trattengono il 70% del debito di 400 miliardi di dollari della Grecia. Le banche tedesche sono state grandi compratrici di patrimoni di subprime dalle istituzioni finanziarie americane ed hanno applicato la stessa mancanza di discriminazione nel comprare i bond del governo greco. Da parte loro, le banche francesi, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, hanno aumentato i loro prestiti alla Grecia del 23%, alla Spagna dell’11%, al Portogallo del 26%.

La frenetica scena del credito greco non ha avuto come protagonisti i soli attori finanziari europei. La squadra della Goldman Sachs di Wall Street ha mostrato alle autorità finanziarie greche come degli strumenti finanziari, conosciuti come derivati, potevano essere usati per far “scomparire” grosse parti del debito, quindi far risultare buoni i conti nazionali a bancari impazienti di concedere ancora più prestiti. Poi, la stessa azienda ha fatto marcia indietro e, tramite un tipo di strumenti derivati commerciali conosciuti come “credit default swap” [sorta di assicurazione che il possessore di una obbligazione può contrarre per mettere al riparo l’importo investito, ndt], hanno scommesso sulla possibilità che la Grecia sarebbe venuta meno al pagamento, aumentando il tasso di interesse del paese dalle banche, ma ricavandone un piccolo profitto per se stessa.

Se c’è mai stata una crisi creata dalla finanza globale, la Grecia ne sta soffrendo proprio ora.

Dirottare la storia

Ci sono due motivi chiave per cui la storia della Grecia è diventata un racconto di ammonimento consumato dal tempo, che parla di persone che vivono al di là delle loro possibilità, piuttosto che un caso di irresponsabilità finanziaria da parte di investitori e bancari.

Prima di tutto, le istituzioni finanziarie hanno dirottato con successo la storia della crisi per il loro tornaconto personale. Le grandi banche ora sono davvero preoccupate delle terribili condizioni dei loro stati patrimoniali, indeboliti come sono dai patrimoni tossici di subprime che si sono accollati e rendendosi conto di aver sovraesteso gravemente le loro operazioni di prestito. Il modo principale con il quale cercano di ricostruire i loro stati patrimoniali è generare nuovi capitali usando i loro debitori come pedine. Come colonna portante di questa tragedia, le banche cercano di persuadere le autorità pubbliche a finanziarle ancora una volta, come fecero nella prima fase della crisi sotto forma di fondi di soccorso e tassi ufficiali di sconto ridotti.

Le banche erano fiduciose che i governi dominanti dell’Eurozona non avrebbero mai permesso il default alla Grecia ed agli altri paesi europei altamente indebitati, in quanto avrebbe portato al collasso dell’Euro. Con i mercati che scommettevano contro la Grecia ed il suo aumento del tasso di interesse, le banche sapevano che i governi dell’Eurozona sarebbero ricorsi a pacchetti di finanziamenti, la maggior parte dei quali sarebbero andanti incontro al pagamento degli interessi del debito greco. Promosso come un soccorso alla Grecia, il massiccio pacchetto di 100 miliardi di Euro, messo insieme dai governi dominanti dell’Eurozona e dal FMI, andrà per lo più in soccorso alle banche per la loro irresponsabile e sregolata smania dei prestiti.

Le banche e le istituzioni finanziarie internazionali hanno giocato lo stesso vecchio gioco della fiducia con i debitori nei paesi in via di sviluppo durante la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80, come anche in Thailandia ed Indonesia durante la crisi finanziaria in Asia negli anni ’90. Le stesse misure di austerità – conosciute poi come regolazioni strutturali – sono state la conseguenza dell’esagerazione dei prestiti delle banche del nord e degli speculatori. E c’è stato lo stesso scenario: addossare la colpa sulle vittime facendole apparire come persone che vivono al di là delle loro possibilità, fare in modo che le agenzie pubbliche vengano in soccorso con pagamenti anticipati ed accollare alla gente il terribile compito di ripagare il prestito impegnando una massiccia parte dei loro flussi di credito presenti e futuri come pagamenti alle agenzie di credito.

Senza dubbio le autorità stanno preparando simili massici pacchetti di soccorso da miliardi di Euro per le banche che si sono sovraestese in Spagna, Portogallo e Irlanda.

Riversare la colpa

Il secondo motivo per promuovere la storia del “vivere al di là delle loro possibilità”, nel caso della Grecia a degli altri paesi gravemente indebitati, è quello di deviare la pressione da una regolamentazione finanziaria più rigida, proveniente dai cittadini ed i governi dall’inizio della crisi. Le banche vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. Hanno assicurato fondi di finanziamento dai governi nella prima fase della crisi, ma non vogliono rispettare quello che i governi hanno presentato ai loro cittadini come parte essenziale dell’accordo: il rafforzamento della regolamentazione finanziaria.

I governi, dagli USA alla Cina e la Grecia, sono ricorsi a massicci programmi di politiche fiscali per prevenire il collasso dell’economia reale durante la prima fase della sua crisi. Promuovendo una storia che sposta l’attenzione dalla mancanza di regolamentazione finanziaria alle ingenti spese statali come problema chiave dell’economia globale, le banche cercano di prevenire l’imposizione di un severo regime normativo.

Ma questo è giocare con il fuoco. Il vincitore del Premio Nobel Paul Krugman ed altri avevano avvertito che se questa versione dei fatti avesse avuto successo, la mancanza di nuovi programmi di politica fiscale e severe normative bancarie avrebbero provocato una profonda recessione, se non una vera e propria depressione. Sfortunatamente, come suggerito dal recente meeting del G20 a Toronto, i governi dell’Europa e degli USA stanno cedendo all’agenda poco lungimirante delle banche, che hanno l’appoggio di ideologi neo-liberali irriducibili che continuano a vedere lo stato interventista ed attivista come il problema di fondo. Questi ideologi credono che una profonda recessione – e persino una depressione – sia il processo naturale tramite il quale un’economia si stabilizza e che questo modo keynesiano di spendere per evitare il collasso servirà solo a rimandare l’inevitabile.

Resistenza: farà la differenza?

I greci non stanno di certo a guardare. Lo scorso 8 luglio, l’approvazione del pacchetto UE-FMI da parte del parlamento greco è stata accolta con enormi proteste. In una precedente protesta, molto più estesa, lo scorso 5 maggio, 400.000 persone si sono unite nella più grande dimostrazione dai tempi della caduta della dittatura militare del 1974. Eppure, le proteste in strada sembrano servire poco ad evitare la catastrofe sociale che il programma UE-FMI scatenerà. L’economia è tale da contrarsi del 4% nel 2010. Secondo Alexis Tsipras, presidente della coalizione di sinistra del parlamento (Synapsismos), è probabile che il tasso di disoccupazione aumenti dal 15% al 20% in due anni, con un tasso del 30% previsto tra i giovani.

Come anche per la povertà, un recente sondaggio congiunto del Kapa Research e la London School of Economics ha rivelato che, anche prima della crisi attuale, quasi un terzo degli 11 milioni di greci vivevano sull’orlo della miseria. Questo processo di creare un “terzo mondo” all’interno della Grecia sarà accelerato dal programma di assestamento dell’UE e del FMI.

Ironicamente, questo assestamento è presieduto da un governo socialista, capeggiato da Georges Papandreou, eletto alla carica lo scorso ottobre per annullare la corruzione della precedente amministrazione conservatrice e gli effetti nocivi delle sue economie politiche. “All’interno del partito di Papandreou c’è resistenza nei confronti del piano dell’UE-FMI”, ammette Paulina Lampsa, il segretario internazionale del partito. Ma la sensazione schiacciante all’interno del contingente parlamentare del partito è, usando una famosa espressione di Margaret Thatcher, “TINA: There Is No Alternative” [Non ci sono alternative, ndt].

Le conseguenze dell’obbedienza

Di fronte alle conseguenze selvagge del programma, un numero sempre crescente di greci parla di adottare la strategia di minacciare il default o un radicale riduzione unilaterale del debito. Un tale approccio potrebbe essere coordinato, dice Tsipras, con gli altri paesi europei oppressi dai debiti, come il Portogallo e la Spagna. L’Argentina potrebbe fare da modello: ha dato un taglio alla percentuale dei suoi creditori nel 2003, pagando solo 25 cent per ogni dollaro che gli doveva. Non solo l’Argentina se l’è cavata così, ma le risorse che altrimenti avrebbero costituito interessi del debito che il paese doveva pagare sono state incanalate nell’economia domestica, dando il via ad una crescita economica media annuale del 10% tra il 2003 ed il 2008.

La “Soluzione Argentina” è di certo piena di rischi. Ma arrendersi ha delle conseguenze dolorosamente chiare, se si esaminano i registri dei paesi che hanno sottoscritto il programma di assestamento del FMI. Sganciando annualmente circa il 25-30% del bilancio statale per i creditori stranieri, le Filippine sono entrate in un decennio di inattività nella metà degli anni ’80, dalla quale non si sono mai riprese e che l’hanno condannate ad un tasso permanente di povertà di più del 30%. Spremuto da misure di assestamento draconiane, il Messico è stato risucchiato in vent’anni di continua crisi economica, con conseguenze come il dilagante narcotraffico che l’ha portato sul punto di essere uno stato fallito. L’attuale stato della guerra di classe virtuale in Thailandia può essere in parte fatto risalire alle ricadute politiche della sofferenza economica imposte dal programma di austerità del FMI dieci anni fa.

L’assestamento della Grecia da parte di Bruxelles e del FMI mostra che il capitalismo finanziario alle prese con la crisi non rispetta più la divisione tra Nord e Sud. I cinici direbbero: “Benvenuta nel Terzo Mondo, Grecia”.

Ma questo non è il momento per il cinismo. Piuttosto, è un momento chiave per la solidarietà globale. Ci siamo tutti dentro, adesso.
DI WALDEN BELLO

Titolo originale: "Greek Mythology: The Real Story of the European Debt Crisis"

Fonte: http://www.yesmagazine.org

30 luglio 2010

Wikileaks cancella le omissioni

Se qualcuno sottovaluta l’oscuro potere omissivo di non dare le notizie, anche quelle certe e documentate, nascondendole dietro la cortina (quasi) impenetrabile del “top secret”, invocando (a sproposito) la “sicurezza nazionale”, egli è un suddito che accetta che la propria nazione agisca, come gli USA in Afghanistan, al di fuori di tutte le convenzioni internazionali, dove le torture, gli squadroni della morte, i bombardamenti sui civili, i suicidi dei soldati impegnati in queste porcherie, sono fatti da secretare come se non fossero mai accaduti.

Il sito wikileaks (leaks: falla, fuga, trapelare) ha pubblicato documenti relativi a tali informazioni. e quindi è solo grazie ad internet che abbiamo la certezza di queste notizie, che gettano pesantissimi dubbi sul fatto che gli USA siano una democrazia, visto che è il Pentagono a decidere la prosecuzione di una guerra, feroce, fuori da ogni controllo internazionale (dov’è l’ONU?), nascondendo ai contribuenti americani che, dopo 8 anni e spese enormi, la partita è quasi sicuramente perduta, omettendo di dare notizie vere sull’ andamento del conflitto e quindi ritenendo i cittadini americani dei sudditi a cui dare solo le notizie gradite all’apparato militare.

Il fastidio con cui anche il presidente Obama ha reagito alla pubblicazione dei documenti su Wikileaks, dimostra che il suo potere non è grande come quello del Pentagono, tanto è vero che, invece di porre immediatamente fine a questa aggressione voluta da Bush, risparmiando vite e denaro, pensa addirittura ad un aumento del numero di soldati per una (impossibile) “vittoria”. Nemmeno di fronte ad una precisa documentazione del fallimento di questa guerra, ad una constatazione dei metodi terroristici usati dai mercenari del Pentagono, alle cifre sul numero dei morti e dei costi economici, ai suicidi e ai mutilati che, ritornati in patria, impazziscono e sparano nel mucchio, un Presidente americano è in grado di dare ordini al Pentagono (e quindi alla lobby degli armamenti), e far finire immediatamente questa follia.

La grande democrazia americana, nel caso che un presidente fermi il Pentagono, prevede la sola opzione di fermare il presidente, con una bella pallottola. Obama lo sa bene e si sdegna per la fuga di notizie, che naturalmente “mettono a rischio la sicurezza nazionale”.

Ecco la formula salvavita che protegge i politici dal potere del Pentagono e del “complesso militare industriale”, che è di gran lunga il primo potere americano, che ben ricorda il DNA di questa nazione, nata rubando la terra ai nativi, sterminandoli e, successivamente, basando il suo sviluppo sullo sfruttamento bestiale della schiavitù, il tutto a mano armata, Il litio, il rame, l’oro che sono abbondanti nel sottosuolo dell’Afghanistan, sono il vero scopo e la “lotta al terrorismo” e “l’esportazione della democrazia” sono le balle che i sudditi americani si bevono senza reagire. Ancora più paradossale appare la partecipazione dell’Italia, che, mentre perde uomini e soldi per compiacere il grande fratello USA, continua a sostenere che il mattatoio afgano è una missione di pace.

di Paolo De Gregorio

La morte della cartamoneta






Mentre si preparano per la lettura estiva in Toscana, i banchieri della City stanno facendo incetta delle rare copie di un testo oscuro sulla meccanica dell’inflazione durante la Repubblica di Weimar pubblicato nel 1974.

Ebay offre un volume letto e riletto di ‘Dying of Money : Lessons of the Great German and American Inflations’ ad un prezzo d’offerta iniziale di $699 dollari (senza spese di spedizione… grazie tante).

Il punto cruciale arriva al capitolo 17 intitolato ‘Velocity’. Ogni grande inflazione -- sia quella dei primi anni ’20 in Germania, che quella della guerra contro la Corea o il Vietnam negli Stati Uniti -- inizia con un’espansione passiva della quantità denaro. Che rimane inerte per un periodo sorprendentemente lungo. I prezzi delle azioni possono salire, ma l’inflazione latente dei prezzi è camuffata. L’effetto è simile a quello di una ricarica per accendini su un falò prima che sia stato ancora acceso il fiammifero.



La volontà delle persone di detenere il denaro può cambiare improvvisamente per una ‘ragione psicologica e spontanea’, provocando una punta della velocità [di circolazione] monetaria. Invariabilmente, i cambiamenti colgono gli economisti di sorpresa. Aspettano troppo per drenare l’eccesso di denaro.

‘La velocità è salita quasi ad angolo retto nell’estate del 1922’, ha detto il sig. O Parsson. I funzionari della Reichsbank erano perplessi. Non riuscivano a capacitarsi del perché i tedeschi avessero iniziato a comportarsi in modo diverso quasi due anni dopo che la banca aveva già aumentato la fornitura di denaro. Sostiene che la pazienza del pubblico è saltata di colpo nel momento in cui la gente ha perso fiducia ed ha incominciato a ‘sentire puzza di bruciato nel governo’.

Qualcuno sorride di fronte alla ‘sorpresa’ della Banca d’Inghilterra per il recente aumento dell’inflazione in Gran Bretagna. Dall’altra parte dell’Atlantico i critici della Fed dicono che la crescita della base monetaria degli USA da $871 bilioni di dollari a $2024 bilioni di dollari in due soli anni è una pira incendiaria che prenderà fuoco non appena la velocità del denaro negli USA tornerà alla normalità.

La Morgan Stanley si aspetta una carneficina delle obbligazioni quando questa raggiungerà la Fed, predicendo che il rendimenti dei buoni del tesoro americani saliranno al 5,5 per cento. Questo non è mai successo finora. I rendimenti di 10 anni sono scesi al 3 per cento, e la velocità dell’aggregato monetario M2 è rimasta ai minimi storici di 1,72.

Come appartenente alla fazione della deflazione, credo che la Banca e la Fed abbiano ragione a mantenere i nervi saldi e a ritardare la sospensione dello stimolo -- anche se è una tesi più facile da sostenere negli Stati Uniti dove l’inflazione core è scesa al minimo dalla metà degli anni ’60. Ma il fatto che il libro di O Parsson sia improvvisamente richiesto nei circoli elitari dei banchieri è in sé un segno del genere di cambiamento del comportamento che può diventare fine a se stesso[1] .

Per l’appunto, un altro libro degli anni ’70 intitolato ‘When Money Dies : the Nightmare of the Weimar Hyper-Inflation’ è stato appena ristampato. Scritto dall’ex parlamentare europeo conservatore Adam Fergusson -- e consigliato da Warren Buffett come un libro da leggere assolutamente -- si tratta di un vivido resoconto tratto dai diari di coloro che hanno vissuto durante il fermento in Germania, in Austria e in Ungheria mentre gli imperi andavano smembrandosi.

La vicina guerra civile tra città e campagna era un tratto comune in questo crollo dell’ordine sociale. Frotte di cittadini mezzi morti di fame e vendicativi invadevano i villaggi per sottrarre cibo agli allevatori, accusati di accaparrarselo. Il diario di una ragazza ha descritto la scena nella fattoria di suo cugino. Ha scritto: ‘nella carretta ho visto tre maiali macellati. La stalla era tutta bagnata di sangue. Una vacca era stata macellata lì dove si trovava e le era stata strappata la carne dalle ossa. Quei mostri avevano tagliato la mammella della miglior mucca da latte, così che l’abbiamo dovuta sopprimere immediatamente. Nel granaio uno straccio bagnato di benzina bruciava ancora, a dimostrazione di quello che queste bestie avrebbero voluto fare’.

I pianoforti a coda divennero una sorta di moneta di scambio mentre i membri impoveriti delle elite dei funzionari pubblici barattavano i simboli del loro vecchio status con un sacco di patate o con un pezzo di pancetta. C’è un momento straziante in cui ciascuna famiglia borghese inizia a capire che i loro titoli di prim’ordine e il loro ‘war loan’, (il prestito di guerra) non riprenderanno mai più. Li aspetta la rovina irreversibile. Delle coppie di anziani si sono suicidate con il gas nei loro appartamenti. Gli stranieri con i dollari, le sterline, i franchi svizzeri o le corone ceche vivevano nell’opulenza. Venivano odiati. ‘I tempi che corrono ci hanno reso cinici. Tutti vedono il nemico in tutti gli altri’, ha detto Erna von Pustau, figlia di un mercante di pesce di Amburgo.

Un gran numero di persone non hanno intuito quello che sarebbe successo. ‘i miei conoscenti e i miei amici erano degli stupidi. Non capivano cosa volesse dire l’inflazione. E i nostri avvocati non erano di meglio. Il direttore di banca di mia madre le ha dato dei consigli terribili’ ha detto una signora con conoscenze influenti.

‘Si vedeva gradualmente cambiare l’aspetto dei loro appartamenti. Ci si ricordava dove una volta c’era stato un quadro o un tappeto, o un secretaire. Alla fine le loro stanze erano quasi del tutto vuote. Alcuni di loro chiedevano l’elemosina -- non per le strade -- ma facendo visite casuali. Si sapeva fin troppo bene per che cosa erano venuti’.

La corruzione divenne incontrollata. La gente per strada veniva derubata del cappotto e delle scarpe con il coltello puntato. I vincitori erano quelli che -- per sorte o per piano -- avevano ottenuto ingenti prestiti dalle banche per investire su beni concreti, o conglomerati industriali che avevano emesso obbligazioni. Ci fu un grande trasferimento di ricchezza da risparmiatore a debitore, nonostante il Reichstag abbia in seguito approvato una legge che legava i vecchi contratti al prezzo dell’oro. I creditori hanno recuperato qualcosa.

Prese piede una teoria di cospirazione che l’inflazione fosse un complotto degli ebrei per rovinare la Germania. La valuta venne definita ‘Judenfetzen’ (coriandoli – ebrei), accennando alla catena di eventi che avrebbero portato dieci anni dopo alla Kristallnacht.

Se la storia di Weimar è uno studio senza tempo di disintegrazione sociale, non può far molta luce sugli eventi del giorno d’oggi. La causa scatenante finale del crollo del 1923 fu l’occupazione francese della Ruhr, che ha strappato un grosso pezzo dell’industria tedesca, innescando una resistenza di massa.

Lloyd George sospettava che i Francesi stessero cercando di far precipitare la disintegrazione della Germania sostenendo lo stato secessionista della Renania (come effettivamente facevano). Per un breve periodo i ribelli hanno formato un governo separatista a Dusseldorf. Con giustizia poetica, la crisi si è ritorta contro Parigi ed ha distrutto il franco.

La pace cartaginese di Versailles aveva a quel punto già avvelenato tutto. Era un dovere patriottico non pagare le tasse che sarebbero state sequestrate per i pagamenti delle riparazioni di guerra al nemico. Influenzata dai bolsceviti, la Germania era diventata un calderone comunista. Gli spartachisti hanno cercato di prendere il controllo di Berlino. I ‘soviet’ lavoratori proliferavano. Gli scaricatori di porto e i lavoratori marittimi occuparono le centrali di polizia ed eressero barricate ad Amburgo. Centinaia di comunisti rossi combatterono battaglie letali contro le milizie di destra.

I nostalgici complottavano per la ristorazione della monarchia di Baviera dei Wittelsbach e della vecchia valuta, il tallero sostenuto dall’oro. Il senato di Brema emise le proprie banconote legate all’oro. Altri emisero valute legate al prezzo della segale.

Questo non è il quadro dell’America, della Gran Bretagna, né dell’Europa del 2010. Ma dovremmo stare attenti a non abbracciare la teoria opposta e troppo rassicurante che questa non sia altro che una lieve ripetizione della “decade persa” del Giappone, ossia uno scivolamento lento ed ampiamente benevolo nella deflazione, mentre il deleveraging del debito esercita la sua disciplina.

Il Giappone era il maggior creditore esterno del mondo quando la bolla del Nikkei è scoppiata vent’anni fa. Aveva un tasso di risparmio privato pari al 15 per cento del PIL. I Giapponesi hanno gradualmente ridotto questo tasso al 2 per cento, attutendo gli effetti della lunga depressione. Ma gli anglosassoni non hanno questa possibilità.

C’è la chiara tentazione per l’Occidente di districarsi dagli errori della bolla degli asset di Greenspan, della bolla del credito di Brown, e dalla bolla sovrana dell’UME automaticamente attraverso l’inflazione. Ma questo rappresenta un pericolo per gli anni a venire. Per prima cosa abbiamo lo shock della deflazione della vita. Dopo -- e solo a questo punto -- le banche centrali saranno disposte a rischiare di perdere il controllo del loro esperimento di stampa, mentre decolla la velocità. Un problema alla volta per favore.

di Ambrose Evans-Pritchard

Fonte: www.telegraph.co.uk