26 marzo 2009

I mille privilegi di un'Italia che non cambia

Non è assolutamente vero, come sostengono molti commentatori, che nella politica italiana è difficile, se non impossibile, raggiungere intese tra maggioranza e opposizione. Non è vero perché di accordi, sostanzialmente taciti, se ne fanno tutti i giorni. Purtroppo non per costruire qualcosa, ma per lasciare tutto come prima. Soprattutto quando si parla di conservare privilegi, di mantenere seggiole e poltrone, di garantire finanziamenti, di sussidiare iniziative più o meno culturali. L`intesa costante è quella di applicare le due regole auree della politica: se possibile "quieta non movere et mota quietare" e se proprio si deve fare qualcosa “facimm` ammuina”, cioè facciamo finta di cambiare tutto per lasciare tutto come prima. Non sorprende che in questa dimensione si debba ancora parlare dell`Italia devi Faraoni, delle «mille caste del potere pubblico che stanno dissanguando l`Italia», come spiega il documentatissimo libro che Aldo Forbice e Giancarlo Mazzuca hanno dedicato non solo e non tanto ai costi della politica, ma soprattutto agli intrecci di un sistema di potere che non è mai riuscito a tagliare i fiumi degli sprechi del settore pubblico allargato. E così si scopre che i Faraoni sono dappertutto. Perché l`Italia «è il Paese delle caste, delle castine, delle lobby e delle corporazioni, ma anche dei furbi e dei furbetti. Un Paese in cui tutti o quasi tutti hanno qualcosa da chiedere, da rivendicare, ma pochi sono disponibili a fare il loro dovere, a dare una contropartita o anche solo un obolo per gli interessi generali». Con il paradosso, per esempio, di un organo come la Corte dei conti, che dovrebbe essere il severo controllore della spesa pubblica, e che diventa uno degli enti più pletorici e costosi, così come il Cnel, le cui funzioni originarie si sono perse nei rivoli di studi e relazioni che nessuno utilizza. L`analisi di Forbice e Mazzuca solleva il velo sui mille. finanziamenti, pubblici naturalmente, che si disperdono per finalità culturali e che arrivano ai grandi teatri e alle feste paesane, ai giornali più autorevoli così come ai bollettini dei circoli della caccia, alle università di eccellenza così come alle cattedre senza allievi. Non poteva mancare uno dei temi maggiormente simbolici dell`incapacità dello Stato di riformare se stesso: la sopravvivenza delle Province dopo l`istituzione delle Regioni e di fronte alla necessità, a parole da tutti condivisa, di restituire efficienza e razionalità al rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Le Province sono l`esempio più clamoroso della resistenza dei piccoli poteri e della moltiplicazione dei centri di spesa, del radicamento di un sistema pletorico e per sua natura inefficiente. Ma guai a toccare le Province e i posti di presidente, assessore, consigliere provinciale. In Italia non si abolisce nulla, nel miope tentativo di mantenere il consenso di tutti. Con il risultato tuttavia di far crescere quel partito dell`antipolitica che rischia di minare pericolosamente le radici stesse della democrazia.

di Gianfranco Fabi

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26 marzo 2009

I mille privilegi di un'Italia che non cambia

Non è assolutamente vero, come sostengono molti commentatori, che nella politica italiana è difficile, se non impossibile, raggiungere intese tra maggioranza e opposizione. Non è vero perché di accordi, sostanzialmente taciti, se ne fanno tutti i giorni. Purtroppo non per costruire qualcosa, ma per lasciare tutto come prima. Soprattutto quando si parla di conservare privilegi, di mantenere seggiole e poltrone, di garantire finanziamenti, di sussidiare iniziative più o meno culturali. L`intesa costante è quella di applicare le due regole auree della politica: se possibile "quieta non movere et mota quietare" e se proprio si deve fare qualcosa “facimm` ammuina”, cioè facciamo finta di cambiare tutto per lasciare tutto come prima. Non sorprende che in questa dimensione si debba ancora parlare dell`Italia devi Faraoni, delle «mille caste del potere pubblico che stanno dissanguando l`Italia», come spiega il documentatissimo libro che Aldo Forbice e Giancarlo Mazzuca hanno dedicato non solo e non tanto ai costi della politica, ma soprattutto agli intrecci di un sistema di potere che non è mai riuscito a tagliare i fiumi degli sprechi del settore pubblico allargato. E così si scopre che i Faraoni sono dappertutto. Perché l`Italia «è il Paese delle caste, delle castine, delle lobby e delle corporazioni, ma anche dei furbi e dei furbetti. Un Paese in cui tutti o quasi tutti hanno qualcosa da chiedere, da rivendicare, ma pochi sono disponibili a fare il loro dovere, a dare una contropartita o anche solo un obolo per gli interessi generali». Con il paradosso, per esempio, di un organo come la Corte dei conti, che dovrebbe essere il severo controllore della spesa pubblica, e che diventa uno degli enti più pletorici e costosi, così come il Cnel, le cui funzioni originarie si sono perse nei rivoli di studi e relazioni che nessuno utilizza. L`analisi di Forbice e Mazzuca solleva il velo sui mille. finanziamenti, pubblici naturalmente, che si disperdono per finalità culturali e che arrivano ai grandi teatri e alle feste paesane, ai giornali più autorevoli così come ai bollettini dei circoli della caccia, alle università di eccellenza così come alle cattedre senza allievi. Non poteva mancare uno dei temi maggiormente simbolici dell`incapacità dello Stato di riformare se stesso: la sopravvivenza delle Province dopo l`istituzione delle Regioni e di fronte alla necessità, a parole da tutti condivisa, di restituire efficienza e razionalità al rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Le Province sono l`esempio più clamoroso della resistenza dei piccoli poteri e della moltiplicazione dei centri di spesa, del radicamento di un sistema pletorico e per sua natura inefficiente. Ma guai a toccare le Province e i posti di presidente, assessore, consigliere provinciale. In Italia non si abolisce nulla, nel miope tentativo di mantenere il consenso di tutti. Con il risultato tuttavia di far crescere quel partito dell`antipolitica che rischia di minare pericolosamente le radici stesse della democrazia.

di Gianfranco Fabi

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