30 luglio 2010

Wikileaks cancella le omissioni

Se qualcuno sottovaluta l’oscuro potere omissivo di non dare le notizie, anche quelle certe e documentate, nascondendole dietro la cortina (quasi) impenetrabile del “top secret”, invocando (a sproposito) la “sicurezza nazionale”, egli è un suddito che accetta che la propria nazione agisca, come gli USA in Afghanistan, al di fuori di tutte le convenzioni internazionali, dove le torture, gli squadroni della morte, i bombardamenti sui civili, i suicidi dei soldati impegnati in queste porcherie, sono fatti da secretare come se non fossero mai accaduti.

Il sito wikileaks (leaks: falla, fuga, trapelare) ha pubblicato documenti relativi a tali informazioni. e quindi è solo grazie ad internet che abbiamo la certezza di queste notizie, che gettano pesantissimi dubbi sul fatto che gli USA siano una democrazia, visto che è il Pentagono a decidere la prosecuzione di una guerra, feroce, fuori da ogni controllo internazionale (dov’è l’ONU?), nascondendo ai contribuenti americani che, dopo 8 anni e spese enormi, la partita è quasi sicuramente perduta, omettendo di dare notizie vere sull’ andamento del conflitto e quindi ritenendo i cittadini americani dei sudditi a cui dare solo le notizie gradite all’apparato militare.

Il fastidio con cui anche il presidente Obama ha reagito alla pubblicazione dei documenti su Wikileaks, dimostra che il suo potere non è grande come quello del Pentagono, tanto è vero che, invece di porre immediatamente fine a questa aggressione voluta da Bush, risparmiando vite e denaro, pensa addirittura ad un aumento del numero di soldati per una (impossibile) “vittoria”. Nemmeno di fronte ad una precisa documentazione del fallimento di questa guerra, ad una constatazione dei metodi terroristici usati dai mercenari del Pentagono, alle cifre sul numero dei morti e dei costi economici, ai suicidi e ai mutilati che, ritornati in patria, impazziscono e sparano nel mucchio, un Presidente americano è in grado di dare ordini al Pentagono (e quindi alla lobby degli armamenti), e far finire immediatamente questa follia.

La grande democrazia americana, nel caso che un presidente fermi il Pentagono, prevede la sola opzione di fermare il presidente, con una bella pallottola. Obama lo sa bene e si sdegna per la fuga di notizie, che naturalmente “mettono a rischio la sicurezza nazionale”.

Ecco la formula salvavita che protegge i politici dal potere del Pentagono e del “complesso militare industriale”, che è di gran lunga il primo potere americano, che ben ricorda il DNA di questa nazione, nata rubando la terra ai nativi, sterminandoli e, successivamente, basando il suo sviluppo sullo sfruttamento bestiale della schiavitù, il tutto a mano armata, Il litio, il rame, l’oro che sono abbondanti nel sottosuolo dell’Afghanistan, sono il vero scopo e la “lotta al terrorismo” e “l’esportazione della democrazia” sono le balle che i sudditi americani si bevono senza reagire. Ancora più paradossale appare la partecipazione dell’Italia, che, mentre perde uomini e soldi per compiacere il grande fratello USA, continua a sostenere che il mattatoio afgano è una missione di pace.

di Paolo De Gregorio

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30 luglio 2010

Wikileaks cancella le omissioni

Se qualcuno sottovaluta l’oscuro potere omissivo di non dare le notizie, anche quelle certe e documentate, nascondendole dietro la cortina (quasi) impenetrabile del “top secret”, invocando (a sproposito) la “sicurezza nazionale”, egli è un suddito che accetta che la propria nazione agisca, come gli USA in Afghanistan, al di fuori di tutte le convenzioni internazionali, dove le torture, gli squadroni della morte, i bombardamenti sui civili, i suicidi dei soldati impegnati in queste porcherie, sono fatti da secretare come se non fossero mai accaduti.

Il sito wikileaks (leaks: falla, fuga, trapelare) ha pubblicato documenti relativi a tali informazioni. e quindi è solo grazie ad internet che abbiamo la certezza di queste notizie, che gettano pesantissimi dubbi sul fatto che gli USA siano una democrazia, visto che è il Pentagono a decidere la prosecuzione di una guerra, feroce, fuori da ogni controllo internazionale (dov’è l’ONU?), nascondendo ai contribuenti americani che, dopo 8 anni e spese enormi, la partita è quasi sicuramente perduta, omettendo di dare notizie vere sull’ andamento del conflitto e quindi ritenendo i cittadini americani dei sudditi a cui dare solo le notizie gradite all’apparato militare.

Il fastidio con cui anche il presidente Obama ha reagito alla pubblicazione dei documenti su Wikileaks, dimostra che il suo potere non è grande come quello del Pentagono, tanto è vero che, invece di porre immediatamente fine a questa aggressione voluta da Bush, risparmiando vite e denaro, pensa addirittura ad un aumento del numero di soldati per una (impossibile) “vittoria”. Nemmeno di fronte ad una precisa documentazione del fallimento di questa guerra, ad una constatazione dei metodi terroristici usati dai mercenari del Pentagono, alle cifre sul numero dei morti e dei costi economici, ai suicidi e ai mutilati che, ritornati in patria, impazziscono e sparano nel mucchio, un Presidente americano è in grado di dare ordini al Pentagono (e quindi alla lobby degli armamenti), e far finire immediatamente questa follia.

La grande democrazia americana, nel caso che un presidente fermi il Pentagono, prevede la sola opzione di fermare il presidente, con una bella pallottola. Obama lo sa bene e si sdegna per la fuga di notizie, che naturalmente “mettono a rischio la sicurezza nazionale”.

Ecco la formula salvavita che protegge i politici dal potere del Pentagono e del “complesso militare industriale”, che è di gran lunga il primo potere americano, che ben ricorda il DNA di questa nazione, nata rubando la terra ai nativi, sterminandoli e, successivamente, basando il suo sviluppo sullo sfruttamento bestiale della schiavitù, il tutto a mano armata, Il litio, il rame, l’oro che sono abbondanti nel sottosuolo dell’Afghanistan, sono il vero scopo e la “lotta al terrorismo” e “l’esportazione della democrazia” sono le balle che i sudditi americani si bevono senza reagire. Ancora più paradossale appare la partecipazione dell’Italia, che, mentre perde uomini e soldi per compiacere il grande fratello USA, continua a sostenere che il mattatoio afgano è una missione di pace.

di Paolo De Gregorio

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