01 giugno 2011

Per le liberalizzazioni si avvelena anche il Panebianco...


Nell'editoriale di sabato 28 maggio, dalla prima pagina del Corriere della Sera, Angelo Panebianco nel tirare la volata elettorale del centro-sinistra per i ballottaggi di Milano e Napoli, rilancia l'agenda liberista. I primi risultati sono già registrabili: la sottosegretario Melchiorre (grazie al solito pretesto del caso) si dimette e si fanno sempre più insistenti i rumors di un PdL allo sfaldamento più completo, con gruppi autonomi pronti a nascere in Parlamento.

L'analisi di Panebianco è la seguente: la rivoluzione liberale di Berlusconi non c'è stata; la gente si aspettava liberalizzazioni e privatizzazioni che non ci sono state; ergo, la “sinistra” è più funzionale della “destra” all'accoppamento della “società corporativa”. Dunque per Panebianco, il bacino elettorale di Berlusconi starebbe disaffezionandosi al centro-destra perché non ha fatto le liberalizzazioni delle professioni, dei servizi pubblici locali, etc. etc.

Si badi al fatto che questo editoriale arriva qualche giorno dopo l'ennesima richiesta di liberalizzazioni avanzata dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.

È evidente che la riflessione di Panebianco soffre di quel peccato originale tipico di quella cultura radical chic (chiamata anche liberale) che niente ha a che fare con la vita della gente comune. Il centro-destra, infatti, ha centrato la propria vittoria elettorale e l'allargamento della sua base di consenso, proprio su elementi contrari rispetto a quanto detto da Panebianco: il centro-destra, in campagna elettorale, mai ha parlato di liberalizzazioni e privatizzazioni. Invero, lo fece ben poco anche il centro-sinistra! Infatti, dopo le liberalizzazioni e privatizzazioni degli anni '90 – dal commercio, ai servizi finanziari, all'industria nazionale, alle banche d'interesse nazionale, al mercato del lavoro, ai canoni abitativi e commerciali – la gente comune ha oramai ben chiaro il pacco che si cela dietro questo riformismo dagli evidenti risvolti oligarchici. Grazie a liberalizzazioni e privatizzazioni, ciò che è in mano pubblica o diffuso tra i piccoli imprenditori, finisce nelle mani di una ristretta oligarchia finanziaria: paradossalmente, la stessa che detiene quei giornali da cui poi scrivono panibianchi e panineri e che poi finanzia politici e partiti, finendo col controllare “riformatore” e “riformato”.

Contrariamente agli esiti a cui porterebbero le soluzioni implicite all'analisi di Panebianco, la crisi del centro-destra di Governo, comincia nel momento in cui esso da forza di opposizione al macro-sistema (almeno nei proclami) diviene forza a quest'ultimo subordinata. La crisi del centro-destra comincia quando la denuncia contro la speculazione e le banche – che aveva caratterizzato tutta la campagna elettorale, come impostata da Giulio Tremonti (non a caso il ministro più amato dal popolo italiano, nonostante l'ingrato compito di “tagliatore” … ci si chieda se Padoa-Schioppa, Visco, Amato, Ciampi o Dini siano così amati) – si affievolisce; quando i tagli a cui il macro-sistema dell'euro e della globalizzazione finanziaria diretta dal Fondo monetario internazionale e dalle agenzie private di rating, cominciano, a dispetto dei salvataggi bancari a cui l'Italia partecipa con i fondi europei, a farsi sentire sul tessuto dell'economia reale: riducendo spesa per sanità, infrastrutture, istruzione, giustizia e forze di polizia, ed obbligando all'accanimento fiscale (recentemente denunciato dallo stesso primo dirigente delle Finanze, Attilio Befera). Tutta roba che ha portato la gente comune a dire: “Anche con questo Governo, in fin dei conti, tutto come con la sinistra!”.

Dunque le motivazioni della crisi in cui versa in questo momento il centro-destra, sono proprio quelle contrarie a quelle indicate dal Panebianco avvelenato.

O la spinta anti-sistema, contro la speculazione delle banche e delle istituzioni finanziarie, ed il loro conseguente controllo dell'intera società, diventa più forte e più concreta, superando la semplice fase della denuncia, o il sistema politico italiano è destinato al consueto gioco dell'alternanza – proprio come in ogni parte del mondo occidentale – tra forze politiche controllate da un'oligarchia finanziaria internazionale che non vuole cambiare il modello – parafrasando Panebianco – della società supercorporativa.

Claudio Giudici – MoviSol

Nessun commento:

01 giugno 2011

Per le liberalizzazioni si avvelena anche il Panebianco...


Nell'editoriale di sabato 28 maggio, dalla prima pagina del Corriere della Sera, Angelo Panebianco nel tirare la volata elettorale del centro-sinistra per i ballottaggi di Milano e Napoli, rilancia l'agenda liberista. I primi risultati sono già registrabili: la sottosegretario Melchiorre (grazie al solito pretesto del caso) si dimette e si fanno sempre più insistenti i rumors di un PdL allo sfaldamento più completo, con gruppi autonomi pronti a nascere in Parlamento.

L'analisi di Panebianco è la seguente: la rivoluzione liberale di Berlusconi non c'è stata; la gente si aspettava liberalizzazioni e privatizzazioni che non ci sono state; ergo, la “sinistra” è più funzionale della “destra” all'accoppamento della “società corporativa”. Dunque per Panebianco, il bacino elettorale di Berlusconi starebbe disaffezionandosi al centro-destra perché non ha fatto le liberalizzazioni delle professioni, dei servizi pubblici locali, etc. etc.

Si badi al fatto che questo editoriale arriva qualche giorno dopo l'ennesima richiesta di liberalizzazioni avanzata dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.

È evidente che la riflessione di Panebianco soffre di quel peccato originale tipico di quella cultura radical chic (chiamata anche liberale) che niente ha a che fare con la vita della gente comune. Il centro-destra, infatti, ha centrato la propria vittoria elettorale e l'allargamento della sua base di consenso, proprio su elementi contrari rispetto a quanto detto da Panebianco: il centro-destra, in campagna elettorale, mai ha parlato di liberalizzazioni e privatizzazioni. Invero, lo fece ben poco anche il centro-sinistra! Infatti, dopo le liberalizzazioni e privatizzazioni degli anni '90 – dal commercio, ai servizi finanziari, all'industria nazionale, alle banche d'interesse nazionale, al mercato del lavoro, ai canoni abitativi e commerciali – la gente comune ha oramai ben chiaro il pacco che si cela dietro questo riformismo dagli evidenti risvolti oligarchici. Grazie a liberalizzazioni e privatizzazioni, ciò che è in mano pubblica o diffuso tra i piccoli imprenditori, finisce nelle mani di una ristretta oligarchia finanziaria: paradossalmente, la stessa che detiene quei giornali da cui poi scrivono panibianchi e panineri e che poi finanzia politici e partiti, finendo col controllare “riformatore” e “riformato”.

Contrariamente agli esiti a cui porterebbero le soluzioni implicite all'analisi di Panebianco, la crisi del centro-destra di Governo, comincia nel momento in cui esso da forza di opposizione al macro-sistema (almeno nei proclami) diviene forza a quest'ultimo subordinata. La crisi del centro-destra comincia quando la denuncia contro la speculazione e le banche – che aveva caratterizzato tutta la campagna elettorale, come impostata da Giulio Tremonti (non a caso il ministro più amato dal popolo italiano, nonostante l'ingrato compito di “tagliatore” … ci si chieda se Padoa-Schioppa, Visco, Amato, Ciampi o Dini siano così amati) – si affievolisce; quando i tagli a cui il macro-sistema dell'euro e della globalizzazione finanziaria diretta dal Fondo monetario internazionale e dalle agenzie private di rating, cominciano, a dispetto dei salvataggi bancari a cui l'Italia partecipa con i fondi europei, a farsi sentire sul tessuto dell'economia reale: riducendo spesa per sanità, infrastrutture, istruzione, giustizia e forze di polizia, ed obbligando all'accanimento fiscale (recentemente denunciato dallo stesso primo dirigente delle Finanze, Attilio Befera). Tutta roba che ha portato la gente comune a dire: “Anche con questo Governo, in fin dei conti, tutto come con la sinistra!”.

Dunque le motivazioni della crisi in cui versa in questo momento il centro-destra, sono proprio quelle contrarie a quelle indicate dal Panebianco avvelenato.

O la spinta anti-sistema, contro la speculazione delle banche e delle istituzioni finanziarie, ed il loro conseguente controllo dell'intera società, diventa più forte e più concreta, superando la semplice fase della denuncia, o il sistema politico italiano è destinato al consueto gioco dell'alternanza – proprio come in ogni parte del mondo occidentale – tra forze politiche controllate da un'oligarchia finanziaria internazionale che non vuole cambiare il modello – parafrasando Panebianco – della società supercorporativa.

Claudio Giudici – MoviSol

Nessun commento: