01 febbraio 2012

Finanza speculativa: un conflitto ideologico irrinunciabile




Il conflitto ideologico a cui mi riferisco è quello contro la finanza globale speculativa che sta mettendo in ginocchio sempre più rapidamente tutte le economie occidentali, insieme alla cancellazione di faticose conquiste sociali messe insieme in un secolo di lotte e sacrifici da milioni di cittadini, lavoratori e imprenditori.
Quando la gente sente i vari commentatori di politica e di economia dire che questa è una crisi strutturale, non congiunturale, probabilmente non tutti ne capiscono il vero significato. Molti sicuramente pensano che è semplicemente una crisi un po’ più grave delle altre e che occorrono fare maggiori sacrifici. Cioè, pensano: se per una crisi congiunturale occorre una manovra da 50 miliardi di euro, per la crisi strutturale ne occorrono 100 o 200, ci vorrà più tempo, ma poi si riparte. Come nelle carestie.
Capisce bene che occorrono più sacrifici, ma probabilmente non si rende conto invece che la ripartenza non sarà mai più come quella che si ha in mente e che forse si è già sperimentato. Molta gente non si rende ancora conto che con la crisi strutturale il cambiamento è molto più profondo e definitivo. Molte cose cui prima si era abituati non ci saranno proprio più, nonostante i sacrifici. E sono tutte cose che, tra l’altro, colpiscono proprio la gente semplice, quelli delle classi medie e povere del paese, e molto poco le classi alte e ricche.
A questo punto, pur essendo questo fenomeno presente sia negli Stati Uniti che in Europa, dovrei fare una sostanziale differenziazione tra gli effetti che produce nei due diversi sistemi. Nell’America liberista e capitalista la situazione è più grave a causa di una già preesistente maggiore disuguaglianza sociale, ma il peggioramento è inferiore perché ci sono al governo i democratici, più attenti alle problematiche sociali e di equità socio-economica nella distribuzione della ricchezza. Nell’Europa “socialista” che parte invece da una situazione socio-economica più equilibrata, è il sicuro e pesante peggioramento all’orizzonte, dovuto alle iniziative (sbagliate) che vengono prese, a rendere l’evidenza della crisi in termini strutturali molto più pesante.
La prima puntualizzazione da fare è sul termine “socialista” usato dagli americani. È vero che l’Europa ha una organizzazione sociale più evoluta grazie al suo recente passato (dal dopoguerra) nel quale amministrazioni pubbliche ispirate al socialismo hanno steso regole di migliore equilibrio sociale, ma è purtroppo vero anche che negli ultimi 10-15 anni hanno avuto il sopravvento politiche populiste che hanno aperto la porta ad amministrazioni politiche di centro-destra (talvolta persino con pericolosi e gravi sconfinamenti nelle nostalgie nazi-fasciste) che hanno formato l’attuale “colorazione” politica, caratterizzata da una forte spinta verso le liberalizzazioni e l’imitazione della cultura capitalista americana.
Infatti nell’Europa di oggi ci sono Germania, Francia, Italia (anche nel governo “tecnico”), Spagna e Gran Bretagna che sono tutte guidate da governi di centro-destra, cioè governi “conservatori”. I quali hanno portato anche nel Parlamento europeo quelle politiche liberiste e conservatrici che sono la principale causa di questa crisi “epocale”, anche se nessuno dei maggiori organi di informazione lo dice apertamente, perché sono tutti, poco o tanto, legati a quella ideologia.
Anche se il liberismo non ha una precisa bandiera che lo identifica, il “liberismo-conservatore”, potentissimo motore del capitalismo, è una ideologia, ed è una ideologia che guida in questo periodo, praticamente senza contradditorio, tutta l’economia mondiale. Persino la Cina comunista, sul piano economico, si è adagiata per convenienza a questa linea.
Qualche contrasto (di poco conto), in giro per il mondo c’è, ma nella maggior parte dei casi è più sul piano della religione che su quello dell’economia sociale.
Eppure è veramente strano che, dopo l’evidente fallimento, nel 2008, delle politiche economiche liberiste, non sia ancora partita una netta inversione di tendenza guidata dall’ideologia tradizionalmente avversaria di quella liberista, e cioè l’ideologia socialista.
Eppure dovrebbe essere nella logica delle cose.
Quando a fine anni ‘80 è stata salutata (sul piano economico) la fine dell’inconcludente ideologia statalista e ha preso il sopravvento il liberismo in economia, molti hanno pensato che fosse la più semplice delle ricette verso la prosperità. Era una illusione, ma per un po’ ha funzionato.
Eppure quello che è successo nel 2008 avrebbe dovuto insegnare a tutti che quella non era medicina ma droga. Invece non è bastato. Molti pensano ancora, nonostante il perdurante disastro di tre anni fa, che le interessate chiacchiere dei liberisti capitalisti possano rimettere in piedi una economia sana. Basta ascoltare i discorsi dei leaders repubblicani candidati alla Casa Bianca per restare allibiti. Beninteso, ciò che lascia allibiti non è quello che dicono i candidati nel proprio interesse elettorale, ma il fatto che la gente non gli corra dietro per prenderli a calci nel sedere.
Romney propone di togliere tutti i vincoli alle transazioni finanziarie (così alla prossima crisi invece di dare alle banche 870 miliardi di dollari per non farle fallire, più dieci volte tanto negli anni a seguire in forma di sostegni finanziari, ne daremo il doppio o il triplo).
Gingrich non può proporre di meno, ma per farsi più bello propone di abolire totalmente le tasse sul capital gain, cioè sui guadagni di borsa. Così il “povero” Romney, che finora ha dovuto pagare l’insopportabile 15%, pagherà Zero, e tutti vissero felici e contenti.
Santorum se li tiene buoni tutti e due (forse spera di essere scelto come candidato vice-presidente da quello dei due che la spunterà sull’altro) e intanto per riscaldare la sua tifoseria accusa Obama di aver aumentato nei tre anni della sua presidenza di tre trilioni di dollari il bilancio statale. Naturalmente si guarda bene dal dire che il suo collega Bush, negli 8 anni dei suoi due consecutivi mandati ha regalato agli americani due recessioni e quasi dieci trilioni di debito, e non ha ricevuto da Clinton un paese economicamente allo sfascio.
Tutti portano l’esempio di Steve Jobs, inventore estremamente creativo dei diversi iPhone, iPad ecc. Certamente come inventore non si discute, è stato un vero genio, ma come creatore di ricchezza anche lui ha funzionato per la propria impresa ma non per il paese, visto che negli Stati Uniti la Apple impiega solo 43.000 persone.
Il grosso della produzione di Apple viene fatto in Cina e negli altri paesi dell’estremo oriente, saranno quindi loro (insieme agli azionisti di Apple) a trarre il maggior beneficio economico dalle invenzioni di Jobs.
E gli utili? In confronto al giro di affari, e di lavoro, che sviluppa una simile produzione, l’utile è poca cosa, e non è nemmeno certo che rientri in patria, quindi l’esempio di Jobs come creatore di ricchezza è del tutto falso, se visto sul piano nazionale.
Giustamente questa cosa la mette in evidenza Krugman nel suo recente articolo sul NYT, e la confronta col sempre criticato (dai liberisti) aiuto statale di Obama all’industria automobilistica americana. Quell’industria adesso è in ripresa e si sono salvate decine di migliaia di posti di lavoro. Considerando l’indotto sono centinaia di migliaia i posti di lavoro salvati. E sono tutti posti di lavoro dentro agli Stati Uniti! Inutile dire che quella è stata, ed è ancora, la cosa giusta da fare per rilanciare l’economia del paese. Di ogni paese!
Speriamo che negli Usa non prevalgano nelle prossime elezioni quelle strampalate idee liberiste che stanno portando il paese alla rovina totale. E speriamo che l’Europa si svegli da quel canto delle sirene che l’hanno portata ad inseguire e copiare tutto quello che (di sbagliato) arrivava e arriva dall’America.
La libertà è bella, è giusta e piace a tutti, ma troppa libertà è caos.
Una economia (e soprattutto, oggi, una finanza) senza regole severe, è una jungla invivibile ai civili.
È necessario a questo punto aprire un forte conflitto ideologico con i liberisti d’America per rivalutare finalmente gli ideali di società orientate ad un maggiore equilibrio nella distribuzione della ricchezza, che sappiano offrire nella competizione vere opportunità per tutti, ma anche maggiore giustizia sociale per chi non ha voglia, o possibilità, di competere.
di Roberto Marchesi

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01 febbraio 2012

Finanza speculativa: un conflitto ideologico irrinunciabile




Il conflitto ideologico a cui mi riferisco è quello contro la finanza globale speculativa che sta mettendo in ginocchio sempre più rapidamente tutte le economie occidentali, insieme alla cancellazione di faticose conquiste sociali messe insieme in un secolo di lotte e sacrifici da milioni di cittadini, lavoratori e imprenditori.
Quando la gente sente i vari commentatori di politica e di economia dire che questa è una crisi strutturale, non congiunturale, probabilmente non tutti ne capiscono il vero significato. Molti sicuramente pensano che è semplicemente una crisi un po’ più grave delle altre e che occorrono fare maggiori sacrifici. Cioè, pensano: se per una crisi congiunturale occorre una manovra da 50 miliardi di euro, per la crisi strutturale ne occorrono 100 o 200, ci vorrà più tempo, ma poi si riparte. Come nelle carestie.
Capisce bene che occorrono più sacrifici, ma probabilmente non si rende conto invece che la ripartenza non sarà mai più come quella che si ha in mente e che forse si è già sperimentato. Molta gente non si rende ancora conto che con la crisi strutturale il cambiamento è molto più profondo e definitivo. Molte cose cui prima si era abituati non ci saranno proprio più, nonostante i sacrifici. E sono tutte cose che, tra l’altro, colpiscono proprio la gente semplice, quelli delle classi medie e povere del paese, e molto poco le classi alte e ricche.
A questo punto, pur essendo questo fenomeno presente sia negli Stati Uniti che in Europa, dovrei fare una sostanziale differenziazione tra gli effetti che produce nei due diversi sistemi. Nell’America liberista e capitalista la situazione è più grave a causa di una già preesistente maggiore disuguaglianza sociale, ma il peggioramento è inferiore perché ci sono al governo i democratici, più attenti alle problematiche sociali e di equità socio-economica nella distribuzione della ricchezza. Nell’Europa “socialista” che parte invece da una situazione socio-economica più equilibrata, è il sicuro e pesante peggioramento all’orizzonte, dovuto alle iniziative (sbagliate) che vengono prese, a rendere l’evidenza della crisi in termini strutturali molto più pesante.
La prima puntualizzazione da fare è sul termine “socialista” usato dagli americani. È vero che l’Europa ha una organizzazione sociale più evoluta grazie al suo recente passato (dal dopoguerra) nel quale amministrazioni pubbliche ispirate al socialismo hanno steso regole di migliore equilibrio sociale, ma è purtroppo vero anche che negli ultimi 10-15 anni hanno avuto il sopravvento politiche populiste che hanno aperto la porta ad amministrazioni politiche di centro-destra (talvolta persino con pericolosi e gravi sconfinamenti nelle nostalgie nazi-fasciste) che hanno formato l’attuale “colorazione” politica, caratterizzata da una forte spinta verso le liberalizzazioni e l’imitazione della cultura capitalista americana.
Infatti nell’Europa di oggi ci sono Germania, Francia, Italia (anche nel governo “tecnico”), Spagna e Gran Bretagna che sono tutte guidate da governi di centro-destra, cioè governi “conservatori”. I quali hanno portato anche nel Parlamento europeo quelle politiche liberiste e conservatrici che sono la principale causa di questa crisi “epocale”, anche se nessuno dei maggiori organi di informazione lo dice apertamente, perché sono tutti, poco o tanto, legati a quella ideologia.
Anche se il liberismo non ha una precisa bandiera che lo identifica, il “liberismo-conservatore”, potentissimo motore del capitalismo, è una ideologia, ed è una ideologia che guida in questo periodo, praticamente senza contradditorio, tutta l’economia mondiale. Persino la Cina comunista, sul piano economico, si è adagiata per convenienza a questa linea.
Qualche contrasto (di poco conto), in giro per il mondo c’è, ma nella maggior parte dei casi è più sul piano della religione che su quello dell’economia sociale.
Eppure è veramente strano che, dopo l’evidente fallimento, nel 2008, delle politiche economiche liberiste, non sia ancora partita una netta inversione di tendenza guidata dall’ideologia tradizionalmente avversaria di quella liberista, e cioè l’ideologia socialista.
Eppure dovrebbe essere nella logica delle cose.
Quando a fine anni ‘80 è stata salutata (sul piano economico) la fine dell’inconcludente ideologia statalista e ha preso il sopravvento il liberismo in economia, molti hanno pensato che fosse la più semplice delle ricette verso la prosperità. Era una illusione, ma per un po’ ha funzionato.
Eppure quello che è successo nel 2008 avrebbe dovuto insegnare a tutti che quella non era medicina ma droga. Invece non è bastato. Molti pensano ancora, nonostante il perdurante disastro di tre anni fa, che le interessate chiacchiere dei liberisti capitalisti possano rimettere in piedi una economia sana. Basta ascoltare i discorsi dei leaders repubblicani candidati alla Casa Bianca per restare allibiti. Beninteso, ciò che lascia allibiti non è quello che dicono i candidati nel proprio interesse elettorale, ma il fatto che la gente non gli corra dietro per prenderli a calci nel sedere.
Romney propone di togliere tutti i vincoli alle transazioni finanziarie (così alla prossima crisi invece di dare alle banche 870 miliardi di dollari per non farle fallire, più dieci volte tanto negli anni a seguire in forma di sostegni finanziari, ne daremo il doppio o il triplo).
Gingrich non può proporre di meno, ma per farsi più bello propone di abolire totalmente le tasse sul capital gain, cioè sui guadagni di borsa. Così il “povero” Romney, che finora ha dovuto pagare l’insopportabile 15%, pagherà Zero, e tutti vissero felici e contenti.
Santorum se li tiene buoni tutti e due (forse spera di essere scelto come candidato vice-presidente da quello dei due che la spunterà sull’altro) e intanto per riscaldare la sua tifoseria accusa Obama di aver aumentato nei tre anni della sua presidenza di tre trilioni di dollari il bilancio statale. Naturalmente si guarda bene dal dire che il suo collega Bush, negli 8 anni dei suoi due consecutivi mandati ha regalato agli americani due recessioni e quasi dieci trilioni di debito, e non ha ricevuto da Clinton un paese economicamente allo sfascio.
Tutti portano l’esempio di Steve Jobs, inventore estremamente creativo dei diversi iPhone, iPad ecc. Certamente come inventore non si discute, è stato un vero genio, ma come creatore di ricchezza anche lui ha funzionato per la propria impresa ma non per il paese, visto che negli Stati Uniti la Apple impiega solo 43.000 persone.
Il grosso della produzione di Apple viene fatto in Cina e negli altri paesi dell’estremo oriente, saranno quindi loro (insieme agli azionisti di Apple) a trarre il maggior beneficio economico dalle invenzioni di Jobs.
E gli utili? In confronto al giro di affari, e di lavoro, che sviluppa una simile produzione, l’utile è poca cosa, e non è nemmeno certo che rientri in patria, quindi l’esempio di Jobs come creatore di ricchezza è del tutto falso, se visto sul piano nazionale.
Giustamente questa cosa la mette in evidenza Krugman nel suo recente articolo sul NYT, e la confronta col sempre criticato (dai liberisti) aiuto statale di Obama all’industria automobilistica americana. Quell’industria adesso è in ripresa e si sono salvate decine di migliaia di posti di lavoro. Considerando l’indotto sono centinaia di migliaia i posti di lavoro salvati. E sono tutti posti di lavoro dentro agli Stati Uniti! Inutile dire che quella è stata, ed è ancora, la cosa giusta da fare per rilanciare l’economia del paese. Di ogni paese!
Speriamo che negli Usa non prevalgano nelle prossime elezioni quelle strampalate idee liberiste che stanno portando il paese alla rovina totale. E speriamo che l’Europa si svegli da quel canto delle sirene che l’hanno portata ad inseguire e copiare tutto quello che (di sbagliato) arrivava e arriva dall’America.
La libertà è bella, è giusta e piace a tutti, ma troppa libertà è caos.
Una economia (e soprattutto, oggi, una finanza) senza regole severe, è una jungla invivibile ai civili.
È necessario a questo punto aprire un forte conflitto ideologico con i liberisti d’America per rivalutare finalmente gli ideali di società orientate ad un maggiore equilibrio nella distribuzione della ricchezza, che sappiano offrire nella competizione vere opportunità per tutti, ma anche maggiore giustizia sociale per chi non ha voglia, o possibilità, di competere.
di Roberto Marchesi

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