29 luglio 2011

L'Europa è condannata dalla globalizzazione?

http://www.treccani.it/export/sites/default/Portale/resources/images/sito/altre_aree/scienze_umane_sociali/percorsi_xenofobia.jpg


La storiella del tale che va per suonarle e viene suonato sarebbe risibile, se non ci riguardasse. Il ritorno del boomerang fa sempre male all'incosciente che lo ha lanciato senza sapere come evitare di prenderlo sul viso. La globalizzazione si rivolta contro i suoi iniziatori occidentali. E l'ironica constatazione che ha avanzato Marcel Gauchet in un recente numero di«Le Débat»1: «L'Occidente, e principalmente gli Stati Uniti, è stato il motore della globalizzazione, ma tutti vi hanno aderito e l'Unione europea è diventata la migliore allieva della classe, la zona economica del mondo più aperta, più degli Stati Uniti, cosa che si dimentica sempre. Ora, questo capitalismo globalizzato gioca adesso contro la prosperità occidentale. Si può discutere su questo punto a proposito degli Stati Uniti. In ogni caso, è chiaro per l'Europa, che appare come la perdente del gioco». L'Europa sarà dunque la grande perdente? A partire dal momento in cui si internazionalizza, si finanziarizza e si virtualizza, come succede dagli anni Ottanta, il capitalismo è portato ad emanciparsi rispetto agli Stati, alle forze politiche e alle opinioni pubbliche. Il suo unico quadro spaziale diventa il pianeta. La sua hybris deriva dal non essere più trattenuto da niente. Agisce unicamente in base alla sua logica.
Quale ironia vedere, dopo l'inizio della crisi nel 2007, i vani sforzi di Barack Obama o di Nicolas Sarkozy per tentare di regolamentare il funzionamento dell'industria finanziaria. Dice ancora Marcel Gauchet: «Sarkozy ha fatto discorsi da simpatico gradasso sulla necessità di riportare le banche alla ragione, ha pronunciato parole vendicative assai appropriate contro i guasti di un certo capitalismo, ma tutti hanno capito piuttosto in fretta che quelle parole erano fatte per essere ascoltate e non per essere seguite da effetti». Non vi è niente di sorprendente in ciò, se si vuole pur ammettere che il presidente francese è diventato il campione della banalizzazione liberale della Francia, sostenuto da un largo consenso delle élites e degli elettori.
Con la globalizzazione, lo scollegamento e poi l'autonomizzazione del capitalismo finanziario rispetto a ogni base territoriale, non c'è più bisogno di intermediari politici interni. Per il buon funzionamento del sistema non sono più necessarie nemmeno le connivenze a livello locale tra l'élite politica e l'oligarchia finanziaria. Questa complicità è un residuo del sistema precedente, di quando il capitalismo non poteva sfuggire al quadro nazionale sulla cui base si sviluppava. Questa eredità storica è ormai superata. Il capitalismo è divenuto off-shore, flessibile e nomade. Le sue basi possono trovarsi tanto a Londra e New York quanto a Francoforte, Singapore o Hong Kong. Ci sarà sempre uno Stato abbastanza prono da accogliere e porre al riparo società che vogliono sfuggire alla volontà di regolamentazione. Questa è, d'altro canto, l'argomentazione essenziale per proscrivere ogni regolamentazione che non fosse oggetto di un consenso unanime, prorogando così lo status quo che permette alla Forma-Capitale di dispiegarsi, ancora e sempre, secondo la sua logica opportunistica.
Questa globalizzazione è iniziata sotto la spinta di Margaret Thatcher e Ronald Reagan. L'ultimo libro di Jean-Pierre Chevènement2 ne traccia, per la Francia, le varie fasi in modo dettagliato. Il suo interesse
deriva dal fatto che l'autore ne ha vissuto le tappe dall'interno, nella macchina dello Stato. L'ex ministro socialista le racconta così come le ha vissute e come si sono imposte agli attori, come un'implacabile meccanica, fin dal momento in cui Frangois Mitterrand aveva scelto di restare fedele alla costruzione europea. In una dichiarazione a «La Tribune de Genève» del 22 novembre 2007, Danielle Mitterrand, difendendo l'opera del marito, ricordava una delle sue conversazioni nelle prime ore della presidenza: «Dicevo a Frangois: poiché hai il potere, perché non te ne servi per cambiare il paese? Egli rispondeva: io non ho il potere; la Francia, come il resto del mondo, è assoggettata ad una dittatura finanziaria che gestisce tutto». Questa iper-classe sempre più ricca quando la grande maggioranza degli abitanti del vecchio continente vedono la loro situazione degradarsi, è invincibile?
L'Europa, agitata come uno scettro a sonagli, è, ci dice Jean-Pierre Chevènement, un'entelechia. Solo l'Europa europea, sul modello gollista, ossia indipendente, può essere un progetto solido. Malauguratamente, nessuno dei nostri partners continentali si mostra ambizioso. Di qui l'ancoraggio (implicito fin dall'inizio della costruzione) sempre più solido agli Stati Uniti, locomotiva ansimante la cui leadership volge tuttavia al termine. «La sinistra francese credeva, nel 1981, come Cristoforo Colombo, di scoprire le Indie (il socialismo), ma ha scoperto l'America (il neo-liberalismo). Il miraggio europeo le ha fatto perdere di vista il popolo francese. Essa non è molto attrezzata per comprendere il mondo venturo», conclude Chevènement. Resta una domanda che l'ex ministro della Difesa si guarda bene dal porre, cioè come l'economia sia riuscita ad occupare l'insieme del nostro immaginario simbolico a tal punto da renderci capaci di accettare con fatalità questo stato di cose come un oggetto "naturale".
«L'Europa», scriveva Abellio, «è fissa nello spazio, cioè nella geografia, mentre l'Occidente è mobile e sposta il suo epicentro terrestre secondo il movimento delle avanguardie civilizzate. Un giorno l'Europa sarà cancellata dalle carte, l'Occidente vivrà sempre. L'Occidente è là dove la coscienza diventa essenziale, è il luogo e il momento eterni della coscienza assoluta»3. Può darsi allora che l'Occidente prossimamente pianti le tende a Pechino, nuova Terra Promessa sufficientemente ingenua per salutare i suoi benefici avvelenati? Il candore cinese consisterebbe nel credere di poterla coniugare con l'affermazione della sua identità e della sua potenza.

di Pierre Bérard e Pascal Eysseric

NOTE
1 Face à la crise: Sarkozy et les forces politiques frarwaises, Marcel Gauchet, Jacques Julliard: un échange, in «Le Debat» n.161, settembre-ottobre 2010.
2Jean-Pierre Chevènement, La France est-elle finie?, Fayard, Paris 2011.
Raymond Abellio, La structure absolue. Essai de phénoménologie génétique, Gallimard, Paris 1965. È utile sottolineare che non interpretiamo la «coscienza assoluta» allo stesso modo dell'autore.

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29 luglio 2011

L'Europa è condannata dalla globalizzazione?

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La storiella del tale che va per suonarle e viene suonato sarebbe risibile, se non ci riguardasse. Il ritorno del boomerang fa sempre male all'incosciente che lo ha lanciato senza sapere come evitare di prenderlo sul viso. La globalizzazione si rivolta contro i suoi iniziatori occidentali. E l'ironica constatazione che ha avanzato Marcel Gauchet in un recente numero di«Le Débat»1: «L'Occidente, e principalmente gli Stati Uniti, è stato il motore della globalizzazione, ma tutti vi hanno aderito e l'Unione europea è diventata la migliore allieva della classe, la zona economica del mondo più aperta, più degli Stati Uniti, cosa che si dimentica sempre. Ora, questo capitalismo globalizzato gioca adesso contro la prosperità occidentale. Si può discutere su questo punto a proposito degli Stati Uniti. In ogni caso, è chiaro per l'Europa, che appare come la perdente del gioco». L'Europa sarà dunque la grande perdente? A partire dal momento in cui si internazionalizza, si finanziarizza e si virtualizza, come succede dagli anni Ottanta, il capitalismo è portato ad emanciparsi rispetto agli Stati, alle forze politiche e alle opinioni pubbliche. Il suo unico quadro spaziale diventa il pianeta. La sua hybris deriva dal non essere più trattenuto da niente. Agisce unicamente in base alla sua logica.
Quale ironia vedere, dopo l'inizio della crisi nel 2007, i vani sforzi di Barack Obama o di Nicolas Sarkozy per tentare di regolamentare il funzionamento dell'industria finanziaria. Dice ancora Marcel Gauchet: «Sarkozy ha fatto discorsi da simpatico gradasso sulla necessità di riportare le banche alla ragione, ha pronunciato parole vendicative assai appropriate contro i guasti di un certo capitalismo, ma tutti hanno capito piuttosto in fretta che quelle parole erano fatte per essere ascoltate e non per essere seguite da effetti». Non vi è niente di sorprendente in ciò, se si vuole pur ammettere che il presidente francese è diventato il campione della banalizzazione liberale della Francia, sostenuto da un largo consenso delle élites e degli elettori.
Con la globalizzazione, lo scollegamento e poi l'autonomizzazione del capitalismo finanziario rispetto a ogni base territoriale, non c'è più bisogno di intermediari politici interni. Per il buon funzionamento del sistema non sono più necessarie nemmeno le connivenze a livello locale tra l'élite politica e l'oligarchia finanziaria. Questa complicità è un residuo del sistema precedente, di quando il capitalismo non poteva sfuggire al quadro nazionale sulla cui base si sviluppava. Questa eredità storica è ormai superata. Il capitalismo è divenuto off-shore, flessibile e nomade. Le sue basi possono trovarsi tanto a Londra e New York quanto a Francoforte, Singapore o Hong Kong. Ci sarà sempre uno Stato abbastanza prono da accogliere e porre al riparo società che vogliono sfuggire alla volontà di regolamentazione. Questa è, d'altro canto, l'argomentazione essenziale per proscrivere ogni regolamentazione che non fosse oggetto di un consenso unanime, prorogando così lo status quo che permette alla Forma-Capitale di dispiegarsi, ancora e sempre, secondo la sua logica opportunistica.
Questa globalizzazione è iniziata sotto la spinta di Margaret Thatcher e Ronald Reagan. L'ultimo libro di Jean-Pierre Chevènement2 ne traccia, per la Francia, le varie fasi in modo dettagliato. Il suo interesse
deriva dal fatto che l'autore ne ha vissuto le tappe dall'interno, nella macchina dello Stato. L'ex ministro socialista le racconta così come le ha vissute e come si sono imposte agli attori, come un'implacabile meccanica, fin dal momento in cui Frangois Mitterrand aveva scelto di restare fedele alla costruzione europea. In una dichiarazione a «La Tribune de Genève» del 22 novembre 2007, Danielle Mitterrand, difendendo l'opera del marito, ricordava una delle sue conversazioni nelle prime ore della presidenza: «Dicevo a Frangois: poiché hai il potere, perché non te ne servi per cambiare il paese? Egli rispondeva: io non ho il potere; la Francia, come il resto del mondo, è assoggettata ad una dittatura finanziaria che gestisce tutto». Questa iper-classe sempre più ricca quando la grande maggioranza degli abitanti del vecchio continente vedono la loro situazione degradarsi, è invincibile?
L'Europa, agitata come uno scettro a sonagli, è, ci dice Jean-Pierre Chevènement, un'entelechia. Solo l'Europa europea, sul modello gollista, ossia indipendente, può essere un progetto solido. Malauguratamente, nessuno dei nostri partners continentali si mostra ambizioso. Di qui l'ancoraggio (implicito fin dall'inizio della costruzione) sempre più solido agli Stati Uniti, locomotiva ansimante la cui leadership volge tuttavia al termine. «La sinistra francese credeva, nel 1981, come Cristoforo Colombo, di scoprire le Indie (il socialismo), ma ha scoperto l'America (il neo-liberalismo). Il miraggio europeo le ha fatto perdere di vista il popolo francese. Essa non è molto attrezzata per comprendere il mondo venturo», conclude Chevènement. Resta una domanda che l'ex ministro della Difesa si guarda bene dal porre, cioè come l'economia sia riuscita ad occupare l'insieme del nostro immaginario simbolico a tal punto da renderci capaci di accettare con fatalità questo stato di cose come un oggetto "naturale".
«L'Europa», scriveva Abellio, «è fissa nello spazio, cioè nella geografia, mentre l'Occidente è mobile e sposta il suo epicentro terrestre secondo il movimento delle avanguardie civilizzate. Un giorno l'Europa sarà cancellata dalle carte, l'Occidente vivrà sempre. L'Occidente è là dove la coscienza diventa essenziale, è il luogo e il momento eterni della coscienza assoluta»3. Può darsi allora che l'Occidente prossimamente pianti le tende a Pechino, nuova Terra Promessa sufficientemente ingenua per salutare i suoi benefici avvelenati? Il candore cinese consisterebbe nel credere di poterla coniugare con l'affermazione della sua identità e della sua potenza.

di Pierre Bérard e Pascal Eysseric

NOTE
1 Face à la crise: Sarkozy et les forces politiques frarwaises, Marcel Gauchet, Jacques Julliard: un échange, in «Le Debat» n.161, settembre-ottobre 2010.
2Jean-Pierre Chevènement, La France est-elle finie?, Fayard, Paris 2011.
Raymond Abellio, La structure absolue. Essai de phénoménologie génétique, Gallimard, Paris 1965. È utile sottolineare che non interpretiamo la «coscienza assoluta» allo stesso modo dell'autore.

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