15 novembre 2010

Dobbiamo mettere in galera i banchieri, o l’economia non si riprenderà







Come hanno ripetutamente detto economisti come William Black e James Galbraith, non possiamo risolvere la crisi economica se non chiudiamo in galera i criminali che hanno commesso le frodi.
E l’economista premio Nobel George Akerlof ha dimostrato che la mancata punizione dei criminali dai colletti bianchi – ma invece il loro salvataggio – crea incentivi a commettere ancora altri reati economici in futuro, e all’ulteriore distruzione della economia.

Anche Stiglitz, premio Nobel per l’economia, dichiara a Yahoo Daily Finanza il 20 ottobre:
“Questo è un punto veramente importante da capire, dal punto di vista della nostra società.

L’ordinamento giuridico si suppone essere la codificazione delle nostre norme e credenze, cose di cui abbiamo bisogno per far sì che il nostro sistema possa funzionare. Se questo ordinamento viene considerato come una forma di sfruttamento, allora la fiducia nell’intero sistema comincia a mancare. E questo è proprio il problema che si sta verificando.


Nei prestiti auto stanno andando avanti un sacco di pratiche predatorie. Perché deve essere OK effettuare operazioni di prestito a rischio nelle automobili e non nel mercato dei mutui? C’è un qualche principio che lo giustifica? Sappiamo tutti la risposta. No, non c’è nessun principio. Si tratta di soldi. Si tratta di contributi elettorali, lobbying, porte girevoli, tutto questo genere di cose. Il sistema è destinata a favorire effettivamente questo genere di cose, anche con le multe. [riferendosi all' ex CEO di Countrywide Angelo Mozillo, che recentemente ha pagato decine di milioni di dollari in multe, una piccola frazione di quello che ha effettivamente guadagnato, perché ha guadagnato centinaia di milioni.]

Conosco molte persone che dicono che è uno scandalo il fatto che abbiamo avuto più responsabilità negli anni ’80 con la crisi S & L, rispetto a quella che stiamo dimostrando oggi. Sì, noi li multiamo, e qual è la grande lezione? Comportati male, e il governo ti prenderà il 5% o il 10% del tuo maltolto, ma tu te ne starai bene accomodato con diverse centinaia di milioni di dollari ancora disponibili dopo aver pagato le multe, che sembrano molto grandi per gli ordinari standard, ma risultano molto ridotte rispetto all’ammontare che sei stato in grado di incassare.

Così il sistema è impostato in modo che anche se sei colto sul fatto, la pena è comunque una piccolezza rispetto a quello con cui te ne potrai andare a casa.
La multa è solo un costo del business. E’ come un bel parcheggio. Talvolta si prende la decisione di parcheggiare pur sapendo che si potrebbe prendere la multa, perché a svoltare l’angolo per parcheggiare meglio si perde troppo tempo.
Penso che dobbiamo andare a fare quello che abbiamo fatto con S & L, ed effettivamente mettere molta di questa gente in carcere. Assolutamente. Questi non sono solo reati dei colletti bianchi o piccoli incidenti. Ci sono state vittime. Questo è il punto. Ci sono state vittime in tutto il mondo.

Abbiamo forse fiducia che questa gente, che ci ha messo nel caos, abbia davvero cambiato idea? In realtà possiamo avere una discreta convizione che non siano cambiati affatto. Ho assistito ad alcuni interventi in cui è stato detto “Nulla è stato veramente sbagliato. Le cose non sono andate molto bene. Ma la nostra comprensione delle questioni è ora abbastanza approfondita”. Se pensano questo, allora siamo veramente in un brutto guaio.

Ci sono molti modi per dissuadere le persone dal commettere reato. Gli economisti fanno leva sul concetto degli incentivi. Le persone a volte hanno un incentivo a comportarsi male, perché imbrogliando possono fare più soldi. Se il nostro sistema economico deve funzionare, allora dobbiamo fare in modo che ciò che si guadagna con la truffa sia controbilanciato da un sistema di sanzioni.

Ed è per questo, per esempio, che nella nostra legge antitrust spesso non si beccano le persone che commettono reato, ma quando lo si fa, ci sono risarcimenti elevatissimi. Si paga tre volte l’importo del danno che si produce. Questo è un forte deterrente. Purtroppo, quello che stiamo facendo adesso, e nei più recenti crimini finanziari, è accontentarsi di frazioni – frazioni! – dei danni diretti, e addirittura una frazione ancor più piccola del danno totale della società. Vale a dire, il settore finanziario ha realmente fatto crollare l’economia mondiale e, se si includono tutti i danni collaterali, in realtà si tratta di migliaia di miliardi di dollari. Ma c’è un’accezione più ampia di danni collaterali che io penso che non sia stata realmente considerata. E’ la fiducia nel nostro sistema giuridico, nel nostro Stato di diritto, nel nostro sistema di giustizia. Quando si menziona il “Patto di fedeltà e obbedienza” si intende con questo “giustizia per tutti”. La gente non è più sicura che ci sia giustizia per tutti. Qualcuno e’ fermato per un reato minore di droga, e viene chiuso in carcere per molto tempo. E invece, per questi cosiddetti delitti dei colletti bianchi, che non sono senza vittime, quasi nessuno di queste persone, proprio quasi nessuno di loro, va in prigione.

Lasciatemi fare un altro esempio di una parte del nostro sistema giuridico molto guasta e mal funzionante, e che ha contribuito alla crisi finanziaria.
Nel 2005, abbiamo approvato una riforma della legge fallimentare. E ‘stata una riforma voluta dalle banche. E’ stata progettata per permettere loro di fare prestiti a rischio a persone ignare di come funziona, e quindi fondamentalmente per strangolarli. Prosciugarli. Avremmo dovuto chiamarla “la nuova legge sulla servitù a contratto”. Perché questo è quello che ha fatto. Lasciatemi solo dirvi quanto è cattiva questa legge. Non credo che gli americani capiscano quanto sia cattiva. Diventa davvero molto difficile per le persone ripagare i loro debiti. In passato un principio basilare in America era che la gente ha diritto a ricominciare. Le persone possono commettere errori, soprattutto quando sono depredate. E così si dovrebbe essere in grado di ripartire di nuovo. Prendi un foglio bianco. Paga quello che puoi e ricomincia. Naturalmente, se lo fai più e più volte questa è una storia diversa. Ma almeno quando si ha a che fare con questi istituti di credito predatori, si dovrebbe essere in grado di ottenere un nuovo inizio. Ma le banche hanno detto: “No, no, non si può scaricare il debito”, o non è possibile scaricarlo molto facilmente. Si tratta di servitù a contratto.
E noi critichiamo altri paesi per avere servitù a contratto di questo tipo, lavoro coatto. Ma noi in America lo abbiamo istituito nel 2005, con quasi nessuna discussione sulle conseguenze. Ciò che ha provocato è stato di spingere le banche ad impegnarsi in pratiche di prestito anche peggiori.

Le banche vogliono far finta che non concedevano crediti inesigibili. Non vogliono ammettere la realtà. Il fatto è che loro hanno opportunamente cambiato i principi contabili, in modo che i prestiti che sono inesigibili, in cui le persone non pagano quello che devono pagare, sono trattati come se fossero mutui con buone prestazioni.
Così tutta la strategia delle banche è stata quella di nascondere le perdite, cavarsela e ottenere che il governo mantenga i tassi di interesse molto bassi. Il risultato di questo, per tutto il tempo che continueremo con questa strategia, è che ci vorrà molto tempo prima che l’economia possa riprendersi ….
di Joseph Stiglitz

09 novembre 2010

Il sogno americano si trasforma in incubo

L'America non fa che sognare anche se adesso il sogno si è trasformato in un incubo. Il primo presidente di colore non fa sognare più l'America ma è diventato la causa dei suoi incubi. Disoccupazione al 10%, crescita anemica, una riforma sanitaria che non piace nè ai ricchi nè ai poveri perché costruita su complicatissimi compromessi politici, una guerra in Afghanistan che non si vince ne si vincerà. Queste, agli occhi degli americani, le conseguenze della politica di Obama. Nessuno, neppure la stampa che da giorni dà addosso al presidente, riflette che in due anni si può fare ben poco, sia nel bene, sia nel male, e che gran parte del cataclisma economico che ancora affligge l'America Obama l'ha ereditato.

È vero, l'ha gestito male, ma si trattava e si tratta ancora di una crisi di dimensioni "bibliche".

Unico vero errore, forse, è stato spingere al massimo la riforma sanitaria in un momento in cui al Paese serviva ben altro.

L'ostilità nei confronti dell'ex messia Obama nasce dal fatto che l'America è da sempre vittima di illusioni politiche. Il divario tra Washington e Wall Street da una parte ed il resto del Paese dall'altra è enorme e viene regolarmente colmato dalla propaganda politica. Come l'americano medio sa pochissimo sulla riforma sanitaria e sulle vere responsabilità del presidente, così sa poco o nulla sulla distribuzione del reddito a casa sua. Ce lo racconta uno studio condotto da due psicologi americani, Dan Ariely della Duke University e Michael Norton dell'Harvard Business School. Gli americani pensano di vivere in un Paese dove il 20% più ricco della popolazione controlla il 59% della ricchezza, quando invece i ricchi si spartiscono l'89%; sono anche convinti che il 20% dei più poveri usufruisca del 3,7% quando la cifra esatta è un misero 0.1%.
Ma non basta, tutti ancora credono che questo sia il Paese delle grandi opportunità. In realtà è vero il contrario. Secondo uno studio dell'economista Miles Corak dell'università di Ottawa in Canada, gli Stati Uniti sono i penultimi al mondo, dopo il Regno Unito, in termini di mobilità salariale tra le generazioni. Se nasci povero rimani povero.

Quando poi si chiede agli americani quale debba essere la ripartizione giusta sognano quella dei paesi scandinavi: i più ricchi dovrebbero avere il 32% ed i più poveri il 10%. Nessuno però è disposto a pagare più tasse per ottenere questa distribuzione. Quando finalmente l'America si risveglierà sarà difficile accettare la realtà.

di Loretta Napoleoni

08 novembre 2010

La dittatura della pubblicità

verbal-abuse-2

Da quando vidi il film Il maschio e la femmina (1966) la prima volta avevo l’età dei suoi protagonisti e me ne colpì l’intelligenza nella descrizione dei disagi e speranze di una generazione. Ma quel che più ne ricordo è la scritta che, a bruciapelo e senza necessità evidente, interrompeva una scena per affermare che «la pubblicità è il fascismo del nostro tempo». Si è governato e si governa, in gran parte del mondo occidentale, con gli strumenti del consenso e del consumo, riuscendo quasi sempre a evitare il manganello e la censura diretta. Col companatico al posto del pane, la televisione al posto dei giochi del circo (ultima variante i festival di letteratura e altra cultura) e con la pubblicità.

Pubblicità in senso lato – di uno stile di vita, di un modello di società propagandato come il migliore o l’unico possibile – ma che anche nel senso specifico e ristretto di un tipo di comunicazione che mira a far acquistare delle cose. Il potere della pubblicità è cresciuto enormemente, la stampa, per esempio, ne vive e ne è ricattata, le leggi che la limitavano sono state progressivamente abbattute e ci sono riviste dove le pagine di testo sono un terzo di quelle riservate alla pubblicità, senza considerare la pubblicità indiretta.

Fu Vance Packard per primo a denunciare questo attentato alla democrazia e alla libertà dell’informazione in un libro celebre, I persuasori occulti, a metà degli anni cinquanta. A noi poteva sembrare fantascienza, ma poi, come in molti altri campi, la fantascienza è diventata realtà, e come “genere” letterario è quasi scomparso (riprende oggi, mascherato, nella più accorta letteratura per ragazzi). Anche la battuta di Godard, che al suo tempo indicava una preoccupazione o una messa in guardia, è oggi una constatazione.

Un’idea moderna di pubblicità è esplosa in Italia negli anni sessanta, prima la pubblicità era secondaria, rozza, poco o niente mediata. Su un giornale degli anni trenta o quaranta la pubblicità di un lassativo si serviva dell’immagine celebre dell’incontro tra Dante e Beatrice lungo l’Arno accompagnata dal verso della Commedia «Io son Beatrice che ti faccio andare». Poi, col boom, vennero le grandi agenzie e la leva dei professorini che avevano sulla scrivania dei loro uffici milanesi e torinesi (l’ho visto coi miei occhi, ho avuto molti amici che si sono dati a quel mestiere) le opere di Jung e altri studiosi di simboli e miti, di immagini archetipiche, di studi sull’inconscio. La pubblicità si faceva furba e intellettuale, un settore in enorme espansione. Non sembrava disdicevole farne una professione.

La fase successiva è il ’68: quando si trattò di trovare lavoro molti passarono dal movimento alla pubblicità, soprattutto a Milano (più assai di quelli che finirono nel giornalismo o nella politica istituzionale, ma ovviamente meno di quelli finiti nella scuola). Ne vennero una perdita di sottigliezza, messaggi sempre meno velati, una aggressività via via più volgare e diretta.

I giornali sono brutti anche per i ricatti della pubblicità. E se sfogliamo un quotidiano di quelli importanti (che sono due, forse tre, in stretto legame con lotte e intrighi del potere, dominatori dell’informazione bacata e nemici giurati della riflessione e delle connessioni) vediamo che vi si fronteggiano pagine di cronaca raccapricciante e di pubblicità da mondo dei sogni. E colpisce il leit-motiv, il tormentone sessuale: chi compra un’automobile X o Y scopa meglio e di più, e questo vale per una scatola di piselli o una birra, un computer o un best-seller, e volti e corpi di giovani robot da film americano imbecille vi si offrono spudoratamente, come in un Eden ritrovato dove ogni albero, animale o nuvola serve solo a veicolare un unico messaggio: comprate, solo così sarete felici.

La sua logica è berlusconiana, ma chi protesta per altre forme di manipolazione trova questa normale, o meglio, la trovano normale i giornali e i giornalisti che se ne nutrono. L’elargizione della pubblicità Fiat, per esempio, è stato un modo di influire sui giornali della sinistra, anche quelli apparentemente più liberi.

La manipolazione pubblicitaria incide in profondità sulla salute mentale e sulla morale dei destinatari dei loro messaggi, e su quelli della Repubblica. È espressione del fascismo del nostro tempo. Dopo la guerra, molti figli chiesero ai padri come si erano comportati sotto fascismo o nazismo. Accadrà anche in Italia, dopo il trentennio che muore? Sarebbe sano, ma non succederà.

di Goffredo Fofi

15 novembre 2010

Dobbiamo mettere in galera i banchieri, o l’economia non si riprenderà







Come hanno ripetutamente detto economisti come William Black e James Galbraith, non possiamo risolvere la crisi economica se non chiudiamo in galera i criminali che hanno commesso le frodi.
E l’economista premio Nobel George Akerlof ha dimostrato che la mancata punizione dei criminali dai colletti bianchi – ma invece il loro salvataggio – crea incentivi a commettere ancora altri reati economici in futuro, e all’ulteriore distruzione della economia.

Anche Stiglitz, premio Nobel per l’economia, dichiara a Yahoo Daily Finanza il 20 ottobre:
“Questo è un punto veramente importante da capire, dal punto di vista della nostra società.

L’ordinamento giuridico si suppone essere la codificazione delle nostre norme e credenze, cose di cui abbiamo bisogno per far sì che il nostro sistema possa funzionare. Se questo ordinamento viene considerato come una forma di sfruttamento, allora la fiducia nell’intero sistema comincia a mancare. E questo è proprio il problema che si sta verificando.


Nei prestiti auto stanno andando avanti un sacco di pratiche predatorie. Perché deve essere OK effettuare operazioni di prestito a rischio nelle automobili e non nel mercato dei mutui? C’è un qualche principio che lo giustifica? Sappiamo tutti la risposta. No, non c’è nessun principio. Si tratta di soldi. Si tratta di contributi elettorali, lobbying, porte girevoli, tutto questo genere di cose. Il sistema è destinata a favorire effettivamente questo genere di cose, anche con le multe. [riferendosi all' ex CEO di Countrywide Angelo Mozillo, che recentemente ha pagato decine di milioni di dollari in multe, una piccola frazione di quello che ha effettivamente guadagnato, perché ha guadagnato centinaia di milioni.]

Conosco molte persone che dicono che è uno scandalo il fatto che abbiamo avuto più responsabilità negli anni ’80 con la crisi S & L, rispetto a quella che stiamo dimostrando oggi. Sì, noi li multiamo, e qual è la grande lezione? Comportati male, e il governo ti prenderà il 5% o il 10% del tuo maltolto, ma tu te ne starai bene accomodato con diverse centinaia di milioni di dollari ancora disponibili dopo aver pagato le multe, che sembrano molto grandi per gli ordinari standard, ma risultano molto ridotte rispetto all’ammontare che sei stato in grado di incassare.

Così il sistema è impostato in modo che anche se sei colto sul fatto, la pena è comunque una piccolezza rispetto a quello con cui te ne potrai andare a casa.
La multa è solo un costo del business. E’ come un bel parcheggio. Talvolta si prende la decisione di parcheggiare pur sapendo che si potrebbe prendere la multa, perché a svoltare l’angolo per parcheggiare meglio si perde troppo tempo.
Penso che dobbiamo andare a fare quello che abbiamo fatto con S & L, ed effettivamente mettere molta di questa gente in carcere. Assolutamente. Questi non sono solo reati dei colletti bianchi o piccoli incidenti. Ci sono state vittime. Questo è il punto. Ci sono state vittime in tutto il mondo.

Abbiamo forse fiducia che questa gente, che ci ha messo nel caos, abbia davvero cambiato idea? In realtà possiamo avere una discreta convizione che non siano cambiati affatto. Ho assistito ad alcuni interventi in cui è stato detto “Nulla è stato veramente sbagliato. Le cose non sono andate molto bene. Ma la nostra comprensione delle questioni è ora abbastanza approfondita”. Se pensano questo, allora siamo veramente in un brutto guaio.

Ci sono molti modi per dissuadere le persone dal commettere reato. Gli economisti fanno leva sul concetto degli incentivi. Le persone a volte hanno un incentivo a comportarsi male, perché imbrogliando possono fare più soldi. Se il nostro sistema economico deve funzionare, allora dobbiamo fare in modo che ciò che si guadagna con la truffa sia controbilanciato da un sistema di sanzioni.

Ed è per questo, per esempio, che nella nostra legge antitrust spesso non si beccano le persone che commettono reato, ma quando lo si fa, ci sono risarcimenti elevatissimi. Si paga tre volte l’importo del danno che si produce. Questo è un forte deterrente. Purtroppo, quello che stiamo facendo adesso, e nei più recenti crimini finanziari, è accontentarsi di frazioni – frazioni! – dei danni diretti, e addirittura una frazione ancor più piccola del danno totale della società. Vale a dire, il settore finanziario ha realmente fatto crollare l’economia mondiale e, se si includono tutti i danni collaterali, in realtà si tratta di migliaia di miliardi di dollari. Ma c’è un’accezione più ampia di danni collaterali che io penso che non sia stata realmente considerata. E’ la fiducia nel nostro sistema giuridico, nel nostro Stato di diritto, nel nostro sistema di giustizia. Quando si menziona il “Patto di fedeltà e obbedienza” si intende con questo “giustizia per tutti”. La gente non è più sicura che ci sia giustizia per tutti. Qualcuno e’ fermato per un reato minore di droga, e viene chiuso in carcere per molto tempo. E invece, per questi cosiddetti delitti dei colletti bianchi, che non sono senza vittime, quasi nessuno di queste persone, proprio quasi nessuno di loro, va in prigione.

Lasciatemi fare un altro esempio di una parte del nostro sistema giuridico molto guasta e mal funzionante, e che ha contribuito alla crisi finanziaria.
Nel 2005, abbiamo approvato una riforma della legge fallimentare. E ‘stata una riforma voluta dalle banche. E’ stata progettata per permettere loro di fare prestiti a rischio a persone ignare di come funziona, e quindi fondamentalmente per strangolarli. Prosciugarli. Avremmo dovuto chiamarla “la nuova legge sulla servitù a contratto”. Perché questo è quello che ha fatto. Lasciatemi solo dirvi quanto è cattiva questa legge. Non credo che gli americani capiscano quanto sia cattiva. Diventa davvero molto difficile per le persone ripagare i loro debiti. In passato un principio basilare in America era che la gente ha diritto a ricominciare. Le persone possono commettere errori, soprattutto quando sono depredate. E così si dovrebbe essere in grado di ripartire di nuovo. Prendi un foglio bianco. Paga quello che puoi e ricomincia. Naturalmente, se lo fai più e più volte questa è una storia diversa. Ma almeno quando si ha a che fare con questi istituti di credito predatori, si dovrebbe essere in grado di ottenere un nuovo inizio. Ma le banche hanno detto: “No, no, non si può scaricare il debito”, o non è possibile scaricarlo molto facilmente. Si tratta di servitù a contratto.
E noi critichiamo altri paesi per avere servitù a contratto di questo tipo, lavoro coatto. Ma noi in America lo abbiamo istituito nel 2005, con quasi nessuna discussione sulle conseguenze. Ciò che ha provocato è stato di spingere le banche ad impegnarsi in pratiche di prestito anche peggiori.

Le banche vogliono far finta che non concedevano crediti inesigibili. Non vogliono ammettere la realtà. Il fatto è che loro hanno opportunamente cambiato i principi contabili, in modo che i prestiti che sono inesigibili, in cui le persone non pagano quello che devono pagare, sono trattati come se fossero mutui con buone prestazioni.
Così tutta la strategia delle banche è stata quella di nascondere le perdite, cavarsela e ottenere che il governo mantenga i tassi di interesse molto bassi. Il risultato di questo, per tutto il tempo che continueremo con questa strategia, è che ci vorrà molto tempo prima che l’economia possa riprendersi ….
di Joseph Stiglitz

09 novembre 2010

Il sogno americano si trasforma in incubo

L'America non fa che sognare anche se adesso il sogno si è trasformato in un incubo. Il primo presidente di colore non fa sognare più l'America ma è diventato la causa dei suoi incubi. Disoccupazione al 10%, crescita anemica, una riforma sanitaria che non piace nè ai ricchi nè ai poveri perché costruita su complicatissimi compromessi politici, una guerra in Afghanistan che non si vince ne si vincerà. Queste, agli occhi degli americani, le conseguenze della politica di Obama. Nessuno, neppure la stampa che da giorni dà addosso al presidente, riflette che in due anni si può fare ben poco, sia nel bene, sia nel male, e che gran parte del cataclisma economico che ancora affligge l'America Obama l'ha ereditato.

È vero, l'ha gestito male, ma si trattava e si tratta ancora di una crisi di dimensioni "bibliche".

Unico vero errore, forse, è stato spingere al massimo la riforma sanitaria in un momento in cui al Paese serviva ben altro.

L'ostilità nei confronti dell'ex messia Obama nasce dal fatto che l'America è da sempre vittima di illusioni politiche. Il divario tra Washington e Wall Street da una parte ed il resto del Paese dall'altra è enorme e viene regolarmente colmato dalla propaganda politica. Come l'americano medio sa pochissimo sulla riforma sanitaria e sulle vere responsabilità del presidente, così sa poco o nulla sulla distribuzione del reddito a casa sua. Ce lo racconta uno studio condotto da due psicologi americani, Dan Ariely della Duke University e Michael Norton dell'Harvard Business School. Gli americani pensano di vivere in un Paese dove il 20% più ricco della popolazione controlla il 59% della ricchezza, quando invece i ricchi si spartiscono l'89%; sono anche convinti che il 20% dei più poveri usufruisca del 3,7% quando la cifra esatta è un misero 0.1%.
Ma non basta, tutti ancora credono che questo sia il Paese delle grandi opportunità. In realtà è vero il contrario. Secondo uno studio dell'economista Miles Corak dell'università di Ottawa in Canada, gli Stati Uniti sono i penultimi al mondo, dopo il Regno Unito, in termini di mobilità salariale tra le generazioni. Se nasci povero rimani povero.

Quando poi si chiede agli americani quale debba essere la ripartizione giusta sognano quella dei paesi scandinavi: i più ricchi dovrebbero avere il 32% ed i più poveri il 10%. Nessuno però è disposto a pagare più tasse per ottenere questa distribuzione. Quando finalmente l'America si risveglierà sarà difficile accettare la realtà.

di Loretta Napoleoni

08 novembre 2010

La dittatura della pubblicità

verbal-abuse-2

Da quando vidi il film Il maschio e la femmina (1966) la prima volta avevo l’età dei suoi protagonisti e me ne colpì l’intelligenza nella descrizione dei disagi e speranze di una generazione. Ma quel che più ne ricordo è la scritta che, a bruciapelo e senza necessità evidente, interrompeva una scena per affermare che «la pubblicità è il fascismo del nostro tempo». Si è governato e si governa, in gran parte del mondo occidentale, con gli strumenti del consenso e del consumo, riuscendo quasi sempre a evitare il manganello e la censura diretta. Col companatico al posto del pane, la televisione al posto dei giochi del circo (ultima variante i festival di letteratura e altra cultura) e con la pubblicità.

Pubblicità in senso lato – di uno stile di vita, di un modello di società propagandato come il migliore o l’unico possibile – ma che anche nel senso specifico e ristretto di un tipo di comunicazione che mira a far acquistare delle cose. Il potere della pubblicità è cresciuto enormemente, la stampa, per esempio, ne vive e ne è ricattata, le leggi che la limitavano sono state progressivamente abbattute e ci sono riviste dove le pagine di testo sono un terzo di quelle riservate alla pubblicità, senza considerare la pubblicità indiretta.

Fu Vance Packard per primo a denunciare questo attentato alla democrazia e alla libertà dell’informazione in un libro celebre, I persuasori occulti, a metà degli anni cinquanta. A noi poteva sembrare fantascienza, ma poi, come in molti altri campi, la fantascienza è diventata realtà, e come “genere” letterario è quasi scomparso (riprende oggi, mascherato, nella più accorta letteratura per ragazzi). Anche la battuta di Godard, che al suo tempo indicava una preoccupazione o una messa in guardia, è oggi una constatazione.

Un’idea moderna di pubblicità è esplosa in Italia negli anni sessanta, prima la pubblicità era secondaria, rozza, poco o niente mediata. Su un giornale degli anni trenta o quaranta la pubblicità di un lassativo si serviva dell’immagine celebre dell’incontro tra Dante e Beatrice lungo l’Arno accompagnata dal verso della Commedia «Io son Beatrice che ti faccio andare». Poi, col boom, vennero le grandi agenzie e la leva dei professorini che avevano sulla scrivania dei loro uffici milanesi e torinesi (l’ho visto coi miei occhi, ho avuto molti amici che si sono dati a quel mestiere) le opere di Jung e altri studiosi di simboli e miti, di immagini archetipiche, di studi sull’inconscio. La pubblicità si faceva furba e intellettuale, un settore in enorme espansione. Non sembrava disdicevole farne una professione.

La fase successiva è il ’68: quando si trattò di trovare lavoro molti passarono dal movimento alla pubblicità, soprattutto a Milano (più assai di quelli che finirono nel giornalismo o nella politica istituzionale, ma ovviamente meno di quelli finiti nella scuola). Ne vennero una perdita di sottigliezza, messaggi sempre meno velati, una aggressività via via più volgare e diretta.

I giornali sono brutti anche per i ricatti della pubblicità. E se sfogliamo un quotidiano di quelli importanti (che sono due, forse tre, in stretto legame con lotte e intrighi del potere, dominatori dell’informazione bacata e nemici giurati della riflessione e delle connessioni) vediamo che vi si fronteggiano pagine di cronaca raccapricciante e di pubblicità da mondo dei sogni. E colpisce il leit-motiv, il tormentone sessuale: chi compra un’automobile X o Y scopa meglio e di più, e questo vale per una scatola di piselli o una birra, un computer o un best-seller, e volti e corpi di giovani robot da film americano imbecille vi si offrono spudoratamente, come in un Eden ritrovato dove ogni albero, animale o nuvola serve solo a veicolare un unico messaggio: comprate, solo così sarete felici.

La sua logica è berlusconiana, ma chi protesta per altre forme di manipolazione trova questa normale, o meglio, la trovano normale i giornali e i giornalisti che se ne nutrono. L’elargizione della pubblicità Fiat, per esempio, è stato un modo di influire sui giornali della sinistra, anche quelli apparentemente più liberi.

La manipolazione pubblicitaria incide in profondità sulla salute mentale e sulla morale dei destinatari dei loro messaggi, e su quelli della Repubblica. È espressione del fascismo del nostro tempo. Dopo la guerra, molti figli chiesero ai padri come si erano comportati sotto fascismo o nazismo. Accadrà anche in Italia, dopo il trentennio che muore? Sarebbe sano, ma non succederà.

di Goffredo Fofi