26 agosto 2010

Un Paese a sovranità limitata






Nonostante l’invidiabile posizione geografica e a dispetto dei caratteri che ne costituiscono la struttura morfologica, attualmente l’Italia non possiede una dottrina geopolitica.

Ciò è dovuto principalmente ai tre seguenti elementi: a) l’appartenenza dell’Italia alla sfera d’influenza statunitense (il cosiddetto sistema occidentale); b) la profonda crisi dell’identità nazionale; c) la scarsa cultura geopolitica delle sue classi dirigenti.

Il primo elemento, oltre a limitare la sovranità dello Stato italiano in molteplici ambiti, da quello militare a quello della politica estera, tanto per citare i più rilevanti per l’aspetto geopolitico, ne condiziona la politica e l’economia interne, le scelte strategiche in materia di energia, ricerca tecnologica e realizzazione di grandi infrastrutture e, non da ultimo, ne vincola persino le politiche nazionali di contrasto alla criminalità organizzata. L’Italia repubblicana, a causa delle note conseguenze del trattato di pace del 1947 ed anche in virtù dell’ambiguità ideologica del proprio dettato costituzionale, per il quale la sovranità apparterebbe ad una entità socioeconomica e culturale, peraltro mutevole e vagamente omogenea, il popolo, e non ad un soggetto politico ben definito come lo Stato (1), ha seguito la regola aurea del “realismo collaborazionista o claudicante”, ovverosia la rinuncia alla responsabilità di dirigere il proprio destino (2). Tale abdicazione situa l’Italia nella condizione di “subordinazione passiva” e lega le sue scelte strategiche alla “buona volontà dello Stato subordinante” (3).

Il secondo elemento inficia uno dei fattori necessari per la definizione di una coerente dottrina geopolitica. La crisi dell’identità italiana è dovuta a cause complesse che risalgono alla mal riuscita combinazione delle varie ideologie nazionali (di ispirazione cattolica, monarchica, liberale, socialista e laico-massonica) che hanno sostenuto il processo di unificazione dell’Italia, l’edificazione dello Stato unitario e, dopo la parentesi fascista, la realizzazione dell’attuale assetto repubblicano. La crisi dell’identità nazionale è dovuta, inoltre, anche alla mal digerita esperienza fascista e al trauma della perdita della guerra. La retorica romantica dello stato-nazione, il mito della nazione e, successivamente, quelli della resistenza e della “liberazione” non hanno reso certamente un buon servizio agli interessi dell’Italia, che, a centocinquanta anni dalla sua unificazione, è ancora alla ricerca della propria identità nazionale.

Il terzo elemento, infine, in parte ricollegabile per motivi storici ai precedenti, non permette di collocare la questione delle direttrici geopolitiche dell’Italia tra le priorità dell’agenda nazionale.

Eppure una sorta di geopolitica – o meglio una politica estera basata essenzialmente sulla collocazione geografica – rispondente agli interessi nazionali, e dunque eccentrica rispetto alle indicazioni statunitensi, esclusivamente dirette ad assicurare a Washington l’egemonia nel Mediterraneo, è stata presente nelle alterne vicende della Repubblica italiana. In particolare, l’attenzione di uomini di governo come Moro, Andreotti, Craxi come anche di importanti commis d’État come Mattei rivolta ai Paesi del Nordafrica e a quelli del Vicino e Medio Oriente, seppur limitata ai rapporti di “buon vicinato” e di “coprosperità”, era decisamente conforme non solo alla posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo, ma anche funzionale sia ad una potenziale, futura ed augurabile emancipazione dell’Italia democratica dalla tutela nordamericana, sia al ruolo regionale che Roma avrebbe potuto esercitare anche nell’ambito del rigido sistema bipolare. Tali iniziative avrebbero potuto ben costituire la base per definire le linee strategiche di quello che l’argentino Marcelo Gullo ha chiamato, nell’ambito dello studio della costruzione del potere delle nazioni, “realismo liberazionista”, e far transitare, pertanto, l’Italia dalla “subordinazione passiva” alla “subordinazione attiva”: uno stadio decisivo per ottenere alcuni spazi di autonomia nell’agone internazionale.

Il fallimento della modesta politica mediterranea dell’Italia repubblicana è da ascrivere, oltre che alle interferenze statunitensi, alla natura episodica con cui è stata esercitata e all’atteggiamento contrario e ostativo dei gruppi di pressione interni più filoamericani e prosionisti. Con la fine del bipolarismo e della cosiddetta Prima repubblica, però, le iniziative sopra esposte, dirette a ricavare un pur limitata autonomia delle politica estera italiana, sono decisamente sfumate.

Oggi l’Italia, quale paese euromediterraneo subordinato agli interessi statunitensi, si trova in una situazione molto delicata, giacché oltre a risentire, in quanto membro dell’Unione Europea e della NATO, delle tensioni tra gli USA e la Russia presenti nell’Europa continentale, in particolare in quella centrorientale (vedi la questione polacca per quanto concerne la “sicurezza”, oppure quella energetica), subisce soprattutto i contraccolpi delle politiche vicino e mediorientali di Washington. Inoltre, la soggezione dell’Italia agli USA, che – occorre ribadirlo – si esprime attraverso una evidente limitazione della sovranità dello Stato italiano, esalta i caratteri di fragilità tipici delle aree peninsulari (tensione tra la parte continentale, seppur limitata nel caso dell’Italia, e quelle più propriamente peninsulare ed insulare), aumenta le spinte centrifughe, rendendo difficoltosa persino la gestione della normale amministrazione dello Stato.

Militarmente occupata dagli USA – nell’ambito dell’“alleanza” atlantica – con oltre cento basi (4), priva di risorse energetiche adeguate, economicamente fragile e socialmente instabile per la continua erosione dell’ormai agonizzante “stato sociale”, l’Italia non possiede gradi di libertà tali da permetterle di valorizzare il suo potenziale geopolitico e geostrategico nelle sue naturali direttrici costituite dal Mediterraneo e dall’area adriatico-balcanico-danubiana, se non nel contesto delle strategie d’oltreatlantico, a esclusivo beneficio, dunque, degli interessi extranazionali ed extracontinentali.

Le opportunità per l’Italia di ricavarsi un proprio ruolo geopolitico risultano dunque esterne alla volontà di Roma; esse risiedono nelle ricadute che l’attuale evoluzione dello scenario mondiale – ormai multipolare – provoca nel bacino mediterraneo e nell’area continentale europea. I grandi rivolgimenti geopolitici in atto, determinati principalmente dalla Russia, infatti, potrebbero esaltare la funzione strategica dell’Italia nel Mediterraneo proprio nell’ambito dell’assetto e del consolidamento del nuovo sistema multipolare e della potenziale integrazione eurasiatica.

Occorre, infatti, tener presente che la strutturazione di questo nuovo sistema geopolitico multipolare passa, per ovvie ragioni, attraverso il processo di disarticolazione o ridimensionamento di quello “occidentale” a guida nordamericana, a partire dalle sue periferie. Queste ultime sono costituite, considerando la massa euroafroasiatica, dalla penisola europea, dal bacino mediterraneo e dall’arco insulare giapponese.





Russia e Turchia: i due poli geopolitici



I recenti mutamenti del quadro geopolitico globale hanno prodotto alcuni fattori che potrebbero dunque facilitare lo “svincolamento” di gran parte dei paesi che costituisco il cosiddetto sistema occidentale dalla tutela dell’”amico americano”. Ciò metterebbe potenzialmente Roma in grado di attivare una propria dottrina geopolitica coerente col nuovo contesto mondiale.

Come noto, la riaffermazione della Russia a livello mondiale ed il protagonismo della Cina e dell’India hanno provocato un riassestamento delle relazioni tra le maggiori potenze e posto le premesse per la costituzione di un nuovo ordinamento, basato su unità geopolitiche continentali a partire, non da rapporti di forza militare, ma da intese strategiche. Tali mutamenti si registrano anche nella parte meridionale dell’emisfero orientale, l’ormai ex cortile di casa degli USA, ove i rapporti di Brasile, Argentina e Venezuela con le potenze eurasiatiche sopra citate hanno fornito nuovo slancio alle ipotesi dell’unità continentale sudamericana. Relativamente all’area mediterranea, il principale tra questi nuovi fattori geopolitici è costituito dall’inversione di tendenza impressa da Ankara alle sue ultime politiche vicino e mediorientali. Lo strappo di Ankara da Washington e Tel Aviv potrebbe assumere, nel medio periodo, una valenza geopolitica di vasta portata ai fini della costituzione di uno spazio geopolitico eurasiatico integrato, giacché rappresenta un primo atto concreto sul quale è possibile innescare il processo di disarticolazione (o di limitazione) del sistema occidentale a partire dal bacino mediterraneo.

Date le condizioni attuali, i poli geopolitici sui quali un’Italia realmente intenzionata ad emanciparsi dalla tutela nordamericana dovrebbe far perno sono rappresentati proprio dalla Turchia e dalla Russia. Un allineamento di Roma alle indicazioni turche in materia di politica vicinorientale fornirebbe all’Italia la necessaria credibilità, pesantemente offuscata dalle sue vassallatiche relazioni con Washington, per imprimere un senso geopolitico alla stanca politica di cooperazione che da anni la Farnesina intrattiene con la sponda sud del Mediterraneo ed il Vicino Oriente. La metterebbe, inoltre, insieme (e grazie) all’alleato turco, nelle condizioni, se non proprio di denunciare il patto atlantico, almeno in quelle necessarie per rinegoziare l’oneroso e avvilente impegno in seno all’Alleanza, e per prospettare, simultaneamente, la riconversione dei siti militari presidiati dalla NATO in basi utili alla sicurezza del Mediterraneo. L’Italia e la Turchia, insieme agli altri paesi rivieraschi del Mediterraneo, potrebbero in tal caso realizzare un sistema di difesa integrato sull’esempio dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (OTSC).

Nell’attuazione di questa “exit strategy” dai vincoli statunitensi, sopra sinteticamente abbozzata, Roma troverebbe validi sostegni, oltre che ad Ankara, anche a Tripoli, Damasco e Teheran e, ovviamente, Mosca. Quest’ultima, peraltro, sosterrebbe certamente Roma nella uscita dall’orbita nordamericana, favorendo la sua naturale proiezione geopolitica nella direttrice adriatico-balcanico-danubiana nel quadro, ovviamente, di un’intesa italo-turco-russa costruita sui comuni interessi nel cosiddetto Mediterraneo allargato (costituito dai mari Mediterraneo, Nero, Caspio).

di Tiberio Graziani

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26 agosto 2010

Un Paese a sovranità limitata






Nonostante l’invidiabile posizione geografica e a dispetto dei caratteri che ne costituiscono la struttura morfologica, attualmente l’Italia non possiede una dottrina geopolitica.

Ciò è dovuto principalmente ai tre seguenti elementi: a) l’appartenenza dell’Italia alla sfera d’influenza statunitense (il cosiddetto sistema occidentale); b) la profonda crisi dell’identità nazionale; c) la scarsa cultura geopolitica delle sue classi dirigenti.

Il primo elemento, oltre a limitare la sovranità dello Stato italiano in molteplici ambiti, da quello militare a quello della politica estera, tanto per citare i più rilevanti per l’aspetto geopolitico, ne condiziona la politica e l’economia interne, le scelte strategiche in materia di energia, ricerca tecnologica e realizzazione di grandi infrastrutture e, non da ultimo, ne vincola persino le politiche nazionali di contrasto alla criminalità organizzata. L’Italia repubblicana, a causa delle note conseguenze del trattato di pace del 1947 ed anche in virtù dell’ambiguità ideologica del proprio dettato costituzionale, per il quale la sovranità apparterebbe ad una entità socioeconomica e culturale, peraltro mutevole e vagamente omogenea, il popolo, e non ad un soggetto politico ben definito come lo Stato (1), ha seguito la regola aurea del “realismo collaborazionista o claudicante”, ovverosia la rinuncia alla responsabilità di dirigere il proprio destino (2). Tale abdicazione situa l’Italia nella condizione di “subordinazione passiva” e lega le sue scelte strategiche alla “buona volontà dello Stato subordinante” (3).

Il secondo elemento inficia uno dei fattori necessari per la definizione di una coerente dottrina geopolitica. La crisi dell’identità italiana è dovuta a cause complesse che risalgono alla mal riuscita combinazione delle varie ideologie nazionali (di ispirazione cattolica, monarchica, liberale, socialista e laico-massonica) che hanno sostenuto il processo di unificazione dell’Italia, l’edificazione dello Stato unitario e, dopo la parentesi fascista, la realizzazione dell’attuale assetto repubblicano. La crisi dell’identità nazionale è dovuta, inoltre, anche alla mal digerita esperienza fascista e al trauma della perdita della guerra. La retorica romantica dello stato-nazione, il mito della nazione e, successivamente, quelli della resistenza e della “liberazione” non hanno reso certamente un buon servizio agli interessi dell’Italia, che, a centocinquanta anni dalla sua unificazione, è ancora alla ricerca della propria identità nazionale.

Il terzo elemento, infine, in parte ricollegabile per motivi storici ai precedenti, non permette di collocare la questione delle direttrici geopolitiche dell’Italia tra le priorità dell’agenda nazionale.

Eppure una sorta di geopolitica – o meglio una politica estera basata essenzialmente sulla collocazione geografica – rispondente agli interessi nazionali, e dunque eccentrica rispetto alle indicazioni statunitensi, esclusivamente dirette ad assicurare a Washington l’egemonia nel Mediterraneo, è stata presente nelle alterne vicende della Repubblica italiana. In particolare, l’attenzione di uomini di governo come Moro, Andreotti, Craxi come anche di importanti commis d’État come Mattei rivolta ai Paesi del Nordafrica e a quelli del Vicino e Medio Oriente, seppur limitata ai rapporti di “buon vicinato” e di “coprosperità”, era decisamente conforme non solo alla posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo, ma anche funzionale sia ad una potenziale, futura ed augurabile emancipazione dell’Italia democratica dalla tutela nordamericana, sia al ruolo regionale che Roma avrebbe potuto esercitare anche nell’ambito del rigido sistema bipolare. Tali iniziative avrebbero potuto ben costituire la base per definire le linee strategiche di quello che l’argentino Marcelo Gullo ha chiamato, nell’ambito dello studio della costruzione del potere delle nazioni, “realismo liberazionista”, e far transitare, pertanto, l’Italia dalla “subordinazione passiva” alla “subordinazione attiva”: uno stadio decisivo per ottenere alcuni spazi di autonomia nell’agone internazionale.

Il fallimento della modesta politica mediterranea dell’Italia repubblicana è da ascrivere, oltre che alle interferenze statunitensi, alla natura episodica con cui è stata esercitata e all’atteggiamento contrario e ostativo dei gruppi di pressione interni più filoamericani e prosionisti. Con la fine del bipolarismo e della cosiddetta Prima repubblica, però, le iniziative sopra esposte, dirette a ricavare un pur limitata autonomia delle politica estera italiana, sono decisamente sfumate.

Oggi l’Italia, quale paese euromediterraneo subordinato agli interessi statunitensi, si trova in una situazione molto delicata, giacché oltre a risentire, in quanto membro dell’Unione Europea e della NATO, delle tensioni tra gli USA e la Russia presenti nell’Europa continentale, in particolare in quella centrorientale (vedi la questione polacca per quanto concerne la “sicurezza”, oppure quella energetica), subisce soprattutto i contraccolpi delle politiche vicino e mediorientali di Washington. Inoltre, la soggezione dell’Italia agli USA, che – occorre ribadirlo – si esprime attraverso una evidente limitazione della sovranità dello Stato italiano, esalta i caratteri di fragilità tipici delle aree peninsulari (tensione tra la parte continentale, seppur limitata nel caso dell’Italia, e quelle più propriamente peninsulare ed insulare), aumenta le spinte centrifughe, rendendo difficoltosa persino la gestione della normale amministrazione dello Stato.

Militarmente occupata dagli USA – nell’ambito dell’“alleanza” atlantica – con oltre cento basi (4), priva di risorse energetiche adeguate, economicamente fragile e socialmente instabile per la continua erosione dell’ormai agonizzante “stato sociale”, l’Italia non possiede gradi di libertà tali da permetterle di valorizzare il suo potenziale geopolitico e geostrategico nelle sue naturali direttrici costituite dal Mediterraneo e dall’area adriatico-balcanico-danubiana, se non nel contesto delle strategie d’oltreatlantico, a esclusivo beneficio, dunque, degli interessi extranazionali ed extracontinentali.

Le opportunità per l’Italia di ricavarsi un proprio ruolo geopolitico risultano dunque esterne alla volontà di Roma; esse risiedono nelle ricadute che l’attuale evoluzione dello scenario mondiale – ormai multipolare – provoca nel bacino mediterraneo e nell’area continentale europea. I grandi rivolgimenti geopolitici in atto, determinati principalmente dalla Russia, infatti, potrebbero esaltare la funzione strategica dell’Italia nel Mediterraneo proprio nell’ambito dell’assetto e del consolidamento del nuovo sistema multipolare e della potenziale integrazione eurasiatica.

Occorre, infatti, tener presente che la strutturazione di questo nuovo sistema geopolitico multipolare passa, per ovvie ragioni, attraverso il processo di disarticolazione o ridimensionamento di quello “occidentale” a guida nordamericana, a partire dalle sue periferie. Queste ultime sono costituite, considerando la massa euroafroasiatica, dalla penisola europea, dal bacino mediterraneo e dall’arco insulare giapponese.





Russia e Turchia: i due poli geopolitici



I recenti mutamenti del quadro geopolitico globale hanno prodotto alcuni fattori che potrebbero dunque facilitare lo “svincolamento” di gran parte dei paesi che costituisco il cosiddetto sistema occidentale dalla tutela dell’”amico americano”. Ciò metterebbe potenzialmente Roma in grado di attivare una propria dottrina geopolitica coerente col nuovo contesto mondiale.

Come noto, la riaffermazione della Russia a livello mondiale ed il protagonismo della Cina e dell’India hanno provocato un riassestamento delle relazioni tra le maggiori potenze e posto le premesse per la costituzione di un nuovo ordinamento, basato su unità geopolitiche continentali a partire, non da rapporti di forza militare, ma da intese strategiche. Tali mutamenti si registrano anche nella parte meridionale dell’emisfero orientale, l’ormai ex cortile di casa degli USA, ove i rapporti di Brasile, Argentina e Venezuela con le potenze eurasiatiche sopra citate hanno fornito nuovo slancio alle ipotesi dell’unità continentale sudamericana. Relativamente all’area mediterranea, il principale tra questi nuovi fattori geopolitici è costituito dall’inversione di tendenza impressa da Ankara alle sue ultime politiche vicino e mediorientali. Lo strappo di Ankara da Washington e Tel Aviv potrebbe assumere, nel medio periodo, una valenza geopolitica di vasta portata ai fini della costituzione di uno spazio geopolitico eurasiatico integrato, giacché rappresenta un primo atto concreto sul quale è possibile innescare il processo di disarticolazione (o di limitazione) del sistema occidentale a partire dal bacino mediterraneo.

Date le condizioni attuali, i poli geopolitici sui quali un’Italia realmente intenzionata ad emanciparsi dalla tutela nordamericana dovrebbe far perno sono rappresentati proprio dalla Turchia e dalla Russia. Un allineamento di Roma alle indicazioni turche in materia di politica vicinorientale fornirebbe all’Italia la necessaria credibilità, pesantemente offuscata dalle sue vassallatiche relazioni con Washington, per imprimere un senso geopolitico alla stanca politica di cooperazione che da anni la Farnesina intrattiene con la sponda sud del Mediterraneo ed il Vicino Oriente. La metterebbe, inoltre, insieme (e grazie) all’alleato turco, nelle condizioni, se non proprio di denunciare il patto atlantico, almeno in quelle necessarie per rinegoziare l’oneroso e avvilente impegno in seno all’Alleanza, e per prospettare, simultaneamente, la riconversione dei siti militari presidiati dalla NATO in basi utili alla sicurezza del Mediterraneo. L’Italia e la Turchia, insieme agli altri paesi rivieraschi del Mediterraneo, potrebbero in tal caso realizzare un sistema di difesa integrato sull’esempio dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (OTSC).

Nell’attuazione di questa “exit strategy” dai vincoli statunitensi, sopra sinteticamente abbozzata, Roma troverebbe validi sostegni, oltre che ad Ankara, anche a Tripoli, Damasco e Teheran e, ovviamente, Mosca. Quest’ultima, peraltro, sosterrebbe certamente Roma nella uscita dall’orbita nordamericana, favorendo la sua naturale proiezione geopolitica nella direttrice adriatico-balcanico-danubiana nel quadro, ovviamente, di un’intesa italo-turco-russa costruita sui comuni interessi nel cosiddetto Mediterraneo allargato (costituito dai mari Mediterraneo, Nero, Caspio).

di Tiberio Graziani

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