23 novembre 2007
Quando il Parlamento europeo accusò il “sistema” berlusconiano “Raiset”.
Correva l’anno 2004, era di aprile e il Parlamento europeo, poco prima di chiudere i battenti per le nuove elezioni continentali, approvava a larga maggioranza trasversale una deliberazione sul pluralismo nei media, la libertà di comunicazione e i conflitti di interesse. In Italia era in piena funzione il “regime berlusconiano” nei media e, anche alla luce delle recenti intercettazioni telefoniche, esisteva un sistema di comprimere la realtà ad uso e consumo del Cavaliere di Arcore. L’anomalia italiana, rispetto alla situazione degli altri paesi europei saltò agli occhi dell’intero Parlamento europeo, allertato anche dagli esposti presentati da Articolo 21, dalla FNSI e dalla CGIL. “Parole al vento”, forse? Ma quell’atto di accusa istituzionale ora suona come profetico e anche come un monito a quanti tra gli organi di stampa, opinionisti “terzisti e cerchiobottisti”, preferirono voltarsi dall’altra parte o parlare di eccesso furore antiberlusconiano. Da allora l’Italia venne inserita nella lista degli “osservati speciali” dalle istituzioni internazionali che la retrocessero negli ultimi posti della speciale classifica sulla libertà fondamentali, come quella dell’informazione e del pluralismo. Ci voleva ,come sempre nella recente storia nazionale, l’intervento della magistratura, perché partiti e grande stampa si accorgessero del cancro che si stava insediando nel nostro sistema mediatico, senza che finora ( a 18 mesi dalla vittoria del centrosinistra) venisse cambiato lo stato delle cose. Speriamo che la lezione serva a qualcosa!
Ecco qui di seguito la parte della Risoluzione del Parlamento europeo.
"Situazione in Italia:
55. rileva che il tasso di concentrazione del mercato televisivo in Italia è oggi il più elevato d'Europa e che, nonostante l'offerta televisiva italiana consti di dodici canali nazionali e da dieci a quindici canali regionali e locali, il mercato è caratterizzato dal duopolio tra RAI e Mediaset, che complessivamente detengono quasi il 90% della quota totale di telespettatori e raccolgono il 96,8% delle risorse pubblicitarie, contro l'88% della Germania, l'82% della Gran Bretagna, il 77% della Francia e il 58% della Spagna;
56. rileva che il gruppo Mediaset è il più importante gruppo privato italiano nel settore delle comunicazioni e dei media televisivi e uno dei maggiori a livello mondiale, controllando tra l'altro reti televisive (RTI S.p.A.) e concessionarie di pubblicità (Publitalia '80), entrambe riconosciute formalmente in posizione dominante e in violazione della normativa nazionale (legge 249/97) dall'Autorità per la garanzia delle comunicazioni (delibera 226/03 ;
57. rileva che uno dei settori nel quale più evidente è il conflitto di interessi è quello della pubblicità, tanto che il gruppo Mediaset nel 2001 ha ottenuto i 2/3 delle risorse pubblicitarie televisive, pari ad un ammontare di 2500 milioni di euro, e che le principali società italiane hanno trasferito gran parte degli investimenti pubblicitari dalla carta stampata alle reti Mediaset e dalla Rai a Mediaset ;
58. rileva che il Presidente del Consiglio non ha risolto il suo conflitto di interessi, come si era esplicitamente impegnato, bensì ha incrementato la sua quota di controllo societario della società Mediaset (dal 48,639% al 51,023%): questa ha così ridotto drasticamente il proprio indebitamento netto, attraverso un sensibile incremento degli introiti pubblicitari a scapito delle entrate (e degli indici di ascolto) della concorrenza e, soprattutto, del finanziamento pubblicitario della carta stampata;
59. lamenta le ripetute e documentate ingerenze, pressioni e censure governative nell'organigramma e nella programmazione del servizio televisivo pubblico Rai (perfino nei programmi di satira), a partire dall'allontanamento di tre noti professionisti su clamorosa richiesta pubblica del Presidente del Consiglio nell'aprile 2002 – in un quadro in cui la maggioranza assoluta del consiglio di amministrazione della Rai e dell'apposito organo parlamentare di controllo è composta da membri dei partiti di governo; tali pressioni sono state poi estese anche su altri media non di sua proprietà, che hanno condotto fra l'altro, nel maggio 2003, alle dimissioni del direttore del Corriere della Sera;
60. rileva pertanto che il sistema italiano presenta un'anomalia dovuta a una combinazione unica di poteri economico, politico e mediatico nelle mani di un solo uomo, l'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri italiano e al fatto che il governo italiano è, direttamente o indirettamente, in controllo di tutti i canali televisivi nazionali;
61. prende atto del fatto che in Italia da decenni il sistema radiotelevisivo opera in una situazione di assenza di legalità, accertata ripetutamente dalla Corte costituzionale e di fronte alla quale il concorso del legislatore ordinario e delle istituzioni preposte è risultato incapace del ritorno ad un regime legale; Rai e Mediaset continuano a controllare ciascuna tre emittenti televisive analogiche terrestri, malgrado la Corte costituzionale, con la sentenza n. 420 del 1994, avesse statuito che non è consentito ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale (vale a dire più di due programmi), ed avesse definito il regime normativo della legge n. 223/90 contrario alla Costituzione italiana, pur essendo un "regime transitorio"; nemmeno la legge 249/97 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) aveva accolto le prescrizioni della Corte costituzionale che, con la sentenza 466/02, ne dichiarò l'illegittimità costituzionale limitatamente all'articolo 3, comma 7, "nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso articolo 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo";
62. prende atto del fatto che la Corte costituzionale italiana, nel novembre 2002 (causa 466/2002), ha dichiarato che " ...la formazione dell'esistente sistema televisivo italiano privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica trae origine da situazioni di mera occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell'etere ... La descritta situazione di fatto non garantisce, pertanto, l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli "imperativi" ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia ... In questo quadro la protrazione della situazione (peraltro aggravata) già ritenuta illegittima dalla sentenza n° 420 del 1994 ed il mantenimento delle reti considerate ancora "eccedenti" dal legislatore del 1997 esigono, ai fini della compatibilità con i principi costituzionali, che sia previsto un termine finale assolutamente certo, definitivo e dunque non eludibile" , e del fatto che ciononostante il termine per la riforma del settore audiovisivo non è stato rispettato e che il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge per la riforma del settore audiovisivo per un nuovo esame in quanto non conforme ai principi dichiarati dalla Corte costituzionale ;
63. prende atto altresì del fatto che gli indirizzi stabiliti dalla commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi per la concessionaria unica del servizio pubblico radiotelevisivo, come pure le numerose delibere, che certificano violazioni di legge da parte delle emittenti, adottate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (incaricata di far rispettare le leggi nel settore radiotelevisivo), non vengono rispettati dalle emittenti stesse che continuano a consentire l'accesso ai media televisivi nazionali in modo sostanzialmente arbitrario, persino in campagna elettorale;
64. auspica che la definizione legislativa, contenuta nel progetto di legge per la riforma del settore audiovisivo (Legge Gasparri, articolo 2, lettera G), del "sistema integrato delle comunicazioni" quale unico mercato rilevante non sia in contrasto con le regole comunitarie in materia di concorrenza, ai sensi dell'articolo 82 del trattato CE e di numerose sentenze della Corte di giustizia e non renda impossibile una definizione chiara e certa del mercato di riferimento;
65. auspica altresì che il "sistema di assegnazione delle frequenze", previsto dal progetto di legge Gasparri, non costituisca una mera legittimazione della situazione di fatto e che non si ponga in contrasto in particolare con la direttiva 2002/21/CE, con l'articolo 7 della direttiva 2002/20/CE e con la direttiva 2002/77/CE, le quali prevedono, fra l'altro, che l'attribuzione delle frequenze radio per i servizi di comunicazione elettronica si debba fondare su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati;
66. sottolinea la sua profonda preoccupazione circa la non applicazione della legge e la non esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale, in violazione del principio di legalità e dello Stato di diritto, nonché circa l'incapacità di riformare il settore audiovisivo, in conseguenza delle quali da decenni risulta considerevolmente indebolito il diritto dei cittadini a un'informazione pluralistica, diritto riconosciuto anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
67. esprime preoccupazione per il fatto che la situazione vigente in Italia possa insorgere in altri Stati membri e nei paesi in via di adesione qualora un magnate dei media decidesse di entrare in politica;
68. si rammarica che il Parlamento italiano non abbia ancora approvato una normativa per risolvere il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, così come era stato promesso che sarebbe avvenuto entro i primi cento giorni del governo;
69. ritiene che l'adozione di una riforma generale del settore audiovisivo possa essere facilitata qualora contenga salvaguardie specifiche e adeguate volte a prevenire attuali o futuri conflitti di interessi nelle attività dei responsabili locali, regionali o nazionali che detengono interessi sostanziali nel settore audiovisivo privato;
70. auspica inoltre che il disegno di legge Frattini sul conflitto di interessi non si limiti ad un riconoscimento di fatto del conflitto di interessi del Premier, ma preveda dispositivi adeguati per evitare il perdurare di questa situazione;
71. si rammarica del fatto che, se gli obblighi degli Stati membri di assicurare il pluralismo dei media fossero stati definiti dopo il Libro verde sul pluralismo del 1992, probabilmente si sarebbe potuta evitare l'attuale situazione in Italia.
Al monito del Parlamento europeo il governo di Berlusconi rispose a suo modo: da difensore dell'azienda del "padre- padrone". Furono così approvate due leggi "vergogna", la Frattini per il conflitto d'interessi e la Gasparri sulla riforma della Rai ed il sistema dei media. Oggi sappiamo a chi facevano comodo.
Gianni Rossi
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23 novembre 2007
Quando il Parlamento europeo accusò il “sistema” berlusconiano “Raiset”.
Correva l’anno 2004, era di aprile e il Parlamento europeo, poco prima di chiudere i battenti per le nuove elezioni continentali, approvava a larga maggioranza trasversale una deliberazione sul pluralismo nei media, la libertà di comunicazione e i conflitti di interesse. In Italia era in piena funzione il “regime berlusconiano” nei media e, anche alla luce delle recenti intercettazioni telefoniche, esisteva un sistema di comprimere la realtà ad uso e consumo del Cavaliere di Arcore. L’anomalia italiana, rispetto alla situazione degli altri paesi europei saltò agli occhi dell’intero Parlamento europeo, allertato anche dagli esposti presentati da Articolo 21, dalla FNSI e dalla CGIL. “Parole al vento”, forse? Ma quell’atto di accusa istituzionale ora suona come profetico e anche come un monito a quanti tra gli organi di stampa, opinionisti “terzisti e cerchiobottisti”, preferirono voltarsi dall’altra parte o parlare di eccesso furore antiberlusconiano. Da allora l’Italia venne inserita nella lista degli “osservati speciali” dalle istituzioni internazionali che la retrocessero negli ultimi posti della speciale classifica sulla libertà fondamentali, come quella dell’informazione e del pluralismo. Ci voleva ,come sempre nella recente storia nazionale, l’intervento della magistratura, perché partiti e grande stampa si accorgessero del cancro che si stava insediando nel nostro sistema mediatico, senza che finora ( a 18 mesi dalla vittoria del centrosinistra) venisse cambiato lo stato delle cose. Speriamo che la lezione serva a qualcosa!
Ecco qui di seguito la parte della Risoluzione del Parlamento europeo.
"Situazione in Italia:
55. rileva che il tasso di concentrazione del mercato televisivo in Italia è oggi il più elevato d'Europa e che, nonostante l'offerta televisiva italiana consti di dodici canali nazionali e da dieci a quindici canali regionali e locali, il mercato è caratterizzato dal duopolio tra RAI e Mediaset, che complessivamente detengono quasi il 90% della quota totale di telespettatori e raccolgono il 96,8% delle risorse pubblicitarie, contro l'88% della Germania, l'82% della Gran Bretagna, il 77% della Francia e il 58% della Spagna;
56. rileva che il gruppo Mediaset è il più importante gruppo privato italiano nel settore delle comunicazioni e dei media televisivi e uno dei maggiori a livello mondiale, controllando tra l'altro reti televisive (RTI S.p.A.) e concessionarie di pubblicità (Publitalia '80), entrambe riconosciute formalmente in posizione dominante e in violazione della normativa nazionale (legge 249/97) dall'Autorità per la garanzia delle comunicazioni (delibera 226/03 ;
57. rileva che uno dei settori nel quale più evidente è il conflitto di interessi è quello della pubblicità, tanto che il gruppo Mediaset nel 2001 ha ottenuto i 2/3 delle risorse pubblicitarie televisive, pari ad un ammontare di 2500 milioni di euro, e che le principali società italiane hanno trasferito gran parte degli investimenti pubblicitari dalla carta stampata alle reti Mediaset e dalla Rai a Mediaset ;
58. rileva che il Presidente del Consiglio non ha risolto il suo conflitto di interessi, come si era esplicitamente impegnato, bensì ha incrementato la sua quota di controllo societario della società Mediaset (dal 48,639% al 51,023%): questa ha così ridotto drasticamente il proprio indebitamento netto, attraverso un sensibile incremento degli introiti pubblicitari a scapito delle entrate (e degli indici di ascolto) della concorrenza e, soprattutto, del finanziamento pubblicitario della carta stampata;
59. lamenta le ripetute e documentate ingerenze, pressioni e censure governative nell'organigramma e nella programmazione del servizio televisivo pubblico Rai (perfino nei programmi di satira), a partire dall'allontanamento di tre noti professionisti su clamorosa richiesta pubblica del Presidente del Consiglio nell'aprile 2002 – in un quadro in cui la maggioranza assoluta del consiglio di amministrazione della Rai e dell'apposito organo parlamentare di controllo è composta da membri dei partiti di governo; tali pressioni sono state poi estese anche su altri media non di sua proprietà, che hanno condotto fra l'altro, nel maggio 2003, alle dimissioni del direttore del Corriere della Sera;
60. rileva pertanto che il sistema italiano presenta un'anomalia dovuta a una combinazione unica di poteri economico, politico e mediatico nelle mani di un solo uomo, l'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri italiano e al fatto che il governo italiano è, direttamente o indirettamente, in controllo di tutti i canali televisivi nazionali;
61. prende atto del fatto che in Italia da decenni il sistema radiotelevisivo opera in una situazione di assenza di legalità, accertata ripetutamente dalla Corte costituzionale e di fronte alla quale il concorso del legislatore ordinario e delle istituzioni preposte è risultato incapace del ritorno ad un regime legale; Rai e Mediaset continuano a controllare ciascuna tre emittenti televisive analogiche terrestri, malgrado la Corte costituzionale, con la sentenza n. 420 del 1994, avesse statuito che non è consentito ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale (vale a dire più di due programmi), ed avesse definito il regime normativo della legge n. 223/90 contrario alla Costituzione italiana, pur essendo un "regime transitorio"; nemmeno la legge 249/97 (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) aveva accolto le prescrizioni della Corte costituzionale che, con la sentenza 466/02, ne dichiarò l'illegittimità costituzionale limitatamente all'articolo 3, comma 7, "nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso articolo 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo";
62. prende atto del fatto che la Corte costituzionale italiana, nel novembre 2002 (causa 466/2002), ha dichiarato che " ...la formazione dell'esistente sistema televisivo italiano privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica trae origine da situazioni di mera occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell'etere ... La descritta situazione di fatto non garantisce, pertanto, l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli "imperativi" ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia ... In questo quadro la protrazione della situazione (peraltro aggravata) già ritenuta illegittima dalla sentenza n° 420 del 1994 ed il mantenimento delle reti considerate ancora "eccedenti" dal legislatore del 1997 esigono, ai fini della compatibilità con i principi costituzionali, che sia previsto un termine finale assolutamente certo, definitivo e dunque non eludibile" , e del fatto che ciononostante il termine per la riforma del settore audiovisivo non è stato rispettato e che il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge per la riforma del settore audiovisivo per un nuovo esame in quanto non conforme ai principi dichiarati dalla Corte costituzionale ;
63. prende atto altresì del fatto che gli indirizzi stabiliti dalla commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi per la concessionaria unica del servizio pubblico radiotelevisivo, come pure le numerose delibere, che certificano violazioni di legge da parte delle emittenti, adottate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (incaricata di far rispettare le leggi nel settore radiotelevisivo), non vengono rispettati dalle emittenti stesse che continuano a consentire l'accesso ai media televisivi nazionali in modo sostanzialmente arbitrario, persino in campagna elettorale;
64. auspica che la definizione legislativa, contenuta nel progetto di legge per la riforma del settore audiovisivo (Legge Gasparri, articolo 2, lettera G), del "sistema integrato delle comunicazioni" quale unico mercato rilevante non sia in contrasto con le regole comunitarie in materia di concorrenza, ai sensi dell'articolo 82 del trattato CE e di numerose sentenze della Corte di giustizia e non renda impossibile una definizione chiara e certa del mercato di riferimento;
65. auspica altresì che il "sistema di assegnazione delle frequenze", previsto dal progetto di legge Gasparri, non costituisca una mera legittimazione della situazione di fatto e che non si ponga in contrasto in particolare con la direttiva 2002/21/CE, con l'articolo 7 della direttiva 2002/20/CE e con la direttiva 2002/77/CE, le quali prevedono, fra l'altro, che l'attribuzione delle frequenze radio per i servizi di comunicazione elettronica si debba fondare su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati;
66. sottolinea la sua profonda preoccupazione circa la non applicazione della legge e la non esecuzione delle sentenze della Corte costituzionale, in violazione del principio di legalità e dello Stato di diritto, nonché circa l'incapacità di riformare il settore audiovisivo, in conseguenza delle quali da decenni risulta considerevolmente indebolito il diritto dei cittadini a un'informazione pluralistica, diritto riconosciuto anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
67. esprime preoccupazione per il fatto che la situazione vigente in Italia possa insorgere in altri Stati membri e nei paesi in via di adesione qualora un magnate dei media decidesse di entrare in politica;
68. si rammarica che il Parlamento italiano non abbia ancora approvato una normativa per risolvere il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, così come era stato promesso che sarebbe avvenuto entro i primi cento giorni del governo;
69. ritiene che l'adozione di una riforma generale del settore audiovisivo possa essere facilitata qualora contenga salvaguardie specifiche e adeguate volte a prevenire attuali o futuri conflitti di interessi nelle attività dei responsabili locali, regionali o nazionali che detengono interessi sostanziali nel settore audiovisivo privato;
70. auspica inoltre che il disegno di legge Frattini sul conflitto di interessi non si limiti ad un riconoscimento di fatto del conflitto di interessi del Premier, ma preveda dispositivi adeguati per evitare il perdurare di questa situazione;
71. si rammarica del fatto che, se gli obblighi degli Stati membri di assicurare il pluralismo dei media fossero stati definiti dopo il Libro verde sul pluralismo del 1992, probabilmente si sarebbe potuta evitare l'attuale situazione in Italia.
Al monito del Parlamento europeo il governo di Berlusconi rispose a suo modo: da difensore dell'azienda del "padre- padrone". Furono così approvate due leggi "vergogna", la Frattini per il conflitto d'interessi e la Gasparri sulla riforma della Rai ed il sistema dei media. Oggi sappiamo a chi facevano comodo.
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