18 agosto 2008

USA: Il grande esproprio, fase 2



Un grande articolo, un esempio di come si gestiscono soldi e potere. Una sequenza di atti e movimenti per pochi eletti, una casta. Impossibile seguire le gesta narrate, quello che si fa oggi è già stato deciso ieri.

La crisi dei sub-prime e la recessione in USA ha un effetto paradossale: gli speculatori finanziari che hanno provocato il collasso del sistema si buttano a comprare infrastrutture pubbliche. Aeroporti, autostrade, ponti e acquedotti dei governi locali, Stati e municipi, che sono disperatamente a corto di fondi e sono ben contenti di fare cassa (1).

Ma più contenti sono gli speculatori, attanagliati dalla crisi del credito, e che non vedono più i profitti favolosi di quando inondavano il mondo di prodotti derivati e di altre creazioni dell’ingegneria finanziaria. Prima si sono buttati sulle materie prime, lucrando sui rincari del petrolio e dei grani (da loro stessi provocati). Ora che anche le materie prime calano, dove investire per profitto?

«Quando non sei sicuro di alcun altro investimento, metti i soldi in una strada a pedaggio», dice John Schmidt, della Mayer Brown LLP di Chicago (indovinate a quale piccolo popolo appartiene la ditta): «Gli introiti sono stabili e prevedibili. Non diventi ricco sfondato, ma hai un flusso di cassa continuo».

Così, le infrastrutture pubbliche, costruite col denaro dei contribuenti, diventano private. E gli introiti di tariffe e pedaggi di tali infrastrutture sono privatizzati anch’essi.

Il caso più paradossale è quello di New York. Dove gli introiti fiscali sono diminuiti drasticamente, perchè sono diminuti i profitti della speculazione di Wall Street, primo contribuente della metropoli. Il governatore, David Paterson, ora spera che Wall Street compri quote di infrastrutture, per non aumentare le tasse, ed ha battezzato l’operazione «partecipazioni pubblico-private». Goldman Sachs è molto interessata, ed ha offerto la sua consulenza (a pagamento). Ci sono, spiega Greg Carey, capo della sezione infrastrutture della Goldman, da 75 a 150 miliardi di dollari pronta cassa da investire in «attivi fisici».

Dall’altra parte, 29 Stati degli USA più il District of Columbia (il distretto della capitale Washington) avranno un deficit fiscale di 49 miliardi di dollari nel 2009. E secondo la American Society of Civil Engineers, le infrastrutture americane hanno bisogno di 1,6 trilioni di dollari in 5 anni per la manutenzione ordinaria e straordinaria (sono state parecchio trascurate negli ultimi anni di boom finanziario).

Già la superbanca spagnola Abertis insieme a Cititgroup hanno offerto 12,8 miliardi di dollari per prendere in affitto per 75 anni il «Pennsylvania Turnpike», il sistema di autostrade (855 chilometri) che unisce i maggiori centri della Pennsylvania. Del resto il Chicago Skyway, un ponte stradale a pedaggio, è stato già ceduto nel 2005 dal municipio per 1,8 miliardi, ed ora il sindaco di Chicago si prepara a cedere in affitto il Midway Airport, il principale aeroporto. Già dal 2006 è finito ai privati (in affitto) l’«Indiana Toll Road», arteria a pedaggio dell’Indiana. Morgan Stanley sta dando la sua consulenza ad Akron, città dell’Ohio, per la cessione a privati del suo sistema di riciclaggio delle acque sporche e per la privatizzazione della lotteria di Stato.

«Le lotterie hanno un flusso di cassa stabile e alte barriere all’entrata (ossia: sono monopoli)», si entusiasma Rob Collins della Morgan sezione infrastrutture, «si auto-finanziano e richiedono spese capitali minime».

L’ultima frase è rivelatrice: le lotterie sono meglio delle strade, per i banchieri d’affari, perchè non ci sono spese di manutenzione. Il che significa che i privati, per strade e ponti, lesineranno i «costi» di mantenimento. Più del settore pubblico. Che dire?

E’ un caso di scuola: le «grandi depressioni» vedono sempre grandi trasferimenti di ricchezza reale, pagata dai più, nelle mani di pochi. E sempre gli stessi.

Infatti, il grande esproprio del capitalismo irresponsabile avviene in due fasi:

• Nel ciclo di boom economico, tutti i trucchi della finanza creativa si riducono ad un fatto molto semplice: retribuire il capitale più del lavoro, anzi a spese del lavoro. La finanza speculativa è un gioco a somma zero; infatti se qualcuno guadagna è perchè qualcun altro sta perdendo. Nella fase di boom, i lavoratori ricevono meno salario di quanto meritano per il loro contributo alla crescita. Ciò avviene limando le paghe, riducendo il personale (ogni volta che un’impresa riduce il personale, le sue azioni salgono, premiate dalla speculazione), oppure delocalizzando i lavori nei Paesi a salari infimi. In questa fase, i lavoratori sottopagati si vedono offrire «credito» per i consumi che non si possono permettere, e così - dopo aver ceduto parte del loro salario al capitale in forma di mancati aumenti - ne cedono un’altra quota pagando gli interessi al capitale speculativo, che li incoraggia a indebitarsi. In questa fase inoltre il capitalismo ideologico sputa sul settore pubblico, «poco efficiente», le cui infrastrutture «rendono poco», sicchè «non interessano agli investitori».

• Nella fase della depressione, d’improvviso il capitale speculativo comincia a interessarsi delle infrastrutture. Strade e ponti a pedaggio rendono poco? Sì, ma meglio di niente; e in più garantiscono flussi di cassa costanti. Inoltre, autostrade e ponti sono già lì. Il privato non ha bisogno di investire per costruirli; anzi, sono già ammortizzate da decenni. Nella fase della depressione, le infrastrutture - il patrimonio dei cittadini accumulato nei decenni - sono inoltre in offerta a prezzi stracciati; i politici di governo le offrono perchè hanno bisogno di denaro.

Ovviamente, cedendo in affitto o in proprietà i beni pubblici (a loro affidati), si privano per il futuro dei canoni, pedaggi e tariffe che tali patrimoni pubblici rendono. Ma che volete farci? Dovrebbero aumentare le imposte, ma ciò li renderebbe impopolari; meglio dunque cedere i gioielli dei cittadini.

Questa si chiama «democrazia di massa», ideologia ausiliaria del capitalismo da saccheggio. Gli economisti - ossia i custodi dell’ideologia - sono lì a gridare che «il mercato» sarà più efficiente della mano pubblica, che il privato «ottimizzerà» i costi delle infrastrutture. Non ci dicono come farà, il cosiddetto privato: lesinando ancor più sulla manutenzione. Facendo pagare pedaggi sempre più esosi su autostrade sempre più piene di buche. E’ così semplice, l’efficienza del capitalismo. Tutti gli economisti in cattedra non fanno altro che questo: occultare la questione della distribuzione della ricchezza (2).

Infatti, chi potrebbe scongiurare il doppio saccheggio, il grande trasferimento di ricchezza dai cittadini-contribuenti ai pochi privati? Solo dei governanti integri, che sentano profondamente la missione per cui sono stati votati, conservare ed aumentare il bene pubblico; politici capaci di porre regole al capitale selvaggio in nome del bene comune. Ma decenni di liberismo ideologico hanno appunto «consumato» questo tipo di personalità, le hanno fatte sparire.

Come ha scritto Cornelius Castoriadis, «il capitalismo ha potuto sopravvivere soltanto perchè ha ereditato una serie di tipi antropologici che non ha creato e non avrebbe potuto creare da sè: giudici incorruttibili, funzionari integri di stampo weberiano, educatori che si consacrano alla loro missione, operai dotati di coscienza professionale e così via. Questi tipi non nascono spontaneamente, ma sono stati creati in epoche storiche precedenti, in cui si faceva riferimento a valori non economici, allora consacrati e incontestabili: l’onestà, il servizio allo Stato, la trasmissione del sapere, lo zelo lavorativo. Oggi, nelle nostre società (economiciste-liberiste), questi valori sono divenuti notoriamente risibili, le uniche cose che contano essendo la quantità del denaro che si è intascato non importa come, e il numero di volte che si è apparsi in TV» (3).

Ecco il peggiore dei grandi saccheggi: la dissipazione - in nome del consumismo con pagamento rateale - del patrimonio impalpabile ma decisivo, quello dell’onestà pubblica, della solidarietà civica, del senso di missione per la propria nazione, della responsabilità civica verso le generazioni passate e future. Valori costruiti da altre epoche, organiche e tradizionali: ossia da tutta una civiltà dove il profitto economico non era l’istanza suprema, epoche che il gergo della democrazia cumula e demonizza sotto un unico termine: più o meno, come «fascismo».

I governanti che eleggiamo sono ormai i maggiordomi del capitale, al suo servizio esclusivo. Se almeno i capitalisti pagassero i loro enormi stipendi; no, anche quelli li paghiamo noi.

Perchè non sfuggirà che quel che accade oggi in USA, la cessione di patrimoni pubblici, in Italia è già avvenuto da tempo. Dai tempi dello yacht Britannia, in cui Draghi salì per vendere la roba nostra a lorsignori. Con la benedizione di Ciampi e degli altri Venerati Maestri: e ciò mentre i sindacati più potenti e costosi del pianeta badavano a tenere bassi i salari italiani. Tutta gente che resta al potere per servire loro, ma che continuiamo a pagare noi. E tanto, troppo.

M. Blondet



1) Jonathan Stempel, «Wall Street to privatize US infrastructures», GlobalResearch, 1 agosto 2008.
2) Bernard Maris, «Anti-manuale di Economia», Tropea Editore, 2005, pagina 15. Da cui traggo la seguente citazione, che illustra come il mercato, per esistere, debba creare artificialmente la scarsità e i bisogni: «Si deve capire bene che la scarsità non è assolutamente un dato naturale che si possa misurare per mezzo di indicatori oggettivi (...). La scarsità designa una forma di organizzazione specifica istituita dal ‘mercato’. Essa fa dipendere, in misura sconosciuta alle altre società, l’esistenza di ciascuno dalla sua sola capacità di procurarsene i mezzi senza poter contare sull’aiuto di altri. Qui appare con evidenza il fatto che la «libertà» e l’indipendenza dagli altri, che separa con tanta forza gli esseri umani nella società mercantile, assume la forma della solitudine e dell’eslusione». Michel Aglietta e André Orléan, «La monnaie entre violence et confidence», Parigi 2002.

3) Cornelius Castoriadis, «Gli incroci del labirinto», Firenze, 1998. Citato da Bernard Maris nell’Anti-manuale di economia (vedi sopra).

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18 agosto 2008

USA: Il grande esproprio, fase 2



Un grande articolo, un esempio di come si gestiscono soldi e potere. Una sequenza di atti e movimenti per pochi eletti, una casta. Impossibile seguire le gesta narrate, quello che si fa oggi è già stato deciso ieri.

La crisi dei sub-prime e la recessione in USA ha un effetto paradossale: gli speculatori finanziari che hanno provocato il collasso del sistema si buttano a comprare infrastrutture pubbliche. Aeroporti, autostrade, ponti e acquedotti dei governi locali, Stati e municipi, che sono disperatamente a corto di fondi e sono ben contenti di fare cassa (1).

Ma più contenti sono gli speculatori, attanagliati dalla crisi del credito, e che non vedono più i profitti favolosi di quando inondavano il mondo di prodotti derivati e di altre creazioni dell’ingegneria finanziaria. Prima si sono buttati sulle materie prime, lucrando sui rincari del petrolio e dei grani (da loro stessi provocati). Ora che anche le materie prime calano, dove investire per profitto?

«Quando non sei sicuro di alcun altro investimento, metti i soldi in una strada a pedaggio», dice John Schmidt, della Mayer Brown LLP di Chicago (indovinate a quale piccolo popolo appartiene la ditta): «Gli introiti sono stabili e prevedibili. Non diventi ricco sfondato, ma hai un flusso di cassa continuo».

Così, le infrastrutture pubbliche, costruite col denaro dei contribuenti, diventano private. E gli introiti di tariffe e pedaggi di tali infrastrutture sono privatizzati anch’essi.

Il caso più paradossale è quello di New York. Dove gli introiti fiscali sono diminuiti drasticamente, perchè sono diminuti i profitti della speculazione di Wall Street, primo contribuente della metropoli. Il governatore, David Paterson, ora spera che Wall Street compri quote di infrastrutture, per non aumentare le tasse, ed ha battezzato l’operazione «partecipazioni pubblico-private». Goldman Sachs è molto interessata, ed ha offerto la sua consulenza (a pagamento). Ci sono, spiega Greg Carey, capo della sezione infrastrutture della Goldman, da 75 a 150 miliardi di dollari pronta cassa da investire in «attivi fisici».

Dall’altra parte, 29 Stati degli USA più il District of Columbia (il distretto della capitale Washington) avranno un deficit fiscale di 49 miliardi di dollari nel 2009. E secondo la American Society of Civil Engineers, le infrastrutture americane hanno bisogno di 1,6 trilioni di dollari in 5 anni per la manutenzione ordinaria e straordinaria (sono state parecchio trascurate negli ultimi anni di boom finanziario).

Già la superbanca spagnola Abertis insieme a Cititgroup hanno offerto 12,8 miliardi di dollari per prendere in affitto per 75 anni il «Pennsylvania Turnpike», il sistema di autostrade (855 chilometri) che unisce i maggiori centri della Pennsylvania. Del resto il Chicago Skyway, un ponte stradale a pedaggio, è stato già ceduto nel 2005 dal municipio per 1,8 miliardi, ed ora il sindaco di Chicago si prepara a cedere in affitto il Midway Airport, il principale aeroporto. Già dal 2006 è finito ai privati (in affitto) l’«Indiana Toll Road», arteria a pedaggio dell’Indiana. Morgan Stanley sta dando la sua consulenza ad Akron, città dell’Ohio, per la cessione a privati del suo sistema di riciclaggio delle acque sporche e per la privatizzazione della lotteria di Stato.

«Le lotterie hanno un flusso di cassa stabile e alte barriere all’entrata (ossia: sono monopoli)», si entusiasma Rob Collins della Morgan sezione infrastrutture, «si auto-finanziano e richiedono spese capitali minime».

L’ultima frase è rivelatrice: le lotterie sono meglio delle strade, per i banchieri d’affari, perchè non ci sono spese di manutenzione. Il che significa che i privati, per strade e ponti, lesineranno i «costi» di mantenimento. Più del settore pubblico. Che dire?

E’ un caso di scuola: le «grandi depressioni» vedono sempre grandi trasferimenti di ricchezza reale, pagata dai più, nelle mani di pochi. E sempre gli stessi.

Infatti, il grande esproprio del capitalismo irresponsabile avviene in due fasi:

• Nel ciclo di boom economico, tutti i trucchi della finanza creativa si riducono ad un fatto molto semplice: retribuire il capitale più del lavoro, anzi a spese del lavoro. La finanza speculativa è un gioco a somma zero; infatti se qualcuno guadagna è perchè qualcun altro sta perdendo. Nella fase di boom, i lavoratori ricevono meno salario di quanto meritano per il loro contributo alla crescita. Ciò avviene limando le paghe, riducendo il personale (ogni volta che un’impresa riduce il personale, le sue azioni salgono, premiate dalla speculazione), oppure delocalizzando i lavori nei Paesi a salari infimi. In questa fase, i lavoratori sottopagati si vedono offrire «credito» per i consumi che non si possono permettere, e così - dopo aver ceduto parte del loro salario al capitale in forma di mancati aumenti - ne cedono un’altra quota pagando gli interessi al capitale speculativo, che li incoraggia a indebitarsi. In questa fase inoltre il capitalismo ideologico sputa sul settore pubblico, «poco efficiente», le cui infrastrutture «rendono poco», sicchè «non interessano agli investitori».

• Nella fase della depressione, d’improvviso il capitale speculativo comincia a interessarsi delle infrastrutture. Strade e ponti a pedaggio rendono poco? Sì, ma meglio di niente; e in più garantiscono flussi di cassa costanti. Inoltre, autostrade e ponti sono già lì. Il privato non ha bisogno di investire per costruirli; anzi, sono già ammortizzate da decenni. Nella fase della depressione, le infrastrutture - il patrimonio dei cittadini accumulato nei decenni - sono inoltre in offerta a prezzi stracciati; i politici di governo le offrono perchè hanno bisogno di denaro.

Ovviamente, cedendo in affitto o in proprietà i beni pubblici (a loro affidati), si privano per il futuro dei canoni, pedaggi e tariffe che tali patrimoni pubblici rendono. Ma che volete farci? Dovrebbero aumentare le imposte, ma ciò li renderebbe impopolari; meglio dunque cedere i gioielli dei cittadini.

Questa si chiama «democrazia di massa», ideologia ausiliaria del capitalismo da saccheggio. Gli economisti - ossia i custodi dell’ideologia - sono lì a gridare che «il mercato» sarà più efficiente della mano pubblica, che il privato «ottimizzerà» i costi delle infrastrutture. Non ci dicono come farà, il cosiddetto privato: lesinando ancor più sulla manutenzione. Facendo pagare pedaggi sempre più esosi su autostrade sempre più piene di buche. E’ così semplice, l’efficienza del capitalismo. Tutti gli economisti in cattedra non fanno altro che questo: occultare la questione della distribuzione della ricchezza (2).

Infatti, chi potrebbe scongiurare il doppio saccheggio, il grande trasferimento di ricchezza dai cittadini-contribuenti ai pochi privati? Solo dei governanti integri, che sentano profondamente la missione per cui sono stati votati, conservare ed aumentare il bene pubblico; politici capaci di porre regole al capitale selvaggio in nome del bene comune. Ma decenni di liberismo ideologico hanno appunto «consumato» questo tipo di personalità, le hanno fatte sparire.

Come ha scritto Cornelius Castoriadis, «il capitalismo ha potuto sopravvivere soltanto perchè ha ereditato una serie di tipi antropologici che non ha creato e non avrebbe potuto creare da sè: giudici incorruttibili, funzionari integri di stampo weberiano, educatori che si consacrano alla loro missione, operai dotati di coscienza professionale e così via. Questi tipi non nascono spontaneamente, ma sono stati creati in epoche storiche precedenti, in cui si faceva riferimento a valori non economici, allora consacrati e incontestabili: l’onestà, il servizio allo Stato, la trasmissione del sapere, lo zelo lavorativo. Oggi, nelle nostre società (economiciste-liberiste), questi valori sono divenuti notoriamente risibili, le uniche cose che contano essendo la quantità del denaro che si è intascato non importa come, e il numero di volte che si è apparsi in TV» (3).

Ecco il peggiore dei grandi saccheggi: la dissipazione - in nome del consumismo con pagamento rateale - del patrimonio impalpabile ma decisivo, quello dell’onestà pubblica, della solidarietà civica, del senso di missione per la propria nazione, della responsabilità civica verso le generazioni passate e future. Valori costruiti da altre epoche, organiche e tradizionali: ossia da tutta una civiltà dove il profitto economico non era l’istanza suprema, epoche che il gergo della democrazia cumula e demonizza sotto un unico termine: più o meno, come «fascismo».

I governanti che eleggiamo sono ormai i maggiordomi del capitale, al suo servizio esclusivo. Se almeno i capitalisti pagassero i loro enormi stipendi; no, anche quelli li paghiamo noi.

Perchè non sfuggirà che quel che accade oggi in USA, la cessione di patrimoni pubblici, in Italia è già avvenuto da tempo. Dai tempi dello yacht Britannia, in cui Draghi salì per vendere la roba nostra a lorsignori. Con la benedizione di Ciampi e degli altri Venerati Maestri: e ciò mentre i sindacati più potenti e costosi del pianeta badavano a tenere bassi i salari italiani. Tutta gente che resta al potere per servire loro, ma che continuiamo a pagare noi. E tanto, troppo.

M. Blondet



1) Jonathan Stempel, «Wall Street to privatize US infrastructures», GlobalResearch, 1 agosto 2008.
2) Bernard Maris, «Anti-manuale di Economia», Tropea Editore, 2005, pagina 15. Da cui traggo la seguente citazione, che illustra come il mercato, per esistere, debba creare artificialmente la scarsità e i bisogni: «Si deve capire bene che la scarsità non è assolutamente un dato naturale che si possa misurare per mezzo di indicatori oggettivi (...). La scarsità designa una forma di organizzazione specifica istituita dal ‘mercato’. Essa fa dipendere, in misura sconosciuta alle altre società, l’esistenza di ciascuno dalla sua sola capacità di procurarsene i mezzi senza poter contare sull’aiuto di altri. Qui appare con evidenza il fatto che la «libertà» e l’indipendenza dagli altri, che separa con tanta forza gli esseri umani nella società mercantile, assume la forma della solitudine e dell’eslusione». Michel Aglietta e André Orléan, «La monnaie entre violence et confidence», Parigi 2002.

3) Cornelius Castoriadis, «Gli incroci del labirinto», Firenze, 1998. Citato da Bernard Maris nell’Anti-manuale di economia (vedi sopra).

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