16 agosto 2012

L'incubo di Draghi: nascondere alla gente il segreto della moneta

È bastato che Draghi dicesse: «La BCE è pronta a fare tutto il necessario per salvare l’euro, e credetemi sarà abbastanza», perchè «i mercati» esultassero, le Borse salissero gioiose, lo spread calasse un po’ (mica tanto però). Perchè tutti hanno interpretato quelle mezze frasi sibilline come una promessa che la Banca Centrale farà, in un modo o nell’altro, quantitative easing. S’intende che la monetizzazione del debito, sul piano intellettuale, è la sola cosa da fare per i debitori del Sud-Europa. Premessa: a debiti colossali si fa’ fronte storicamente in due modi: 1) smettendo di pagarli (default) oppure 2) «pagandoli» con moneta creata apposta in sovrappiù, monetizzandoli cioè. In un periodo come quello che attraversiamo – niente crescita, forte disoccupazione e in aumento, e con famiglie e imprese che stanno dis-indebitandosi, ossia riducendo i loro debiti – il potere pubblico deve creare moneta per evitare di entrare dalla recessione alla depressione – come sta già avvenendo. In Europa la monetizzazione è necessaria per evitare che la depressione si estenda, dalla Grecia alla Spagna e all’Italia (già fatto), e al di là al resto dei Paesi europei, a cominciare dalla Francia; e in questo contesto la monetizzazione non è nemmeno inflazionista, in quanto non farebbe che contrastare gli effetti di deflazione del dis-indebitamento degli attori economici privati. Ora, però, i «mercati» aspettano di vedere: come farà, Draghi? Non solo perchè monetizzare è vietato dal regolamento della BCE, non solo per la netta contrarietà dei tedeschi, i padroni di fatto, ostinati ad esigere che i meridionali attuino i loro programmi di risanamento dei debiti, a forza di austerità. È anche che tutte le altre misure indirette tese più o meno a questo scopo – acquisto dei titoli dei Paesi indebitati sul mercato secondario, tagli del tasso primario, LTRO (il mega-prestito alle banche) – sono stati già tentate, senza effetto. Le banche riempite di denaro dalla BCE all’1% non hanno creato moneta-credito, se la sono tenuta (e in parte, i privati non l’hanno chiesta). Stavolta, la BCE dovrebbe – come facevano ai bei tempi le banche centrali, quando erano organi di Stati sovrani – monetizzare direttamente al Tesoro, ossia comprare i titoli di debito del Tesoro italiano, spagnolo eccetera non sul mercato secondario ma direttamente dallo Stato emettitore, con moneta creata a questo scopo, e magari al tasso dell’1% fatto alle banche. Il problema dello spread sarebbe eliminato all’istante, perchè Spagna e Italia non avrebbero più bisogno di offrire tassi alti ai mercati per farsi prestare da loro i soldi. Ma…. Orrore! Tabù! Non si fa’! Soprattutto, questa cosa rischia di rivelare alla gente comune il segreto del denaro che deve ad ogni costo essere celato alle grandi masse: che il denaro di oggi, «fiat money», la banca centrale lo può «stampare» in qualunque quantità(1). E chi lavorerebbe più, sapendolo? Chi pagherebbe più le tasse, anzichè pretendere che i poteri pubblici si coprano le spese stampando moneta? Come convincere i popoli che le spese dello Stato vanno bilanciate con le entrate, che bisogna «risanare le finanze», e riportare il debito pubblico al 60% del Pil? Chi accetterebbe più accuse del tipo: «avete vissuto al disopra dei vostri mezzi, ora tirate la cinghia?». Chi accetterebbe le austerità e i «compiti a casa»? Stampate, stampate, direbbero le masse magari attizzate dai demagoghi; i politici demagoghi griderebbero alla banca: stampate, stampate! (l’hanno già fatto).Tutti pretenderebbero di vivere con stipendioni, come quelli di cui godono solo le minoranze privilegiate, gli attuali parassiti pubblici collettivamente detti «La Casta», e i banchieri, finanzieri e speculatori (che sono al corrente del segreto). E sarebbe la rovina: della moneta, dell’economia e della morale stessa. Tutto finirebbe in anarchia, crollo della produzione, e un’inflazione tipo Weimar, o Zimbabwe (230 milioni per cento). Così, tutto ciò che stiamo passando – spread alle stelle, rincaro del costo del debito, austerità, tagli allo stato sociale, obbligo di pareggio del bilancio scritto in Costituzione – ha, in fondo, un grande scopo: far credere alla gente comune che denaro disponibile, per lei, non ce n’è. Non ci credete? Posso citarvi un passo di Paul Samuelson – economista Nobel – che lo ammette. La credenza che il bilancio dev’essere equilibrato in permanenza, dice, è «una superstizione»; ma una superstizione utile, perchè se la gente smette di crederci, «si perde la difesa che ogni società deve avere contro la spesa fuori controllo». Samuelson la paragona ai miti con cui «la religione spaventava la gente per indurla a comportarsi come esige il mantenimento a lungo termine della civiltà». (Blaug Mark, John Maynard Keynes: Life, Ideas, Legacy, St. Martin’s Press, New York, 1990, 95 p., p. 63– 64) Il segreto deve dunque essere mantenuto ad ogni costo. Riservato a pochi iniziati (che ne approfitteranno per arricchirsi smodatamente). È il motivo per cui i banchieri centrali si esprimono, come l’oracolo di Delfo, con frasi sibilline, ambigue e anfibole (a doppio senso); che si ammantano di maestà da Venerati Maestri, e sacralità da sacerdoti, coltivano il più assoluto riserbo, e compiono le loro operazioni impegnando tutti i presenti al silenzio dei mysteria antichi. Draghi si comporta appunto così. Il guaio è che la secolarizzazione dilagante intacca anche questo tipo di sacrum. In passato, i banchieri centrali facevano le loro manipolazioni e moltiplicazioni monetarie sotto il velame del tabù che i pochi media non osavano violare; l’economia monetaria era materia esoterica, che i giornali non spiegavano mai; ma oggi c’è internet e ci sono i blog alternativi, che spifferano e dissacrano, e riconoscono immediateamente, sotto i panni augusti del Venerato Maestro, il Solito Stronzo o il Ben Noto Marpione. Si aggiunga che proprio in tempi di emergenza come questi, i giocolieri devono fare operazioni dove il trucco rischia di vedersi. Tipico esempio, lo LTRO fatto da Mario Draghi. Come abbiamo detto, tutti gli inghippi, i limiti legali e la «indipendenza» della Banca Centrale servono a far credere alla gente comune che di denaro, per lei, non ce n’è. Ma come farglielo credere, dopo che la gente ha visto Draghi dare1000 miliardi alle banche all’1%? Vero è che la BCE ha fatto finta di sborsare quei soldi facendosi dare dalle banche, in cambio, titoli posseduti da queste, titoli di credito; ma di tale bassa qualità, e così dubbia esigibilità, che un politico tedesco, Frank Schaeffler, ha sibilato rabbioso: «Se continua così, la BCE accetterà in garanzia anche vecchie biciclette». Insomma, s’è visto che quella era creazione monetaria ex nihilo bella ed buona, fatta in quel modo indiretto per consentire un profitto alle banche private, che con quei soldi all’1 dovevano comprare i Bot al 5 o al 7%; in modo da «aiutare», prestando loro ad interesse, gli Stati che s’erano indebitati fino all’insolvenza per aiutare le loro banche, accollandosi (cioè accollandoli al contribuente) i buchi delle loro follie… La ragione fornita è che la Banca Centrale europea ha il divieto di prestare direttamente agli Stati. Banca d’Inghilterra e Federal Reserve hanno invece creato dal nulla fondi, in parte per comprare debiti sovrani dei loro Stati; ciò che va a profitto della collettività, perchè il debito costa meno caro ai contribuenti. La regola generale implicita dei divieti, dei miti e dei terrorismi («Austerità, o il default e l’uscita dall’euro!»), è quella: prima le banche. Per questo la promessa di Draghi di «fare tutto ciò che serve per salvare l’euro», può anche suonare: «Lotteremo finché sarete tutti morti». Spagna e Italia devono chiedere soldi ai mercati, e pagare tassi del 7%. La Grecia, del 30%. Inevitabile, ci dicono, altrimenti non avranno i soldi per pagare gli stipendi, o – come minacciano i mascalzoni che sgovernano le provincie – «non potremo riaprire le scuole» (se ci provano, uno Stato normale li arresterebbe); oppure dovremo svendere i patrimoni nazionali, privatizzarli. Quello che non ci dicono, è che questa umiliante situazione è del tutto artificiale. Conseguenza della perdita di sovranità. Una banca centrale che detiene la stampante dei soldi non può essere a corto di denaro. Per uno Stato che dispone del monopolio dell’emissione di moneta – e usa questo potere con la testa sul collo – , non c’è problema di solvibilità. Si finanzia con la propria moneta, creandola, senza bisogno di altre fonti di approvvigionamento. Tutto ciò che occorre è che accetti di essere pagato con la sua moneta, sostanzialmente la accetti in pagamento delle tasse. Questa è infatti una funzione delle tasse, forse la prima: creare domanda per questa moneta. Se le imposte sono da pagare in questa moneta, diventa utile procurarsela, anche se è solo carta. In teoria, lo Stato non avrebbe bisogno di tassare i cittadini per procurarsi i soldi, visto che può stamparli. Ma – a parte il fatto che anche lo Stato sovrano deve far credere che, per i cittadini, il denaro è scarso e costa sudore – qui interviene l’altra funzione della torchia fiscale: regolare la massa monetaria presente nell’economia. Finchè ci sono da finanziare scambi supplementari, finchè c’è da finanziare risparmio, si può far girare la stampatrice, senza tassare. Ma quando ha fatto girare troppo la macchina stampa-soldi, nell’economia reale resta massa monetaria eccedente, che non trova utilizzo e di cui dunque l’economia si scarica facendo rincarare i beni. È l’inflazione. Per continuare ad offrire beni e servizi senza inflazione, bisogna dunque ritirare questa massa di moneta in eccesso tassandola. Ma torniamo al discorso: uno Stato che ha il monopolio dell’emissione non ha problemi d’insolvenza. Chi dice che non è possibile, che presto o tardi quella moneta sarà deprezzata sui mercati mondiali o travolta dall’inflazione fino a fare di quello Stato un paria (come la Grecia?), sorvola sull’esempio del Giappone. Vent’anni fa, il Giappone entrò nella sua crisi ormai ventennale (da bolla finanziaria-immobiliare) con un debito pubblico pari al 50% del suo Pil. Oggi il debito è al 230%. In tutto questo periodo non solo non ha conosciuto alcuna iper-inflazione (anzi, è in leggera deflazione: i prezzi calano), ma lo yen non s’è deprezzato tragicamente. Non ha subito alcun attacco speculativo, mai ha dovuto pagare ai «mercati» interessi altissimi per convincerli a comprare i suoi titoli del debito pubblico; mai ha conosciuto, come noi, il problema dellospread. Anzi, il tasso d’interesse ha seguito molto da vicino il tasso direttore, quello sancito dalla sua Banca Centrale. Come mostra la grafica qui sotto: segreto moneta Dibattito sullEuro: Il Contributo di Maurizio Blondet (Lincubo di Draghi....) CLICCARE PER INGRANDIRE Il tasso del debito pubblico a lungo termine (rosso) segue il tasso direttore (blu) della Banca del Giappone, cioè quello che la banca centrale fa’ pagare alle banche private; i tassi a breve (verde, giallo) sono addirittura avvinghiati al tasso primario. Ciò significa che è la banca centrale d’emissione, e non i «mercati», a decidere quanto pagare d’interesse sul suo debito pubblico. È lo Stato che ha in pugno le banche, e non il contrario. Non c’è speculazione, non c’è «austerità» obbligatoria perchè altrimenti «il Giappone fa’ fatica a finanziarsi» e dovrà indebitarsi a più caro prezzo, «per trovare risparmiatori (investitori) disposti a prestargli». Anzi. Gli investitori fanno a gara per procurarsi buoni del tesoro giapponesi, anche se rendono modestamente. Ecco come funziona uno Stato che ha mantenuto il monopolio dell’emissione monetaria, governato da una dirigenza con la testa sul collo,che si sente responsabile verso il Paese. Naturalmente, i difensori ideologici dell’euro e di «più Europa» ribattono che il Giappone può fare così, perchè è la seconda potenza industriale del mondo e vende i suoi Bot ai suoi cittadini, non sui mercati esteri (2). Sarà. Ma a parte il fatto che anche gli italiani hanno dei risparmi e sono sempre stati propensi a comprare i titoli di Stato, con un decente interesse, chiediamoci se «fanno fatica a finanziarsi», se «sono aggrediti dalla speculazione», Paesi come gli Usa, la Svizzera, l’Australia, la Danimarca, l’Africa del Sud, la Nuova Zelanda, la Svezia, il Brasile, il Regno Unito, Taiwan, il Canada, eccetera eccetera. Sono Stati grandi e piccoli, ben governati e mal governati, economicamente forti o deboli. Hanno una sola cosa in comune: hanno il monopolio della propria emissione monetaria. Se uno di questi Stati smette di pagare i creditori, lo fa’ per sua decisione arbitraria, ossia sovrana. Non c’è alcuna forza esterna che possa farlo andare in bancarotta come la Grecia, presto la Spagna e fra poco l’Italia. Non solo: la Francia, tra le due guerre, ha avuto un debito pubblico pari al 140% del Pil, e tuttavia stabilizzò il franco senza particolari difficoltà. Perchè, quanto ai tassi d’interesse che deve versare sul debito pubblico, uno Stato sovrano li padroneggia, senza dover dipendere dai mercati: è propriamente il compito della sua Banca Centrale di regolare i tassi a cui si presta il denaro, attraverso il suo tasso primario. A questo punto, gli euro-ideologi e i loro maggiordomi mediatici ricorrono al terrorismo. Tornare alla sovranità monetaria? Ma la lira si svaluterebbe tragicamente, i vostri risparmi sarebbero decurtati catastroficamente, perdereste potere d’acquisto; nessuno farà più credito al Paese; l’inflazione galopperà. Nessuno afferma che il ritorno alla lira sarà una passeggiata. La correzione di un grande errore richiede grandi sforzi e sacrifici: sacrifici al fondo dei quali però c’è la sicura ripresa, al contrario dei sacrifici attuali dettatici da Monti e Merkel, senza fine e senza prospettive. Qui preme sfatare due dei concetti che ci vengono terroristicamente presentati per dissuaderci. La moltiplicazione di moneta dal nulla per comprare i buoni del Tesoro gonfierà i bilanci delle banche e riverserà una valanga di crediti sull’economia reale, creando altra moneta (oggi sono le banche che la creano indebitando), e provocando iper-inflazione. Ma no. Non è così facile che il denaro arrivi nelle tasche dei consumatori. Perchè la valanga del credito si verifichi, occorre che sia chiesto e voluto dal settore privato, e che le banche giudichino affidabili quelli che lo chiedono. Come vediamo, i mille miliardi prestati da Draghi alle banche hanno clamorosamente mancato di riversarsi nell’economia reale provocando l’orgia del credito. E il Giappone, benchè ci abbia provato fino ad avere quel debito pubblico enorme, «non è riuscito» a produrre quel po’ d’inflazione che gli servirebbe per far uscire la sua economia dalla deflazione-depressione. L’inflazione comincia ad alzare la testa quando si raggiunge il pieno impiego e le imprese lavorano al 100% della loro capacità produttiva; non è certo questo, oggi, il caso (se oggi una certa c’è inflazione, è dovuta alle materia prime importate, e alla massa eccessiva di parassiti pubblici che in Italia consumano senza produrre). Tanto più che la BCE, come qualunque Banca Centrale, ha cura di «neutralizzare» questi suoi interventi. Ma come lo fa, oggi? Tenetevi forte: facendosi imprestare dalla banche private il denaro che essa stessa ha creato, ossia pagando loro un interesse per ritirarlo (3). Questo è un obbligo scritto in lettere di bronzo sugli statuti. Forse non c’è prova più chiara del fatto che l’interesse delle banche è sempre in primo piano: ma è uno dei segreti che non si devono rivelare. C’è un modo gratuito di riassorbire il denaro in più? Certo. Uno Stato sovrano può lasciarlo semplicemente creare, e tassarlo in tempo utile. L’altro mito terrorizzante da demistificare è il seguente: «Se torniamo alla liretta svalutata, magari dopo aver fatto default, i mercati ci puniranno, non ci faranno più credito». La realtà è che oggi i mercati tendono a non farci più credito, temendo il nostro default – a causa dell’euro. La Spagna già è in bilico: i suoi buoni non trovano compratori, e per questo deve chiedere i soccorsi europei, che glieli comprino al posto dei «mercati». Si può star certi che, appena avessimo svalutato, avremmo alla porta file di investitori pronti a prestarci denaro: e chi non farebbe credito a un’Italia (del Nord) che a quel punto avrebbe riacquistato tutta la sua competitività? Dove l’attività sarebbe in febbrile ripresa, le cui fabbriche sarebbero tornate a ronzare per soddisfare gli ordinativi, e a portar via le fette di mercato che la Germania ci ha defraudato? Ed anche i Bot e i BTP, una volta subita la svalutazione, tornerebbero appetibili proprio per questo. Non è una speranza, è una certezza. Il ministro argentino dell’epoca della bancarotta, l’economista Roberto Lavagna, l’ha raccontato in varie interviste:a poche ore dal default, già una grossa banca d’affari internazionale gli telefonava proponendogli di ricominciare ad indebitare lo Stato, perchè a quel punto i bond argentini erano tornati convenienti. Fu Lavagna a rifiutare, per non ricominciare subito il giro dell’indebitamento. I terroristi che ci vogliono tenere legati alla macina da mulino chiamata euro, altrimenti sarà l’inferno, hanno mancato di notare un recente studio di Merrill Lynch intitolato «Game theory and euro breakup risk premium». Uno studio molto originale, che usa la teoria dei giochi per stabilire quale Paese dell’eurozona abbia il maggior «incentivo» ad uscire , s’intende «ordinatamente», dalla moneta unica; analizzando tutti i pro e i contro, i guadagni e le perdite per ciascun Paese. Ovviamente tenendo conto del «Paesi con grandi bisogni di finanziamento (come il nostro) sarebbero più vulnerabili», e «avrebbero un accesso limitato per qualche tempo ai mercati di capitali e ai finanziamenti esteri», fatti negativi da bilanciare però con «l’impatto sulla crescita» che verrebbe dall’uscita. Non ve lo spiego perchè sarebbe complicato, chi vuole può andarselo a leggere qui: Game theory and euro breakup risk premium. Vi dò solo le conclusioni. Secondo Merrill Lynch, a perderci di più sarebbe la Germania, che subirebbe un apprezzamento del nuovo marco del 14%, e un taglio del suo Pil del -7%. In Grecia, la neo-dracma si svaluterebbe del 12. Per l’Italia, la neo-lira (dopo magari oscillazioni drammatiche) si deprezzerebbe dell’11%, sicchè la differenza tra lira e marco sarebbe del 25%, abbastanza da danneggiare gravemente l’export tedesco. Ma quali sono i Paesi in deficit che, tornando alla moneta nazionale, vedrebbero un clamoroso aumento dell’export? Al primo posto c’è l’Irlanda, che guadagnerebbe il 7% del Pil. Al secondo posto – sorpresa sorpresa – l’Italia, il cui Pil salirebbe del 3% del Pil. Seguita a ruota da Grecia e Spagna. I problemi del Club Med sarebbero in via di rapida soluzione. Dalla recessione alla ripresa e alla crescita. La Germania non potrebbe più spacciare i titoli del suo debito pubblico a tassi zero o sotto-zero: il costo dell’indebitamento salirebbe, per Berlino, di quasi 1 punto (80 punti-base). La Repubblica federale perderebbe lo status di «rifugio» per i capitali in fuga. Per l’Italia, dato il suo enorme debito, il vantaggio su questo sarebbe modesto: -20 punti-base. Ma il Portogallo vedrebbe una diminuzione del costo per indebitarsi di quasi il 6%, l’Irlanda del 4%, e la Spagna quasi l’1% in meno. Persino la Grecia farebbe economia sul costo del debito (anche senza contare la possibilità recuperata di monetizzarlo), visto che lo vedrebbe calare di un 22%. Ma è soprattutto l’uscita dell’Italia – più grossa dell’Irlanda e più industrializzata di tutti – che la Germania deve temere, valuta Merill Lynch. Tanto più che l’Italia è quella che dopo la piccola Irlanda, ha la maggior convenienza ad uscire. Al punto che lo studio si domanda: Can Germany bribe Italy to stay? Ossia: La Germania pagherà una bustarella all’Italia per farla restare nell’euro? Possiamo rispondere tranquillamente di no. La Germania non ha bisogno di pagarci, perchè a farci restare nell’euro – e gratis – ci pensano Monti, Napolitano, Draghi . Tutti pronti a «fare tutto quel che serve per salvare l’euro», fino a che saremo tutti morti. Post Scriptum: quel che abbiamo scritto sopra non vuole essere una giustificazione per non ridurre l’immane debito pubblico, nè una scusa offerta alla classe politico-parassitaria che ci pesa sul collo per non tagliare le enormi spese improduttive, provincie, comuni, Regioni, tangenti della Sanità, con cui ha alimentato le clientele, fino a distorcere la struttura stessa del sistema economico. È questa classe che ci ha portato al punto in cui siamo. Ciò che abbiamo detto sopra serve solo a dimostrare i tecnocrati e banchieri, che si sono impadroniti del potere sulla moneta con la scusa che i politici sono corrotti e inclini alla spesa pubblica senza freno, non hanno dato miglior prova. Nè di competenza, nè di onestà. Come ho detto, il potere di monetizzare richiede una classe politica con la testa sul collo, capace di usarlo cum grano salis ed un forte senso di responsabilità e lealtà verso la comunità, anche quella futura. Restituire la sovranità monetaria allo Stato, finchè è governato da questi qua, sarebbe assurdo. Bisogna prima eliminarli. 1) Gli accorgimenti che probabilmente Draghi adotterà saranno altri acquisti sul mercato secondario (liberando le banche di titoli marci); si ventila l’idea di attribuire al Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) lo status di banca, ciò che permetterebbe allo ESM di finanziarsi presso la BCE, ossia avere fondi senza limiti con cui poi comprare titoli spagnoli e italiani. Questi metodi indiretti e macchinosi (perchè non dare agli Stati , allora, lo statuto di banche, onde possano poppare alla mammella BCE senza intermediari?) servono essenzialmente a nascondere il gran segreto: che la moneta ex nihilo si crea a volontà. 2) Un altro argomento contro il modello giapponese, sostiene che nonostante la larghezza monetaria, il governo nipponico non ha avuto successo nel far uscire la sua economia dalla stagnazione. Rettifichiamo: il Giappone non ha avuto successo con il quantitative easing; ritorno alla «austerità» è stato un fallimento; però stava avendo successo con la monetizzazione del debito. Il ritorno alla normalità è stato rovinato dalla crisi finanziaria mondiale innescata dai subprime (americani) nel 2007. Poi c’è stato il tragico tsunami. Per chi vuole approfondire questo tema: Le point sur le Japon. 3) Da un sito francese traggo questo esempio: 1) Siete una banca che ha 1000 titoli spagnoli (o italiani) ed ha paura di perderci troppo. 2) Per calmare la vostra ansia di banchiere – non sia mai che ci perdiate del denaro – la BCE vi raccatta questi titoli, dandovi in cambio i soldi all’1%. 3) Si è dunque passati da una situazione: «banca privata 1000 obbligazioni discutibili/BCE 0», a «banca privata 1000 di liquidità utilizzabile/BCE 1000 di titoli discutibili». Se ci si ferma qui, si vede che la BCE ha creato moneta dal nulla, e questo può creare inflazione, ciò che è contrario agli statuti della BCE. 4) Allora la BCE, per neutralizzare l’emissione, chiede in prestito alle banche private il denaro che ha creato. 5) Situazione finale. Banca privata: credito di 1000 sulla BCE non utilizzabile/ BCE: 1000 obbligazioni marcescenti più 1000 di liquidità, menogli interessi versati alla banca privata. «Alla fine – commenta il sito – non c’è creazione monetaria, ma ‘solo’ la BCE che rimpie il suo bilancio di attivi marci, e in più paga degli interessi su questo… o detto in altro modo, la BCE ha tolto una spina dal piede della banca privata, e paga per questo. È bella la vita delle banche private! E beninteso, tutti i particolari sulle banche beneficate, sui titoli raccattati, sugli interessi versati, sono segreti». di Maurizio Blondet

06 agosto 2012

L’amore al tempo della connessione tecnologica

Tra lui e lei quasi sempre, c’è un altro. La sua presenza non fa bene al rapporto, lo indebolisce sempre di più. Ruba attenzione, concentrazione, distrae. Non si tratta però di una persona fisica, ma di un gadget tecnologico: generalmente un cellulare, uno smart phone, un tablet. La sua presenza, sempre più invadente, sta profondamente trasformando i rapporti di coppia. Il discorso, l’intimità, il silenzio è sempre più spesso rotto da uno squillo, un sms, una schermata sul mondo, fuori. Non è un cambiamento da poco. L’innamoramento, il corteggiamento, lo stare insieme è sempre meno una vicenda dei due della coppia, e sempre di più un fatto sociale, nel quale entrano in continuazione altre persone, informazioni, notizie. Tutta roba che mette in fuga quello che una volta veniva definito l’incanto dell’amore. L’agghiacciante statistica secondo la quale circa un quarto delle americane sposate parla al cellulare durante i rapporti sessuali può essere messa sul conto delle patologie che si sviluppano nei matrimoni in crisi, come illustrato nelle serie televisive dedicate alle casalinghe disperate. Ma questo è solo il risultato di molte cose che sono già accadute prima, quando i due hanno cominciato a frequentarsi. E’ durante quei “magic moments”, illustrati de una canzone evergreen degli anni 60, che si può sentire se davvero si è fatti l’uno per l’altro. Per questo, però, è necessario essere totalmente presenti alla situazione, all’altro, vederlo veramente, e lasciarsi vedere, fin nel profondo. Serve insomma concentrazione, profondità. Persino silenzio, oppure colonne sonore adatte all’ascolto e accoglimento dell’altro, come erano le musiche diffuse, o eseguite dal vivo nei piano bar dove ci si corteggiava e ci si innamorava prima dell’avvento della connessione perenne. A quei luoghi ovattati sono da tempo subentrati gli happy hour, gli “aperitivi” squillanti di cento suonerie, luoghi dove l’intimità e l’ascolto dell’altro sono sovrastati dall’esibizione, il mostrarsi, il dover essere “brillanti” nella compagnia, più che interessanti e interessati all’altro che potrebbe amarti. La “connessione” col mondo ha così scavalcato l’attenzione all’altro. Lei risponde allo squillo dell’amica, o della mamma, lui non resiste a controllare dal tablet gli ultimi sviluppi della partita. La tensione amorosa si trasforma in scambi episodici, curiosità , qualche battuta. Il sentimento sbiadisce e il desiderio rimane come espressione del sistema nervoso, più che come slancio del cuore. Non tutto, nella trasformazione informatica dell’innamoramento, è però da buttare. La presenza continua degli altri, della società, delle informazioni sul mondo, ad esempio, rende più difficile quel chiudersi nella coppia frequente negli adolescenti timidi o in difficoltà, che fino a non molto tempo fa sequestrava gli innamorati separandoli dagli altri e dal loro tempo, e metteva così in pericolo il loro benessere psicologico successivo. La connessione ti aiuta a non perderti completamente nella tua fiaba d’amore. Ma se non la tieni a bada impedisce del tutto che la fiaba nasca, trasformando la persona che potrebbe amarti in una conoscenza come le altre. di Claudio Risé

05 agosto 2012

Note olimpiche…

Si sono aperte le Olimpiadi di Londra, precedute da una lunga messe di servizi televisivi e articoli giornalistici che hanno ribadito cose che ormai sono di dominio pubblico, tanto da risultare noiose e stucchevoli. Il doping, non certo da quest’anno, sembra essere la piaga costante di tutti gli sport. I controlli si susseguono e le evoluzioni delle varie droghe che tentano costantemente di sfuggirgli riempiono le cronache e le aule dei tribunali. Le squalifiche sono all’ordine del giorno, le sospensioni si moltiplicano, le revoche di record e vittorie ormai sono numerosissime e disorientano lo spettatore che non saprà mai, a fine gara, se quello che ha visto sarà il vero ordine d’arrivo. Sembra che la politica proibizionista non dia risultati sensibili. Il professionismo degli atleti, contrapposto agli eterni principi decoubertiani, non fa più cassetta. Scontato che gli atleti di rango debbano interpretare le loro discipline sportive come dei veri e propri lavori retribuiti. Di maggior successo, invece, i reportage sulle retribuzioni degli sportivi presenti ai Giochi. Non desta certo sorpresa apprendere che il tennista Roger Federer, tra montepremi e sponsor, si porta a casa qualcosa di molto simile a 50 milioni d’euro l’anno. Così come gli stellari campioni della NBA statunitense, che vantano medie intorno ai 30 milioni l’anno, che non si stupiscono di guadagnare tanto, visto che sono totalmente impegnati a scacciare dalle loro menti i fasti di quello che rimarrà il primo e unico Dream Team della Storia e che mai potranno emulare. Non tiene più banco la questione Pistorius, quell’atleta con arti in carbonio, che approda, dopo tante polemiche, sulle piste di atletica londinese, forte del suo tempo minimo raggiunto. Non si sono fugate tutte le perplessità circa la possibilità che atleti “bionici” siano atleti regolari ma in un articolo del CorSera, Eva Cantarella, insigne accademica, ci ha ricordato come non mi ricordo più quale atleta nell’Antica Grecia, corse, vincendo una gara podistica, provvisto di una spalla in avorio che sostituiva quella mancante, introducendo così la bioingegneria già allora. I greci, si sa, hanno inventato, detto, scritto tutto quello che si poteva inventare, dire, scrivere. Solo la Merkel e la BCE fingono di non saperlo, ritenendola indegna dell’Europa che in realtà ha fondato e riempito di senso. Ma le due notizie più intriganti sulla questione, bionico sì, bionico no, che vanno lette sinotticamente, sono comparse ancora sul CorSera di sabato 28 luglio. La prima ci informa che si cimenterà nella gara di tiro con l’arco individuale, un atleta sud coreano ipovedente. Con una vista che non supera i 2/10, vedendo solo i colori del bersaglio, è capace di fare centro. Intervistato, ha dichiarato che lui il bersaglio non lo vede, se non in una nebbia di colori concentrici, lui il bersaglio lo sente e così fa centro. La seconda è che è stata messa a punto una tecnica, già sfruttata dall’esercito USA per i suoi piloti da caccia, che permette, con un’operazione sulla cornea, di portare la normale vista umana (i famosi 10/10 di chi ci vede bene) a 15/10, con la capacità, testimonia l’articolo, di vedere una mosca, nei suoi dettagli, ad una distanza da nove metri. E che magari, all’insaputa di tutti, è già stata utilizzata per qualche atleta tiratore. Mi sono immaginato una sfida tra il sudcoreano ipovedente, forte solo della sua sensazione che guida il dardo al bersaglio e un’infallibile cecchino, forte di questo nuovo ritrovato della Tecnica, guarda caso targato USA e guarda caso già utilizzata dall’esercito per rendere i suoi uomini ancora più mortalmente infallibili. Un’interessante contrapposizione tra Oriente e Occidente e i loro diversi modi di intendere la via da percorrere. L’Oriente. Al lettore accorto non sarà certo sfuggito il volumetto che Adelphi, molti anni fa, ha inserito nelle sue collane Lo zen e il tiro con l’arco di Herrigel, in cui è esplicitato il pensiero sintetico del sudcoreano. Solo attraverso un esercizio che è in primo luogo lavoro mentale, si può ottenere la fusione tra il soggetto e l’oggetto, tra l’arciere, il dardo e il bersaglio. È solo attraverso questa fusione che si può realizzare quel momento in cui le differenze si annullano in uno sfolgorante bagliore che è il Satori. Un’illuminazione individuale che è unica via che non si può insegnare (se non nei suoi primi passi che corrispondono alla disciplina dell’arco) e che permettono di raggiungere il centro del bersaglio. L’Occidente. Di contro la Tecnica occidentale, che ormai ha preso il sopravvento, non ha nessun presupposto nel sentimento, nella visione interiore, nel “sentire”. Freddamente manipola, trasforma, si fa creazione, piega il soggetto alla sua demonia, sostituendolo, brano a brano, con pezzi artificiali, spersonalizzandolo ma realizzando per lui l’ennesimo sogno faustiano. È l’eterna lotta tra la Qualità non tramandabile e la Quantità codificabile, che ha sancito il trionfo del pensiero occidentale, condannandolo, nel contempo, al giogo coatto di una forza ingovernabile quando diventa divinità. È la contrapposizione, che ben ha descritto Pirsig nel classico assoluto Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, tra visione classica (occidentale) e visione romantica (orientale), propendendo per quella classica, a me così almeno pare, che narra una bellezza soggiacente che a suo dire non sarebbe percepita dai romantici. Sarebbe utile ritornarci e non lasciare che quei due articoli marciscano nel cestino dell’oblio. Poi ci sono, a compimento di questa diarrea mediatica, le sperticate lodi alla manifestazione d’inaugurazione. I maggiori complimenti sono andati all’autoironia degli inglesi che hanno preso in giro se stessi con la presenza di Mr. Bean e soprattutto con la performance della Regina che, a fianco dell’ultimo James Bond, si è prestata a fare la Bond girl, piombando dal cielo in paracadute sullo stadio olimpico. Non lasciatevi abbindolare, è la solita, nota e più volte sottolineata ipocrisia inglese. È il facile sberleffo di chi credendosi ancora un dominatore e infarcito di un senso patologico di superiorità, nei confronti dell’intero globo terraqueo, sa di potersi permettere, in tempo di carnevale, delle licenze senza incrinare l’immagine che ha di se. Alla fine, mi viene restituita l’immagine di un grande spettacolo, divertente ma completamente inconsistente. Un enorme affare che poco ha a che fare con lo sport, che si rappresenta con una cerimonia imbarazzante, piena di morti viventi (come Sir. Paul McCartney), che non mitiga ma esalta il senso di baracconata planetaria che la TV riprende. E da tutto ciò il mio pensiero di sempre riaffiora. Se non si tratta di sport ma di una grande spettacolo per fa soldi e divertire, allora sarebbe giusto permettere tutti i doping a disposizione, permettere tutte le sperimentazioni bioniche conosciute, trapiantare arti di gazzella negli sprinter, innestare bulbi oculari aquilini nei tiratori, inserire fegati di merluzzo per migliorare l’acquaticità dei nuotatori. Bisognerebbe, per sostenere il vertiginoso giro di scommesse sulle gare e per renderle meno scontate, permettere di truccarle a piacimento, corrompere atleti per perdere e pagare allenatori pe rivelare i segreti dei propri assistiti. Tutto in nome dello spettacolo. Non ci vuole immaginazione per questo, basta guardarsi intorno. L’esempio del Palio di Siena è didascalico. Basterebbe applicarlo, lasciando lo sport vero, quello amatoriale (purtroppo ormai anch’esso compromesso in molto) a chi lo vuole praticare in santa pace. Senza record, senza classifiche, senza falsi miti da rincorrere. di Mario Grossi

04 agosto 2012

Com'e' cattiva la Merkel!

"I tedeschi non sono disposti a fare da bancomat per la classe politica italiana, non sono disposti a coprire i debiti che gli italiani hanno contratto. La storia degli eurobond è qualcosa per cui ci si indebita insieme e poi si paga insieme, peccato che chi si indebita di più, in questi casi, sarebbe l’Italia. I tedeschi sanno bene come funziona la politica in Italia, sanno bene che se diventassero un rubinetto che "se si apre ecco i soldi", questi finirebbero sì in Italia, ma finirebbero di nuovo ai vari Penati, Formigoni, Belsito e simili e ai loro compari." Beppe Scienza Il bancomat dei politici italiani Saluti agli amici del blog di Beppe Grillo, sono Beppe Scienza, insegno al dipartimento di matematica dell’Università di Torino, mi occupo di risparmio. Argomento caldo perché i risparmiatori italiani sono molto preoccupati di cosa capita ai loro soldi e ai loro titoli di Stato. Si sta assistendo da qualche mese a una recita da parte di politici e degli economisti di regime secondo un canovaccio abbastanza classico, per nascondere le magagne di casa propria si dà la colpa allo straniero, ora per fortuna non si fanno le guerre, almeno in Europa, ma qualcosa ricorda il nazionalismo di decenni passati. La colpa sarebbe di entità estere come le società di rating, gli speculatori internazionali, ovvero le colpe sono degli stranieri e si sentono alti richiami all’amor di patria finanziaria per cui emettono titoli come i Btp Italia che devono essere sottoscritti con tutta la stampa che li pompa. Diciamo le cose come stanno, se alcuni Btp sono scesi a 60 rispetto a 100 e parecchi a 80/70, se c’è sfiducia nel debito pubblico italiano, i tassi di interesse che l’Italia paga sono più alti di quelli che pagano altri Stati o di quelli che l’Italia stessa pagava fino a un anno fa in una situazione effettivamente molto tranquilla, anche troppo tranquilla, le colpe sono tutte italiane. Un debito pubblico che nel 2007 era sceso a 102%, 103% adesso è risalito a 120% e quest’anno addirittura a 123%. Se il debito pubblico tra l’altro è salito in Italia in parallelo a un taglio della spesa sociale, è salito grazie ai vari Penati, Formigoni, Belsito etc., non è salito perché sono stati regalati soldi ai cittadini. Uno dei nemici sarebbe la Germania, in particolare Angela Merkel accusata di cecità, stupidità. I tedeschi non sono disposti a fare da bancomat per la classe politica italiana, non sono disposti a coprire i debiti che gli italiani hanno contratto e soprattutto che sono ancora disposti a contrarre. La storia degli eurobond sarebbe qualcosa per cui ci si indebita insieme e poi si paga insieme, peccato che chi si indebita di più, in questi casi, sarebbe l’Italia. I tedeschi sanno bene come funziona la politica in Italia, sanno bene che se loro diventassero un rubinetto che "se si apre ecco i soldi", questi finirebbero di nuovo ai vari Penati, Formigoni, Belsito e simili e loro compari. L’idea, non infondata, è che una garanzia europea, sui debiti degli italiani servirebbe a riassumere a tutto spiano nuovi dipendenti pubblici, inutili, a elargire nuovi soldi a strane fondazioni. Adesso è per esempio in discussione il meccanismo europeo di stabilità noto anche come ESM European Stability Meccanism, deciso per aiutare gli Stati in difficoltà. Fatti di costume Ora la posizione della Germania è che va bene aiutare gli Stati in difficoltà, ma bisogna porre un qualche limite a questo, mentre invece l’ultima trovata è che questo ESM dovrebbe avere lo status di banca. Cosa vuole dire avere lo status di banca? Vuole dire che può comperare i titoli di stato italiani e spagnoli, sicuramente anche altri, darli in garanzia alla BCE, e farsi prestare soldi all’1%, con questi comprare di nuovo i titoli di stato italiani e spagnoli e portoghesi, darli in garanzia ancora alla BCE e così via fino al crack finale. Ora è chiaro che nè Monti, nè Hollande vogliono il crack finale. Certo, il meccanismo è molto pericoloso, perché se i soldi per aiutare gli Stati malconci sono limitati, c’è il rischio di esaurirli e trovarsi in situazione di grave crisi, se sono illimitati c’è il rischio di tirare giù tutta la baracca. Il punto è che dare lo status di banca al meccanismo europeo di stabilità apre un varco a questo rischio. La banca centrale tedesca, la famigerata Bundesbank è molto attenta ai soldi dei risparmiatori tedeschi. Il sindacato tedesco a differenza di qualche industria per prendere i soldi dai Tfr dei lavoratori ha protestato per il rischio associato ai risparmi dei cittadini tedeschi. In Germania c’è qualche aneddoto per capire com’è diverso lo stile. Sembrano fatti di costume e non sono fatti di costume. L’ultimo scandalo è stato quello cosiddetto del "tappeto volante", del tappeto di un certo Dirk Niebel, Ministro della cooperazione tedesca, che è andato con una delegazione del governo tedesco in Afghanistan, ha comperato con i suoi soldi un tappeto pagandolo circa 1.000 Euro, sono tornati in Germania con la delegazione e il tappeto. Uno scandalo a non finire. "Come? Ti porti il tappeto sull’aereo dell’aviazione pubblica e non paghi il trasporto? Non paghi l’Iva, la dogana?" Un grosso scandalo. Per fortuna il suo avvocato ha scoperto che una normativa europea esenta dall’Iva alcuni Stati come l’Afghanistan, quindi la cosa si è risolta. Christian Wulff, il presidente della Repubblica, si è dimesso per avere avuto un mutuo a tassi agevolati, in Italia tutti i parlamentari hanno di base mutui a tassi bassissimi. Ernst Welteke, il governatore della Banca centrale tedesca, nel 2004 si è dimesso perché a Berlino hanno pagato la stanza d’albergo al figlio che era lì con la fidanzata, per tenere il bambino dello stesso Welteke, cosette! Da noi Fazio per dimettersi ha dovuto aspettare che arrivassero per arrestarlo o quasi! Altre cose, la Margot Kaessmann, l’equivalente per i luterani, parlo per i cattolici, si è dimessa dalla sua carica perché l’hanno fermata mentre guidava tornando a casa la sera, hanno scoperto che aveva un tasso alcolico un po’ più alto, senza nessun incidente! Sfiducia nei titoli di Stato I tedeschi hanno questo stile nella politica, conoscono gli stili italiani, è comprensibile che abbiano forti esitazioni a mettere la foro firma per garantire debiti che verrebbero poi gestiti da una classe politica che noi italiani conosciamo bene, e quindi l’idea di diventare il nostro bancomat . A questo punto si capisce perché di fronte a queste cose gli italiani abbiano loro stessi sfiducia nei titoli del proprio Stato, loro stessi arrivano a venderli spaventati, si domandino cosa fare. Il problema in Italia resta quello grosso dell’enorme debito pubblico, poi le società di rating possono avere fatto qualche carta falsa, ma il problema non parte dalla speculazione, anche la teoria del contagio, il contagio viene non perché uno Stato è in difficoltà, ma perché tanti Stati sono in difficoltà. L’Italia è messa male perché comunque ha un debito pubblico molto alto e non si vede come riuscirà a tornare in una condizione di equilibrio. Quindi uno può trovare antipatica la lingua tedesca perché ha molte consonanti, è difficile, uno può non amare la cucina tedesca, può trovare i tedeschi un po’ rigidi e sicuramente lo sono, ma in questo caso le colpe sono in Italia, e sono nella classe politica italiana. Bisogna però chiarire un punto: la Germania, i politici tedeschi, non vuole assolutamente il fallimento dell’Italia, per questo non c’è contraddizione tra tante preoccupazioni che ho elencato prima e vedere prima invece Angela Merkel e Mario Monti d’amore e d’accordo, collaborare insieme. La Germania vuole evitare altri fallimenti nell’area dell’Euro dopo quella della Grecia che addirittura viene camuffato perché appaia meno grave. C’è il timore semplicemente da parte del Parlamento tedesco, che un crack, un'insolvenza dell’Italia avvenga trascinando anche la Germania. Il primo fine sicuramente della politica tedesca è evitare altre insolvenze nell’area dell’Euro. di Beppe Scienza

01 agosto 2012

La BCE difende l'Euro, le banche, ma non gli europei

Paradossalmente, l’agonia dell’Euro, del debito pubblico, dello spread, con tutti i sacrifici, la recessione e le tasse che ad essa conseguono, è voluta e mantenuta dai poteri europei: infatti dipende dalla scelta di proibire alla BCE di comperare le emissioni di debito pubblico sul mercato primario, alle aste, cioè da fare da vera banca centrale di emissione, così da impedire alla radice la speculazione. I Brics, gli USA, il Giappone, hanno banche centrali che fanno le banche centrali; perciò, sebbene gravati da debiti pubblici anche molto più alti dell’Italia, non hanno problemi con la speculazione, perché le loro banche centrali garantiscono l’acquisto. La pseudo-banca centrale detta BCE è voluta in quanto fa gioco agli speculatori finanziari, per ragioni di profitto; agli USA, per ragioni geostrategiche; alla Germania, perché ne trae benefici finanziari, competitivi, egemonici; al capitalismo in generale, perché gli consente di minacciare le nazioni con lo spauracchio dei tassi e del default per costringerle ad abbattere lo stato sociale, i diritti dei lavoratori e dei risparmiatori; a smantellare il ruolo economico del settore pubblico; e in generale a affidare definitivamente la politica ai banchieri. Questo dato di fatto sarebbe la prima cosa da dire nell’informazione economica, ma i mass media ne parlano con molta cautela. La linea della BCE è quanto di meno trasparente e di meno democratico si possa concepire: interviene comperando sul mercato secondario, in deroga al proprio statuto, ogniqualvolta i tassi sui bond di un paese eurodebole salgono tanto che il paese colpito potrebbe uscire dall’Eurosistema, ma niente fa per rimediare alle cause strutturali delle impennate dei tassi, né dei crescenti squilibri delle bilance commerciali intracomunitarie, né del costante peggioramento del pil, dell’occupazione, dell’economia reale, di molti Stati membri. Una difesa sostanziale, la BCE la fa solo in favore delle banche europee, finanziandole a bassi tassi (1%), molto largamente, e senza curarsi che almeno una quota degli oltre 1000 miliardi prestati loro vada a finanziare l’economia reale anziché attività speculative, magari rivolte contro Stati eurodeboli. Pare proprio che l’obiettivo della BCE sia di trattenere le rane nella casseruola finché non siano cotte, dispensando loro una boccata di ossigeno e generose rassicurazioni quando si sentono scottare e pensano di saltar fuori, come è avvenuto ad esempio oggi, allorché nella mattinata lo spread btp/Bund è schizzato oltre 530 p.b., e Draghi ha reagito dichiarando che uscire dall’Eurosistema è impensabile, che recentemente si sono fatti molti passi avanti, e che la BCE farà tutto ciò che occorre per impedirlo – al che lo spread è presto sceso a 470 p.b., e la borsa italiana ha recuperato il 5%, mentre l’Euro è risalito a 1,23 sul Dollaro. Pare, insomma, che si voglia tenere i paesi eurodeboli in un meccanismo che aggrava i loro problemi e svuota le loro economie reali, ma al contempo li mantiene artificialmente in vita con una fleboclisi monetaria, aumentando la loro dipendenza da organismi autocratici giuridicamente irresponsabili e di tipo bancario, come la BCE e il nascente MES, Meccanismo Europeo di Stabilità. Da simili fatti traspare un disegno superiore, oligarchico, dirigistico, che non viene dichiarato, ma viene portato avanti senza interesse per le condizioni di vita delle nazioni, bensì con interesse centrato sul piano finanziario: espressione del fatto che, per l’odierna strutturazione del potere reale, l’economia della produzione e dei consumi, quindi gli stessi popoli, che di quell’economia costituiscono gli attori, sono divenuti superflui – ed è questa la vera rivoluzione che introduce il nuovo millennio. di Marco Della Luna

31 luglio 2012

Italia sotto tutela bancaria

Una recentissima indagine commissionata da Unioncamere e Ministero del Lavoro sul terzo trimestre 2012 ci dice che nel periodo luglio-settembre i contratti a tempo indeterminato in Italia saranno solo il 19,8% su quasi 159 mila. L’Istat invece ai primi di giugno di quest’anno forniva i dati inquietanti sulla disoccupazione, che nel primo trimestre si sarebbe attestata al 10,9% con un aumento su base annua del 2,3 %, con una disoccupazione giovanile che è oramai oltre il 35 %, mentre i posti di lavoro persi tra marzo e aprile sono ben trentotto mila. Ebbene di fronte a dati di questo genere qualsiasi governo con un minimo di decenza si sarebbe dimesso e il Parlamento, luogo oramai deputato in Italia solo a fornire agi e privilegi a degli incompetenti nulla facenti, sarebbe sciolto da un Capo dello Stato serio e credibile. E invece c’è stato imposto il “ Fiscal Compact” (già il termine inglese suona meglio nel continuo scimmiottare Londra da parte dei peones della politica nostrana), ad eccezione della Gran Bretagna e Repubblica Ceca che non l’hanno accettato, che ci impone rigorosamente, per chi ha un debito pubblico superiore al 60% del Pil, di restare sotto tale soglia (a oggi il rapporto tra debito pubblico e Pil ammonta al 123,3%), con l’obbligo per chi sfora tale percentuale di rientrarvi nell’arco di 20 anni per un ventesimo della quota che sfora il 60 % da versare ogni anno. Questo significa che gli italiani dovranno per i prossimi 20 anni subire tagli alla spesa pubblica per ben 45 miliardi di euro l’anno! Una cifra colossale, che colpirà soprattutto i ceti medio bassi, anche paragonata all’altra stangata infertaci dal governo delle banche, lo “Spending Review” (anche qui l’inglese è d’obbligo perché fa tanto british e bocconiano) che ammonta a 29 miliardi in tre anni. Un vero salasso in barba alle ridicolaggini sulla crescita e altre amenità che escono ogni giorno dalla bocca del senile professore che siede a Palazzo Chigi. A ciò si deve aggiungere l’altro mostro partorito dalla burocrazia di Bruxelles e Francoforte, il MES - Meccanismo Europeo di Stabilità - che obbliga l’Italia a versare 15 miliardi in 5 anni a sostegno del fondo salva banche. Non c’è che dire, una fine davvero ingloriosa per la nostra penisola, che dopo essere “stata liberata” nel 1945 dalle armate degli invasori anglo-americani, e da allora sempre occupata militarmente, oggi si avvia alla totale estinzione anche economica e sociale per opera degli stessi di allora. Adattando la celebre frase di Von Clausewitz, che vedeva nella guerra il proseguimento della politica con altri mezzi, verrebbe da dire che qui si tratta dell’economia che prosegue la guerra con altri mezzi. Non contenta la BCE, che non risponde a nessun governo eletto, alla faccia di chi vuole esportare nel mondo a suon di bombe questo modello Occidentale, e che muove le fila al governo Monti, si diletta quotidianamente a darci consigli su come ridurre la disoccupazione con le solite soluzioni lacrime e sangue: “Salari più bassi e maggior flessibilità”, peccato però che i prezzi di prima necessità aumentino costantemente, e prosegue… “in vari Paesi la correzione al ribasso dei salari è stata modesta e ciò nonostante l’aumento della disoccupazione; solo la moderazione salariale e la flessibilità possono riallocare i lavoratori in esubero”. Più chiari di così! A fronte di simili esternazioni, che lasciano il tempo che trovano e aspettano sempre una conferma sul campo mai arrivata, che hanno come unico obiettivo distruggere ogni certezza contrattuale e salariale e ridurre ancor di più quello che resta di Stato Sociale in Italia e in Europa, nessun politico italiano e sindacalista ha sentito il dovere di dire in modo chiaro come stanno realmente le cose e dichiarare apertamente che il “Re è nudo” e che in Italia vi è in atto tutt’ora un vero e proprio colpo di Stato finanziario: finiti i tempi delle divise che sapevano tanto di America Latina, ora si vestono in giacca e cravatta. La BCE, il FMI, l’Ue e i loro camerieri inseriti a vari livelli nei governi europei, stanno operando una sistematica distruzione di tutte le conquiste sociali fatte dal lontano 1930 a oggi, con la Fornero come “Cavallo di Troia” inserito nella cittadella del lavoro, mentre il governo di Mr. Monti, quello che durante il recente viaggio a Mosca, incurante del ridicolo e della nullità del suo governo in campo internazionale, si è addirittura paragonato a uno statista nell’intervista concessa a Itar Tass e diffusa dalla tv “Russia 24”. Sta solo eseguendo i compiti affidatigli dall’oligarchia anglosassone e mondialista. Con la scusa dello spread, a colpi di machete si taglia tutto quello che c’è da tagliare di sociale, scuola, università, sanità, pensioni, salari, servizi sociali, trasporti pubblici, senza però toccare le banche e i loro interessi, nella speranza di spremere tutto quello che si può ora e subito, finché è ancora possibile, non per cercare un impossibile pareggio di bilancio, pia illusione poiché paghiamo interessi su interessi usurai, ma di far affluire nuovi capitali nelle casse degli istituti di credito in nome di quel debito pubblico che non è altro che il signoraggio operato dalla BCE che stampa e presta a usura il denaro, poi che vada tutto al diavolo. Una Fornero saccente e prepotente, che uscita dal cilindro del mondo bancario, come gran parte degli accoliti di Mr Monti, predica le solite ricette fasulle e portatrici di miseria in salsa liberista, “facilità di licenziamento, flessibilità-precarietà, moderazione salariale, tagli occupazionali, meno diritti”. Tutte cose già viste fuori Europa, dove sono state applicate a man bassa nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo e in America Latina in passato e dove hanno solo portato un abbassamento drastico del tenore di vita della popolazione, ma al tempo stesso, guarda caso, a un aumento dei profitti delle multinazionali e del sistema bancario internazionale e all’oligarchia di quelle nazioni. E ora questa economista da quattro soldi, ben piazzata ovunque con tutta la famiglia, che ripete a memoria la lezioncina contro il posto fisso, sta dettando legge nella più completa libertà d’azione, incurante dei danni sociali che sta arrecando, ringraziando ogni giorni gli ex sindacati oramai solo di nome come Cigl Cisl Uil e Ugl, che erano pronti a mobilitarsi in un non lontano passato, un giorno sì e l’altro pure contro Berlusconi. Ora tutti costoro, invece di far scendere in strada i lavoratori in uno sciopero generale ad oltranza, fanno spallucce e lanciano solo flebili proclami degni del Ferragosto contro il governo e la “professoressa” ministra. Però la coppia dei distruttori dell’Italia nulla sarebbe se non avesse alle spalle quel Mario Draghi, mentore del potere finanziario e bancario, che sta dettando le regole agli ignavi governi dell’Ue (tranne i britannici ovviamente, che di quel potere fanno parte integrante da sempre e che dopo essersi tenuti saldamente la loro sterlina, non accettano “Fiscal Compact” di sorta e imposizioni da Bruxelles e Francoforte; loro sono uno Stato sovrano non una colonia come l’Italietta del neoresistenziale Napolitano). Proprio il saccente Draghi, che oramai si sente un piccolo dio in terra, ci dice che “l’euro è irreversibile”, come se nella storia ci fosse mai stato un qualcosa d’irreversibile, e che quindi, “forte del sostegno dei governi, nulla cambierà in futuro”. Si dovrò proseguire sulla stessa strada intrapresa per l’Italia, la Spagna e la Grecia, in altre parole dopo che le solite note agenzie di rating hanno declassato gli Stati ecco arrivare i prestiti usurai in cambio però delle cosiddette riforme strutturali, così le chiama il banchiere di Francoforte, non lo chiamiamo statista per non indispettire l’altro, quello vero, il bocconiano di casa nostra, che sono anche queste sempre le solite e arcinote e con il classico obiettivo. Totale deregolamentazione del mondo del lavoro, che significa globalizzazione e quindi peggioramento del livello di vita dei lavoratori a vantaggio dei grandi gruppi internazionali e della concorrenza al ribasso dei Paesi che non hanno alcuna garanzia sociale e salariale. Si produrranno le stesse cose a costi inferiori e con maggiori profitti per gli investitori esteri che verranno in Italia o in Europa. Marchionne ne è il tipico esempio: dopo avere la Fiat succhiato per decenni contributi statali, ora apre fabbriche all’estero, come in Serbia, dove la mano d’opera costa meno della metà che in Italia, per poi rivendere il prodotto finito a prezzo pieno con ricavi ben superiori a quelli che si avrebbero con i lavoratori italiani. Via poi ogni forma di protezionismo economico sia pur minimo, che sempre secondo Draghi inibisce la competitività, certo lui sa bene cosa significhi tutto questo per la nostra economia, perché dall’altra parte dell’Oceano, da dove gli arrivano i compitini ogni giorno, gli Stati Uniti praticano da sempre il più stretto protezionismo, invocando invece l’apertura dei mercati per tutti gli altri popoli in nome del “dio mercato”. Liberalizzazioni, invoca Draghi, che fa rima con privatizzazioni, che a loro volta fanno rima con svendite del patrimonio pubblico nazionale, che così può facilmente entrare nel mirino dei “datori di lavoro” del presidente della BCE, i quali potranno completare la campagna acquisti già iniziata sotto i precedenti imbelli governi di centro sinistra e destra. E, infatti, Mr. Monti è già sulla buona strada visto che ha già dichiarato che “non solo non escludiamo quote dell’attivo del settore pubblico, ma stiamo preparando e presto seguiranno degli atti concreti”, riferendosi questa volta ai patrimoni di Comuni e Regioni, che come quelli dello Stato sono di tutti gli italiani e non certo di un Presidente del Consiglio da nessuno eletto, costruiti nel corso degli anni con i nostri sacrifici e delle generazioni precedenti, ma che ora rischiano di essere spazzati via e ceduti al migliore offerente. E per finire ecco l’affondo finale dell’ex governatore di Bankitalia, con l’invocazione, ma meglio sarebbe dire l’ordine, vista la spocchia da banchiere che si ritrova, a varare al più presto l’Unione di Bilancio, al fine di creare un’entità sovranazionale. Sappiamo bene da chi e in che modo sarebbe poi guidata questa entità, lo stiamo già vedendo e subendo ogni giorno proprio in Italia, dove la politica ha da tempo lasciato il passo al mondo della finanza apolide, la Costituzione è oramai carta straccia, buona solo per i gonzi che ancora credono nella democrazia, mentre tutte le decisioni che contano sono prese altrove, tranne che in Parlamento aula sorda e grigia. di Federico Dal Cortivo

27 luglio 2012

Elezioni anticipate: far votare il Popolo prima che si inferocisca

Mentre incalzano i declassamenti del sistema-Italia da parte delle agenzie di rating (downrating del debito pubblico, di banche, di enti pubblici), mentre lo spread si impenna, mentre le soluzioni annunciate e festeggiate vivono al più due giorni, mentre il contagio greco e spagnolo si fa sempre più pressante, si moltiplicano i contatti a tema monetario tra Monti, Napolitano, Draghi e altre entità più nell’ombra, e vengono divulgati messaggi rassicuranti: niente nuove manovre, niente crisi monetaria, niente rottura dell’Euro, interventi senza tabù da parte della BCE. Ma promesse e rassicurazioni in materia monetaria, come l’esperienza non si stanca di dimostrare, sono solitamente strumentali e mendaci. Mettiamo ora questo quadro in relazione col tema delle elezioni e della riforma elettorale. Napolitano esige la riforma del Porcellum, onde dare (parvenza di) rappresentatività popolare al parlamento, prima delle prossime elezioni politiche. Diverse fonti ventilano un progetto di voto anticipato ad Ottobre. Monti emette ormai effati implicitamente possibilisti in tal senso. Si parla di un patto tra i partiti che lo sostengono per cambiare la legge elettorale (cioè per inventare un nuovo sistema per eleggere sempre gli stessi), impegnarsi congiuntamente a continuare l’appoggio a Monti e alla sua linea di “risanamento” quale che sia il voto dei cittadini, e poi andare alle urne in sicurezza, avendo “rassicurato i mercati e Berlino”. Mi suona molto così: “Cari titolari dei partiti responsabili, se volete rimanere ancora qualche anno in poltrona a gestire la spesa pubblica come siete abituati a fare, dovete vincolare la futura azione del futuro parlamento ad obbedire e votare le veline della BCE, dell’Eurogruppo, della Commissione, impegnandolo sin da ora a fare tutte le riforme e le cessioni di sovranità che saranno richiesti, anche contro la logica e l’interesse nazionale; solo a tale condizione, la BCE, in deroga autocratica al suo statutario divieto a intervenire in tal senso, continuerà a intervenire sottobanco, sul mercato secondario, per comprare, cioè rifinanziare, il debito pubblico italiano evitando il default del paese.” Un rinnovo parlamentare di questo tipo, imposto dall’estero come già lo fu il rinnovo del governo l’anno scorso, servirà ad affrontare il caldissimo autunno-inverno che ci aspetta, quando scadranno gli ammortizzatori sociali in essere ora (e si impennerà quindi il numero degli ufficialmente disoccupati), quando arriverà la seconda stangata dell’Imu, quando si faranno i conti con la moria di imprese e posti di lavoro già percepibile a chi opera in contatto con le pmi e con i lavoratori autonomi, quando si farà una tassa patrimoniale sugli immobili per raschiare il fondo e affossare il paese. Quando, insomma, probabilmente scoppierà la crisi sociale. Tale fedelissimo parlamento fantoccio, necessario complemento di un governo pure calato dall’alto, potrà legiferare per reprimere la protesta popolare, per introdurre nuove tasse e misure straordinarie, per ingabbiare la nazione nelle strutture giuridiche autocratiche decise altrove, assai più affidabilmente di quanto può fare l’attuale parlamento zombie. E, nel farlo, potrà dire: “non rappresentiamo il popolo che democraticamente ci ha eletti; l’opposizione è violenza, follia, rifiuto delle regole.” Ma soprattutto è meglio far votare la gente in autunno, prima che il bubbone scoppi, prima che succeda qualcosa di grave e duro per la vita quotidiana, prima che il governo dia ulteriori e traumatici giri di vite, prima che si sentano pienamente gli affetti della sua politica economica e del dominio tedesco. Andare al voto nel Marzo 2013 vorrebbe dire andare dare lo strumento elettorale in mano a un popolo che sarà inferocito e sfiduciato, anche verso l’UE, verso Napolitano, oltre che verso Monti e i suoi sostenitori. Questa ipotesi spiegherebbe l’attivismo e gli sforzi in corso da parte di premier, Quirinale, BCE e ABC per turare le falle e puntellare il sistema finché non dispongano di un nuovo parlamento a loro misura, per le loro non divulgate strategie. Spiegherebbe anche perché Berlusconi ancora non dichiara la sua linea come candidato a premier: a seconda di come andranno le cose nei prossimi mesi, a seconda che quel piano riesca oppure fallisca, dovrà presentarsi come fedele servitore dell’Europa dei banchieri, oppure acerrimo leader della lotta contro di essi.

26 luglio 2012

L'irresistibile inadeguatezza della politica

Credo che la maggior parte dei cittadini non abbia ancora capito. Per non parlare dei politici, dei sindacalisti, dei rappresentanti di associazioni e gruppi. A giudicare dalla spensieratezza con cui si va in vacanza, si segue il calcio mercato, si discetta di sistemi elettorali, ci si infervora sui matrimoni gay e sulle dimissioni della Minetti, si direbbe che siano davvero pochi gli italiani che si rendono conto di quanto è drammatico questo momento. E allora proviamo a riassumere. Nessuno sa quanto è probabile che l’euro crolli, o che lo Stato italiano fallisca e ci trascini tutti nel baratro. Però questa eventualità, che era decisamente remota fino a qualche tempo fa, ora non è più trascurabile. Può succedere. Speriamo di no, ma può succedere. Questa settimana, o fra un mese, o fra un anno. Non è inutile ricordare che cosa l’eventualità di un default si porterebbe dietro. Primo: una considerevole erosione dei propri risparmi, per chi ne ha; un crollo del valore degli immobili; l’impossibilità – in caso di necessità – di venderli a un prezzo decente. Secondo: un taglio dell’importo delle pensioni, per chi non lavora più; difficoltà di conservare il posto di lavoro, per operai e impiegati; difficoltà di tenere aperte attività economiche, per imprenditori, commercianti, artigiani. Terzo: riduzione della quantità e della qualità delle cure, per i malati; per tutti, problemi di approvvigionamento energetico, perché benzina, riscaldamento, luce elettrica scarseggerebbero e costerebbero di più. Qui mi fermo, perché non è il caso di infierire. Ma il menù è questo. Le dosi possono variare, le portate – ovvero i guai – possono essere abbondanti o striminzite, ma questo è il genere di eventi che accompagnano un default. Ebbene, di fronte a tutto questo – che fortunatamente non è né certo né probabile, e tuttavia sta diventando sempre più possibile – le forze politiche paiono avere completamente smarrito il senso della misura, delle proporzioni, o meglio ancora delle priorità. Ogni giorno ci riserva la sua piccola bega, fra partiti ed entro i partiti, e pochissimi paiono rendersi conto che ci siamo di nuovo pericolosamente avvicinati al baratro. Da qualche giorno si riparla della possibilità di votare subito, ad ottobre, e non sappiamo ancora nulla. Non sappiamo se dovremo rivotare con le liste bloccate del “porcellum” oppure ci sarà una nuova legge elettorale. Non sappiamo se chi ha condanne definitive potrà essere eletto in Parlamento. Non sappiamo quali saranno le forze politiche in campo. Non sappiamo che alleanze faranno i partiti. Non sappiamo chi saranno i candidati premier. Ma soprattutto non abbiamo ancora ascoltato alcuna proposta precisa in materia di politica economica, salvo quella dei cosiddetti montiani, che propongono di andare avanti così, completando le riforme dell’agenda Monti. Eppure, come elettori, avremmo diritto di sapere come le principali forze politiche del paese intendono evitare il default e, se possibile, riavviare un minimo di crescita economica. Ma attenzione, quando dico che avremmo il diritto di sapere, non mi riferisco ai soliti elenchi di impegni generici, velleitari, o privi di copertura finanziaria. Oggi meno che mai, come elettori, possiamo accontentarci del consueto minestrone elettorale: crescita, coesione sociale, equità, sgravi fiscali, lotta all’evasione fiscale, riduzione degli sprechi, federalismo, rilancio del mezzogiorno. I progetti delle forze politiche che si candidano a governare il paese dovrebbero essere dettagliati e finanziariamente sostenibili, e soprattutto chiari nel loro rapporto con quel che Monti ha fatto fin qui. Non sono fra quanti pensano che Monti abbia fatto il massimo possibile, e anzi ritengo che abbia commesso qualche notevole sbaglio. Ma mi spaventa di più la completa mancanza di analisi credibili da parte delle forze che lo criticano, o lo sostengono fra mille distinguo e prese di distanza. Né Bersani, né Alfano, né Grillo – leader delle tre principali forze in campo – sono stati finora capaci di offrire una alternativa convincente, ossia chiara ed articolata, alla linea del professore. Quel che si intuisce è soltanto che Grillo non esclude il ritorno alla lira, ad Alfano non sono piaciuti gli aumenti delle tasse, a Bersani non sono piaciute le riduzioni di spesa. Quanto al partito di Montezemolo, l’unica lista che potrebbe competere con le tre forze maggiori, non si sa neppure se sarà presente alle prossime elezioni. Forse è anche per questo – perché capiamo che i suoi critici farebbe meno e peggio – che sempre più insistentemente si sente parlare di una lista Monti, o di una continuazione del montismo con altri mezzi. E forse è per lo stesso motivo che, talora, Monti si lascia andare ad atteggiamenti da salvatore della patria, da uomo di stato che – diversamente dai politici politicanti – non pensa alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni (vedi dichiarazioni di ieri nella sua visita in Russia). Il dramma delle prossime elezioni, siano quest’autunno o siano questa primavera, è proprio questo. L’Italia avrebbe bisogno di un governo politico, dotato di visione, di coraggio e di legittimazione elettorale, che la portasse fuori dalla palude in cui si è cacciata. Ma il ceto politico vecchio e nuovo appare così debole, così incosciente, così inconcludente e cialtrone, che in molti cominciamo a pensare che, tutto sommato, un nuovo governo Monti sarebbe meglio che riconsegnarci a forze politiche che non saprebbero dove portarci. Con una piccola complicazione, però: che i governi li fa il parlamento, e tutto fa pensare che il nuovo parlamento non sarà molto migliore di quello che ci lasceremo alle spalle. di Luca Ricolfi

25 luglio 2012

Rivolte e guerre da manuale

Di cosa può essere capace chi brama la guerra? L’immaginazione potrebbe sorprendersi di fronte all’inesistenza di limiti. Ce l’hanno dimostrato in Libia, ce lo stanno facendo vedere in Siria, ci proveranno (e hanno già iniziato) con l’Iran. Il terrorismo diventa salvaguardia dei diritti umani, eserciti più o meno mercenari sono spacciati per “la resistenza”, governi legittimamente eletti diventano feroci e sanguinari regimi, capi di stato (rispettati e riveriti) che amministrano da anni si trasformano nel giro di poche settimane in crudeli oppressori, scelte di politica interna (come l’approvvigionamento energetico) sono vendute come intollerabili minacce. Insomma, l’assurdità diventa ovvietà, gli oppressori si trasformano in liberatori e l’incredibile diventa realtà. Orwell si inchinerebbe ai guerrafondai moderni. I geni del male contemporanei hanno avuto predecessori che hanno alimentato e strutturato forme di aggressione, occupazione e sterminio degne dei peggiori aguzzini o delle peggiori menti alberganti nei novelli dottori della morte. Queste canaglie bestemmiano definendosi ‘democratiche’ e coprono la loro malvagità con la cosiddetta ‘esportazione’ di ciò che non conoscono. Ci sono invece pratiche, tattiche e strategie ben note all’asse dei reali oppressori (da USraele ai loro ‘NATOriamente’ fedeli alleati europei), che datano addirittura all’inizio degli anni ’60. Cuba ha fatto scuola. Scrive Jesse Ventura, ex governatore del Minnesota (già Navy Seal), nel libro 63 documents the US Government doesn’t want you to read (in Italia “Il libro che nessun governo ti farebbe mai leggere”, Newton Compton editori) che “alla fine dell’aprile 2001, poco più di quattro mesi prima dell’11 settembre, si è scoperto incredibilmente che l’esercito americano aveva pianificato un finto attacco terroristico contro i suoi stessi cittadini. (…) Si trattava dell’Operazione Northwoods contro Cuba, approvata nel 1962 da tutti gli Stati Maggiori Riuniti.” Nel libro si trova un memorandum per il segretario della Difesa e per il capo delle operazioni militari avente per oggetto la giustificazione per l’intervento militare degli Stati Uniti a Cuba. Vengono elencati i pretesti utili per poter giustificare l’intervento militare, attraverso la pianificazione e la concentrazione di una serie di “incidenti che andranno a combinarsi con altri eventi in apparenza non collegati, allo scopo di camuffare l’obiettivo ultimo e creare la necessaria impressione della pericolosità e irresponsabilità su larga scala” del nemico. Nel memorandum, originariamente top secret, si legge nero su bianco che “il risultato voluto della realizzazione di questo piano sarà quello di mettere gli USA nell’apparente posizione di poter giustamente (…) diffondere l’idea nella comunità internazionale della minaccia portata da questo Paese (il nemico, NdA) alla pace dell’Occidente”. Dal 1962 a oggi, le istruzioni sono seguite alla perfezione. Nei documenti riportati da Ventura si legge che le menti del male auspicavano che “alla base di un intervento militare” ci fosse una provocazione e suggerivano come agire per metterla in atto: “Si potrebbe suscitare la reazione di quel governo con un piano segreto e fraudolento” e inoltre “andrebbero promosse azioni aggressive e ingannevoli per convincere” il nemico “di un’imminente invasione”. Nell’appendice del memorandum c’è poi la lista di interventi utili per decidere un attacco credibile. Si va dalla diffusione di voci (disinformazione), all’azione di alleati nel paese nemico affinché si insceni un attacco; dal provocare disordini all’organizzare un attentato con relative cerimonie funebri. In particolare, ci sono due proposte che non lasciano spazio a dubbi o a complottismi di sorta (se non quelli degli ideatori): far esplodere una nave americana e dare la colpa al nemico che si vuole aggredire; far esplodere un proprio mezzo senza equipaggio umano in territorio nemico e attribuire la responsabilità al governo che si vuole combattere, avendo l’accuratezza di pubblicare la lista delle (inesistenti) vittime sui giornali statunitensi “in modo da sollevare un’utile ondata di sdegno nella nazione.” E, se non bastasse, il documento desecretato invita a “sviluppare una campagna terroristica.” Correva l’anno 1962 quando questa strategia veniva elaborata e indicata come via maestra. Le guerre più recenti dimostrano l’efficacia delle operazioni ‘da manuale’ degli aggressori. Con alcune ‘migliorie’ come ad esempio l’intervento occulto attraverso quelli che vengono chiamati (e armati) ‘eserciti dei ribelli’ o ‘degli insorti’. La realtà ci insegna che i killer professionisti agiscono in segreto, nascosti, vicini ma invisibili alla vittima. E non sono paghi finché non hanno portato a termine la missione. Norman Podhoretz, firmatario del Project for a New American Century (PNAC), nel numero di settembre del 2002 della sua rivista Commentary scrisse che i regimi “che meritano abbondantemente di essere rovesciati e sostituiti non si limitano ai tre membri identificati dell’Asse del Male (Iran, Iraq e Corea del Nord, NdA). L’asse dovrebbe essere esteso almeno alla Siria, al Libano e alla Libia, ma anche ad ‘amici’ dell’America quali la famiglia reale saudita e l’Egitto di Mubarak, insieme all’Autorità Palestinese sia diretta da Arafat che da uno dei suoi scagnozzi.” L’agenda è in atto; la missione è in corso. E per chi vuole la guerra (e il preziosissimo bottino di guerra) non c’è nulla di impossibile o impraticabile. I media e i governi alleati sapranno costruire la matrice da metterci davanti agli occhi per nascondere la verità. di Monia Benini

24 luglio 2012

A cosa serve il servizio segreto?

Oggi per scoprire segreti militari basta un satellite o anche un Drone delle dimensioni di una mosca. Un servizio segreto serve a preparare e vincere una guerra, possibilmente senza combatterla, mediante il condizionamento della pubblica opinione. Ciò può avvenire mediante aggressione mediatica diretta ( es la BBC inglese con l’Italia 1940-1945) o la penetrazione capillare di idee opportunamente teleguidate che trasformino in verità assoluta un interesse politico ben identificato dalla geopolitica. ” L’aggressore è amante della pace. egli vorrebbe conquistare le nostre case senza sparare un sol colpo” ( Clausewitz, cap V “della superiorità della Difesa strategica”. Cito a memoria e una virgola potrebbe essere fuori posto) . Parlava di Napoleone e quindi nessuno dei presenti si offenda. In un mondo in cui si è disposti a credere a tutto, basta condizionare e rifornire con continuità i media e il piu è fatto. Il più grande successo dell’intelligence inglese degli ultimi quattrocento anni è l’aver introdotto il concetto di “equilibrio europeo” nelle cancellerie di tutto il mondo. Migliaia di diplomatici di tutta Europa hanno sempre dato per scontato che per avere la pace bisognasse assicurare l’equilibrio in Europa tra le varie potenze. Ci sono voluti quattro secoli per tornare al prisco concetto di naturale Unità del continente europeo che era stato il perno della vita del mondo dall’era dell’imperatore Augusto alla caduta di Costantinopoli. Non che non ci fossero guerre, ma miravano a mantenere o rifare l’impero o brigare una successione. La comunicazione oggi – fortemente integrata con l’intelligence al punto da essere ormai indistinguibile – è riuscita a far percepire una serie di concetti completamente falsi che ci stanno spingendo verso la guerra come capretti verso il sacrificio. Ad esempio, tutti ormai riteniamo che le sanzioni contro uno stato siano una alternativa alla guerra, mentre In realtà la preparano. Tutte le guerre più recenti – vedasi Irak ,Libia, Siria, – sono state precedute da sanzioni economiche più o meno stringenti che hanno avuto la funzione di indebolire l’avversario, minarne la coesione interna mediante impoverimento di alcuni strati sociali, limitarne le potenzialità militari e magari indurli ad atti di aggressione , in maniera da far apparire aggressore l’aggredito. Ora è la volta dell’Iran, attorno al quale è iniziato il balletto delle portaerei Enterprise, Stinton e un’altra di cui ora mi sfugge il nome. L’Iran è il terzo produttore al mondo di petrolio e il secondo di Gas naturale. Le sanzioni gli vengono applicate da circa trenta anni e con varie ragioni. Le prime sanzioni moderne furono applicate all’Italia a seguito della guerra d’Etiopia. ( tralascio il caso napoleonico di “blocco continentale” per non allungare oltremisura). L’esito non fu determinante per la relativa novità dello strumento, la forte coesione nazionale del momento ( anche il PCI propose di aderire al regime ) e le misure economiche adottate su suggerimento dell’ economista Giuseppe Palladino, sconosciuto ai più. Maggior successo ebbe il blocco dei rifornimenti petroliferi al Giappone da parte degli Stati Uniti iniziato nel 1940 che indusse i nipponici ad attaccare nel 1941, prima di essere troppo indeboliti. Le stesse sanzioni economiche imposte dalla Lega Araba contro Israele dal 1948 in poi hanno condotto a guerre ( due di autodifesa preventiva : 1956 contro l’Egitto e nel1982 contro il Libano mirante anche a forzare il blocco economico sull’anello più debole ; due di aggressione diretta 1967 e 1974 in cui gli arabi attaccarono. Ad onta di tutte queste dimostrazioni che le Sanzioni precedono e non impediscono le guerre, la pubblica opinione mondiale è condizionata a pensare il contrario. Un secondo condizionamento planetario consiste nella tecnica di definire ogni atto di resistenza ” crimini di guerra”. È ancora vivo in tutti noi il ricordo dell’ondata di indignazione emotiva suscitata dalla notizia dei diecimila morti in un giorno per mano di Gheddafi, le foto del cimitero di Tripoli in costruzione spacciato per ” fosse comuni” ecc. La notizia, precedette e giustificò l’intervento. Nessun media rettificò le false informazioni. Oggi, con la variante siriana, i ” diecimila morti in un giorno” sono stati trasformati in uno stillicidio di trenta / quaranta morti al giorno, recitati da uno sconosciuto ” addetto stampa” di una ignota organizzazione con base a Londra , senza che nessuna conferma professionale convincente sia intervenuta. Di certo, ci sono tre fatti: seicento ex “rivoluzionari” islamisti libici fanatici armati di tutto punto , trasferiti e pagati dagli USA, tramite i sauditi, stanno spargendo il terrore a macchia di leopardo sul territorio siriano, ritirandosi quando opportuno oltrefrontiera in Libano e in Turchia. Auto imbottite di tritolo sono scoppiate a Damasco provocando massacri, ma indignazione, non paura, al punto che ” i ribelli” hanno negato ogni partecipazione e dato la colpa a Al Kaida che come si sa, ha le spalle larghe e non ha ufficio stampa. Una intervista fatta da un giornalista inglese a Bashar el Assad che avevo personalmente messo su you tube e che poteva aiutare le persone a farsi una opinione indipendente , fu cancellata nel giro di un giorno , un anno e mezzo fa e sostituita dalla scritta ” cancellata”. You tube è mio e lo gestisco io. Se gli USA prenderanno il controllo dei giacimenti iraniani, otterrebbero di fatto il monopolio mondiale dell’energia e potrebbero in ogni momento giugulare Cina e Russia. Ogni notizia su Siria e Iran , anche la più innocente – di innocente non c’è più nulla – leggetela alla luce della geografia e della storia. Due volte. di Antonio de Martini

21 luglio 2012

Aspetti del degrado occidentale: il gioco d’azzardo

Una cosa è innegabile. Dove arrivano “l’Occidente”e la “modernità”, arriva il degrado. Il degrado dell’essere umano. Tutto o quasi, esteriormente, può dare l’impressione di essere “nuovo”, “avanti” e “pulito” rispetto a chi è “rimasto vecchio, indietro e sporco”, secondo quella miope visione che ancora spopola tra le generazioni più ‘stagionate’ cresciute nel mito del “miracolo economico” e tra certi giovinastri ridotti a zucche vuote da un sistema sempre più vacuo dal punto di vista valoriale, educativo ed esistenziale. Ma si tratta della facciata, dell’apparenza, alla quale tiene così tanto chi si compiace di essere “moderno”. Ma il fuori è bello e il dentro è brutto, potrebbe recitare una pubblicità che presentasse sinteticamente cosa sia il “mondo moderno”. Tuttavia il degrado, beninteso, una volta che s’insinua dentro l’uomo si rispecchia anche nel mondo esteriore, e già cominciamo a constatarne gravi e preoccupanti segnali, specialmente nelle grandi città. Ma quello che qui più mi preme è rilevare come la “modernità”, la “democrazia” compiuta, dopo aver abbagliato i più sprovveduti perché “indifesi” (e non vagamente “disinformati”) con i suoi abbaglianti specchietti, comporta un’inesorabile abdicazione dell’uomo da quella che dovrebbe essere la sua posizione “signorile” (rabbânî) nel contesto della Creazione. I demoni preposti allo scopo di traviare l’essere umano in ogni modo e farlo così fallire ne studiano di tutti i colori. Intendiamoci: per ogni tipo umano, ciascun “carattere”, esiste un tranello, un’insidia, di grado commisurato al suo grado di “consapevolezza”, o meglio di “realizzazione”. Con la maggioranza degli uomini, l’Avversario gioca per così dire “sul velluto”, quindi gli basta davvero ben poco per sviarlo. Uno di questi trucchi è il gioco d’azzardo. Cominciamo col dire che questa pratica è stata sempre condannata dalle tradizioni regolari, e tra queste l’Islam. Il motivo è presto detto: essa implica un ‘calcolo’ sul futuro, che nessun essere umano può conoscere, e soprattutto genera denaro dal denaro, senza sforzo, il che la equipara all’usura, al prestito ad interesse, insomma, all’attività cosiddetta “legale” che caratterizza il moderno settore finanziario. E non è solo l’Islam a sostenere che tutto ciò è profondamente aberrante: a beneficio di chi si dichiara “cristiano” solo per darsi una “identità” o per dare addosso a qualcun altro, ricordiamo l’episodio evangelico di Gesù che esce letteralmente dai gangheri (ed è l’unica volta!) per cacciare i “mercanti dal Tempio”. “Mercanti” che in realtà erano dei “cambiavalute”, i quali, lucrando sui “cambi”, fornivano alla “povera gente” che disponeva solo della moneta locale, la divisa con cui dovevano essere versate le tasse all’Impero. Ed era, sottolineiamolo, tutto “legale”… Il che non significa un bel niente, perché al di là della “legge” scritta per favorire qualche camarilla e tiranneggiare le vite degli uomini, esiste una “legge morale”, o meglio una legge divina che, provvidenzialmente, è stata resa nota agli uomini affinché poi non possano dire “non sapevamo” quando giungerà l’inevitabile flagello per il male e lo “scandalo” che è stato sparso. Dopo questa necessaria premessa, veniamo al tema dell’articolo, il gioco d’azzardo. A chiunque sarà capitato di osservare che, di pari passo con la proliferazione di filiali di banche e società finanziarie, stanno spuntando come funghi anche “sale da gioco” e “bische”, ovviamente dotate del crisma della “legalità”. Il fenomeno negli ultimi mesi sta assumendo proporzioni preoccupanti. Vi sono bar che si trasformano d’un colpo, cambiando addirittura l’insegna, in sedi “in franchising” di qualche gestore di “slot machine”. Altrove, con maggiori ‘pretese’, aprono ampi e luccicanti ‘casinò da sfigati’, con decine di postazioni per “tentare la fortuna”. Questi ultimi sono situati preferibilmente nelle vicinanze di luoghi frequentati da masse ‘al pascolo’, ovvero i luoghi dello “shopping”. Ma mentre il casinò tradizionale aveva un che di artatamente “altolocato” (a partire dal mitico “rien ne va plus!”), e non a caso sorge al confine di Stato (Sanremo, Campione d’Italia…), coi clienti che vanno lì paludati da gran signori, queste ‘bische di quartiere’ sono alla portata di chiunque, col che l’occasione di andare a scialacquare il proprio denaro si presenta senza doversi recare chissà dove. Ripeto: stanno spuntando ovunque, segno che la perversa pratica si sta diffondendo a macchia d’olio. I bar, poi, non hanno mai brillato per la qualità della loro clientela, ma adesso, trasformandosi in “sale da gioco”, finiscono per somigliare alle proverbiali “spelonche di ladri”. Vi è infatti da rilevare che questi luoghi sono dei punti di raccolta di individui poco raccomandabili, fannulloni, parassiti e sfruttatori delle proprie malcapitate famiglie. Gente in qualche caso anche pericolosa. Questa piaga sociale non viene assolutamente tenuta in conto da uno “Stato” che anziché tutelare la salute e la probità delle famiglie, individua nell’apertura di sale da gioco e nell’istituzione di sempre nuovi concorsi a premi occasioni per “fare cassa”. La cosa triste è che si sono pure inventati un patetico bollino “gioca sicuro”, che chissà in quale modo dovrebbe impedire ad una persona di cadere nella “malattia del gioco”. Che vergogna! Che si tratti di una vera e propria malattia non lo dico io, ma lo Stato stesso, che in alcune strutture sanitarie pubbliche apre centri specializzati nella cura di persone per le quali il gioco d’azzardo è diventata una patologia incontrollabile. Ma come al solito, in regime democratico, non si “osa” mai abbastanza, perlomeno in quegli ambiti che comunque devono andare così (perché dove vogliono “osano” eccome). Ricordo infatti distintamente il parere di un “esperto” in camice bianco che interpellato da un giornalista su cosa ne pensasse del gioco d’azzardo rispose che “bisogna comunque giocare con moderazione”. Che coraggio, proprio lui, che avrà senz’altro esperienza di famiglie mandate in rovina, economica e morale, da un malcostume incoraggiato dallo Stato stesso! La pratica di scommettere, di fare delle “puntate”, di staccare un biglietto della lotteria, intendiamoci, è già presente da anni, con lo Stato che ci fa il suo bel gruzzolo senza mai riferire nel dettaglio che cosa fa con questa fortuna: ci ripaga, ai signori del denaro, gli “interessi sul debito”? Li spende nella farsesca “guerra al terrorismo” in Afghanistan? Li sperpera per rovinare la salute dei cittadini considerato che la continua irrorazione aerea di sostanze le più nocive avrà un costo esagerato? Non sono domande da poco. Siamo così passati, dopo una prima fase in cui il tutto sembrava “innocuo”, da una serie di scommesse e lotterie, quali Lotto ed Enalotto, Totocalcio, Totip, Lotteria di Capodanno, di Agnano, di Viareggio ecc. ad una quantità di occasioni per buttare via quei tre soldi di cui gli italiani dispongono che davvero fa spavento. E, si badi bene, un primo evidente incremento di tutto ciò lo si ebbe dopo la falsa stagione moralizzatrice denominata “Mani Pulite”, quando assieme al primo saccheggio dello Stato italiano che adesso viene ripreso in grande stile, si assistette ad un’ondata mai vista prima di “delizie” provenienti dall’Angloamerica. Qualcuno forse ricorderà le “sale bingo”, versione ammodernata della tombolata in famiglia, saltate fuori proprio nei primi anni Novanta. O i viaggetti di arzilli e scellerati vecchietti per i quali si organizzavano gite nella “nuova Slovenia” per buttare lì la loro pensione. O i “gratta e vinci”, successivamente resi più “sofisticati” differenziando l’offerta, fino a giungere alle follie della vacanza o del “vitalizio” in caso di vincita. Che tristezza: Lorsignori, i professionisti delle “privatizzazioni”, a rimpinzarsi con le membra del fu “patrimonio pubblico” accumulato coi sacrifici di una nazione affinché fosse ben gestito, mentre la massa rincretinita ed illusa “gratta” nella speranza di “cambiare vita”. Tra l’altro, quest’anelito a “cambiare vita” diffuso nella gente più ignorante, oltre che indicare la non eccelsa esistenza che conduce, a livello “spirituale” ha delle ricadute devastanti poiché l’insoddisfazione è essenzialmente ingratitudine, e “rendere grazie” a Dio è l’atto che tutti, per sperare almeno di “salvarsi”, dovrebbero compiere quotidianamente per tutti i benefici e le bellezze di cui sono stati onorati; solo che non se ne accorgono, perché da una parte sono stati abituati a non accontentarsi mai, dall’altra vivono effettivamente una “vita senza senso”, la quale, però, al confronto di quella di un minatore cileno o di un contadino africano dal punto di vista materiale è infinitamente più agevole… Con la diffusione di internet, inoltre, non vi è stato praticamente più limite alle scommesse cosiddette “sportive” (lo sport è ben altra cosa: lo si fa e non lo guarda!). Dai “punti” specializzati, che spesso sorgono alla confluenza di masse di abbrutiti – ma anche di “gente normale”, che così viene ‘adescata’ - quali le adiacenze delle stazioni ferroviarie, dove non è raro trovare abbandonate lì davanti mucchi di bottiglie di birra o altra bevanda inebriante (un vizio tira l’altro: il classico scommettitore incallito beve e fuma), si è passati al “gioca sicuro” on line; qui la fantasia diabolica s’è scatenata, al punto che giocano tutti, anche i ragazzini con la complicità di genitori dementi, e si punta su tutto, anche in corso d’opera, ovvero mentre stanno giocando la tal partita che il “malato” altrimenti detto “sportivo” (da poltrona) si starà godendo grazie alla sua amata “pay tv”. Una delle cose che lascia stupefatti è che dalle scommesse sulle squadre italiane si è passati alle puntate su tutti i campionati possibili e immaginabili. Ma pensiamoci un attimo: qual è la storica “patria delle scommesse”? Ma l’Inghilterra, che diamine! E dove si è tenuta, nel 1992, in piena “tempesta monetaria” sulla Lira, l’ormai leggendaria riunione dei vari traditori della patria, ancora oggi tutti lì a farci la pelle? Sul panfilo Britannia, di proprietà della Regina d’Inghilterra! Ergo: la sudditanza alla Perfida Albione - quella che ha schiavizzato mezzo mondo (si ricordi solo l’India, ridotta alla fame per due secoli!), che da sempre architetta guerre in casa altrui (accusando gli altri di averle volute), che rovina anche i propri “alleati”, che si tiene stretta la sua Sterlina ma controlla la BCE eccetera… -, questa sudditanza si esplica nella diffusione d’inveterate abitudini, diciamo così, del popolo britannico. Non sorprenderebbe quindi, se tra un po’ scoppiasse anche qua la mania delle corse dei levrieri, tanto è il grado di sudditanza alla City! Intanto, ‘accontentiamoci’ della “Las Vegas europea”, la quale, a riprova che “crisi” e degrado indotto procedono in maniera integrata, sorgerà in Spagna, un'altra nazione dotata del marchio “pigs” massacrata dalla piovra finanziaria cosiddetta “internazionale”. Eurovegas – ci assicurano i suoi ideatori - darà un contributo decisivo all’abbattimento della disoccupazione, ma in cambio pretendono, a mo’ di ricatto verso una classe politica imbelle, senza idee e totalmente succube, “agevolazioni e flessibilità”! Il tutto mentre agli spagnoli si chiedono, per “sanare il debito” (della “moneta-debito”!), le solite “lacrime e sangue”… Sull’identità, poi, dei grandi “magnati del gioco d’azzardo” a livello mondiale, è presto detta: meglio non fare troppi nomi per non essere tacciati di “antisemitismo” (l’ultima trincea di chi non ha più argomenti). Idem per il grande commercio di superalcolici, la pornografia e il relativo sfruttamento della prostituzione, compreso quello di giovanissime dell’est europeo, il cosiddetto “show business” che veicola contenuti satanisti e, dulcis in fundo, il traffico di organi. Che non si possa fare nulla di “concreto” contro questo male sparso a piene mani sulla terra, lo prova una recente vicenda: le dimissioni del Colonnello della Guardia di Finanza Umberto Rapetto, il quale aveva inteso veder chiaro su questo immenso giro di soldi legato al gioco d’azzardo cosiddetto “legalizzato”. Chi può, infatti, sconfessare in maniera così plateale un onesto “servitore dello Stato” nell’esercizio delle sue funzioni, se non un potere “occulto” contro il quale non è lecito “osare”? Il punto è proprio questo. Se da un lato la nostra società viene sempre più sottoposta ad una “cura” che si traduce in un progressivo ed evidente degrado, ciò non può che essere il risultato del furto, ad opera di chi ci ha dapprima invaso e poi selezionato le marionette che danno l’impressione di “governarci”, delle nostre indipendenza, sovranità e libertà. Una volta detto “addio” a queste fondamentali istanze, ed abituata quella che un tempo era stata una “nazione” a non pensarsi più che una massa di “consumatori” e di fruitori di “servizi”, una “massa desiderante”, il resto è solo una conseguenza. Ovvero il degrado che avanza, nelle strade, nelle famiglie, nelle coscienze. Di cui un grave indizio, contro il quale un potere sano, rispettoso dell’Ordine divino che presto o tardi dovrà essere ristabilito, è senz’altro la diffusione delle scommesse e del gioco d’azzardo. di Enrico Galoppini

20 luglio 2012

Latouche: abbiamo bisogno che questo sistema crolli

«Sappiamo già che l’attuale sistema crollerà tra il 2030 e il 2070. Il vero esercizio di fantascienza è prevedere che cosa succederà tra cinque anni». Serge Latouche non ha dubbi: faremo la fine dell’Impero Romano, o del Sacro Romano Impero di Carlo Magno che fu travolto dai Barbari. «Purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico». Ed è solo l’inizio, nel bluff chiamato Europa. «La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore». Quanto all’Italia, «l’unica soluzione è la bancarotta: da Monti in giù, tutti sanno che il debito non potrà essere ripagato». Sono alcune delle affermazioni che l’ideologo francese della Decrescita ha rilasciato a Giovanna Faggionato per “Lettera 43”. Il sistema, dice Latouche, non ha mantenuto nessuna promessa: «Dicevano che la concorrenza ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, e invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti». Lei ha un’idea? L’Europa nata nel Dopoguerra farà la fine del Sacro Romano Impero di Carlo Serge LatoucheMagno che cercò di restaurare un regno crollato, durò per 50 anni e fu travolto dai barbari. Che cosa c’entra l’impero romano? Crollò alla fine del V secolo, ma non morì: continuò a sopravvivere per centinaia di anni con Carlo Magno, l’impero d’Oriente e poi quello germanico. Un declino proseguito nel tempo, con disastri in successione. Come succederà a noi. È la fine della globalizzazione? Io la considero una crisi di civiltà, della civiltà occidentale. Solo che, visto che l’Occidente è mondializzato, si tratta di crisi globale. Ecologica, culturale e sociale insieme. Più di un crollo finanziario… Se vogliamo andare oltre è la crisi dell’Antropocene: l’era in cui l’uomo ha cominciato a modificare e perturbare l’ecosistema. E il sogno degli Stati Uniti europei? È un’illusione. Perché è solo un prodotto della globalizzazione: non hanno costruito un’Unione, ma un mercato liberista. Che fine farà il Vecchio continente? L’Europa è schiacciata tra due movimenti. Uno politico e centrifugo che si è sviluppato anche in Italia con la stessa Padania. E uno economico e centripeto, la globalizzazione. Per ora l’economia batte la politica… Sì, il movimento centripeto ha il sopravvento. Ma è anche quello che nel lungo periodo andrà a crollare. Non può funzionare senza il petrolio e il blocco delle risorse materiali. Alla fine, con tutta probabilità l’Europa si dividerà in macro regioni autonome. Come ci arriveremo? La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore. Parla del conflitto sociale in Grecia e Spagna? Ecco, purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico. È solo l’inizio del processo, ma vediamo già gli effetti del mix di austerità e crescita voluto dai leader europei. È comunque meglio della sola austerità… Crede che l’imperativo della crescita funzioni? Basta guardare alla Francia: questo governo socialista vuole allo stesso tempo la prosperità e l’austerità. Ma non riuscirà a ottenere la crescita. O, se avverrà, sarà per pochi. Mentre l’austerità è sicura per molti. Perché? Perché non hanno scelta. In che senso? Sono chiusi dentro questo paradigma del produttivismo, del Prodotto interno lordo (Pil). È per questo che la decrescita è una rivoluzione. Perché prima di tutto è un cambiamento di paradigma. Facile dirlo. Ma lei che cosa farebbe se fosse il premier italiano? L’Italia dovrebbe andare in bancarotta. Che cosa intende? Pensi al debito. Secondo l’Fmi quello italiano è quasi al 140% del Pil. Appunto: non sarà ripagato, lo sanno tutti. Ne è consapevole anche Mario Mario MontiMonti. Il problema, per l’attuale classe dirigente, non è ripagare il debito. Ma è fingere di poter continuare il gioco: cioè ottenere prestiti e rilanciare un’economia che è solo speculativa. Quali sono le prime cinque misure che adotterebbe al posto di Monti? Innanzitutto, cancellerei il debito. Parlo come teorico, so che ci sono cose che Monti non potrebbe fare comunque, neppure se fosse di sinistra o un decrescente. Ma sto parlando di bancarotta dello Stato. La bancarotta è la soluzione? È più che altro la condizione per trovare le soluzioni. In che senso? Non porta necessariamente alla soluzione, anzi in un primo momento le cose possono peggiorare. Ma non c’è altro modo, perché non esiste via d’uscita dentro la gabbia di ferro del sistema attuale. L’Italia non sarebbe la prima né l’ultima. Tutti quelli che l’hanno fatto si sono sentiti meglio, da Carlo V all’Argentina. Ma l’Argentina non era dentro una moneta unica. Questo significherebbe uscire dall’euro, ovviamente, dentro non si può fare niente. Per questo dico che parlo come teorico: nemmeno i greci hanno avuto il coraggio di abbandonare l’Unione. Siamo al terzo punto allora: uscire dall’euro, cancellare il debito e poi? Rilocalizzare l’attività. C’è tutto un sistema di piccole imprese, di saper fare diffuso, che è stato distrutto dalla concorrenza globale. Sì, ma come si fa? Devo usare una parola che in Italia fa sempre paura: serve una politica risolutamente protezionista. Su questo, il dibattito è annoso… Esiste un cattivo protezionismo, è vero. Ma c’è anche un cattivissimo libero scambio. Mentre esiste un buon protezionismo, ma non un buon libero scambio. Perché no? Perché la concorrenza leale sempre invocata non esiste. E non esisterà mai. Semplicemente perché tutti i Paesi sono diversi. Come si può competere con la Cina? È una barzelletta. Parla come se facesse parte della Lega Nord. Lo so, lo so. E anche come uno del Front National. Sa perché ha successo l’estrema destra? Me lo dica lei… Perché non tutto quel che dicono è stupido. C’è una parte insopportabile, ma se sono popolari – e lo saranno sempre di più – è perché hanno capito alcune cose, hanno ragione. È questo che fa paura. Quindi qual è la ricetta della decrescita? Il protezionismo ci permette di non essere competitivi per forza. Se lo siamo in alcuni settori, bene. Ma possiamo anche sviluppare produzioni non concorrenziali. Stimoliamo la concorrenza all’interno, ma con Paesi che hanno altri sistemi sociali, altre norme ambientali, altri livelli salariali, questo non è possibile. D’altra parte, è stata l’eccessiva specializzazione a renderci così fragili. Siamo alla quarta misura, quindi. La tragedia attuale, per me, è soprattutto la disoccupazione. E come pensa di risolverla? Lavorando meno, ma lavorando tutti. Una formula già sentita… Sì, ma ci dicevano anche che la concorrenza attuale ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, come ha dichiarato quello sciagurato di Nicolas Sarkozy. E invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti. Ma è una questione di denaro? No, si tratta di vivere. Dobbiamo ritrovare il tempo per dedicarci al resto, alla vita. Questa è un’utopia, ma l’utopia concreta della decrescita: superare il lavoro. Sì, ma come? Partendo dalla riconversione ecologica. Tornando a un’agricoltura contadina, senza pesticidi e concimi chimici. In questo modo, la produttività per l’uomo sarà più bassa, ma si creeranno milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. E questa è la quinta misura. Basta l’agricoltura? Dobbiamo affrontare la fine degli idrocarburi, sviluppare le energie rinnovabili e riconvertire le attività parassitarie che danneggiano l’ambiente. Per esempio? Le fabbriche di automobili, che oggi sono in crisi. Peugeot ha annunciato 8 mila licenziamenti… Bisognava aspettarselo da anni. Si sa che l’industria dell’auto non ha futuro: Peugeotcon lo stesso know how potrebbero essere trasformati in stabilimenti che producono sistemi di cogenerazione. Parla di una globale ristrutturazione del mercato del lavoro? La quota di occupati in agricoltura potrebbe arrivare al 10%. Ci sono industrie nocive come l’automobile, il nucleare, la grande distribuzione che vanno ripensate. E c’è la necessità di una riconversione energetica. In Germania, con le energie rinnovabili hanno creato decine di migliaia di posti di lavoro. Ma sono dati contestati… Il dibattito è aperto: si dice che chiudere le centrali nucleari francesi cancellerà 30 mila posti di lavoro ma, allo stesso tempo, prima bisogna smantellare. E nessuno lo sa fare. Quanti posti di lavoro si potrebbero creare allora? E la grande distribuzione? Sicuramente ha effetti distruttivi per l’ambiente e alimenta un alto tasso di spreco alimentare, pari a circa il 40% della produzione. E allora? Cancellarla significa essere pronti a ripensare tutto il sistema della città e soprattutto delle periferie. Come? La gente ha bisogno di piccoli negozi. Di fare la spesa più spesso, con più tempo a disposizione. Quando si comincia a cambiare un anello, come in una catena cambia tutto. E i trasporti? Dobbiamo pensare che il 99% dell’umanità ha passato la propria vita senza allontanarsi più di 30 chilometri dal proprio luogo di nascita. Quelli che si sono spostati di più, cioè noi, sono solo l’1%. Anche questo è un fenomeno molto recente e la maggioranza delle persone non ne soffrirà, poi ci saranno sempre i grandi viaggiatori alla Marco Polo. Ne è certo? È stata la pubblicità a creare il turismo di massa. In ogni modo, con la fine del petrolio, non ci sarà il traffico aereo di oggi, i trasporti costeranno sempre di più, andranno meno veloce. Muoversi sarà sempre più difficile. E a livello fiscale? Bisognerebbe introdurre una tassazione diretta e progressiva. Che può arrivare anche al 100%, se i redditi superano un certo livello. E poi una tassazione sul sovraconsumo dei beni comuni. A partire dall’acqua. Quindi meno lavoro e più agricoltura. Per ottenere cosa? Un mondo di abbondanza frugale. Cioè? Una società capace di non creare bisogni inutili, ma di soddisfarli. E per soddisfarli, bisogna limitarli. Le sembra possibile, quando gli operai cinesi si suicidano per un iPad? In una società sana non esiste questa forma di patologia dell’insoddisfazione. BceCi può essere una forma di seduzione, ma non un’insoddisfazione permanente. Questo fenomeno è esacerbato dalla pubblicità. Cioè? Ci convince che siamo insoddisfatti di ciò che abbiamo, per farci desiderare ciò che non abbiamo. Vorrebbe spazzare via il marketing? Una delle prime misure della società della decrescita riguarda la pubblicità: non si tratta di cancellarla – perché non siamo terroristi – ma di tassarla fortemente, questo sì. Con che motivazione? È lo strumento di una gigantesca manipolazione, il veicolo della colonizzazione dell’immaginario. E la finanza che rappresenta il 10% del Pil britannico? Penso che questa crollerà da sola. Sarebbe già successo se questi sciagurati di governi non avessero salvato le banche. Che cosa intende? È colossale quello che è stato fatto per le banche negli Usa: secondo l’Ocse, 11.400 miliardi di dollari di fondi pubblici sono stati destinati agli istituti di credito. Se facciamo crollare le banche si affossa il sistema… Sì, meglio così. Abbiamo bisogno che il sistema crolli. E i cittadini? Dobbiamo pensare a come riorganizzare il funzionamento della società. Ma bisogna ricordarsi che questo sistema così come lo conosciamo è piuttosto recente. Quanto? Non ha più di 30-40 anni, prima era un sistema capitalista, ma non funzionava su queste basi finanziarie. Che misure bisognerebbe adottare? Il primo passo, prima di rimettere in discussione l’intero sistema bancario, è cancellare il mercato dei futures: pura speculazione. Un economista francese, Frédéric Lordon, ha anche proposto di chiudere le Borse. E non sarebbe un’idea stupida. Che cosa succede alle società che ci lavorano? E ai dipendenti? La situazione attuale è talmente tragica che possiamo affrontare con serenità anche un cambiamento difficile. Nella società della decrescita circola denaro? La moneta è un bene comune che favorisce lo scambio tra i cittadini. Ma se è Frédéric Lordonun bene comune non deve essere privatizzata. Le banche sono degli enti privati. E allora dico sempre che noi vogliamo riappropriarci della moneta. Come? Magari partendo dai sistemi di scambio locali che utilizzano monete regionali. Come ha funzionato per due o tre anni in Argentina, dopo il crollo del peso. E chi governa il commercio? Diciamo che sarà necessario trovare un coordinamento tra le varie autonomie. Ma nel suo modello ogni regione fa da sé? Ogni Paese deve trovare la sua strada. Una volta che siamo riusciti a uscire dal mondo del pensiero unico, dell’homo oeconomicus, a una sola dimensione, allora ritroviamo la diversità. Ogni cultura ha il suo modo di concepire e realizzare la felicità. Esistono già esperienze in questa direzione? In Sud America sono sulla strada giusta. In Ecuador e Bolivia, ispirandosi alla cultura india, hanno inserito nella Costituzione il principio del bien vivìr: del buon vivere. Ma, con la crisi, la decrescita ha avuto un successo incredibile anche in Giappone. Come mai? I giapponesi stanno riscoprendo i valori del buddismo zen che si basa sul principio di autolimitazione. E sono convinto che la stessa cosa potrebbe succedere in Cina nei prossimi anni, anche attraverso il confucianesimo. La Cina però è anche la più grande fabbrica del mondo… Lì la crisi è già arrivata. La situazione cinese è bifronte: 200 milioni di abitanti hanno un livello di vita quasi occidentale e altri 700 milioni sono stati proletarizzati. Cacciati dalla terra, si accumulano nelle periferie delle metropoli, dove c’è un tasso di suicidi altissimo. Ma l’economia continua comunque a crescere. Anche il ministro dell’Ambiente cinese ha riconosciuto che se si dovesse sottrarre dal Pil di Pechino la quota di distruzione dell’ambiente questo calerebbe del 12%. Come immagina la transizione? Può avvenire spontaneamente, dolcemente. Ma anche in un modo violento. Lei sogna la democrazia diretta? Se si deve prendere la parola sul serio, ha senso solo la democrazia diretta. Ma direi che su questo punto, recentemente, le mie idee sono cambiate. Norberto BobbioIn che direzione? Prima immaginavo un’organizzazione piramidale con alla base piccole democrazie locali e delegati al livello superiore. E ora? Oggi penso che la democrazia sia un’utopia che ha senso come direzione. Ma la cosa importante è che il potere, quale che sia, porti avanti una politica che corrisponde al bene comune, alla volontà popolare, anche se si tratta di una dittatura o di un dispotismo illuminato. Si spieghi meglio. Norberto Bobbio si chiedeva quale è la differenza tra un buono e un cattivo governo. Il primo lavora per il bene comune. Il secondo lo fa per se stesso. Questa è la vera differenza. Va bene, ma come si ottiene un buon governo? Con un contropotere forte. Un sistema è democratico – non è la democrazia, attenzione, ma è democratico – quando il popolo ha la possibilità di fare pressione sul governo, qualunque esso sia, in modo da far pesare le proprie esigenze e idee. Ma non sta rinnegando la democrazia? L’ideale sarebbe naturalmente l’autogoverno del popolo, ma questo è un sogno che forse non arriverà mai. Non pensa alla presa del potere? Gandhi l’aveva spiegato a proposito del suo Paese: «Al limite gli inglesi possono restare a governare, ma allora devono fare una politica che corrisponde alla volontà dell’India. Meglio avere degli inglesi piuttosto che degli indiani corrotti». Mi sembrano parole di saggezza. Sa che Silvio Berlusconi vuole tornare in politica? Ah, lo so, ma lui è pazzo. di Giorgio Cattaneo (Giovanna Faggionato, “Il debito non sarà ripagato, meglio partire da zero”, intervista a Serge Latouche pubblicata su “Lettera 43” il 17 luglio 2012).

19 luglio 2012

Le finanze invisibili

Una crisi con nome e cognome I socialisti europei denunciano duramente “la finanza” che governa il mondo senza alcuna restrizione e che invece sarebbe opportuno regolamentare meglio. Inoltre, bisognerebbe sapere di cosa e di chi stiamo parlando; poiché l’immagine eterea dei “mercati” lascia nell’ombra i veri beneficiari della crisi e delle misure di austerità in corso. Jean Peyrelevade, passato dalla banca pubblica alla finanza privata, e da François Mitterrand a M. François Bayrou, spiegava nel 2005: “Il capitalismo non è più identificabile. […]Con chi si rompe quando si rompe con il capitalismo? Quali istituzioni bisogna attaccare per mettere fine alla dittatura del mercato, fluido, globale e anonimo?”. L’ex-direttore aggiunto del gabinetto del primo ministro Pierre Maruroy concludeva: “Marx è impotente di fronte a un nemico non identificabile” (1). Ci stupisce davvero che un rappresentante dell’alta finanza - presidente di Banca Leonardo France (famiglie Albert Frère, Agnelli e David-Weill) e amministratore del gruppo Bouygues - neghi l’esistenza di un’oligarchia? È più strano il fatto che i media dominanti diffondano quest’immagine disincarnata e depoliticizzata dei potenti della finanza. La copertura giornalistica della designazione di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio Italiano potrebbe ben rappresentare, in questo senso, il perfetto esempio di un discorso-schermo che fa riferimento a “tecnocrati” ed “esperti” laddove si sta costituendo un governo di banchieri. Sui siti Web di alcuni quotidiani abbiamo persino letto che alcune “personalità della società civile” avevano appena preso il comando (2). Anche se l’équipe di Monti annovera tra le sue fila professori universitari, la scientificità della sua politica era stata stabilita in anticipo dagli esperti. Ma, guardando più da vicino, scopriamo che la maggior parte dei ministri della squadra facciano parte dei vertici dei principali trust della penisola. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo Economico, è direttore esecutivo di Intesa Sanpaolo; Elsa Fornero, ministro del Lavoro e professoressa di economia all’Università di Torino, occupa la vicepresidenza di Intesa Sanpaolo; Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e rettore dell’Università di Torino, è amministratore di Unicredit Private Bank e di Telecom Italia -controllata da Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca- dopo essere passato per Pirelli; Piero Gnudi, ministro per il Turismo e per lo Sport, è amministratore di UniCredit Group; Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, professore di Scienza delle finanze all’Università Cattolica di Milano, è vicepresidente di Banca Popolare e amministratore di Pirelli. Quanto a Monti, è stato consulente di Coca Cola e di Goldman Sachs, e amministratore di Fiat e di Generali. Non molto diversi Se i dirigenti socialisti europei non hanno parole abbastanza dure per qualificare l’onnipotenza dei “mercati finanziari”, la riconversione degli ex referenti del social-liberismo avviene senza che i loro ex compagni esprimano la loro indignazione. L’ex-primo ministro dei Paesi Bassi, Wim Kok, ha preso parte ai vertici dei trust olandesi ING, Shell e KLM. Il suo omologo tedesco, l’ex-cancelliere Gerhard Schröder, si è anche lui riciclato nell’ambito privato come presidente dell’impresa Nord Stream AG (joint-venture Gazprom/E.ON/BASF/GDF Suez/Gasunie), dirigente del gruppo petrolifero TNK-BP e consigliere europeo di Rothschild Investment Bank. Questa traiettoria a prima vista sinuosa non ha, in realtà, nulla di singolare. Diversi ex membri del suo gabinetto, membri del Partito Socialdemocratico tedesco (SPD), si sono spogliati dei loro ruoli di funzionari pubblici per indossare i panni degli uomini d’affari: l’ex-ministro dell’Interno Otto Schilly è attualmente consulente del trust finanziario Investcorp (Bahrein), dove si è incontrato con il cancelliere conservatore austriaco Wolfgang Schüssel, il vicepresidente della Convenzione Europea Giuliano Amato e perfino Kofi Annan, ex segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). L’ex ministro dell’Economia e del Lavoro tedesco, Wolfgang Clement, è socio della firma RiverRock Capital e dirigente di Citigroup Germania. Il suo collega, Caio Koch-Weser, sottosegretario di Stato tedesco al ministero federale delle Finanze dal 1999 al 2005, è vicepresidente di Deutsche Bank. Infine, il ministro delle Finanze del primo governo di Angela Merkel, Peer Steinbrück, SPD, è amministratore di ThyssenKrupp. Per quanto riguarda i “degni eredi” (3) di Margaret Thatcher ed ex leaders del Partito Laburista, hanno giurato fedeltà all’alta finanza: l’ex ministro per gli Affari Esteri, David Miliband, è consulente alle imprese VantagePoint Capital Partners (Stati Uniti) e Indus Basin Holdings Ltd. (Pakistan); l’ex Commissario europeo al Commercio, lavora per la banca d’affari Lazard; lo stesso Anthony Blair, è contemporaneamente consulente della società svizzera Zurich Financial Services, amministratore del fondo di investimenti Landsdowne Partners e presidente del Comitato consultivo internazionale di JPMorgan Chase, insieme a Kofi Annan ed Henry Kissinger. Ci dispiace infliggere al lettore questo elenco ma, d’altro canto, è nostro dovere farlo poiché i mezzi di comunicazione omettono costantemente di informare sugli interessi privati delle personalità pubbliche. Oltre la porosità tra due mondi che tendono a mostrarsi come distinti - se non addirittura contrapposti -, l’identificazione dei suoi doppiogiochisti è necessaria per la corretta comprensione del funzionamento dei mercati finanziari. Infatti contrariamente a un’idea in voga, la finanza ha uno, anzi, diversi volti (4). Non quello del pensionato della Florida o del piccolo azionista europeo, dipinti dalla stampa condiscendente, quanto piuttosto quelli di un’oligarchia di proprietari e amministratori di ricchezze. Peyrelevade ricordava già nel 2005 che lo 0,2% della popolazione mondiale controllava la metà della capitalizzazione in borsa del pianeta (5). Questi portafogli sono amministrati da banche (Goldman Sachs, Santander, BNP Paribas, Société Générale, etc.), compagnie di assicurazione (AIG, AXA, Scor, etc.), fondi pensionistici o di investimento (Berhshire Hathaway, Blue Ridge Capital, Soros Fund Management, etc.); istituti che investono anche fondi propri. Questa minoranza specula sul prezzo delle azioni, del debito sovrano o delle materie prime, grazie a una gamma quasi illimitata di prodotti derivati che rivelano l’inesauribile inventiva degli ingegneri finanziari. Lungi dal rappresentare il risultato “naturale” dell’evoluzione di economie mature, i “mercati” costituiscono la punta di diamante di un progetto che, come hanno avvertito gli economisti Gérard Duménil e Dominique Lévy, è stato “concepito per incrementare le entrate delle classi alte” (6). Un risultato innegabile: nel mondo ci sono attualmente 63.000 “centomilionari” (che posseggono, cioè, almeno cento milioni di dollari), che rappresentano una ricchezza combinata di circa 40.000 miliardi di dollari (ovvero una anno del PIL mondiale). Gli irresponsabili diventati saggi Siamo di fronte a una personificazione dei mercati che potrebbe risultare scomoda, tanto che a volte è più facile lottare contro i mulini a vento. “Nella battaglia che sta per cominciare, vi dirò qual è il mio vero avversario - esclamava l’allora candidato socialista alle presidenziali francesi, François Hollande, nel suo discorso di Bourget (Seine-Saint-Denis), il 22 gennaio scorso -. Non ha nome, né volto, né partito; non presenterà mai la sua candidatura, e dunque non sarà mai eletto. Questo avversario è il mondo della finanza”. Attaccare gli autentici attori dell’alta banca e della grande industria avrebbe anche potuto portarlo a fare i nomi dei dirigenti dei fondi di investimento che decidono, in piena coscienza, di sferrare attacchi speculativi sui debiti dei paesi del sud dell’Europa. O perfino a mettere in discussione il doppio ruolo di alcuni dei suoi consiglieri, senza dimenticare quello dei suoi (ex) colleghi socialisti europei che sono passati da una multinazionale all’altra. Scegliendo come capo della sua campagna elettorale Pierre Moscovici, vicepresidente del Cercle de l’Industrie, una lobby che raggruppa i dirigenti dei principali gruppi industriali francesi, il candidato socialista stava dando un segnale ai “mercati finanziari”: l’alternanza socialista decisamente non rima più con la rottura rivoluzionaria. Non è forse stato Moscovici a dire di “non avere paura della politica del rigore”, affermando che, in caso di vittoria, i deficit pubblici sarebbero stati “ridotti a partire dal 2013 sotto il 3% (…), costi quel che costi, il che implicherebbe “prendere le misure necessarie”? (7). Discorso imposto dalla comunicazione politica, la denuncia dei “mercati finanziari”, tanto virulenta quanto inoffensiva, resta finora lettera morta. Come Barack Obama, che concesse la grazia presidenziale ai responsabili statunitensi della crisi, i dirigenti del Vecchio Continente avrebbero perdonato in pochissimo tempo gli eccessi degli “avidi” speculatori che mettevano sotto accusa. Non restava dunque che recuperare il prestigio ingiustamente infangato dei degni rappresentanti dell’oligarchia. Come? Mettendoli a capo delle commissioni incaricate di elaborare nuove regole di condotta dei mercati, ma certo! Da Paul Volcker (JPMorgan Chase) a Mario Draghi (Goldman Sachs), passando per Jacques de Larosière (AIG, BNP Paribas), Lord Adair Turner (Standard Chartered Bank, Merrill Lynch Europe) o ancora il barone Alexandre Lamfalussy (CNP Assurances, Fortis), tutti i coordinatori incaricati di trovare risposte alla crisi finanziaria, mantenevano stretti legami con i più importanti operatori privati del settore. Gli “irresponsabili” del passato, come per grazia ricevuta, si erano appena metamorfizzati nei “saggi” dell’economia, spalleggiati dai mezzi di comunicazione e da intellettuali dominanti che, fino a poco tempo prima, non avevano parole abbastanza dure per denunciare la “presunzione” e la “cecità” dei banchieri. Infine, non vi è più alcun dubbio che alcuni speculatori abbiano tratto vantaggio dalle crisi che si sono succedute negli ultimi anni. Tuttavia, l’opportunismo e il cinismo che sfoggiano i “depredatori” in questione non deve farci dimenticare che hanno potuto contare, per raggiungere i loro obiettivi, sull’appoggio delle più alte sfere dello Stato. John Paulson, dopo aver guadagnato più di 2 miliardi di dollari dalla crisi dei subprimes, della quale è stato il principale beneficiario, non ha forse ingaggiato l’ex patron della Federal Reserve, Alan Greenspan, allora consigliere di Pimco (Deutsche Bank), uno dei principali creditori dello Stato americano? E che dire dei principali amministratori internazionali di hedge funds: l’ex presidente del National Economic Council (sotto il governo di Obama) ed ex segretario del Tesoro di William Clinton, Lawrence Summers, è stato direttore esecutivo della firma D.E. Shaw (32 miliardi di dollari di attivi); il fondatore del gruppo Citadel Investment, Ken Griffith, originario di Chicago, ha finanziato la campagna elettorale dell’attuale presidente degli Stati Uniti; quanto a George Soros, ha ingaggiato i servizi del laburista Lord Malloch-Brown, ex direttore del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo … La finanza, dunque, ha dei volti: è possibile vederli da molto tempo sulle passerelle del potere. di Geoffrey Geuens Geoffrey Geuens è Professore dell’Universidad de Liège. Autore de La Finance imaginaire. Anatomie du capitalisme: des “marchés financiers” à l’oligarchie, Aden, Bruselas, 2011. Note: 1. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, Seuil/La République des Idées, París, 2005, pagg. 37 e 91. 2. Anne Le Nir, “En Italie, Mario Monti réunit un gouvernement d’experts”, www.la-croix.com, 16-11-11; Guillaume Delacroix, “Le gouvernement Monti prêt à prendre les rênes de l’Italie”, www.lesechos.fr, 16-11-11. 3. Keith Dixon, Un Digne héritier. Blair et le thatchérisme, Liber/Raisons d’Agir, París, 2000. 4. Léase “Où se cachent les pouvoirs”, Manière de voir, N° 122, aprile-maggio 2012 (in kioscos). 5. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, op. cit. 1% dei francesi possiede il 50% delle azioni. 6. Gérard Duménil y Dominique Lévy, The Crisis of Neoliberalism, Harvard University Press, Cambridge (MA), 2011. 7. “Pierre Moscovici: ‘Ne pas avoir peur de la rigueur’”, www.lexpress.fr, 8-11-11.

16 agosto 2012

L'incubo di Draghi: nascondere alla gente il segreto della moneta

È bastato che Draghi dicesse: «La BCE è pronta a fare tutto il necessario per salvare l’euro, e credetemi sarà abbastanza», perchè «i mercati» esultassero, le Borse salissero gioiose, lo spread calasse un po’ (mica tanto però). Perchè tutti hanno interpretato quelle mezze frasi sibilline come una promessa che la Banca Centrale farà, in un modo o nell’altro, quantitative easing. S’intende che la monetizzazione del debito, sul piano intellettuale, è la sola cosa da fare per i debitori del Sud-Europa. Premessa: a debiti colossali si fa’ fronte storicamente in due modi: 1) smettendo di pagarli (default) oppure 2) «pagandoli» con moneta creata apposta in sovrappiù, monetizzandoli cioè. In un periodo come quello che attraversiamo – niente crescita, forte disoccupazione e in aumento, e con famiglie e imprese che stanno dis-indebitandosi, ossia riducendo i loro debiti – il potere pubblico deve creare moneta per evitare di entrare dalla recessione alla depressione – come sta già avvenendo. In Europa la monetizzazione è necessaria per evitare che la depressione si estenda, dalla Grecia alla Spagna e all’Italia (già fatto), e al di là al resto dei Paesi europei, a cominciare dalla Francia; e in questo contesto la monetizzazione non è nemmeno inflazionista, in quanto non farebbe che contrastare gli effetti di deflazione del dis-indebitamento degli attori economici privati. Ora, però, i «mercati» aspettano di vedere: come farà, Draghi? Non solo perchè monetizzare è vietato dal regolamento della BCE, non solo per la netta contrarietà dei tedeschi, i padroni di fatto, ostinati ad esigere che i meridionali attuino i loro programmi di risanamento dei debiti, a forza di austerità. È anche che tutte le altre misure indirette tese più o meno a questo scopo – acquisto dei titoli dei Paesi indebitati sul mercato secondario, tagli del tasso primario, LTRO (il mega-prestito alle banche) – sono stati già tentate, senza effetto. Le banche riempite di denaro dalla BCE all’1% non hanno creato moneta-credito, se la sono tenuta (e in parte, i privati non l’hanno chiesta). Stavolta, la BCE dovrebbe – come facevano ai bei tempi le banche centrali, quando erano organi di Stati sovrani – monetizzare direttamente al Tesoro, ossia comprare i titoli di debito del Tesoro italiano, spagnolo eccetera non sul mercato secondario ma direttamente dallo Stato emettitore, con moneta creata a questo scopo, e magari al tasso dell’1% fatto alle banche. Il problema dello spread sarebbe eliminato all’istante, perchè Spagna e Italia non avrebbero più bisogno di offrire tassi alti ai mercati per farsi prestare da loro i soldi. Ma…. Orrore! Tabù! Non si fa’! Soprattutto, questa cosa rischia di rivelare alla gente comune il segreto del denaro che deve ad ogni costo essere celato alle grandi masse: che il denaro di oggi, «fiat money», la banca centrale lo può «stampare» in qualunque quantità(1). E chi lavorerebbe più, sapendolo? Chi pagherebbe più le tasse, anzichè pretendere che i poteri pubblici si coprano le spese stampando moneta? Come convincere i popoli che le spese dello Stato vanno bilanciate con le entrate, che bisogna «risanare le finanze», e riportare il debito pubblico al 60% del Pil? Chi accetterebbe più accuse del tipo: «avete vissuto al disopra dei vostri mezzi, ora tirate la cinghia?». Chi accetterebbe le austerità e i «compiti a casa»? Stampate, stampate, direbbero le masse magari attizzate dai demagoghi; i politici demagoghi griderebbero alla banca: stampate, stampate! (l’hanno già fatto).Tutti pretenderebbero di vivere con stipendioni, come quelli di cui godono solo le minoranze privilegiate, gli attuali parassiti pubblici collettivamente detti «La Casta», e i banchieri, finanzieri e speculatori (che sono al corrente del segreto). E sarebbe la rovina: della moneta, dell’economia e della morale stessa. Tutto finirebbe in anarchia, crollo della produzione, e un’inflazione tipo Weimar, o Zimbabwe (230 milioni per cento). Così, tutto ciò che stiamo passando – spread alle stelle, rincaro del costo del debito, austerità, tagli allo stato sociale, obbligo di pareggio del bilancio scritto in Costituzione – ha, in fondo, un grande scopo: far credere alla gente comune che denaro disponibile, per lei, non ce n’è. Non ci credete? Posso citarvi un passo di Paul Samuelson – economista Nobel – che lo ammette. La credenza che il bilancio dev’essere equilibrato in permanenza, dice, è «una superstizione»; ma una superstizione utile, perchè se la gente smette di crederci, «si perde la difesa che ogni società deve avere contro la spesa fuori controllo». Samuelson la paragona ai miti con cui «la religione spaventava la gente per indurla a comportarsi come esige il mantenimento a lungo termine della civiltà». (Blaug Mark, John Maynard Keynes: Life, Ideas, Legacy, St. Martin’s Press, New York, 1990, 95 p., p. 63– 64) Il segreto deve dunque essere mantenuto ad ogni costo. Riservato a pochi iniziati (che ne approfitteranno per arricchirsi smodatamente). È il motivo per cui i banchieri centrali si esprimono, come l’oracolo di Delfo, con frasi sibilline, ambigue e anfibole (a doppio senso); che si ammantano di maestà da Venerati Maestri, e sacralità da sacerdoti, coltivano il più assoluto riserbo, e compiono le loro operazioni impegnando tutti i presenti al silenzio dei mysteria antichi. Draghi si comporta appunto così. Il guaio è che la secolarizzazione dilagante intacca anche questo tipo di sacrum. In passato, i banchieri centrali facevano le loro manipolazioni e moltiplicazioni monetarie sotto il velame del tabù che i pochi media non osavano violare; l’economia monetaria era materia esoterica, che i giornali non spiegavano mai; ma oggi c’è internet e ci sono i blog alternativi, che spifferano e dissacrano, e riconoscono immediateamente, sotto i panni augusti del Venerato Maestro, il Solito Stronzo o il Ben Noto Marpione. Si aggiunga che proprio in tempi di emergenza come questi, i giocolieri devono fare operazioni dove il trucco rischia di vedersi. Tipico esempio, lo LTRO fatto da Mario Draghi. Come abbiamo detto, tutti gli inghippi, i limiti legali e la «indipendenza» della Banca Centrale servono a far credere alla gente comune che di denaro, per lei, non ce n’è. Ma come farglielo credere, dopo che la gente ha visto Draghi dare1000 miliardi alle banche all’1%? Vero è che la BCE ha fatto finta di sborsare quei soldi facendosi dare dalle banche, in cambio, titoli posseduti da queste, titoli di credito; ma di tale bassa qualità, e così dubbia esigibilità, che un politico tedesco, Frank Schaeffler, ha sibilato rabbioso: «Se continua così, la BCE accetterà in garanzia anche vecchie biciclette». Insomma, s’è visto che quella era creazione monetaria ex nihilo bella ed buona, fatta in quel modo indiretto per consentire un profitto alle banche private, che con quei soldi all’1 dovevano comprare i Bot al 5 o al 7%; in modo da «aiutare», prestando loro ad interesse, gli Stati che s’erano indebitati fino all’insolvenza per aiutare le loro banche, accollandosi (cioè accollandoli al contribuente) i buchi delle loro follie… La ragione fornita è che la Banca Centrale europea ha il divieto di prestare direttamente agli Stati. Banca d’Inghilterra e Federal Reserve hanno invece creato dal nulla fondi, in parte per comprare debiti sovrani dei loro Stati; ciò che va a profitto della collettività, perchè il debito costa meno caro ai contribuenti. La regola generale implicita dei divieti, dei miti e dei terrorismi («Austerità, o il default e l’uscita dall’euro!»), è quella: prima le banche. Per questo la promessa di Draghi di «fare tutto ciò che serve per salvare l’euro», può anche suonare: «Lotteremo finché sarete tutti morti». Spagna e Italia devono chiedere soldi ai mercati, e pagare tassi del 7%. La Grecia, del 30%. Inevitabile, ci dicono, altrimenti non avranno i soldi per pagare gli stipendi, o – come minacciano i mascalzoni che sgovernano le provincie – «non potremo riaprire le scuole» (se ci provano, uno Stato normale li arresterebbe); oppure dovremo svendere i patrimoni nazionali, privatizzarli. Quello che non ci dicono, è che questa umiliante situazione è del tutto artificiale. Conseguenza della perdita di sovranità. Una banca centrale che detiene la stampante dei soldi non può essere a corto di denaro. Per uno Stato che dispone del monopolio dell’emissione di moneta – e usa questo potere con la testa sul collo – , non c’è problema di solvibilità. Si finanzia con la propria moneta, creandola, senza bisogno di altre fonti di approvvigionamento. Tutto ciò che occorre è che accetti di essere pagato con la sua moneta, sostanzialmente la accetti in pagamento delle tasse. Questa è infatti una funzione delle tasse, forse la prima: creare domanda per questa moneta. Se le imposte sono da pagare in questa moneta, diventa utile procurarsela, anche se è solo carta. In teoria, lo Stato non avrebbe bisogno di tassare i cittadini per procurarsi i soldi, visto che può stamparli. Ma – a parte il fatto che anche lo Stato sovrano deve far credere che, per i cittadini, il denaro è scarso e costa sudore – qui interviene l’altra funzione della torchia fiscale: regolare la massa monetaria presente nell’economia. Finchè ci sono da finanziare scambi supplementari, finchè c’è da finanziare risparmio, si può far girare la stampatrice, senza tassare. Ma quando ha fatto girare troppo la macchina stampa-soldi, nell’economia reale resta massa monetaria eccedente, che non trova utilizzo e di cui dunque l’economia si scarica facendo rincarare i beni. È l’inflazione. Per continuare ad offrire beni e servizi senza inflazione, bisogna dunque ritirare questa massa di moneta in eccesso tassandola. Ma torniamo al discorso: uno Stato che ha il monopolio dell’emissione non ha problemi d’insolvenza. Chi dice che non è possibile, che presto o tardi quella moneta sarà deprezzata sui mercati mondiali o travolta dall’inflazione fino a fare di quello Stato un paria (come la Grecia?), sorvola sull’esempio del Giappone. Vent’anni fa, il Giappone entrò nella sua crisi ormai ventennale (da bolla finanziaria-immobiliare) con un debito pubblico pari al 50% del suo Pil. Oggi il debito è al 230%. In tutto questo periodo non solo non ha conosciuto alcuna iper-inflazione (anzi, è in leggera deflazione: i prezzi calano), ma lo yen non s’è deprezzato tragicamente. Non ha subito alcun attacco speculativo, mai ha dovuto pagare ai «mercati» interessi altissimi per convincerli a comprare i suoi titoli del debito pubblico; mai ha conosciuto, come noi, il problema dellospread. Anzi, il tasso d’interesse ha seguito molto da vicino il tasso direttore, quello sancito dalla sua Banca Centrale. Come mostra la grafica qui sotto: segreto moneta Dibattito sullEuro: Il Contributo di Maurizio Blondet (Lincubo di Draghi....) CLICCARE PER INGRANDIRE Il tasso del debito pubblico a lungo termine (rosso) segue il tasso direttore (blu) della Banca del Giappone, cioè quello che la banca centrale fa’ pagare alle banche private; i tassi a breve (verde, giallo) sono addirittura avvinghiati al tasso primario. Ciò significa che è la banca centrale d’emissione, e non i «mercati», a decidere quanto pagare d’interesse sul suo debito pubblico. È lo Stato che ha in pugno le banche, e non il contrario. Non c’è speculazione, non c’è «austerità» obbligatoria perchè altrimenti «il Giappone fa’ fatica a finanziarsi» e dovrà indebitarsi a più caro prezzo, «per trovare risparmiatori (investitori) disposti a prestargli». Anzi. Gli investitori fanno a gara per procurarsi buoni del tesoro giapponesi, anche se rendono modestamente. Ecco come funziona uno Stato che ha mantenuto il monopolio dell’emissione monetaria, governato da una dirigenza con la testa sul collo,che si sente responsabile verso il Paese. Naturalmente, i difensori ideologici dell’euro e di «più Europa» ribattono che il Giappone può fare così, perchè è la seconda potenza industriale del mondo e vende i suoi Bot ai suoi cittadini, non sui mercati esteri (2). Sarà. Ma a parte il fatto che anche gli italiani hanno dei risparmi e sono sempre stati propensi a comprare i titoli di Stato, con un decente interesse, chiediamoci se «fanno fatica a finanziarsi», se «sono aggrediti dalla speculazione», Paesi come gli Usa, la Svizzera, l’Australia, la Danimarca, l’Africa del Sud, la Nuova Zelanda, la Svezia, il Brasile, il Regno Unito, Taiwan, il Canada, eccetera eccetera. Sono Stati grandi e piccoli, ben governati e mal governati, economicamente forti o deboli. Hanno una sola cosa in comune: hanno il monopolio della propria emissione monetaria. Se uno di questi Stati smette di pagare i creditori, lo fa’ per sua decisione arbitraria, ossia sovrana. Non c’è alcuna forza esterna che possa farlo andare in bancarotta come la Grecia, presto la Spagna e fra poco l’Italia. Non solo: la Francia, tra le due guerre, ha avuto un debito pubblico pari al 140% del Pil, e tuttavia stabilizzò il franco senza particolari difficoltà. Perchè, quanto ai tassi d’interesse che deve versare sul debito pubblico, uno Stato sovrano li padroneggia, senza dover dipendere dai mercati: è propriamente il compito della sua Banca Centrale di regolare i tassi a cui si presta il denaro, attraverso il suo tasso primario. A questo punto, gli euro-ideologi e i loro maggiordomi mediatici ricorrono al terrorismo. Tornare alla sovranità monetaria? Ma la lira si svaluterebbe tragicamente, i vostri risparmi sarebbero decurtati catastroficamente, perdereste potere d’acquisto; nessuno farà più credito al Paese; l’inflazione galopperà. Nessuno afferma che il ritorno alla lira sarà una passeggiata. La correzione di un grande errore richiede grandi sforzi e sacrifici: sacrifici al fondo dei quali però c’è la sicura ripresa, al contrario dei sacrifici attuali dettatici da Monti e Merkel, senza fine e senza prospettive. Qui preme sfatare due dei concetti che ci vengono terroristicamente presentati per dissuaderci. La moltiplicazione di moneta dal nulla per comprare i buoni del Tesoro gonfierà i bilanci delle banche e riverserà una valanga di crediti sull’economia reale, creando altra moneta (oggi sono le banche che la creano indebitando), e provocando iper-inflazione. Ma no. Non è così facile che il denaro arrivi nelle tasche dei consumatori. Perchè la valanga del credito si verifichi, occorre che sia chiesto e voluto dal settore privato, e che le banche giudichino affidabili quelli che lo chiedono. Come vediamo, i mille miliardi prestati da Draghi alle banche hanno clamorosamente mancato di riversarsi nell’economia reale provocando l’orgia del credito. E il Giappone, benchè ci abbia provato fino ad avere quel debito pubblico enorme, «non è riuscito» a produrre quel po’ d’inflazione che gli servirebbe per far uscire la sua economia dalla deflazione-depressione. L’inflazione comincia ad alzare la testa quando si raggiunge il pieno impiego e le imprese lavorano al 100% della loro capacità produttiva; non è certo questo, oggi, il caso (se oggi una certa c’è inflazione, è dovuta alle materia prime importate, e alla massa eccessiva di parassiti pubblici che in Italia consumano senza produrre). Tanto più che la BCE, come qualunque Banca Centrale, ha cura di «neutralizzare» questi suoi interventi. Ma come lo fa, oggi? Tenetevi forte: facendosi imprestare dalla banche private il denaro che essa stessa ha creato, ossia pagando loro un interesse per ritirarlo (3). Questo è un obbligo scritto in lettere di bronzo sugli statuti. Forse non c’è prova più chiara del fatto che l’interesse delle banche è sempre in primo piano: ma è uno dei segreti che non si devono rivelare. C’è un modo gratuito di riassorbire il denaro in più? Certo. Uno Stato sovrano può lasciarlo semplicemente creare, e tassarlo in tempo utile. L’altro mito terrorizzante da demistificare è il seguente: «Se torniamo alla liretta svalutata, magari dopo aver fatto default, i mercati ci puniranno, non ci faranno più credito». La realtà è che oggi i mercati tendono a non farci più credito, temendo il nostro default – a causa dell’euro. La Spagna già è in bilico: i suoi buoni non trovano compratori, e per questo deve chiedere i soccorsi europei, che glieli comprino al posto dei «mercati». Si può star certi che, appena avessimo svalutato, avremmo alla porta file di investitori pronti a prestarci denaro: e chi non farebbe credito a un’Italia (del Nord) che a quel punto avrebbe riacquistato tutta la sua competitività? Dove l’attività sarebbe in febbrile ripresa, le cui fabbriche sarebbero tornate a ronzare per soddisfare gli ordinativi, e a portar via le fette di mercato che la Germania ci ha defraudato? Ed anche i Bot e i BTP, una volta subita la svalutazione, tornerebbero appetibili proprio per questo. Non è una speranza, è una certezza. Il ministro argentino dell’epoca della bancarotta, l’economista Roberto Lavagna, l’ha raccontato in varie interviste:a poche ore dal default, già una grossa banca d’affari internazionale gli telefonava proponendogli di ricominciare ad indebitare lo Stato, perchè a quel punto i bond argentini erano tornati convenienti. Fu Lavagna a rifiutare, per non ricominciare subito il giro dell’indebitamento. I terroristi che ci vogliono tenere legati alla macina da mulino chiamata euro, altrimenti sarà l’inferno, hanno mancato di notare un recente studio di Merrill Lynch intitolato «Game theory and euro breakup risk premium». Uno studio molto originale, che usa la teoria dei giochi per stabilire quale Paese dell’eurozona abbia il maggior «incentivo» ad uscire , s’intende «ordinatamente», dalla moneta unica; analizzando tutti i pro e i contro, i guadagni e le perdite per ciascun Paese. Ovviamente tenendo conto del «Paesi con grandi bisogni di finanziamento (come il nostro) sarebbero più vulnerabili», e «avrebbero un accesso limitato per qualche tempo ai mercati di capitali e ai finanziamenti esteri», fatti negativi da bilanciare però con «l’impatto sulla crescita» che verrebbe dall’uscita. Non ve lo spiego perchè sarebbe complicato, chi vuole può andarselo a leggere qui: Game theory and euro breakup risk premium. Vi dò solo le conclusioni. Secondo Merrill Lynch, a perderci di più sarebbe la Germania, che subirebbe un apprezzamento del nuovo marco del 14%, e un taglio del suo Pil del -7%. In Grecia, la neo-dracma si svaluterebbe del 12. Per l’Italia, la neo-lira (dopo magari oscillazioni drammatiche) si deprezzerebbe dell’11%, sicchè la differenza tra lira e marco sarebbe del 25%, abbastanza da danneggiare gravemente l’export tedesco. Ma quali sono i Paesi in deficit che, tornando alla moneta nazionale, vedrebbero un clamoroso aumento dell’export? Al primo posto c’è l’Irlanda, che guadagnerebbe il 7% del Pil. Al secondo posto – sorpresa sorpresa – l’Italia, il cui Pil salirebbe del 3% del Pil. Seguita a ruota da Grecia e Spagna. I problemi del Club Med sarebbero in via di rapida soluzione. Dalla recessione alla ripresa e alla crescita. La Germania non potrebbe più spacciare i titoli del suo debito pubblico a tassi zero o sotto-zero: il costo dell’indebitamento salirebbe, per Berlino, di quasi 1 punto (80 punti-base). La Repubblica federale perderebbe lo status di «rifugio» per i capitali in fuga. Per l’Italia, dato il suo enorme debito, il vantaggio su questo sarebbe modesto: -20 punti-base. Ma il Portogallo vedrebbe una diminuzione del costo per indebitarsi di quasi il 6%, l’Irlanda del 4%, e la Spagna quasi l’1% in meno. Persino la Grecia farebbe economia sul costo del debito (anche senza contare la possibilità recuperata di monetizzarlo), visto che lo vedrebbe calare di un 22%. Ma è soprattutto l’uscita dell’Italia – più grossa dell’Irlanda e più industrializzata di tutti – che la Germania deve temere, valuta Merill Lynch. Tanto più che l’Italia è quella che dopo la piccola Irlanda, ha la maggior convenienza ad uscire. Al punto che lo studio si domanda: Can Germany bribe Italy to stay? Ossia: La Germania pagherà una bustarella all’Italia per farla restare nell’euro? Possiamo rispondere tranquillamente di no. La Germania non ha bisogno di pagarci, perchè a farci restare nell’euro – e gratis – ci pensano Monti, Napolitano, Draghi . Tutti pronti a «fare tutto quel che serve per salvare l’euro», fino a che saremo tutti morti. Post Scriptum: quel che abbiamo scritto sopra non vuole essere una giustificazione per non ridurre l’immane debito pubblico, nè una scusa offerta alla classe politico-parassitaria che ci pesa sul collo per non tagliare le enormi spese improduttive, provincie, comuni, Regioni, tangenti della Sanità, con cui ha alimentato le clientele, fino a distorcere la struttura stessa del sistema economico. È questa classe che ci ha portato al punto in cui siamo. Ciò che abbiamo detto sopra serve solo a dimostrare i tecnocrati e banchieri, che si sono impadroniti del potere sulla moneta con la scusa che i politici sono corrotti e inclini alla spesa pubblica senza freno, non hanno dato miglior prova. Nè di competenza, nè di onestà. Come ho detto, il potere di monetizzare richiede una classe politica con la testa sul collo, capace di usarlo cum grano salis ed un forte senso di responsabilità e lealtà verso la comunità, anche quella futura. Restituire la sovranità monetaria allo Stato, finchè è governato da questi qua, sarebbe assurdo. Bisogna prima eliminarli. 1) Gli accorgimenti che probabilmente Draghi adotterà saranno altri acquisti sul mercato secondario (liberando le banche di titoli marci); si ventila l’idea di attribuire al Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) lo status di banca, ciò che permetterebbe allo ESM di finanziarsi presso la BCE, ossia avere fondi senza limiti con cui poi comprare titoli spagnoli e italiani. Questi metodi indiretti e macchinosi (perchè non dare agli Stati , allora, lo statuto di banche, onde possano poppare alla mammella BCE senza intermediari?) servono essenzialmente a nascondere il gran segreto: che la moneta ex nihilo si crea a volontà. 2) Un altro argomento contro il modello giapponese, sostiene che nonostante la larghezza monetaria, il governo nipponico non ha avuto successo nel far uscire la sua economia dalla stagnazione. Rettifichiamo: il Giappone non ha avuto successo con il quantitative easing; ritorno alla «austerità» è stato un fallimento; però stava avendo successo con la monetizzazione del debito. Il ritorno alla normalità è stato rovinato dalla crisi finanziaria mondiale innescata dai subprime (americani) nel 2007. Poi c’è stato il tragico tsunami. Per chi vuole approfondire questo tema: Le point sur le Japon. 3) Da un sito francese traggo questo esempio: 1) Siete una banca che ha 1000 titoli spagnoli (o italiani) ed ha paura di perderci troppo. 2) Per calmare la vostra ansia di banchiere – non sia mai che ci perdiate del denaro – la BCE vi raccatta questi titoli, dandovi in cambio i soldi all’1%. 3) Si è dunque passati da una situazione: «banca privata 1000 obbligazioni discutibili/BCE 0», a «banca privata 1000 di liquidità utilizzabile/BCE 1000 di titoli discutibili». Se ci si ferma qui, si vede che la BCE ha creato moneta dal nulla, e questo può creare inflazione, ciò che è contrario agli statuti della BCE. 4) Allora la BCE, per neutralizzare l’emissione, chiede in prestito alle banche private il denaro che ha creato. 5) Situazione finale. Banca privata: credito di 1000 sulla BCE non utilizzabile/ BCE: 1000 obbligazioni marcescenti più 1000 di liquidità, menogli interessi versati alla banca privata. «Alla fine – commenta il sito – non c’è creazione monetaria, ma ‘solo’ la BCE che rimpie il suo bilancio di attivi marci, e in più paga degli interessi su questo… o detto in altro modo, la BCE ha tolto una spina dal piede della banca privata, e paga per questo. È bella la vita delle banche private! E beninteso, tutti i particolari sulle banche beneficate, sui titoli raccattati, sugli interessi versati, sono segreti». di Maurizio Blondet

06 agosto 2012

L’amore al tempo della connessione tecnologica

Tra lui e lei quasi sempre, c’è un altro. La sua presenza non fa bene al rapporto, lo indebolisce sempre di più. Ruba attenzione, concentrazione, distrae. Non si tratta però di una persona fisica, ma di un gadget tecnologico: generalmente un cellulare, uno smart phone, un tablet. La sua presenza, sempre più invadente, sta profondamente trasformando i rapporti di coppia. Il discorso, l’intimità, il silenzio è sempre più spesso rotto da uno squillo, un sms, una schermata sul mondo, fuori. Non è un cambiamento da poco. L’innamoramento, il corteggiamento, lo stare insieme è sempre meno una vicenda dei due della coppia, e sempre di più un fatto sociale, nel quale entrano in continuazione altre persone, informazioni, notizie. Tutta roba che mette in fuga quello che una volta veniva definito l’incanto dell’amore. L’agghiacciante statistica secondo la quale circa un quarto delle americane sposate parla al cellulare durante i rapporti sessuali può essere messa sul conto delle patologie che si sviluppano nei matrimoni in crisi, come illustrato nelle serie televisive dedicate alle casalinghe disperate. Ma questo è solo il risultato di molte cose che sono già accadute prima, quando i due hanno cominciato a frequentarsi. E’ durante quei “magic moments”, illustrati de una canzone evergreen degli anni 60, che si può sentire se davvero si è fatti l’uno per l’altro. Per questo, però, è necessario essere totalmente presenti alla situazione, all’altro, vederlo veramente, e lasciarsi vedere, fin nel profondo. Serve insomma concentrazione, profondità. Persino silenzio, oppure colonne sonore adatte all’ascolto e accoglimento dell’altro, come erano le musiche diffuse, o eseguite dal vivo nei piano bar dove ci si corteggiava e ci si innamorava prima dell’avvento della connessione perenne. A quei luoghi ovattati sono da tempo subentrati gli happy hour, gli “aperitivi” squillanti di cento suonerie, luoghi dove l’intimità e l’ascolto dell’altro sono sovrastati dall’esibizione, il mostrarsi, il dover essere “brillanti” nella compagnia, più che interessanti e interessati all’altro che potrebbe amarti. La “connessione” col mondo ha così scavalcato l’attenzione all’altro. Lei risponde allo squillo dell’amica, o della mamma, lui non resiste a controllare dal tablet gli ultimi sviluppi della partita. La tensione amorosa si trasforma in scambi episodici, curiosità , qualche battuta. Il sentimento sbiadisce e il desiderio rimane come espressione del sistema nervoso, più che come slancio del cuore. Non tutto, nella trasformazione informatica dell’innamoramento, è però da buttare. La presenza continua degli altri, della società, delle informazioni sul mondo, ad esempio, rende più difficile quel chiudersi nella coppia frequente negli adolescenti timidi o in difficoltà, che fino a non molto tempo fa sequestrava gli innamorati separandoli dagli altri e dal loro tempo, e metteva così in pericolo il loro benessere psicologico successivo. La connessione ti aiuta a non perderti completamente nella tua fiaba d’amore. Ma se non la tieni a bada impedisce del tutto che la fiaba nasca, trasformando la persona che potrebbe amarti in una conoscenza come le altre. di Claudio Risé

05 agosto 2012

Note olimpiche…

Si sono aperte le Olimpiadi di Londra, precedute da una lunga messe di servizi televisivi e articoli giornalistici che hanno ribadito cose che ormai sono di dominio pubblico, tanto da risultare noiose e stucchevoli. Il doping, non certo da quest’anno, sembra essere la piaga costante di tutti gli sport. I controlli si susseguono e le evoluzioni delle varie droghe che tentano costantemente di sfuggirgli riempiono le cronache e le aule dei tribunali. Le squalifiche sono all’ordine del giorno, le sospensioni si moltiplicano, le revoche di record e vittorie ormai sono numerosissime e disorientano lo spettatore che non saprà mai, a fine gara, se quello che ha visto sarà il vero ordine d’arrivo. Sembra che la politica proibizionista non dia risultati sensibili. Il professionismo degli atleti, contrapposto agli eterni principi decoubertiani, non fa più cassetta. Scontato che gli atleti di rango debbano interpretare le loro discipline sportive come dei veri e propri lavori retribuiti. Di maggior successo, invece, i reportage sulle retribuzioni degli sportivi presenti ai Giochi. Non desta certo sorpresa apprendere che il tennista Roger Federer, tra montepremi e sponsor, si porta a casa qualcosa di molto simile a 50 milioni d’euro l’anno. Così come gli stellari campioni della NBA statunitense, che vantano medie intorno ai 30 milioni l’anno, che non si stupiscono di guadagnare tanto, visto che sono totalmente impegnati a scacciare dalle loro menti i fasti di quello che rimarrà il primo e unico Dream Team della Storia e che mai potranno emulare. Non tiene più banco la questione Pistorius, quell’atleta con arti in carbonio, che approda, dopo tante polemiche, sulle piste di atletica londinese, forte del suo tempo minimo raggiunto. Non si sono fugate tutte le perplessità circa la possibilità che atleti “bionici” siano atleti regolari ma in un articolo del CorSera, Eva Cantarella, insigne accademica, ci ha ricordato come non mi ricordo più quale atleta nell’Antica Grecia, corse, vincendo una gara podistica, provvisto di una spalla in avorio che sostituiva quella mancante, introducendo così la bioingegneria già allora. I greci, si sa, hanno inventato, detto, scritto tutto quello che si poteva inventare, dire, scrivere. Solo la Merkel e la BCE fingono di non saperlo, ritenendola indegna dell’Europa che in realtà ha fondato e riempito di senso. Ma le due notizie più intriganti sulla questione, bionico sì, bionico no, che vanno lette sinotticamente, sono comparse ancora sul CorSera di sabato 28 luglio. La prima ci informa che si cimenterà nella gara di tiro con l’arco individuale, un atleta sud coreano ipovedente. Con una vista che non supera i 2/10, vedendo solo i colori del bersaglio, è capace di fare centro. Intervistato, ha dichiarato che lui il bersaglio non lo vede, se non in una nebbia di colori concentrici, lui il bersaglio lo sente e così fa centro. La seconda è che è stata messa a punto una tecnica, già sfruttata dall’esercito USA per i suoi piloti da caccia, che permette, con un’operazione sulla cornea, di portare la normale vista umana (i famosi 10/10 di chi ci vede bene) a 15/10, con la capacità, testimonia l’articolo, di vedere una mosca, nei suoi dettagli, ad una distanza da nove metri. E che magari, all’insaputa di tutti, è già stata utilizzata per qualche atleta tiratore. Mi sono immaginato una sfida tra il sudcoreano ipovedente, forte solo della sua sensazione che guida il dardo al bersaglio e un’infallibile cecchino, forte di questo nuovo ritrovato della Tecnica, guarda caso targato USA e guarda caso già utilizzata dall’esercito per rendere i suoi uomini ancora più mortalmente infallibili. Un’interessante contrapposizione tra Oriente e Occidente e i loro diversi modi di intendere la via da percorrere. L’Oriente. Al lettore accorto non sarà certo sfuggito il volumetto che Adelphi, molti anni fa, ha inserito nelle sue collane Lo zen e il tiro con l’arco di Herrigel, in cui è esplicitato il pensiero sintetico del sudcoreano. Solo attraverso un esercizio che è in primo luogo lavoro mentale, si può ottenere la fusione tra il soggetto e l’oggetto, tra l’arciere, il dardo e il bersaglio. È solo attraverso questa fusione che si può realizzare quel momento in cui le differenze si annullano in uno sfolgorante bagliore che è il Satori. Un’illuminazione individuale che è unica via che non si può insegnare (se non nei suoi primi passi che corrispondono alla disciplina dell’arco) e che permettono di raggiungere il centro del bersaglio. L’Occidente. Di contro la Tecnica occidentale, che ormai ha preso il sopravvento, non ha nessun presupposto nel sentimento, nella visione interiore, nel “sentire”. Freddamente manipola, trasforma, si fa creazione, piega il soggetto alla sua demonia, sostituendolo, brano a brano, con pezzi artificiali, spersonalizzandolo ma realizzando per lui l’ennesimo sogno faustiano. È l’eterna lotta tra la Qualità non tramandabile e la Quantità codificabile, che ha sancito il trionfo del pensiero occidentale, condannandolo, nel contempo, al giogo coatto di una forza ingovernabile quando diventa divinità. È la contrapposizione, che ben ha descritto Pirsig nel classico assoluto Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, tra visione classica (occidentale) e visione romantica (orientale), propendendo per quella classica, a me così almeno pare, che narra una bellezza soggiacente che a suo dire non sarebbe percepita dai romantici. Sarebbe utile ritornarci e non lasciare che quei due articoli marciscano nel cestino dell’oblio. Poi ci sono, a compimento di questa diarrea mediatica, le sperticate lodi alla manifestazione d’inaugurazione. I maggiori complimenti sono andati all’autoironia degli inglesi che hanno preso in giro se stessi con la presenza di Mr. Bean e soprattutto con la performance della Regina che, a fianco dell’ultimo James Bond, si è prestata a fare la Bond girl, piombando dal cielo in paracadute sullo stadio olimpico. Non lasciatevi abbindolare, è la solita, nota e più volte sottolineata ipocrisia inglese. È il facile sberleffo di chi credendosi ancora un dominatore e infarcito di un senso patologico di superiorità, nei confronti dell’intero globo terraqueo, sa di potersi permettere, in tempo di carnevale, delle licenze senza incrinare l’immagine che ha di se. Alla fine, mi viene restituita l’immagine di un grande spettacolo, divertente ma completamente inconsistente. Un enorme affare che poco ha a che fare con lo sport, che si rappresenta con una cerimonia imbarazzante, piena di morti viventi (come Sir. Paul McCartney), che non mitiga ma esalta il senso di baracconata planetaria che la TV riprende. E da tutto ciò il mio pensiero di sempre riaffiora. Se non si tratta di sport ma di una grande spettacolo per fa soldi e divertire, allora sarebbe giusto permettere tutti i doping a disposizione, permettere tutte le sperimentazioni bioniche conosciute, trapiantare arti di gazzella negli sprinter, innestare bulbi oculari aquilini nei tiratori, inserire fegati di merluzzo per migliorare l’acquaticità dei nuotatori. Bisognerebbe, per sostenere il vertiginoso giro di scommesse sulle gare e per renderle meno scontate, permettere di truccarle a piacimento, corrompere atleti per perdere e pagare allenatori pe rivelare i segreti dei propri assistiti. Tutto in nome dello spettacolo. Non ci vuole immaginazione per questo, basta guardarsi intorno. L’esempio del Palio di Siena è didascalico. Basterebbe applicarlo, lasciando lo sport vero, quello amatoriale (purtroppo ormai anch’esso compromesso in molto) a chi lo vuole praticare in santa pace. Senza record, senza classifiche, senza falsi miti da rincorrere. di Mario Grossi

04 agosto 2012

Com'e' cattiva la Merkel!

"I tedeschi non sono disposti a fare da bancomat per la classe politica italiana, non sono disposti a coprire i debiti che gli italiani hanno contratto. La storia degli eurobond è qualcosa per cui ci si indebita insieme e poi si paga insieme, peccato che chi si indebita di più, in questi casi, sarebbe l’Italia. I tedeschi sanno bene come funziona la politica in Italia, sanno bene che se diventassero un rubinetto che "se si apre ecco i soldi", questi finirebbero sì in Italia, ma finirebbero di nuovo ai vari Penati, Formigoni, Belsito e simili e ai loro compari." Beppe Scienza Il bancomat dei politici italiani Saluti agli amici del blog di Beppe Grillo, sono Beppe Scienza, insegno al dipartimento di matematica dell’Università di Torino, mi occupo di risparmio. Argomento caldo perché i risparmiatori italiani sono molto preoccupati di cosa capita ai loro soldi e ai loro titoli di Stato. Si sta assistendo da qualche mese a una recita da parte di politici e degli economisti di regime secondo un canovaccio abbastanza classico, per nascondere le magagne di casa propria si dà la colpa allo straniero, ora per fortuna non si fanno le guerre, almeno in Europa, ma qualcosa ricorda il nazionalismo di decenni passati. La colpa sarebbe di entità estere come le società di rating, gli speculatori internazionali, ovvero le colpe sono degli stranieri e si sentono alti richiami all’amor di patria finanziaria per cui emettono titoli come i Btp Italia che devono essere sottoscritti con tutta la stampa che li pompa. Diciamo le cose come stanno, se alcuni Btp sono scesi a 60 rispetto a 100 e parecchi a 80/70, se c’è sfiducia nel debito pubblico italiano, i tassi di interesse che l’Italia paga sono più alti di quelli che pagano altri Stati o di quelli che l’Italia stessa pagava fino a un anno fa in una situazione effettivamente molto tranquilla, anche troppo tranquilla, le colpe sono tutte italiane. Un debito pubblico che nel 2007 era sceso a 102%, 103% adesso è risalito a 120% e quest’anno addirittura a 123%. Se il debito pubblico tra l’altro è salito in Italia in parallelo a un taglio della spesa sociale, è salito grazie ai vari Penati, Formigoni, Belsito etc., non è salito perché sono stati regalati soldi ai cittadini. Uno dei nemici sarebbe la Germania, in particolare Angela Merkel accusata di cecità, stupidità. I tedeschi non sono disposti a fare da bancomat per la classe politica italiana, non sono disposti a coprire i debiti che gli italiani hanno contratto e soprattutto che sono ancora disposti a contrarre. La storia degli eurobond sarebbe qualcosa per cui ci si indebita insieme e poi si paga insieme, peccato che chi si indebita di più, in questi casi, sarebbe l’Italia. I tedeschi sanno bene come funziona la politica in Italia, sanno bene che se loro diventassero un rubinetto che "se si apre ecco i soldi", questi finirebbero di nuovo ai vari Penati, Formigoni, Belsito e simili e loro compari. L’idea, non infondata, è che una garanzia europea, sui debiti degli italiani servirebbe a riassumere a tutto spiano nuovi dipendenti pubblici, inutili, a elargire nuovi soldi a strane fondazioni. Adesso è per esempio in discussione il meccanismo europeo di stabilità noto anche come ESM European Stability Meccanism, deciso per aiutare gli Stati in difficoltà. Fatti di costume Ora la posizione della Germania è che va bene aiutare gli Stati in difficoltà, ma bisogna porre un qualche limite a questo, mentre invece l’ultima trovata è che questo ESM dovrebbe avere lo status di banca. Cosa vuole dire avere lo status di banca? Vuole dire che può comperare i titoli di stato italiani e spagnoli, sicuramente anche altri, darli in garanzia alla BCE, e farsi prestare soldi all’1%, con questi comprare di nuovo i titoli di stato italiani e spagnoli e portoghesi, darli in garanzia ancora alla BCE e così via fino al crack finale. Ora è chiaro che nè Monti, nè Hollande vogliono il crack finale. Certo, il meccanismo è molto pericoloso, perché se i soldi per aiutare gli Stati malconci sono limitati, c’è il rischio di esaurirli e trovarsi in situazione di grave crisi, se sono illimitati c’è il rischio di tirare giù tutta la baracca. Il punto è che dare lo status di banca al meccanismo europeo di stabilità apre un varco a questo rischio. La banca centrale tedesca, la famigerata Bundesbank è molto attenta ai soldi dei risparmiatori tedeschi. Il sindacato tedesco a differenza di qualche industria per prendere i soldi dai Tfr dei lavoratori ha protestato per il rischio associato ai risparmi dei cittadini tedeschi. In Germania c’è qualche aneddoto per capire com’è diverso lo stile. Sembrano fatti di costume e non sono fatti di costume. L’ultimo scandalo è stato quello cosiddetto del "tappeto volante", del tappeto di un certo Dirk Niebel, Ministro della cooperazione tedesca, che è andato con una delegazione del governo tedesco in Afghanistan, ha comperato con i suoi soldi un tappeto pagandolo circa 1.000 Euro, sono tornati in Germania con la delegazione e il tappeto. Uno scandalo a non finire. "Come? Ti porti il tappeto sull’aereo dell’aviazione pubblica e non paghi il trasporto? Non paghi l’Iva, la dogana?" Un grosso scandalo. Per fortuna il suo avvocato ha scoperto che una normativa europea esenta dall’Iva alcuni Stati come l’Afghanistan, quindi la cosa si è risolta. Christian Wulff, il presidente della Repubblica, si è dimesso per avere avuto un mutuo a tassi agevolati, in Italia tutti i parlamentari hanno di base mutui a tassi bassissimi. Ernst Welteke, il governatore della Banca centrale tedesca, nel 2004 si è dimesso perché a Berlino hanno pagato la stanza d’albergo al figlio che era lì con la fidanzata, per tenere il bambino dello stesso Welteke, cosette! Da noi Fazio per dimettersi ha dovuto aspettare che arrivassero per arrestarlo o quasi! Altre cose, la Margot Kaessmann, l’equivalente per i luterani, parlo per i cattolici, si è dimessa dalla sua carica perché l’hanno fermata mentre guidava tornando a casa la sera, hanno scoperto che aveva un tasso alcolico un po’ più alto, senza nessun incidente! Sfiducia nei titoli di Stato I tedeschi hanno questo stile nella politica, conoscono gli stili italiani, è comprensibile che abbiano forti esitazioni a mettere la foro firma per garantire debiti che verrebbero poi gestiti da una classe politica che noi italiani conosciamo bene, e quindi l’idea di diventare il nostro bancomat . A questo punto si capisce perché di fronte a queste cose gli italiani abbiano loro stessi sfiducia nei titoli del proprio Stato, loro stessi arrivano a venderli spaventati, si domandino cosa fare. Il problema in Italia resta quello grosso dell’enorme debito pubblico, poi le società di rating possono avere fatto qualche carta falsa, ma il problema non parte dalla speculazione, anche la teoria del contagio, il contagio viene non perché uno Stato è in difficoltà, ma perché tanti Stati sono in difficoltà. L’Italia è messa male perché comunque ha un debito pubblico molto alto e non si vede come riuscirà a tornare in una condizione di equilibrio. Quindi uno può trovare antipatica la lingua tedesca perché ha molte consonanti, è difficile, uno può non amare la cucina tedesca, può trovare i tedeschi un po’ rigidi e sicuramente lo sono, ma in questo caso le colpe sono in Italia, e sono nella classe politica italiana. Bisogna però chiarire un punto: la Germania, i politici tedeschi, non vuole assolutamente il fallimento dell’Italia, per questo non c’è contraddizione tra tante preoccupazioni che ho elencato prima e vedere prima invece Angela Merkel e Mario Monti d’amore e d’accordo, collaborare insieme. La Germania vuole evitare altri fallimenti nell’area dell’Euro dopo quella della Grecia che addirittura viene camuffato perché appaia meno grave. C’è il timore semplicemente da parte del Parlamento tedesco, che un crack, un'insolvenza dell’Italia avvenga trascinando anche la Germania. Il primo fine sicuramente della politica tedesca è evitare altre insolvenze nell’area dell’Euro. di Beppe Scienza

01 agosto 2012

La BCE difende l'Euro, le banche, ma non gli europei

Paradossalmente, l’agonia dell’Euro, del debito pubblico, dello spread, con tutti i sacrifici, la recessione e le tasse che ad essa conseguono, è voluta e mantenuta dai poteri europei: infatti dipende dalla scelta di proibire alla BCE di comperare le emissioni di debito pubblico sul mercato primario, alle aste, cioè da fare da vera banca centrale di emissione, così da impedire alla radice la speculazione. I Brics, gli USA, il Giappone, hanno banche centrali che fanno le banche centrali; perciò, sebbene gravati da debiti pubblici anche molto più alti dell’Italia, non hanno problemi con la speculazione, perché le loro banche centrali garantiscono l’acquisto. La pseudo-banca centrale detta BCE è voluta in quanto fa gioco agli speculatori finanziari, per ragioni di profitto; agli USA, per ragioni geostrategiche; alla Germania, perché ne trae benefici finanziari, competitivi, egemonici; al capitalismo in generale, perché gli consente di minacciare le nazioni con lo spauracchio dei tassi e del default per costringerle ad abbattere lo stato sociale, i diritti dei lavoratori e dei risparmiatori; a smantellare il ruolo economico del settore pubblico; e in generale a affidare definitivamente la politica ai banchieri. Questo dato di fatto sarebbe la prima cosa da dire nell’informazione economica, ma i mass media ne parlano con molta cautela. La linea della BCE è quanto di meno trasparente e di meno democratico si possa concepire: interviene comperando sul mercato secondario, in deroga al proprio statuto, ogniqualvolta i tassi sui bond di un paese eurodebole salgono tanto che il paese colpito potrebbe uscire dall’Eurosistema, ma niente fa per rimediare alle cause strutturali delle impennate dei tassi, né dei crescenti squilibri delle bilance commerciali intracomunitarie, né del costante peggioramento del pil, dell’occupazione, dell’economia reale, di molti Stati membri. Una difesa sostanziale, la BCE la fa solo in favore delle banche europee, finanziandole a bassi tassi (1%), molto largamente, e senza curarsi che almeno una quota degli oltre 1000 miliardi prestati loro vada a finanziare l’economia reale anziché attività speculative, magari rivolte contro Stati eurodeboli. Pare proprio che l’obiettivo della BCE sia di trattenere le rane nella casseruola finché non siano cotte, dispensando loro una boccata di ossigeno e generose rassicurazioni quando si sentono scottare e pensano di saltar fuori, come è avvenuto ad esempio oggi, allorché nella mattinata lo spread btp/Bund è schizzato oltre 530 p.b., e Draghi ha reagito dichiarando che uscire dall’Eurosistema è impensabile, che recentemente si sono fatti molti passi avanti, e che la BCE farà tutto ciò che occorre per impedirlo – al che lo spread è presto sceso a 470 p.b., e la borsa italiana ha recuperato il 5%, mentre l’Euro è risalito a 1,23 sul Dollaro. Pare, insomma, che si voglia tenere i paesi eurodeboli in un meccanismo che aggrava i loro problemi e svuota le loro economie reali, ma al contempo li mantiene artificialmente in vita con una fleboclisi monetaria, aumentando la loro dipendenza da organismi autocratici giuridicamente irresponsabili e di tipo bancario, come la BCE e il nascente MES, Meccanismo Europeo di Stabilità. Da simili fatti traspare un disegno superiore, oligarchico, dirigistico, che non viene dichiarato, ma viene portato avanti senza interesse per le condizioni di vita delle nazioni, bensì con interesse centrato sul piano finanziario: espressione del fatto che, per l’odierna strutturazione del potere reale, l’economia della produzione e dei consumi, quindi gli stessi popoli, che di quell’economia costituiscono gli attori, sono divenuti superflui – ed è questa la vera rivoluzione che introduce il nuovo millennio. di Marco Della Luna

31 luglio 2012

Italia sotto tutela bancaria

Una recentissima indagine commissionata da Unioncamere e Ministero del Lavoro sul terzo trimestre 2012 ci dice che nel periodo luglio-settembre i contratti a tempo indeterminato in Italia saranno solo il 19,8% su quasi 159 mila. L’Istat invece ai primi di giugno di quest’anno forniva i dati inquietanti sulla disoccupazione, che nel primo trimestre si sarebbe attestata al 10,9% con un aumento su base annua del 2,3 %, con una disoccupazione giovanile che è oramai oltre il 35 %, mentre i posti di lavoro persi tra marzo e aprile sono ben trentotto mila. Ebbene di fronte a dati di questo genere qualsiasi governo con un minimo di decenza si sarebbe dimesso e il Parlamento, luogo oramai deputato in Italia solo a fornire agi e privilegi a degli incompetenti nulla facenti, sarebbe sciolto da un Capo dello Stato serio e credibile. E invece c’è stato imposto il “ Fiscal Compact” (già il termine inglese suona meglio nel continuo scimmiottare Londra da parte dei peones della politica nostrana), ad eccezione della Gran Bretagna e Repubblica Ceca che non l’hanno accettato, che ci impone rigorosamente, per chi ha un debito pubblico superiore al 60% del Pil, di restare sotto tale soglia (a oggi il rapporto tra debito pubblico e Pil ammonta al 123,3%), con l’obbligo per chi sfora tale percentuale di rientrarvi nell’arco di 20 anni per un ventesimo della quota che sfora il 60 % da versare ogni anno. Questo significa che gli italiani dovranno per i prossimi 20 anni subire tagli alla spesa pubblica per ben 45 miliardi di euro l’anno! Una cifra colossale, che colpirà soprattutto i ceti medio bassi, anche paragonata all’altra stangata infertaci dal governo delle banche, lo “Spending Review” (anche qui l’inglese è d’obbligo perché fa tanto british e bocconiano) che ammonta a 29 miliardi in tre anni. Un vero salasso in barba alle ridicolaggini sulla crescita e altre amenità che escono ogni giorno dalla bocca del senile professore che siede a Palazzo Chigi. A ciò si deve aggiungere l’altro mostro partorito dalla burocrazia di Bruxelles e Francoforte, il MES - Meccanismo Europeo di Stabilità - che obbliga l’Italia a versare 15 miliardi in 5 anni a sostegno del fondo salva banche. Non c’è che dire, una fine davvero ingloriosa per la nostra penisola, che dopo essere “stata liberata” nel 1945 dalle armate degli invasori anglo-americani, e da allora sempre occupata militarmente, oggi si avvia alla totale estinzione anche economica e sociale per opera degli stessi di allora. Adattando la celebre frase di Von Clausewitz, che vedeva nella guerra il proseguimento della politica con altri mezzi, verrebbe da dire che qui si tratta dell’economia che prosegue la guerra con altri mezzi. Non contenta la BCE, che non risponde a nessun governo eletto, alla faccia di chi vuole esportare nel mondo a suon di bombe questo modello Occidentale, e che muove le fila al governo Monti, si diletta quotidianamente a darci consigli su come ridurre la disoccupazione con le solite soluzioni lacrime e sangue: “Salari più bassi e maggior flessibilità”, peccato però che i prezzi di prima necessità aumentino costantemente, e prosegue… “in vari Paesi la correzione al ribasso dei salari è stata modesta e ciò nonostante l’aumento della disoccupazione; solo la moderazione salariale e la flessibilità possono riallocare i lavoratori in esubero”. Più chiari di così! A fronte di simili esternazioni, che lasciano il tempo che trovano e aspettano sempre una conferma sul campo mai arrivata, che hanno come unico obiettivo distruggere ogni certezza contrattuale e salariale e ridurre ancor di più quello che resta di Stato Sociale in Italia e in Europa, nessun politico italiano e sindacalista ha sentito il dovere di dire in modo chiaro come stanno realmente le cose e dichiarare apertamente che il “Re è nudo” e che in Italia vi è in atto tutt’ora un vero e proprio colpo di Stato finanziario: finiti i tempi delle divise che sapevano tanto di America Latina, ora si vestono in giacca e cravatta. La BCE, il FMI, l’Ue e i loro camerieri inseriti a vari livelli nei governi europei, stanno operando una sistematica distruzione di tutte le conquiste sociali fatte dal lontano 1930 a oggi, con la Fornero come “Cavallo di Troia” inserito nella cittadella del lavoro, mentre il governo di Mr. Monti, quello che durante il recente viaggio a Mosca, incurante del ridicolo e della nullità del suo governo in campo internazionale, si è addirittura paragonato a uno statista nell’intervista concessa a Itar Tass e diffusa dalla tv “Russia 24”. Sta solo eseguendo i compiti affidatigli dall’oligarchia anglosassone e mondialista. Con la scusa dello spread, a colpi di machete si taglia tutto quello che c’è da tagliare di sociale, scuola, università, sanità, pensioni, salari, servizi sociali, trasporti pubblici, senza però toccare le banche e i loro interessi, nella speranza di spremere tutto quello che si può ora e subito, finché è ancora possibile, non per cercare un impossibile pareggio di bilancio, pia illusione poiché paghiamo interessi su interessi usurai, ma di far affluire nuovi capitali nelle casse degli istituti di credito in nome di quel debito pubblico che non è altro che il signoraggio operato dalla BCE che stampa e presta a usura il denaro, poi che vada tutto al diavolo. Una Fornero saccente e prepotente, che uscita dal cilindro del mondo bancario, come gran parte degli accoliti di Mr Monti, predica le solite ricette fasulle e portatrici di miseria in salsa liberista, “facilità di licenziamento, flessibilità-precarietà, moderazione salariale, tagli occupazionali, meno diritti”. Tutte cose già viste fuori Europa, dove sono state applicate a man bassa nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo e in America Latina in passato e dove hanno solo portato un abbassamento drastico del tenore di vita della popolazione, ma al tempo stesso, guarda caso, a un aumento dei profitti delle multinazionali e del sistema bancario internazionale e all’oligarchia di quelle nazioni. E ora questa economista da quattro soldi, ben piazzata ovunque con tutta la famiglia, che ripete a memoria la lezioncina contro il posto fisso, sta dettando legge nella più completa libertà d’azione, incurante dei danni sociali che sta arrecando, ringraziando ogni giorni gli ex sindacati oramai solo di nome come Cigl Cisl Uil e Ugl, che erano pronti a mobilitarsi in un non lontano passato, un giorno sì e l’altro pure contro Berlusconi. Ora tutti costoro, invece di far scendere in strada i lavoratori in uno sciopero generale ad oltranza, fanno spallucce e lanciano solo flebili proclami degni del Ferragosto contro il governo e la “professoressa” ministra. Però la coppia dei distruttori dell’Italia nulla sarebbe se non avesse alle spalle quel Mario Draghi, mentore del potere finanziario e bancario, che sta dettando le regole agli ignavi governi dell’Ue (tranne i britannici ovviamente, che di quel potere fanno parte integrante da sempre e che dopo essersi tenuti saldamente la loro sterlina, non accettano “Fiscal Compact” di sorta e imposizioni da Bruxelles e Francoforte; loro sono uno Stato sovrano non una colonia come l’Italietta del neoresistenziale Napolitano). Proprio il saccente Draghi, che oramai si sente un piccolo dio in terra, ci dice che “l’euro è irreversibile”, come se nella storia ci fosse mai stato un qualcosa d’irreversibile, e che quindi, “forte del sostegno dei governi, nulla cambierà in futuro”. Si dovrò proseguire sulla stessa strada intrapresa per l’Italia, la Spagna e la Grecia, in altre parole dopo che le solite note agenzie di rating hanno declassato gli Stati ecco arrivare i prestiti usurai in cambio però delle cosiddette riforme strutturali, così le chiama il banchiere di Francoforte, non lo chiamiamo statista per non indispettire l’altro, quello vero, il bocconiano di casa nostra, che sono anche queste sempre le solite e arcinote e con il classico obiettivo. Totale deregolamentazione del mondo del lavoro, che significa globalizzazione e quindi peggioramento del livello di vita dei lavoratori a vantaggio dei grandi gruppi internazionali e della concorrenza al ribasso dei Paesi che non hanno alcuna garanzia sociale e salariale. Si produrranno le stesse cose a costi inferiori e con maggiori profitti per gli investitori esteri che verranno in Italia o in Europa. Marchionne ne è il tipico esempio: dopo avere la Fiat succhiato per decenni contributi statali, ora apre fabbriche all’estero, come in Serbia, dove la mano d’opera costa meno della metà che in Italia, per poi rivendere il prodotto finito a prezzo pieno con ricavi ben superiori a quelli che si avrebbero con i lavoratori italiani. Via poi ogni forma di protezionismo economico sia pur minimo, che sempre secondo Draghi inibisce la competitività, certo lui sa bene cosa significhi tutto questo per la nostra economia, perché dall’altra parte dell’Oceano, da dove gli arrivano i compitini ogni giorno, gli Stati Uniti praticano da sempre il più stretto protezionismo, invocando invece l’apertura dei mercati per tutti gli altri popoli in nome del “dio mercato”. Liberalizzazioni, invoca Draghi, che fa rima con privatizzazioni, che a loro volta fanno rima con svendite del patrimonio pubblico nazionale, che così può facilmente entrare nel mirino dei “datori di lavoro” del presidente della BCE, i quali potranno completare la campagna acquisti già iniziata sotto i precedenti imbelli governi di centro sinistra e destra. E, infatti, Mr. Monti è già sulla buona strada visto che ha già dichiarato che “non solo non escludiamo quote dell’attivo del settore pubblico, ma stiamo preparando e presto seguiranno degli atti concreti”, riferendosi questa volta ai patrimoni di Comuni e Regioni, che come quelli dello Stato sono di tutti gli italiani e non certo di un Presidente del Consiglio da nessuno eletto, costruiti nel corso degli anni con i nostri sacrifici e delle generazioni precedenti, ma che ora rischiano di essere spazzati via e ceduti al migliore offerente. E per finire ecco l’affondo finale dell’ex governatore di Bankitalia, con l’invocazione, ma meglio sarebbe dire l’ordine, vista la spocchia da banchiere che si ritrova, a varare al più presto l’Unione di Bilancio, al fine di creare un’entità sovranazionale. Sappiamo bene da chi e in che modo sarebbe poi guidata questa entità, lo stiamo già vedendo e subendo ogni giorno proprio in Italia, dove la politica ha da tempo lasciato il passo al mondo della finanza apolide, la Costituzione è oramai carta straccia, buona solo per i gonzi che ancora credono nella democrazia, mentre tutte le decisioni che contano sono prese altrove, tranne che in Parlamento aula sorda e grigia. di Federico Dal Cortivo

27 luglio 2012

Elezioni anticipate: far votare il Popolo prima che si inferocisca

Mentre incalzano i declassamenti del sistema-Italia da parte delle agenzie di rating (downrating del debito pubblico, di banche, di enti pubblici), mentre lo spread si impenna, mentre le soluzioni annunciate e festeggiate vivono al più due giorni, mentre il contagio greco e spagnolo si fa sempre più pressante, si moltiplicano i contatti a tema monetario tra Monti, Napolitano, Draghi e altre entità più nell’ombra, e vengono divulgati messaggi rassicuranti: niente nuove manovre, niente crisi monetaria, niente rottura dell’Euro, interventi senza tabù da parte della BCE. Ma promesse e rassicurazioni in materia monetaria, come l’esperienza non si stanca di dimostrare, sono solitamente strumentali e mendaci. Mettiamo ora questo quadro in relazione col tema delle elezioni e della riforma elettorale. Napolitano esige la riforma del Porcellum, onde dare (parvenza di) rappresentatività popolare al parlamento, prima delle prossime elezioni politiche. Diverse fonti ventilano un progetto di voto anticipato ad Ottobre. Monti emette ormai effati implicitamente possibilisti in tal senso. Si parla di un patto tra i partiti che lo sostengono per cambiare la legge elettorale (cioè per inventare un nuovo sistema per eleggere sempre gli stessi), impegnarsi congiuntamente a continuare l’appoggio a Monti e alla sua linea di “risanamento” quale che sia il voto dei cittadini, e poi andare alle urne in sicurezza, avendo “rassicurato i mercati e Berlino”. Mi suona molto così: “Cari titolari dei partiti responsabili, se volete rimanere ancora qualche anno in poltrona a gestire la spesa pubblica come siete abituati a fare, dovete vincolare la futura azione del futuro parlamento ad obbedire e votare le veline della BCE, dell’Eurogruppo, della Commissione, impegnandolo sin da ora a fare tutte le riforme e le cessioni di sovranità che saranno richiesti, anche contro la logica e l’interesse nazionale; solo a tale condizione, la BCE, in deroga autocratica al suo statutario divieto a intervenire in tal senso, continuerà a intervenire sottobanco, sul mercato secondario, per comprare, cioè rifinanziare, il debito pubblico italiano evitando il default del paese.” Un rinnovo parlamentare di questo tipo, imposto dall’estero come già lo fu il rinnovo del governo l’anno scorso, servirà ad affrontare il caldissimo autunno-inverno che ci aspetta, quando scadranno gli ammortizzatori sociali in essere ora (e si impennerà quindi il numero degli ufficialmente disoccupati), quando arriverà la seconda stangata dell’Imu, quando si faranno i conti con la moria di imprese e posti di lavoro già percepibile a chi opera in contatto con le pmi e con i lavoratori autonomi, quando si farà una tassa patrimoniale sugli immobili per raschiare il fondo e affossare il paese. Quando, insomma, probabilmente scoppierà la crisi sociale. Tale fedelissimo parlamento fantoccio, necessario complemento di un governo pure calato dall’alto, potrà legiferare per reprimere la protesta popolare, per introdurre nuove tasse e misure straordinarie, per ingabbiare la nazione nelle strutture giuridiche autocratiche decise altrove, assai più affidabilmente di quanto può fare l’attuale parlamento zombie. E, nel farlo, potrà dire: “non rappresentiamo il popolo che democraticamente ci ha eletti; l’opposizione è violenza, follia, rifiuto delle regole.” Ma soprattutto è meglio far votare la gente in autunno, prima che il bubbone scoppi, prima che succeda qualcosa di grave e duro per la vita quotidiana, prima che il governo dia ulteriori e traumatici giri di vite, prima che si sentano pienamente gli affetti della sua politica economica e del dominio tedesco. Andare al voto nel Marzo 2013 vorrebbe dire andare dare lo strumento elettorale in mano a un popolo che sarà inferocito e sfiduciato, anche verso l’UE, verso Napolitano, oltre che verso Monti e i suoi sostenitori. Questa ipotesi spiegherebbe l’attivismo e gli sforzi in corso da parte di premier, Quirinale, BCE e ABC per turare le falle e puntellare il sistema finché non dispongano di un nuovo parlamento a loro misura, per le loro non divulgate strategie. Spiegherebbe anche perché Berlusconi ancora non dichiara la sua linea come candidato a premier: a seconda di come andranno le cose nei prossimi mesi, a seconda che quel piano riesca oppure fallisca, dovrà presentarsi come fedele servitore dell’Europa dei banchieri, oppure acerrimo leader della lotta contro di essi.

26 luglio 2012

L'irresistibile inadeguatezza della politica

Credo che la maggior parte dei cittadini non abbia ancora capito. Per non parlare dei politici, dei sindacalisti, dei rappresentanti di associazioni e gruppi. A giudicare dalla spensieratezza con cui si va in vacanza, si segue il calcio mercato, si discetta di sistemi elettorali, ci si infervora sui matrimoni gay e sulle dimissioni della Minetti, si direbbe che siano davvero pochi gli italiani che si rendono conto di quanto è drammatico questo momento. E allora proviamo a riassumere. Nessuno sa quanto è probabile che l’euro crolli, o che lo Stato italiano fallisca e ci trascini tutti nel baratro. Però questa eventualità, che era decisamente remota fino a qualche tempo fa, ora non è più trascurabile. Può succedere. Speriamo di no, ma può succedere. Questa settimana, o fra un mese, o fra un anno. Non è inutile ricordare che cosa l’eventualità di un default si porterebbe dietro. Primo: una considerevole erosione dei propri risparmi, per chi ne ha; un crollo del valore degli immobili; l’impossibilità – in caso di necessità – di venderli a un prezzo decente. Secondo: un taglio dell’importo delle pensioni, per chi non lavora più; difficoltà di conservare il posto di lavoro, per operai e impiegati; difficoltà di tenere aperte attività economiche, per imprenditori, commercianti, artigiani. Terzo: riduzione della quantità e della qualità delle cure, per i malati; per tutti, problemi di approvvigionamento energetico, perché benzina, riscaldamento, luce elettrica scarseggerebbero e costerebbero di più. Qui mi fermo, perché non è il caso di infierire. Ma il menù è questo. Le dosi possono variare, le portate – ovvero i guai – possono essere abbondanti o striminzite, ma questo è il genere di eventi che accompagnano un default. Ebbene, di fronte a tutto questo – che fortunatamente non è né certo né probabile, e tuttavia sta diventando sempre più possibile – le forze politiche paiono avere completamente smarrito il senso della misura, delle proporzioni, o meglio ancora delle priorità. Ogni giorno ci riserva la sua piccola bega, fra partiti ed entro i partiti, e pochissimi paiono rendersi conto che ci siamo di nuovo pericolosamente avvicinati al baratro. Da qualche giorno si riparla della possibilità di votare subito, ad ottobre, e non sappiamo ancora nulla. Non sappiamo se dovremo rivotare con le liste bloccate del “porcellum” oppure ci sarà una nuova legge elettorale. Non sappiamo se chi ha condanne definitive potrà essere eletto in Parlamento. Non sappiamo quali saranno le forze politiche in campo. Non sappiamo che alleanze faranno i partiti. Non sappiamo chi saranno i candidati premier. Ma soprattutto non abbiamo ancora ascoltato alcuna proposta precisa in materia di politica economica, salvo quella dei cosiddetti montiani, che propongono di andare avanti così, completando le riforme dell’agenda Monti. Eppure, come elettori, avremmo diritto di sapere come le principali forze politiche del paese intendono evitare il default e, se possibile, riavviare un minimo di crescita economica. Ma attenzione, quando dico che avremmo il diritto di sapere, non mi riferisco ai soliti elenchi di impegni generici, velleitari, o privi di copertura finanziaria. Oggi meno che mai, come elettori, possiamo accontentarci del consueto minestrone elettorale: crescita, coesione sociale, equità, sgravi fiscali, lotta all’evasione fiscale, riduzione degli sprechi, federalismo, rilancio del mezzogiorno. I progetti delle forze politiche che si candidano a governare il paese dovrebbero essere dettagliati e finanziariamente sostenibili, e soprattutto chiari nel loro rapporto con quel che Monti ha fatto fin qui. Non sono fra quanti pensano che Monti abbia fatto il massimo possibile, e anzi ritengo che abbia commesso qualche notevole sbaglio. Ma mi spaventa di più la completa mancanza di analisi credibili da parte delle forze che lo criticano, o lo sostengono fra mille distinguo e prese di distanza. Né Bersani, né Alfano, né Grillo – leader delle tre principali forze in campo – sono stati finora capaci di offrire una alternativa convincente, ossia chiara ed articolata, alla linea del professore. Quel che si intuisce è soltanto che Grillo non esclude il ritorno alla lira, ad Alfano non sono piaciuti gli aumenti delle tasse, a Bersani non sono piaciute le riduzioni di spesa. Quanto al partito di Montezemolo, l’unica lista che potrebbe competere con le tre forze maggiori, non si sa neppure se sarà presente alle prossime elezioni. Forse è anche per questo – perché capiamo che i suoi critici farebbe meno e peggio – che sempre più insistentemente si sente parlare di una lista Monti, o di una continuazione del montismo con altri mezzi. E forse è per lo stesso motivo che, talora, Monti si lascia andare ad atteggiamenti da salvatore della patria, da uomo di stato che – diversamente dai politici politicanti – non pensa alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni (vedi dichiarazioni di ieri nella sua visita in Russia). Il dramma delle prossime elezioni, siano quest’autunno o siano questa primavera, è proprio questo. L’Italia avrebbe bisogno di un governo politico, dotato di visione, di coraggio e di legittimazione elettorale, che la portasse fuori dalla palude in cui si è cacciata. Ma il ceto politico vecchio e nuovo appare così debole, così incosciente, così inconcludente e cialtrone, che in molti cominciamo a pensare che, tutto sommato, un nuovo governo Monti sarebbe meglio che riconsegnarci a forze politiche che non saprebbero dove portarci. Con una piccola complicazione, però: che i governi li fa il parlamento, e tutto fa pensare che il nuovo parlamento non sarà molto migliore di quello che ci lasceremo alle spalle. di Luca Ricolfi

25 luglio 2012

Rivolte e guerre da manuale

Di cosa può essere capace chi brama la guerra? L’immaginazione potrebbe sorprendersi di fronte all’inesistenza di limiti. Ce l’hanno dimostrato in Libia, ce lo stanno facendo vedere in Siria, ci proveranno (e hanno già iniziato) con l’Iran. Il terrorismo diventa salvaguardia dei diritti umani, eserciti più o meno mercenari sono spacciati per “la resistenza”, governi legittimamente eletti diventano feroci e sanguinari regimi, capi di stato (rispettati e riveriti) che amministrano da anni si trasformano nel giro di poche settimane in crudeli oppressori, scelte di politica interna (come l’approvvigionamento energetico) sono vendute come intollerabili minacce. Insomma, l’assurdità diventa ovvietà, gli oppressori si trasformano in liberatori e l’incredibile diventa realtà. Orwell si inchinerebbe ai guerrafondai moderni. I geni del male contemporanei hanno avuto predecessori che hanno alimentato e strutturato forme di aggressione, occupazione e sterminio degne dei peggiori aguzzini o delle peggiori menti alberganti nei novelli dottori della morte. Queste canaglie bestemmiano definendosi ‘democratiche’ e coprono la loro malvagità con la cosiddetta ‘esportazione’ di ciò che non conoscono. Ci sono invece pratiche, tattiche e strategie ben note all’asse dei reali oppressori (da USraele ai loro ‘NATOriamente’ fedeli alleati europei), che datano addirittura all’inizio degli anni ’60. Cuba ha fatto scuola. Scrive Jesse Ventura, ex governatore del Minnesota (già Navy Seal), nel libro 63 documents the US Government doesn’t want you to read (in Italia “Il libro che nessun governo ti farebbe mai leggere”, Newton Compton editori) che “alla fine dell’aprile 2001, poco più di quattro mesi prima dell’11 settembre, si è scoperto incredibilmente che l’esercito americano aveva pianificato un finto attacco terroristico contro i suoi stessi cittadini. (…) Si trattava dell’Operazione Northwoods contro Cuba, approvata nel 1962 da tutti gli Stati Maggiori Riuniti.” Nel libro si trova un memorandum per il segretario della Difesa e per il capo delle operazioni militari avente per oggetto la giustificazione per l’intervento militare degli Stati Uniti a Cuba. Vengono elencati i pretesti utili per poter giustificare l’intervento militare, attraverso la pianificazione e la concentrazione di una serie di “incidenti che andranno a combinarsi con altri eventi in apparenza non collegati, allo scopo di camuffare l’obiettivo ultimo e creare la necessaria impressione della pericolosità e irresponsabilità su larga scala” del nemico. Nel memorandum, originariamente top secret, si legge nero su bianco che “il risultato voluto della realizzazione di questo piano sarà quello di mettere gli USA nell’apparente posizione di poter giustamente (…) diffondere l’idea nella comunità internazionale della minaccia portata da questo Paese (il nemico, NdA) alla pace dell’Occidente”. Dal 1962 a oggi, le istruzioni sono seguite alla perfezione. Nei documenti riportati da Ventura si legge che le menti del male auspicavano che “alla base di un intervento militare” ci fosse una provocazione e suggerivano come agire per metterla in atto: “Si potrebbe suscitare la reazione di quel governo con un piano segreto e fraudolento” e inoltre “andrebbero promosse azioni aggressive e ingannevoli per convincere” il nemico “di un’imminente invasione”. Nell’appendice del memorandum c’è poi la lista di interventi utili per decidere un attacco credibile. Si va dalla diffusione di voci (disinformazione), all’azione di alleati nel paese nemico affinché si insceni un attacco; dal provocare disordini all’organizzare un attentato con relative cerimonie funebri. In particolare, ci sono due proposte che non lasciano spazio a dubbi o a complottismi di sorta (se non quelli degli ideatori): far esplodere una nave americana e dare la colpa al nemico che si vuole aggredire; far esplodere un proprio mezzo senza equipaggio umano in territorio nemico e attribuire la responsabilità al governo che si vuole combattere, avendo l’accuratezza di pubblicare la lista delle (inesistenti) vittime sui giornali statunitensi “in modo da sollevare un’utile ondata di sdegno nella nazione.” E, se non bastasse, il documento desecretato invita a “sviluppare una campagna terroristica.” Correva l’anno 1962 quando questa strategia veniva elaborata e indicata come via maestra. Le guerre più recenti dimostrano l’efficacia delle operazioni ‘da manuale’ degli aggressori. Con alcune ‘migliorie’ come ad esempio l’intervento occulto attraverso quelli che vengono chiamati (e armati) ‘eserciti dei ribelli’ o ‘degli insorti’. La realtà ci insegna che i killer professionisti agiscono in segreto, nascosti, vicini ma invisibili alla vittima. E non sono paghi finché non hanno portato a termine la missione. Norman Podhoretz, firmatario del Project for a New American Century (PNAC), nel numero di settembre del 2002 della sua rivista Commentary scrisse che i regimi “che meritano abbondantemente di essere rovesciati e sostituiti non si limitano ai tre membri identificati dell’Asse del Male (Iran, Iraq e Corea del Nord, NdA). L’asse dovrebbe essere esteso almeno alla Siria, al Libano e alla Libia, ma anche ad ‘amici’ dell’America quali la famiglia reale saudita e l’Egitto di Mubarak, insieme all’Autorità Palestinese sia diretta da Arafat che da uno dei suoi scagnozzi.” L’agenda è in atto; la missione è in corso. E per chi vuole la guerra (e il preziosissimo bottino di guerra) non c’è nulla di impossibile o impraticabile. I media e i governi alleati sapranno costruire la matrice da metterci davanti agli occhi per nascondere la verità. di Monia Benini

24 luglio 2012

A cosa serve il servizio segreto?

Oggi per scoprire segreti militari basta un satellite o anche un Drone delle dimensioni di una mosca. Un servizio segreto serve a preparare e vincere una guerra, possibilmente senza combatterla, mediante il condizionamento della pubblica opinione. Ciò può avvenire mediante aggressione mediatica diretta ( es la BBC inglese con l’Italia 1940-1945) o la penetrazione capillare di idee opportunamente teleguidate che trasformino in verità assoluta un interesse politico ben identificato dalla geopolitica. ” L’aggressore è amante della pace. egli vorrebbe conquistare le nostre case senza sparare un sol colpo” ( Clausewitz, cap V “della superiorità della Difesa strategica”. Cito a memoria e una virgola potrebbe essere fuori posto) . Parlava di Napoleone e quindi nessuno dei presenti si offenda. In un mondo in cui si è disposti a credere a tutto, basta condizionare e rifornire con continuità i media e il piu è fatto. Il più grande successo dell’intelligence inglese degli ultimi quattrocento anni è l’aver introdotto il concetto di “equilibrio europeo” nelle cancellerie di tutto il mondo. Migliaia di diplomatici di tutta Europa hanno sempre dato per scontato che per avere la pace bisognasse assicurare l’equilibrio in Europa tra le varie potenze. Ci sono voluti quattro secoli per tornare al prisco concetto di naturale Unità del continente europeo che era stato il perno della vita del mondo dall’era dell’imperatore Augusto alla caduta di Costantinopoli. Non che non ci fossero guerre, ma miravano a mantenere o rifare l’impero o brigare una successione. La comunicazione oggi – fortemente integrata con l’intelligence al punto da essere ormai indistinguibile – è riuscita a far percepire una serie di concetti completamente falsi che ci stanno spingendo verso la guerra come capretti verso il sacrificio. Ad esempio, tutti ormai riteniamo che le sanzioni contro uno stato siano una alternativa alla guerra, mentre In realtà la preparano. Tutte le guerre più recenti – vedasi Irak ,Libia, Siria, – sono state precedute da sanzioni economiche più o meno stringenti che hanno avuto la funzione di indebolire l’avversario, minarne la coesione interna mediante impoverimento di alcuni strati sociali, limitarne le potenzialità militari e magari indurli ad atti di aggressione , in maniera da far apparire aggressore l’aggredito. Ora è la volta dell’Iran, attorno al quale è iniziato il balletto delle portaerei Enterprise, Stinton e un’altra di cui ora mi sfugge il nome. L’Iran è il terzo produttore al mondo di petrolio e il secondo di Gas naturale. Le sanzioni gli vengono applicate da circa trenta anni e con varie ragioni. Le prime sanzioni moderne furono applicate all’Italia a seguito della guerra d’Etiopia. ( tralascio il caso napoleonico di “blocco continentale” per non allungare oltremisura). L’esito non fu determinante per la relativa novità dello strumento, la forte coesione nazionale del momento ( anche il PCI propose di aderire al regime ) e le misure economiche adottate su suggerimento dell’ economista Giuseppe Palladino, sconosciuto ai più. Maggior successo ebbe il blocco dei rifornimenti petroliferi al Giappone da parte degli Stati Uniti iniziato nel 1940 che indusse i nipponici ad attaccare nel 1941, prima di essere troppo indeboliti. Le stesse sanzioni economiche imposte dalla Lega Araba contro Israele dal 1948 in poi hanno condotto a guerre ( due di autodifesa preventiva : 1956 contro l’Egitto e nel1982 contro il Libano mirante anche a forzare il blocco economico sull’anello più debole ; due di aggressione diretta 1967 e 1974 in cui gli arabi attaccarono. Ad onta di tutte queste dimostrazioni che le Sanzioni precedono e non impediscono le guerre, la pubblica opinione mondiale è condizionata a pensare il contrario. Un secondo condizionamento planetario consiste nella tecnica di definire ogni atto di resistenza ” crimini di guerra”. È ancora vivo in tutti noi il ricordo dell’ondata di indignazione emotiva suscitata dalla notizia dei diecimila morti in un giorno per mano di Gheddafi, le foto del cimitero di Tripoli in costruzione spacciato per ” fosse comuni” ecc. La notizia, precedette e giustificò l’intervento. Nessun media rettificò le false informazioni. Oggi, con la variante siriana, i ” diecimila morti in un giorno” sono stati trasformati in uno stillicidio di trenta / quaranta morti al giorno, recitati da uno sconosciuto ” addetto stampa” di una ignota organizzazione con base a Londra , senza che nessuna conferma professionale convincente sia intervenuta. Di certo, ci sono tre fatti: seicento ex “rivoluzionari” islamisti libici fanatici armati di tutto punto , trasferiti e pagati dagli USA, tramite i sauditi, stanno spargendo il terrore a macchia di leopardo sul territorio siriano, ritirandosi quando opportuno oltrefrontiera in Libano e in Turchia. Auto imbottite di tritolo sono scoppiate a Damasco provocando massacri, ma indignazione, non paura, al punto che ” i ribelli” hanno negato ogni partecipazione e dato la colpa a Al Kaida che come si sa, ha le spalle larghe e non ha ufficio stampa. Una intervista fatta da un giornalista inglese a Bashar el Assad che avevo personalmente messo su you tube e che poteva aiutare le persone a farsi una opinione indipendente , fu cancellata nel giro di un giorno , un anno e mezzo fa e sostituita dalla scritta ” cancellata”. You tube è mio e lo gestisco io. Se gli USA prenderanno il controllo dei giacimenti iraniani, otterrebbero di fatto il monopolio mondiale dell’energia e potrebbero in ogni momento giugulare Cina e Russia. Ogni notizia su Siria e Iran , anche la più innocente – di innocente non c’è più nulla – leggetela alla luce della geografia e della storia. Due volte. di Antonio de Martini

21 luglio 2012

Aspetti del degrado occidentale: il gioco d’azzardo

Una cosa è innegabile. Dove arrivano “l’Occidente”e la “modernità”, arriva il degrado. Il degrado dell’essere umano. Tutto o quasi, esteriormente, può dare l’impressione di essere “nuovo”, “avanti” e “pulito” rispetto a chi è “rimasto vecchio, indietro e sporco”, secondo quella miope visione che ancora spopola tra le generazioni più ‘stagionate’ cresciute nel mito del “miracolo economico” e tra certi giovinastri ridotti a zucche vuote da un sistema sempre più vacuo dal punto di vista valoriale, educativo ed esistenziale. Ma si tratta della facciata, dell’apparenza, alla quale tiene così tanto chi si compiace di essere “moderno”. Ma il fuori è bello e il dentro è brutto, potrebbe recitare una pubblicità che presentasse sinteticamente cosa sia il “mondo moderno”. Tuttavia il degrado, beninteso, una volta che s’insinua dentro l’uomo si rispecchia anche nel mondo esteriore, e già cominciamo a constatarne gravi e preoccupanti segnali, specialmente nelle grandi città. Ma quello che qui più mi preme è rilevare come la “modernità”, la “democrazia” compiuta, dopo aver abbagliato i più sprovveduti perché “indifesi” (e non vagamente “disinformati”) con i suoi abbaglianti specchietti, comporta un’inesorabile abdicazione dell’uomo da quella che dovrebbe essere la sua posizione “signorile” (rabbânî) nel contesto della Creazione. I demoni preposti allo scopo di traviare l’essere umano in ogni modo e farlo così fallire ne studiano di tutti i colori. Intendiamoci: per ogni tipo umano, ciascun “carattere”, esiste un tranello, un’insidia, di grado commisurato al suo grado di “consapevolezza”, o meglio di “realizzazione”. Con la maggioranza degli uomini, l’Avversario gioca per così dire “sul velluto”, quindi gli basta davvero ben poco per sviarlo. Uno di questi trucchi è il gioco d’azzardo. Cominciamo col dire che questa pratica è stata sempre condannata dalle tradizioni regolari, e tra queste l’Islam. Il motivo è presto detto: essa implica un ‘calcolo’ sul futuro, che nessun essere umano può conoscere, e soprattutto genera denaro dal denaro, senza sforzo, il che la equipara all’usura, al prestito ad interesse, insomma, all’attività cosiddetta “legale” che caratterizza il moderno settore finanziario. E non è solo l’Islam a sostenere che tutto ciò è profondamente aberrante: a beneficio di chi si dichiara “cristiano” solo per darsi una “identità” o per dare addosso a qualcun altro, ricordiamo l’episodio evangelico di Gesù che esce letteralmente dai gangheri (ed è l’unica volta!) per cacciare i “mercanti dal Tempio”. “Mercanti” che in realtà erano dei “cambiavalute”, i quali, lucrando sui “cambi”, fornivano alla “povera gente” che disponeva solo della moneta locale, la divisa con cui dovevano essere versate le tasse all’Impero. Ed era, sottolineiamolo, tutto “legale”… Il che non significa un bel niente, perché al di là della “legge” scritta per favorire qualche camarilla e tiranneggiare le vite degli uomini, esiste una “legge morale”, o meglio una legge divina che, provvidenzialmente, è stata resa nota agli uomini affinché poi non possano dire “non sapevamo” quando giungerà l’inevitabile flagello per il male e lo “scandalo” che è stato sparso. Dopo questa necessaria premessa, veniamo al tema dell’articolo, il gioco d’azzardo. A chiunque sarà capitato di osservare che, di pari passo con la proliferazione di filiali di banche e società finanziarie, stanno spuntando come funghi anche “sale da gioco” e “bische”, ovviamente dotate del crisma della “legalità”. Il fenomeno negli ultimi mesi sta assumendo proporzioni preoccupanti. Vi sono bar che si trasformano d’un colpo, cambiando addirittura l’insegna, in sedi “in franchising” di qualche gestore di “slot machine”. Altrove, con maggiori ‘pretese’, aprono ampi e luccicanti ‘casinò da sfigati’, con decine di postazioni per “tentare la fortuna”. Questi ultimi sono situati preferibilmente nelle vicinanze di luoghi frequentati da masse ‘al pascolo’, ovvero i luoghi dello “shopping”. Ma mentre il casinò tradizionale aveva un che di artatamente “altolocato” (a partire dal mitico “rien ne va plus!”), e non a caso sorge al confine di Stato (Sanremo, Campione d’Italia…), coi clienti che vanno lì paludati da gran signori, queste ‘bische di quartiere’ sono alla portata di chiunque, col che l’occasione di andare a scialacquare il proprio denaro si presenta senza doversi recare chissà dove. Ripeto: stanno spuntando ovunque, segno che la perversa pratica si sta diffondendo a macchia d’olio. I bar, poi, non hanno mai brillato per la qualità della loro clientela, ma adesso, trasformandosi in “sale da gioco”, finiscono per somigliare alle proverbiali “spelonche di ladri”. Vi è infatti da rilevare che questi luoghi sono dei punti di raccolta di individui poco raccomandabili, fannulloni, parassiti e sfruttatori delle proprie malcapitate famiglie. Gente in qualche caso anche pericolosa. Questa piaga sociale non viene assolutamente tenuta in conto da uno “Stato” che anziché tutelare la salute e la probità delle famiglie, individua nell’apertura di sale da gioco e nell’istituzione di sempre nuovi concorsi a premi occasioni per “fare cassa”. La cosa triste è che si sono pure inventati un patetico bollino “gioca sicuro”, che chissà in quale modo dovrebbe impedire ad una persona di cadere nella “malattia del gioco”. Che vergogna! Che si tratti di una vera e propria malattia non lo dico io, ma lo Stato stesso, che in alcune strutture sanitarie pubbliche apre centri specializzati nella cura di persone per le quali il gioco d’azzardo è diventata una patologia incontrollabile. Ma come al solito, in regime democratico, non si “osa” mai abbastanza, perlomeno in quegli ambiti che comunque devono andare così (perché dove vogliono “osano” eccome). Ricordo infatti distintamente il parere di un “esperto” in camice bianco che interpellato da un giornalista su cosa ne pensasse del gioco d’azzardo rispose che “bisogna comunque giocare con moderazione”. Che coraggio, proprio lui, che avrà senz’altro esperienza di famiglie mandate in rovina, economica e morale, da un malcostume incoraggiato dallo Stato stesso! La pratica di scommettere, di fare delle “puntate”, di staccare un biglietto della lotteria, intendiamoci, è già presente da anni, con lo Stato che ci fa il suo bel gruzzolo senza mai riferire nel dettaglio che cosa fa con questa fortuna: ci ripaga, ai signori del denaro, gli “interessi sul debito”? Li spende nella farsesca “guerra al terrorismo” in Afghanistan? Li sperpera per rovinare la salute dei cittadini considerato che la continua irrorazione aerea di sostanze le più nocive avrà un costo esagerato? Non sono domande da poco. Siamo così passati, dopo una prima fase in cui il tutto sembrava “innocuo”, da una serie di scommesse e lotterie, quali Lotto ed Enalotto, Totocalcio, Totip, Lotteria di Capodanno, di Agnano, di Viareggio ecc. ad una quantità di occasioni per buttare via quei tre soldi di cui gli italiani dispongono che davvero fa spavento. E, si badi bene, un primo evidente incremento di tutto ciò lo si ebbe dopo la falsa stagione moralizzatrice denominata “Mani Pulite”, quando assieme al primo saccheggio dello Stato italiano che adesso viene ripreso in grande stile, si assistette ad un’ondata mai vista prima di “delizie” provenienti dall’Angloamerica. Qualcuno forse ricorderà le “sale bingo”, versione ammodernata della tombolata in famiglia, saltate fuori proprio nei primi anni Novanta. O i viaggetti di arzilli e scellerati vecchietti per i quali si organizzavano gite nella “nuova Slovenia” per buttare lì la loro pensione. O i “gratta e vinci”, successivamente resi più “sofisticati” differenziando l’offerta, fino a giungere alle follie della vacanza o del “vitalizio” in caso di vincita. Che tristezza: Lorsignori, i professionisti delle “privatizzazioni”, a rimpinzarsi con le membra del fu “patrimonio pubblico” accumulato coi sacrifici di una nazione affinché fosse ben gestito, mentre la massa rincretinita ed illusa “gratta” nella speranza di “cambiare vita”. Tra l’altro, quest’anelito a “cambiare vita” diffuso nella gente più ignorante, oltre che indicare la non eccelsa esistenza che conduce, a livello “spirituale” ha delle ricadute devastanti poiché l’insoddisfazione è essenzialmente ingratitudine, e “rendere grazie” a Dio è l’atto che tutti, per sperare almeno di “salvarsi”, dovrebbero compiere quotidianamente per tutti i benefici e le bellezze di cui sono stati onorati; solo che non se ne accorgono, perché da una parte sono stati abituati a non accontentarsi mai, dall’altra vivono effettivamente una “vita senza senso”, la quale, però, al confronto di quella di un minatore cileno o di un contadino africano dal punto di vista materiale è infinitamente più agevole… Con la diffusione di internet, inoltre, non vi è stato praticamente più limite alle scommesse cosiddette “sportive” (lo sport è ben altra cosa: lo si fa e non lo guarda!). Dai “punti” specializzati, che spesso sorgono alla confluenza di masse di abbrutiti – ma anche di “gente normale”, che così viene ‘adescata’ - quali le adiacenze delle stazioni ferroviarie, dove non è raro trovare abbandonate lì davanti mucchi di bottiglie di birra o altra bevanda inebriante (un vizio tira l’altro: il classico scommettitore incallito beve e fuma), si è passati al “gioca sicuro” on line; qui la fantasia diabolica s’è scatenata, al punto che giocano tutti, anche i ragazzini con la complicità di genitori dementi, e si punta su tutto, anche in corso d’opera, ovvero mentre stanno giocando la tal partita che il “malato” altrimenti detto “sportivo” (da poltrona) si starà godendo grazie alla sua amata “pay tv”. Una delle cose che lascia stupefatti è che dalle scommesse sulle squadre italiane si è passati alle puntate su tutti i campionati possibili e immaginabili. Ma pensiamoci un attimo: qual è la storica “patria delle scommesse”? Ma l’Inghilterra, che diamine! E dove si è tenuta, nel 1992, in piena “tempesta monetaria” sulla Lira, l’ormai leggendaria riunione dei vari traditori della patria, ancora oggi tutti lì a farci la pelle? Sul panfilo Britannia, di proprietà della Regina d’Inghilterra! Ergo: la sudditanza alla Perfida Albione - quella che ha schiavizzato mezzo mondo (si ricordi solo l’India, ridotta alla fame per due secoli!), che da sempre architetta guerre in casa altrui (accusando gli altri di averle volute), che rovina anche i propri “alleati”, che si tiene stretta la sua Sterlina ma controlla la BCE eccetera… -, questa sudditanza si esplica nella diffusione d’inveterate abitudini, diciamo così, del popolo britannico. Non sorprenderebbe quindi, se tra un po’ scoppiasse anche qua la mania delle corse dei levrieri, tanto è il grado di sudditanza alla City! Intanto, ‘accontentiamoci’ della “Las Vegas europea”, la quale, a riprova che “crisi” e degrado indotto procedono in maniera integrata, sorgerà in Spagna, un'altra nazione dotata del marchio “pigs” massacrata dalla piovra finanziaria cosiddetta “internazionale”. Eurovegas – ci assicurano i suoi ideatori - darà un contributo decisivo all’abbattimento della disoccupazione, ma in cambio pretendono, a mo’ di ricatto verso una classe politica imbelle, senza idee e totalmente succube, “agevolazioni e flessibilità”! Il tutto mentre agli spagnoli si chiedono, per “sanare il debito” (della “moneta-debito”!), le solite “lacrime e sangue”… Sull’identità, poi, dei grandi “magnati del gioco d’azzardo” a livello mondiale, è presto detta: meglio non fare troppi nomi per non essere tacciati di “antisemitismo” (l’ultima trincea di chi non ha più argomenti). Idem per il grande commercio di superalcolici, la pornografia e il relativo sfruttamento della prostituzione, compreso quello di giovanissime dell’est europeo, il cosiddetto “show business” che veicola contenuti satanisti e, dulcis in fundo, il traffico di organi. Che non si possa fare nulla di “concreto” contro questo male sparso a piene mani sulla terra, lo prova una recente vicenda: le dimissioni del Colonnello della Guardia di Finanza Umberto Rapetto, il quale aveva inteso veder chiaro su questo immenso giro di soldi legato al gioco d’azzardo cosiddetto “legalizzato”. Chi può, infatti, sconfessare in maniera così plateale un onesto “servitore dello Stato” nell’esercizio delle sue funzioni, se non un potere “occulto” contro il quale non è lecito “osare”? Il punto è proprio questo. Se da un lato la nostra società viene sempre più sottoposta ad una “cura” che si traduce in un progressivo ed evidente degrado, ciò non può che essere il risultato del furto, ad opera di chi ci ha dapprima invaso e poi selezionato le marionette che danno l’impressione di “governarci”, delle nostre indipendenza, sovranità e libertà. Una volta detto “addio” a queste fondamentali istanze, ed abituata quella che un tempo era stata una “nazione” a non pensarsi più che una massa di “consumatori” e di fruitori di “servizi”, una “massa desiderante”, il resto è solo una conseguenza. Ovvero il degrado che avanza, nelle strade, nelle famiglie, nelle coscienze. Di cui un grave indizio, contro il quale un potere sano, rispettoso dell’Ordine divino che presto o tardi dovrà essere ristabilito, è senz’altro la diffusione delle scommesse e del gioco d’azzardo. di Enrico Galoppini

20 luglio 2012

Latouche: abbiamo bisogno che questo sistema crolli

«Sappiamo già che l’attuale sistema crollerà tra il 2030 e il 2070. Il vero esercizio di fantascienza è prevedere che cosa succederà tra cinque anni». Serge Latouche non ha dubbi: faremo la fine dell’Impero Romano, o del Sacro Romano Impero di Carlo Magno che fu travolto dai Barbari. «Purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico». Ed è solo l’inizio, nel bluff chiamato Europa. «La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore». Quanto all’Italia, «l’unica soluzione è la bancarotta: da Monti in giù, tutti sanno che il debito non potrà essere ripagato». Sono alcune delle affermazioni che l’ideologo francese della Decrescita ha rilasciato a Giovanna Faggionato per “Lettera 43”. Il sistema, dice Latouche, non ha mantenuto nessuna promessa: «Dicevano che la concorrenza ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, e invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti». Lei ha un’idea? L’Europa nata nel Dopoguerra farà la fine del Sacro Romano Impero di Carlo Serge LatoucheMagno che cercò di restaurare un regno crollato, durò per 50 anni e fu travolto dai barbari. Che cosa c’entra l’impero romano? Crollò alla fine del V secolo, ma non morì: continuò a sopravvivere per centinaia di anni con Carlo Magno, l’impero d’Oriente e poi quello germanico. Un declino proseguito nel tempo, con disastri in successione. Come succederà a noi. È la fine della globalizzazione? Io la considero una crisi di civiltà, della civiltà occidentale. Solo che, visto che l’Occidente è mondializzato, si tratta di crisi globale. Ecologica, culturale e sociale insieme. Più di un crollo finanziario… Se vogliamo andare oltre è la crisi dell’Antropocene: l’era in cui l’uomo ha cominciato a modificare e perturbare l’ecosistema. E il sogno degli Stati Uniti europei? È un’illusione. Perché è solo un prodotto della globalizzazione: non hanno costruito un’Unione, ma un mercato liberista. Che fine farà il Vecchio continente? L’Europa è schiacciata tra due movimenti. Uno politico e centrifugo che si è sviluppato anche in Italia con la stessa Padania. E uno economico e centripeto, la globalizzazione. Per ora l’economia batte la politica… Sì, il movimento centripeto ha il sopravvento. Ma è anche quello che nel lungo periodo andrà a crollare. Non può funzionare senza il petrolio e il blocco delle risorse materiali. Alla fine, con tutta probabilità l’Europa si dividerà in macro regioni autonome. Come ci arriveremo? La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore. Parla del conflitto sociale in Grecia e Spagna? Ecco, purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico. È solo l’inizio del processo, ma vediamo già gli effetti del mix di austerità e crescita voluto dai leader europei. È comunque meglio della sola austerità… Crede che l’imperativo della crescita funzioni? Basta guardare alla Francia: questo governo socialista vuole allo stesso tempo la prosperità e l’austerità. Ma non riuscirà a ottenere la crescita. O, se avverrà, sarà per pochi. Mentre l’austerità è sicura per molti. Perché? Perché non hanno scelta. In che senso? Sono chiusi dentro questo paradigma del produttivismo, del Prodotto interno lordo (Pil). È per questo che la decrescita è una rivoluzione. Perché prima di tutto è un cambiamento di paradigma. Facile dirlo. Ma lei che cosa farebbe se fosse il premier italiano? L’Italia dovrebbe andare in bancarotta. Che cosa intende? Pensi al debito. Secondo l’Fmi quello italiano è quasi al 140% del Pil. Appunto: non sarà ripagato, lo sanno tutti. Ne è consapevole anche Mario Mario MontiMonti. Il problema, per l’attuale classe dirigente, non è ripagare il debito. Ma è fingere di poter continuare il gioco: cioè ottenere prestiti e rilanciare un’economia che è solo speculativa. Quali sono le prime cinque misure che adotterebbe al posto di Monti? Innanzitutto, cancellerei il debito. Parlo come teorico, so che ci sono cose che Monti non potrebbe fare comunque, neppure se fosse di sinistra o un decrescente. Ma sto parlando di bancarotta dello Stato. La bancarotta è la soluzione? È più che altro la condizione per trovare le soluzioni. In che senso? Non porta necessariamente alla soluzione, anzi in un primo momento le cose possono peggiorare. Ma non c’è altro modo, perché non esiste via d’uscita dentro la gabbia di ferro del sistema attuale. L’Italia non sarebbe la prima né l’ultima. Tutti quelli che l’hanno fatto si sono sentiti meglio, da Carlo V all’Argentina. Ma l’Argentina non era dentro una moneta unica. Questo significherebbe uscire dall’euro, ovviamente, dentro non si può fare niente. Per questo dico che parlo come teorico: nemmeno i greci hanno avuto il coraggio di abbandonare l’Unione. Siamo al terzo punto allora: uscire dall’euro, cancellare il debito e poi? Rilocalizzare l’attività. C’è tutto un sistema di piccole imprese, di saper fare diffuso, che è stato distrutto dalla concorrenza globale. Sì, ma come si fa? Devo usare una parola che in Italia fa sempre paura: serve una politica risolutamente protezionista. Su questo, il dibattito è annoso… Esiste un cattivo protezionismo, è vero. Ma c’è anche un cattivissimo libero scambio. Mentre esiste un buon protezionismo, ma non un buon libero scambio. Perché no? Perché la concorrenza leale sempre invocata non esiste. E non esisterà mai. Semplicemente perché tutti i Paesi sono diversi. Come si può competere con la Cina? È una barzelletta. Parla come se facesse parte della Lega Nord. Lo so, lo so. E anche come uno del Front National. Sa perché ha successo l’estrema destra? Me lo dica lei… Perché non tutto quel che dicono è stupido. C’è una parte insopportabile, ma se sono popolari – e lo saranno sempre di più – è perché hanno capito alcune cose, hanno ragione. È questo che fa paura. Quindi qual è la ricetta della decrescita? Il protezionismo ci permette di non essere competitivi per forza. Se lo siamo in alcuni settori, bene. Ma possiamo anche sviluppare produzioni non concorrenziali. Stimoliamo la concorrenza all’interno, ma con Paesi che hanno altri sistemi sociali, altre norme ambientali, altri livelli salariali, questo non è possibile. D’altra parte, è stata l’eccessiva specializzazione a renderci così fragili. Siamo alla quarta misura, quindi. La tragedia attuale, per me, è soprattutto la disoccupazione. E come pensa di risolverla? Lavorando meno, ma lavorando tutti. Una formula già sentita… Sì, ma ci dicevano anche che la concorrenza attuale ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, come ha dichiarato quello sciagurato di Nicolas Sarkozy. E invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti. Ma è una questione di denaro? No, si tratta di vivere. Dobbiamo ritrovare il tempo per dedicarci al resto, alla vita. Questa è un’utopia, ma l’utopia concreta della decrescita: superare il lavoro. Sì, ma come? Partendo dalla riconversione ecologica. Tornando a un’agricoltura contadina, senza pesticidi e concimi chimici. In questo modo, la produttività per l’uomo sarà più bassa, ma si creeranno milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. E questa è la quinta misura. Basta l’agricoltura? Dobbiamo affrontare la fine degli idrocarburi, sviluppare le energie rinnovabili e riconvertire le attività parassitarie che danneggiano l’ambiente. Per esempio? Le fabbriche di automobili, che oggi sono in crisi. Peugeot ha annunciato 8 mila licenziamenti… Bisognava aspettarselo da anni. Si sa che l’industria dell’auto non ha futuro: Peugeotcon lo stesso know how potrebbero essere trasformati in stabilimenti che producono sistemi di cogenerazione. Parla di una globale ristrutturazione del mercato del lavoro? La quota di occupati in agricoltura potrebbe arrivare al 10%. Ci sono industrie nocive come l’automobile, il nucleare, la grande distribuzione che vanno ripensate. E c’è la necessità di una riconversione energetica. In Germania, con le energie rinnovabili hanno creato decine di migliaia di posti di lavoro. Ma sono dati contestati… Il dibattito è aperto: si dice che chiudere le centrali nucleari francesi cancellerà 30 mila posti di lavoro ma, allo stesso tempo, prima bisogna smantellare. E nessuno lo sa fare. Quanti posti di lavoro si potrebbero creare allora? E la grande distribuzione? Sicuramente ha effetti distruttivi per l’ambiente e alimenta un alto tasso di spreco alimentare, pari a circa il 40% della produzione. E allora? Cancellarla significa essere pronti a ripensare tutto il sistema della città e soprattutto delle periferie. Come? La gente ha bisogno di piccoli negozi. Di fare la spesa più spesso, con più tempo a disposizione. Quando si comincia a cambiare un anello, come in una catena cambia tutto. E i trasporti? Dobbiamo pensare che il 99% dell’umanità ha passato la propria vita senza allontanarsi più di 30 chilometri dal proprio luogo di nascita. Quelli che si sono spostati di più, cioè noi, sono solo l’1%. Anche questo è un fenomeno molto recente e la maggioranza delle persone non ne soffrirà, poi ci saranno sempre i grandi viaggiatori alla Marco Polo. Ne è certo? È stata la pubblicità a creare il turismo di massa. In ogni modo, con la fine del petrolio, non ci sarà il traffico aereo di oggi, i trasporti costeranno sempre di più, andranno meno veloce. Muoversi sarà sempre più difficile. E a livello fiscale? Bisognerebbe introdurre una tassazione diretta e progressiva. Che può arrivare anche al 100%, se i redditi superano un certo livello. E poi una tassazione sul sovraconsumo dei beni comuni. A partire dall’acqua. Quindi meno lavoro e più agricoltura. Per ottenere cosa? Un mondo di abbondanza frugale. Cioè? Una società capace di non creare bisogni inutili, ma di soddisfarli. E per soddisfarli, bisogna limitarli. Le sembra possibile, quando gli operai cinesi si suicidano per un iPad? In una società sana non esiste questa forma di patologia dell’insoddisfazione. BceCi può essere una forma di seduzione, ma non un’insoddisfazione permanente. Questo fenomeno è esacerbato dalla pubblicità. Cioè? Ci convince che siamo insoddisfatti di ciò che abbiamo, per farci desiderare ciò che non abbiamo. Vorrebbe spazzare via il marketing? Una delle prime misure della società della decrescita riguarda la pubblicità: non si tratta di cancellarla – perché non siamo terroristi – ma di tassarla fortemente, questo sì. Con che motivazione? È lo strumento di una gigantesca manipolazione, il veicolo della colonizzazione dell’immaginario. E la finanza che rappresenta il 10% del Pil britannico? Penso che questa crollerà da sola. Sarebbe già successo se questi sciagurati di governi non avessero salvato le banche. Che cosa intende? È colossale quello che è stato fatto per le banche negli Usa: secondo l’Ocse, 11.400 miliardi di dollari di fondi pubblici sono stati destinati agli istituti di credito. Se facciamo crollare le banche si affossa il sistema… Sì, meglio così. Abbiamo bisogno che il sistema crolli. E i cittadini? Dobbiamo pensare a come riorganizzare il funzionamento della società. Ma bisogna ricordarsi che questo sistema così come lo conosciamo è piuttosto recente. Quanto? Non ha più di 30-40 anni, prima era un sistema capitalista, ma non funzionava su queste basi finanziarie. Che misure bisognerebbe adottare? Il primo passo, prima di rimettere in discussione l’intero sistema bancario, è cancellare il mercato dei futures: pura speculazione. Un economista francese, Frédéric Lordon, ha anche proposto di chiudere le Borse. E non sarebbe un’idea stupida. Che cosa succede alle società che ci lavorano? E ai dipendenti? La situazione attuale è talmente tragica che possiamo affrontare con serenità anche un cambiamento difficile. Nella società della decrescita circola denaro? La moneta è un bene comune che favorisce lo scambio tra i cittadini. Ma se è Frédéric Lordonun bene comune non deve essere privatizzata. Le banche sono degli enti privati. E allora dico sempre che noi vogliamo riappropriarci della moneta. Come? Magari partendo dai sistemi di scambio locali che utilizzano monete regionali. Come ha funzionato per due o tre anni in Argentina, dopo il crollo del peso. E chi governa il commercio? Diciamo che sarà necessario trovare un coordinamento tra le varie autonomie. Ma nel suo modello ogni regione fa da sé? Ogni Paese deve trovare la sua strada. Una volta che siamo riusciti a uscire dal mondo del pensiero unico, dell’homo oeconomicus, a una sola dimensione, allora ritroviamo la diversità. Ogni cultura ha il suo modo di concepire e realizzare la felicità. Esistono già esperienze in questa direzione? In Sud America sono sulla strada giusta. In Ecuador e Bolivia, ispirandosi alla cultura india, hanno inserito nella Costituzione il principio del bien vivìr: del buon vivere. Ma, con la crisi, la decrescita ha avuto un successo incredibile anche in Giappone. Come mai? I giapponesi stanno riscoprendo i valori del buddismo zen che si basa sul principio di autolimitazione. E sono convinto che la stessa cosa potrebbe succedere in Cina nei prossimi anni, anche attraverso il confucianesimo. La Cina però è anche la più grande fabbrica del mondo… Lì la crisi è già arrivata. La situazione cinese è bifronte: 200 milioni di abitanti hanno un livello di vita quasi occidentale e altri 700 milioni sono stati proletarizzati. Cacciati dalla terra, si accumulano nelle periferie delle metropoli, dove c’è un tasso di suicidi altissimo. Ma l’economia continua comunque a crescere. Anche il ministro dell’Ambiente cinese ha riconosciuto che se si dovesse sottrarre dal Pil di Pechino la quota di distruzione dell’ambiente questo calerebbe del 12%. Come immagina la transizione? Può avvenire spontaneamente, dolcemente. Ma anche in un modo violento. Lei sogna la democrazia diretta? Se si deve prendere la parola sul serio, ha senso solo la democrazia diretta. Ma direi che su questo punto, recentemente, le mie idee sono cambiate. Norberto BobbioIn che direzione? Prima immaginavo un’organizzazione piramidale con alla base piccole democrazie locali e delegati al livello superiore. E ora? Oggi penso che la democrazia sia un’utopia che ha senso come direzione. Ma la cosa importante è che il potere, quale che sia, porti avanti una politica che corrisponde al bene comune, alla volontà popolare, anche se si tratta di una dittatura o di un dispotismo illuminato. Si spieghi meglio. Norberto Bobbio si chiedeva quale è la differenza tra un buono e un cattivo governo. Il primo lavora per il bene comune. Il secondo lo fa per se stesso. Questa è la vera differenza. Va bene, ma come si ottiene un buon governo? Con un contropotere forte. Un sistema è democratico – non è la democrazia, attenzione, ma è democratico – quando il popolo ha la possibilità di fare pressione sul governo, qualunque esso sia, in modo da far pesare le proprie esigenze e idee. Ma non sta rinnegando la democrazia? L’ideale sarebbe naturalmente l’autogoverno del popolo, ma questo è un sogno che forse non arriverà mai. Non pensa alla presa del potere? Gandhi l’aveva spiegato a proposito del suo Paese: «Al limite gli inglesi possono restare a governare, ma allora devono fare una politica che corrisponde alla volontà dell’India. Meglio avere degli inglesi piuttosto che degli indiani corrotti». Mi sembrano parole di saggezza. Sa che Silvio Berlusconi vuole tornare in politica? Ah, lo so, ma lui è pazzo. di Giorgio Cattaneo (Giovanna Faggionato, “Il debito non sarà ripagato, meglio partire da zero”, intervista a Serge Latouche pubblicata su “Lettera 43” il 17 luglio 2012).

19 luglio 2012

Le finanze invisibili

Una crisi con nome e cognome I socialisti europei denunciano duramente “la finanza” che governa il mondo senza alcuna restrizione e che invece sarebbe opportuno regolamentare meglio. Inoltre, bisognerebbe sapere di cosa e di chi stiamo parlando; poiché l’immagine eterea dei “mercati” lascia nell’ombra i veri beneficiari della crisi e delle misure di austerità in corso. Jean Peyrelevade, passato dalla banca pubblica alla finanza privata, e da François Mitterrand a M. François Bayrou, spiegava nel 2005: “Il capitalismo non è più identificabile. […]Con chi si rompe quando si rompe con il capitalismo? Quali istituzioni bisogna attaccare per mettere fine alla dittatura del mercato, fluido, globale e anonimo?”. L’ex-direttore aggiunto del gabinetto del primo ministro Pierre Maruroy concludeva: “Marx è impotente di fronte a un nemico non identificabile” (1). Ci stupisce davvero che un rappresentante dell’alta finanza - presidente di Banca Leonardo France (famiglie Albert Frère, Agnelli e David-Weill) e amministratore del gruppo Bouygues - neghi l’esistenza di un’oligarchia? È più strano il fatto che i media dominanti diffondano quest’immagine disincarnata e depoliticizzata dei potenti della finanza. La copertura giornalistica della designazione di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio Italiano potrebbe ben rappresentare, in questo senso, il perfetto esempio di un discorso-schermo che fa riferimento a “tecnocrati” ed “esperti” laddove si sta costituendo un governo di banchieri. Sui siti Web di alcuni quotidiani abbiamo persino letto che alcune “personalità della società civile” avevano appena preso il comando (2). Anche se l’équipe di Monti annovera tra le sue fila professori universitari, la scientificità della sua politica era stata stabilita in anticipo dagli esperti. Ma, guardando più da vicino, scopriamo che la maggior parte dei ministri della squadra facciano parte dei vertici dei principali trust della penisola. Corrado Passera, ministro dello Sviluppo Economico, è direttore esecutivo di Intesa Sanpaolo; Elsa Fornero, ministro del Lavoro e professoressa di economia all’Università di Torino, occupa la vicepresidenza di Intesa Sanpaolo; Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e rettore dell’Università di Torino, è amministratore di Unicredit Private Bank e di Telecom Italia -controllata da Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca- dopo essere passato per Pirelli; Piero Gnudi, ministro per il Turismo e per lo Sport, è amministratore di UniCredit Group; Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, professore di Scienza delle finanze all’Università Cattolica di Milano, è vicepresidente di Banca Popolare e amministratore di Pirelli. Quanto a Monti, è stato consulente di Coca Cola e di Goldman Sachs, e amministratore di Fiat e di Generali. Non molto diversi Se i dirigenti socialisti europei non hanno parole abbastanza dure per qualificare l’onnipotenza dei “mercati finanziari”, la riconversione degli ex referenti del social-liberismo avviene senza che i loro ex compagni esprimano la loro indignazione. L’ex-primo ministro dei Paesi Bassi, Wim Kok, ha preso parte ai vertici dei trust olandesi ING, Shell e KLM. Il suo omologo tedesco, l’ex-cancelliere Gerhard Schröder, si è anche lui riciclato nell’ambito privato come presidente dell’impresa Nord Stream AG (joint-venture Gazprom/E.ON/BASF/GDF Suez/Gasunie), dirigente del gruppo petrolifero TNK-BP e consigliere europeo di Rothschild Investment Bank. Questa traiettoria a prima vista sinuosa non ha, in realtà, nulla di singolare. Diversi ex membri del suo gabinetto, membri del Partito Socialdemocratico tedesco (SPD), si sono spogliati dei loro ruoli di funzionari pubblici per indossare i panni degli uomini d’affari: l’ex-ministro dell’Interno Otto Schilly è attualmente consulente del trust finanziario Investcorp (Bahrein), dove si è incontrato con il cancelliere conservatore austriaco Wolfgang Schüssel, il vicepresidente della Convenzione Europea Giuliano Amato e perfino Kofi Annan, ex segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). L’ex ministro dell’Economia e del Lavoro tedesco, Wolfgang Clement, è socio della firma RiverRock Capital e dirigente di Citigroup Germania. Il suo collega, Caio Koch-Weser, sottosegretario di Stato tedesco al ministero federale delle Finanze dal 1999 al 2005, è vicepresidente di Deutsche Bank. Infine, il ministro delle Finanze del primo governo di Angela Merkel, Peer Steinbrück, SPD, è amministratore di ThyssenKrupp. Per quanto riguarda i “degni eredi” (3) di Margaret Thatcher ed ex leaders del Partito Laburista, hanno giurato fedeltà all’alta finanza: l’ex ministro per gli Affari Esteri, David Miliband, è consulente alle imprese VantagePoint Capital Partners (Stati Uniti) e Indus Basin Holdings Ltd. (Pakistan); l’ex Commissario europeo al Commercio, lavora per la banca d’affari Lazard; lo stesso Anthony Blair, è contemporaneamente consulente della società svizzera Zurich Financial Services, amministratore del fondo di investimenti Landsdowne Partners e presidente del Comitato consultivo internazionale di JPMorgan Chase, insieme a Kofi Annan ed Henry Kissinger. Ci dispiace infliggere al lettore questo elenco ma, d’altro canto, è nostro dovere farlo poiché i mezzi di comunicazione omettono costantemente di informare sugli interessi privati delle personalità pubbliche. Oltre la porosità tra due mondi che tendono a mostrarsi come distinti - se non addirittura contrapposti -, l’identificazione dei suoi doppiogiochisti è necessaria per la corretta comprensione del funzionamento dei mercati finanziari. Infatti contrariamente a un’idea in voga, la finanza ha uno, anzi, diversi volti (4). Non quello del pensionato della Florida o del piccolo azionista europeo, dipinti dalla stampa condiscendente, quanto piuttosto quelli di un’oligarchia di proprietari e amministratori di ricchezze. Peyrelevade ricordava già nel 2005 che lo 0,2% della popolazione mondiale controllava la metà della capitalizzazione in borsa del pianeta (5). Questi portafogli sono amministrati da banche (Goldman Sachs, Santander, BNP Paribas, Société Générale, etc.), compagnie di assicurazione (AIG, AXA, Scor, etc.), fondi pensionistici o di investimento (Berhshire Hathaway, Blue Ridge Capital, Soros Fund Management, etc.); istituti che investono anche fondi propri. Questa minoranza specula sul prezzo delle azioni, del debito sovrano o delle materie prime, grazie a una gamma quasi illimitata di prodotti derivati che rivelano l’inesauribile inventiva degli ingegneri finanziari. Lungi dal rappresentare il risultato “naturale” dell’evoluzione di economie mature, i “mercati” costituiscono la punta di diamante di un progetto che, come hanno avvertito gli economisti Gérard Duménil e Dominique Lévy, è stato “concepito per incrementare le entrate delle classi alte” (6). Un risultato innegabile: nel mondo ci sono attualmente 63.000 “centomilionari” (che posseggono, cioè, almeno cento milioni di dollari), che rappresentano una ricchezza combinata di circa 40.000 miliardi di dollari (ovvero una anno del PIL mondiale). Gli irresponsabili diventati saggi Siamo di fronte a una personificazione dei mercati che potrebbe risultare scomoda, tanto che a volte è più facile lottare contro i mulini a vento. “Nella battaglia che sta per cominciare, vi dirò qual è il mio vero avversario - esclamava l’allora candidato socialista alle presidenziali francesi, François Hollande, nel suo discorso di Bourget (Seine-Saint-Denis), il 22 gennaio scorso -. Non ha nome, né volto, né partito; non presenterà mai la sua candidatura, e dunque non sarà mai eletto. Questo avversario è il mondo della finanza”. Attaccare gli autentici attori dell’alta banca e della grande industria avrebbe anche potuto portarlo a fare i nomi dei dirigenti dei fondi di investimento che decidono, in piena coscienza, di sferrare attacchi speculativi sui debiti dei paesi del sud dell’Europa. O perfino a mettere in discussione il doppio ruolo di alcuni dei suoi consiglieri, senza dimenticare quello dei suoi (ex) colleghi socialisti europei che sono passati da una multinazionale all’altra. Scegliendo come capo della sua campagna elettorale Pierre Moscovici, vicepresidente del Cercle de l’Industrie, una lobby che raggruppa i dirigenti dei principali gruppi industriali francesi, il candidato socialista stava dando un segnale ai “mercati finanziari”: l’alternanza socialista decisamente non rima più con la rottura rivoluzionaria. Non è forse stato Moscovici a dire di “non avere paura della politica del rigore”, affermando che, in caso di vittoria, i deficit pubblici sarebbero stati “ridotti a partire dal 2013 sotto il 3% (…), costi quel che costi, il che implicherebbe “prendere le misure necessarie”? (7). Discorso imposto dalla comunicazione politica, la denuncia dei “mercati finanziari”, tanto virulenta quanto inoffensiva, resta finora lettera morta. Come Barack Obama, che concesse la grazia presidenziale ai responsabili statunitensi della crisi, i dirigenti del Vecchio Continente avrebbero perdonato in pochissimo tempo gli eccessi degli “avidi” speculatori che mettevano sotto accusa. Non restava dunque che recuperare il prestigio ingiustamente infangato dei degni rappresentanti dell’oligarchia. Come? Mettendoli a capo delle commissioni incaricate di elaborare nuove regole di condotta dei mercati, ma certo! Da Paul Volcker (JPMorgan Chase) a Mario Draghi (Goldman Sachs), passando per Jacques de Larosière (AIG, BNP Paribas), Lord Adair Turner (Standard Chartered Bank, Merrill Lynch Europe) o ancora il barone Alexandre Lamfalussy (CNP Assurances, Fortis), tutti i coordinatori incaricati di trovare risposte alla crisi finanziaria, mantenevano stretti legami con i più importanti operatori privati del settore. Gli “irresponsabili” del passato, come per grazia ricevuta, si erano appena metamorfizzati nei “saggi” dell’economia, spalleggiati dai mezzi di comunicazione e da intellettuali dominanti che, fino a poco tempo prima, non avevano parole abbastanza dure per denunciare la “presunzione” e la “cecità” dei banchieri. Infine, non vi è più alcun dubbio che alcuni speculatori abbiano tratto vantaggio dalle crisi che si sono succedute negli ultimi anni. Tuttavia, l’opportunismo e il cinismo che sfoggiano i “depredatori” in questione non deve farci dimenticare che hanno potuto contare, per raggiungere i loro obiettivi, sull’appoggio delle più alte sfere dello Stato. John Paulson, dopo aver guadagnato più di 2 miliardi di dollari dalla crisi dei subprimes, della quale è stato il principale beneficiario, non ha forse ingaggiato l’ex patron della Federal Reserve, Alan Greenspan, allora consigliere di Pimco (Deutsche Bank), uno dei principali creditori dello Stato americano? E che dire dei principali amministratori internazionali di hedge funds: l’ex presidente del National Economic Council (sotto il governo di Obama) ed ex segretario del Tesoro di William Clinton, Lawrence Summers, è stato direttore esecutivo della firma D.E. Shaw (32 miliardi di dollari di attivi); il fondatore del gruppo Citadel Investment, Ken Griffith, originario di Chicago, ha finanziato la campagna elettorale dell’attuale presidente degli Stati Uniti; quanto a George Soros, ha ingaggiato i servizi del laburista Lord Malloch-Brown, ex direttore del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo … La finanza, dunque, ha dei volti: è possibile vederli da molto tempo sulle passerelle del potere. di Geoffrey Geuens Geoffrey Geuens è Professore dell’Universidad de Liège. Autore de La Finance imaginaire. Anatomie du capitalisme: des “marchés financiers” à l’oligarchie, Aden, Bruselas, 2011. Note: 1. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, Seuil/La République des Idées, París, 2005, pagg. 37 e 91. 2. Anne Le Nir, “En Italie, Mario Monti réunit un gouvernement d’experts”, www.la-croix.com, 16-11-11; Guillaume Delacroix, “Le gouvernement Monti prêt à prendre les rênes de l’Italie”, www.lesechos.fr, 16-11-11. 3. Keith Dixon, Un Digne héritier. Blair et le thatchérisme, Liber/Raisons d’Agir, París, 2000. 4. Léase “Où se cachent les pouvoirs”, Manière de voir, N° 122, aprile-maggio 2012 (in kioscos). 5. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, op. cit. 1% dei francesi possiede il 50% delle azioni. 6. Gérard Duménil y Dominique Lévy, The Crisis of Neoliberalism, Harvard University Press, Cambridge (MA), 2011. 7. “Pierre Moscovici: ‘Ne pas avoir peur de la rigueur’”, www.lexpress.fr, 8-11-11.