20 luglio 2010

Venti di guerra nei Caraibi



Lo scorso 1° Luglio, l’Assemblea Legislativa della Costa Rica, ha approvato con trentuno voti a favore e otto contrari, l’ingresso nel paese di 13.000 marines statunitensi, che saranno accompagnati da 46 navi d’appoggio, una portaerei e 200 elicotteri. Motivo ufficiale? La lotta al narcotraffico, of course. Motivo reale? Minacciare da vicino il Nicaragua di Daniel Ortega e il Venezuela di Hugo Chavez, che Washington proprio non riesce a normalizzare. La piccola repubblica centroamericana cambia così il suo destino o, perlomeno, la sua mission, trasformandosi da paradiso per turisti a base militare per gli Stati Uniti.

D’altra parte, la richiesta di questa sostanziale variazione di status era di quelle che non si potevano rifiutare, essendo pervenuta dalla locale ambasciata Usa il 21 giugno. Il Parlamento di San Josè ha offerto così una dimostrazione di tempismo ed efficienza, prima che di inclinazione alla servitù. Sembra quindi che il destino della Costa Rica vada evolvendo.

Un tempo noto come unico stato delle Americhe ad essere privo di forze armate, limitando alla sola Polizia Nazionale le funzioni difensive del paese - veniva chiamata la Svizzera del Centroamerica - San José ha deciso d’imprimere una svolta formale al suo status. A dire il vero, la singolarità dello Stato privo di apparato militare non era l’unica: anche sul piano finanziario, la Costa Rica ha sempre avuto un ruolo particolare nel continente, soprattutto nel proporsi come paradiso fiscale e nell’essere quindi utilizzato come lavatrice tropicale dei dollari sporchi.

Storicamente, San Josè è anche stata ripetutamente indicata come luogo adatto alla mediazione politico-diplomatica nella ribollente area Centroamericana. A fare da retroterra propagandistico a questa veste, veniva dichiarata una presunta neutralità politica della Costa Rica nei confronti dei conflitti politici e militari dei suoi vicini. Ma questa presunta neutralità non ha mai trovato cogenti conferme nelle opere di mediazione cui è stata chiamata nei decenni, anzi.

Durante gli anni ’80, la Costa Rica si caratterizzava per una politica verso il Nicaragua fortemente ambigua: da un lato offriva mediazione diplomatica e piani per il cessate il fuoco, dall’altro garantiva rifugio e logistica alla Contra, che installò una delle sue componenti (la FDN di Edgar Chamorro) che venne smantellata dalle operazioni militari delle forze speciali dell’Esercito sandinista, non certo dalla polizia nazionale costaricense che avrebbe dovuto, per decenza, impedire che sul suo territorio s’installassero basi militari da cui partivano aggressioni al paese confinante.

Allo stesso modo, non si può certo dire che la mediazione di Oscar Arias (ex-Presidente della Costa Rica e Nobel per la pace) tra il legittimo presidente dell'Honduras, Manuel Zelaya, e i golpisti filo-Usa guidati da Micheletti, sia stata all'insegna del ripristino della legalità. Come se vittime e carnefici fossero sullo stesso piano, come se l'isolamento dei golpisti non fosse l'unica strada percorribile per il ripristino della democrazia a Tegucigalpa, la mediazione di Arias ha avuto come conseguenza la legittimazione dei golpisti e il rapido ritiro delle sanzioni più dure da parte dell'OSA (Organizzazione Stati Americani).

Ma oggi San Josè compie un ulteriore, gravissimo, salto in avanti. Con la decisione del Parlamento della Costa Rica, infatti, gli Stati Uniti circondano decisamente il Centroamerica e i Caraibi. Il Pentagono avrà ora un altro grande dispositivo militare da affiancare a quello già presente a Palmarola, in Honduras, la più grande base militare statunitense fuori dai confini (anche per questo Tegucigalpa è definita una portaerei statunitense).

Il nuovo spiegamento di truppe in Costa Rica si aggiunge poi alle 13 nuove basi Usa in Colombia (di cui allocazione, armamenti, numero degli effettivi e raggio d’azione sono secretati dal governo di Bogotà, in spregio alla stessa Costituzione colombiana), alla spedizione militare ad Haiti, alla base di Curazao e a Panama, oltre che al ripristino del dispiegamento della IV Flotta nel Mar dei Caraibi, voluto da un altro Nobel per la Pace: Barak Obama.

Il livello di armamenti e soldati che Washington ha raggiunto nell’area, con la complicità dei regimi alleati, è ormai difficile da interpretare come ordinario. E’ invece un vero e proprio costante riposizionamento militare e politico, che punta senza equivoci al dominio del “giardino di casa”. Uno spiegamento di forze che non solo altera profondamente gli equilibri militari tra paesi sovrani nell’area, ma si pone come ipoteca pesante sullo sviluppo dei processi politici locali e continentali e la stessa sovranità degli stati che la compongono.

Un triste evolversi della realtà latinoamericana anche per chi, meno di un anno fa, aveva ingenuamente sperato che, a Washington, i tempi stavano cambiando. L’evidenza della minaccia a Nicaragua e Venezuela la vede chiunque non voglia chiudere gli occhi

di Fabrizio Casari -

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20 luglio 2010

Venti di guerra nei Caraibi



Lo scorso 1° Luglio, l’Assemblea Legislativa della Costa Rica, ha approvato con trentuno voti a favore e otto contrari, l’ingresso nel paese di 13.000 marines statunitensi, che saranno accompagnati da 46 navi d’appoggio, una portaerei e 200 elicotteri. Motivo ufficiale? La lotta al narcotraffico, of course. Motivo reale? Minacciare da vicino il Nicaragua di Daniel Ortega e il Venezuela di Hugo Chavez, che Washington proprio non riesce a normalizzare. La piccola repubblica centroamericana cambia così il suo destino o, perlomeno, la sua mission, trasformandosi da paradiso per turisti a base militare per gli Stati Uniti.

D’altra parte, la richiesta di questa sostanziale variazione di status era di quelle che non si potevano rifiutare, essendo pervenuta dalla locale ambasciata Usa il 21 giugno. Il Parlamento di San Josè ha offerto così una dimostrazione di tempismo ed efficienza, prima che di inclinazione alla servitù. Sembra quindi che il destino della Costa Rica vada evolvendo.

Un tempo noto come unico stato delle Americhe ad essere privo di forze armate, limitando alla sola Polizia Nazionale le funzioni difensive del paese - veniva chiamata la Svizzera del Centroamerica - San José ha deciso d’imprimere una svolta formale al suo status. A dire il vero, la singolarità dello Stato privo di apparato militare non era l’unica: anche sul piano finanziario, la Costa Rica ha sempre avuto un ruolo particolare nel continente, soprattutto nel proporsi come paradiso fiscale e nell’essere quindi utilizzato come lavatrice tropicale dei dollari sporchi.

Storicamente, San Josè è anche stata ripetutamente indicata come luogo adatto alla mediazione politico-diplomatica nella ribollente area Centroamericana. A fare da retroterra propagandistico a questa veste, veniva dichiarata una presunta neutralità politica della Costa Rica nei confronti dei conflitti politici e militari dei suoi vicini. Ma questa presunta neutralità non ha mai trovato cogenti conferme nelle opere di mediazione cui è stata chiamata nei decenni, anzi.

Durante gli anni ’80, la Costa Rica si caratterizzava per una politica verso il Nicaragua fortemente ambigua: da un lato offriva mediazione diplomatica e piani per il cessate il fuoco, dall’altro garantiva rifugio e logistica alla Contra, che installò una delle sue componenti (la FDN di Edgar Chamorro) che venne smantellata dalle operazioni militari delle forze speciali dell’Esercito sandinista, non certo dalla polizia nazionale costaricense che avrebbe dovuto, per decenza, impedire che sul suo territorio s’installassero basi militari da cui partivano aggressioni al paese confinante.

Allo stesso modo, non si può certo dire che la mediazione di Oscar Arias (ex-Presidente della Costa Rica e Nobel per la pace) tra il legittimo presidente dell'Honduras, Manuel Zelaya, e i golpisti filo-Usa guidati da Micheletti, sia stata all'insegna del ripristino della legalità. Come se vittime e carnefici fossero sullo stesso piano, come se l'isolamento dei golpisti non fosse l'unica strada percorribile per il ripristino della democrazia a Tegucigalpa, la mediazione di Arias ha avuto come conseguenza la legittimazione dei golpisti e il rapido ritiro delle sanzioni più dure da parte dell'OSA (Organizzazione Stati Americani).

Ma oggi San Josè compie un ulteriore, gravissimo, salto in avanti. Con la decisione del Parlamento della Costa Rica, infatti, gli Stati Uniti circondano decisamente il Centroamerica e i Caraibi. Il Pentagono avrà ora un altro grande dispositivo militare da affiancare a quello già presente a Palmarola, in Honduras, la più grande base militare statunitense fuori dai confini (anche per questo Tegucigalpa è definita una portaerei statunitense).

Il nuovo spiegamento di truppe in Costa Rica si aggiunge poi alle 13 nuove basi Usa in Colombia (di cui allocazione, armamenti, numero degli effettivi e raggio d’azione sono secretati dal governo di Bogotà, in spregio alla stessa Costituzione colombiana), alla spedizione militare ad Haiti, alla base di Curazao e a Panama, oltre che al ripristino del dispiegamento della IV Flotta nel Mar dei Caraibi, voluto da un altro Nobel per la Pace: Barak Obama.

Il livello di armamenti e soldati che Washington ha raggiunto nell’area, con la complicità dei regimi alleati, è ormai difficile da interpretare come ordinario. E’ invece un vero e proprio costante riposizionamento militare e politico, che punta senza equivoci al dominio del “giardino di casa”. Uno spiegamento di forze che non solo altera profondamente gli equilibri militari tra paesi sovrani nell’area, ma si pone come ipoteca pesante sullo sviluppo dei processi politici locali e continentali e la stessa sovranità degli stati che la compongono.

Un triste evolversi della realtà latinoamericana anche per chi, meno di un anno fa, aveva ingenuamente sperato che, a Washington, i tempi stavano cambiando. L’evidenza della minaccia a Nicaragua e Venezuela la vede chiunque non voglia chiudere gli occhi

di Fabrizio Casari -

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