15 agosto 2010

I finti tonti del corriere


Signornò, da L'Espresso in edicola

Quando e se ci risveglieremo dall’incubo iniziato nel 1994, gli storici ci diranno, a bocce ferme, quanto il quasi ventennio berlusconiano sia stato merito di Mr.B e quanto di chi l’ha lasciato fare. Il politologo Maurizio Viroli, docente a Princeton, nel suo bel saggio “La libertà dei servi” (Laterza), denuncia “il tradimento delle élites, l’incapacità dell’élite politica, intellettuale e imprenditoriale di impedire la formazione del potere enorme di un uomo che ha distrutto la libertà dei cittadini”.
Quanto all’élite politica, conosciamo nomi e cognomi dei leader che da 16 anni rimuovono il conflitto d’interessi, salvo poi scoprirlo all’improvviso quando ne assaggiano i manganelli catodici: tutti i capi e capetti del centrosinistra, ma anche Bossi (dal 1995 alla retromarcia su Arcore nel ‘99), Casini (dopo il divorzio del 2008) e ora Fini. Per quella imprenditoriale, basta ricordare i servilismi e i collateralismi della Confindustria più cortigiana del mondo. Per quella intellettuale, le ultime annate del Corriere della Sera parlano da sole. Anche in piena frana del regime, il quotidiano che fino a pochi anni fa ospitava Montanelli e Biagi è tutto un vociare di finti tonti che negano l’evidenza e voltano la testa pur di non vedere la realtà.

Piero Ostellino esorta il Cavaliere a “recuperare la vecchia spinta propulsiva liberale della prima ora”. Purtroppo però non specifica quando mai, in quale prima ora, Berlusconi abbia dato prova di spinte propulsive liberali: nel 1994, dopo aver cacciato Montanelli dal Giornale, il premier governò sette mesi, occupando militarmente la Rai, tenendosi la Fininvest nonostante le promesse di venderla per risolvere il suo conflitto d’interessi (all’epoca l’ammetteva anche lui), varando il decreto Biondi per salvare dal carcere suo fratello, imponendo un condono fiscale, uno edilizio e uno ambientale, poi fortunatamente spirò. Di spinte propulsive liberali, nemmeno l’ombra.
Ferruccio De Bortoli nel 2003 assaporò lo squisito liberalismo berlusconiano che lo costrinse a lasciare la direzione del Corriere per lesa maestà: eppure ora invita il premier ad “accantonare leggi ad personam e tentazioni di condizionare la stampa” per “riprendere un po’ di quello spirito liberale finito troppo presto alle ortiche”. E anche lui si guarda bene dallo spiegare quando mai il campione mondiale del monopolio illiberale avrebbe manifestato “spirito liberale”: da sedici anni Berlusconi non fa altro che minacce alla libera stampa leggi ad personam (39, mentre scriviamo); e ora, in contemporanea con l’appello di De Bortoli, intima ai finiani di firmare a scatola chiusa un programma in quattro punti che ne contiene altre due, “processo breve” e lodo Alfano-bis.

Insomma fa di tutto per avvertirci che il conflitto d’interessi è la ragione sociale del suo impegno politico. Ma i finti tonti di via Solferino non vogliono credere nemmeno a lui. Finirà che un bel giorno il Cavaliere se ne andrà e il Corriere non avrà ancora capito perché era venuto.
(Vignetta di Bertolotti e De Pirro)

di Marco Travaglio

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15 agosto 2010

I finti tonti del corriere


Signornò, da L'Espresso in edicola

Quando e se ci risveglieremo dall’incubo iniziato nel 1994, gli storici ci diranno, a bocce ferme, quanto il quasi ventennio berlusconiano sia stato merito di Mr.B e quanto di chi l’ha lasciato fare. Il politologo Maurizio Viroli, docente a Princeton, nel suo bel saggio “La libertà dei servi” (Laterza), denuncia “il tradimento delle élites, l’incapacità dell’élite politica, intellettuale e imprenditoriale di impedire la formazione del potere enorme di un uomo che ha distrutto la libertà dei cittadini”.
Quanto all’élite politica, conosciamo nomi e cognomi dei leader che da 16 anni rimuovono il conflitto d’interessi, salvo poi scoprirlo all’improvviso quando ne assaggiano i manganelli catodici: tutti i capi e capetti del centrosinistra, ma anche Bossi (dal 1995 alla retromarcia su Arcore nel ‘99), Casini (dopo il divorzio del 2008) e ora Fini. Per quella imprenditoriale, basta ricordare i servilismi e i collateralismi della Confindustria più cortigiana del mondo. Per quella intellettuale, le ultime annate del Corriere della Sera parlano da sole. Anche in piena frana del regime, il quotidiano che fino a pochi anni fa ospitava Montanelli e Biagi è tutto un vociare di finti tonti che negano l’evidenza e voltano la testa pur di non vedere la realtà.

Piero Ostellino esorta il Cavaliere a “recuperare la vecchia spinta propulsiva liberale della prima ora”. Purtroppo però non specifica quando mai, in quale prima ora, Berlusconi abbia dato prova di spinte propulsive liberali: nel 1994, dopo aver cacciato Montanelli dal Giornale, il premier governò sette mesi, occupando militarmente la Rai, tenendosi la Fininvest nonostante le promesse di venderla per risolvere il suo conflitto d’interessi (all’epoca l’ammetteva anche lui), varando il decreto Biondi per salvare dal carcere suo fratello, imponendo un condono fiscale, uno edilizio e uno ambientale, poi fortunatamente spirò. Di spinte propulsive liberali, nemmeno l’ombra.
Ferruccio De Bortoli nel 2003 assaporò lo squisito liberalismo berlusconiano che lo costrinse a lasciare la direzione del Corriere per lesa maestà: eppure ora invita il premier ad “accantonare leggi ad personam e tentazioni di condizionare la stampa” per “riprendere un po’ di quello spirito liberale finito troppo presto alle ortiche”. E anche lui si guarda bene dallo spiegare quando mai il campione mondiale del monopolio illiberale avrebbe manifestato “spirito liberale”: da sedici anni Berlusconi non fa altro che minacce alla libera stampa leggi ad personam (39, mentre scriviamo); e ora, in contemporanea con l’appello di De Bortoli, intima ai finiani di firmare a scatola chiusa un programma in quattro punti che ne contiene altre due, “processo breve” e lodo Alfano-bis.

Insomma fa di tutto per avvertirci che il conflitto d’interessi è la ragione sociale del suo impegno politico. Ma i finti tonti di via Solferino non vogliono credere nemmeno a lui. Finirà che un bel giorno il Cavaliere se ne andrà e il Corriere non avrà ancora capito perché era venuto.
(Vignetta di Bertolotti e De Pirro)

di Marco Travaglio

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