06 giugno 2008

La morte nera della finanza globale



La crisi economica e finanziaria che attualmente ci affligge è di gran lunga la più pericolosa dell’ultimo secolo – anche più grave della Grande Depressione degli anni ’30. Non è soltanto una crisi subprime[1]; si tratta di una crisi sistemica, che affligge l’intero sistema finanziario. E’ anche globale: colpisce vari Paesi in modi diversi ma li colpisce tutti. Raggiungendo un certo grado di “globalizzazione”, abbiamo avuto successo soltanto nel globalizzare il collasso, il caos e l’infelicità. E’ un tipo di globalizzazione che nella nostra miope negligenza non avevamo mai considerato o previsto.

In questa crisi, anche una nazione come l’Australia non è niente di più che una dipendenza subordinata, neocoloniale, finanziaria ed economica. In buona sostanza, siamo regrediti a ciò che eravamo prima e durante la Grande Depressione degli anni ’30 quando Whitehall, Westminster e la Banca d’Inghilterra suonavano la musica che abbiamo ballato. Poi, dal 1945 al 1969, per la prima volta, abbiamo suonato la nostra musica, quella della crescita economica e della piena occupazione. I radicali più estremi come Eddie Ward, Ministro dei governi di John Curtin (1941-1945) e Ben Chifly (1945-1949) ci aveva avvisato di stare in guardia con Wall Street.

I cinici potrebbero dire ora che Eddie, morto nel 1963, aveva ragione. Dopo il 1969 abbiamo dimenticato il suo avvertimento. Per la verità, gli stessi Americani si sono dimenticati di stare in guardia dagli inganni, dai trucchi, di Wall Street, quando la parola d’ordine dovrebbe essere “vigilanza perenne”. Hanno dimenticato cosa può fare la mania di Wall Street alla realtà di Main Street; e noi abbiamo condiviso questa stessa amnesia.

Dal 1969 ed in particolare dal 1971, quando gli Stati Uniti hanno interrotto il collegamento tra dollaro e oro, l’Australia ha rinunciato ad ogni tipo di indipendenza nel suo pensiero economico e finanziario. Abbiamo inghiottito la formula finanziaria ed economica Americana, anche se eravamo accademici o politologi, imprenditori industriali, banche, o provider di servizi finanziari.

Non abbiamo spento completamente la musichetta suonata dall’Inghilterra, ancora di più quando il suo Primo Ministro Margaret Thatcher ha messo in piedi la farsa con il presidente statunitense Ronald Reagan per alimentare i supporti a “liberi” mercati, “libero” commercio, privatizzazione, globalizzazione e la libera circolazione di quasi tutto, incluso il capitale frutto di speculazione, nella ricerca inqualificabile del profitto personale.

L’ingordigia delle Corporiation e del consumatore marciavano quindi in armonia, di pari passo, andando incontro al disastro globale.

L’economia razionale basata sull’investimento reale, la produttività e la produzione sono morti per lasciare spazio alle ambizioni speculative, e spesso al metodo Ponzi [tipica truffa finanziaria, N.d.r.].

I mercanti cowboy dei titoli spazzatura (junk-bond) degli anni ’80 si sono trasformati in rispettabili e, per la maggior parte, giovani ed idolatrati maghi finanziari che hanno “perfezionato” e confezionato sistemi di credito molto complessi e sofisticati. A partire dagli anni ’90 questi strumenti molto potenti hanno preso la forma di derivati, “private-equity” [2], fondi hedge [fondi a rischio coperto che risiedono in paradisi fiscali, n.d.t.] e mortgage securities, abbreviati con l’acronimo CDOs (Collateralized Debt Obligations), SIVs (Structured Investment Vehicles), e via discorrendo.

Alleati dei mercati “liberi”, della deregulation a della libera circolazione di tutti i tipi di finanza, quei sistemi finanziari hanno distrutto industrie e l’occupazione che ne derivava. Con indifferenza disinvolta, hanno anche distrutto il lavoratore autonomo e la middle class che fino ad allora rappresentavano la tipica e robusta economia della libera impresa.

La loro non è stata la “distruzione creativa” di Joseph Schumpeter [economista austriaco del XX secolo, n.d.t.] ma una distruzione all’ingrosso della loro stessa economia e, alla fine, del loro stesso “sistema” finanziario. Hanno disintegrato i risparmi personali e creato un indebitamento di massa. Hanno eroso il potere e la sicurezza degli stessi Stati Uniti nel momento in cui hanno “esportato” stabilità e forza economica reale in altri Paesi, ed in modo particolare in Asia.

Le Tigri Asiatiche, la Cina e le altre, sono diventate dei veri e propri motori dell’economia, uno sviluppo che storicamente avrebbe richiesto generazioni. Il nostro scopo altamente credibile di un cambiamento pacifico attraverso lo sviluppo delle economie emergenti è stato distorto, fondamentalmente per negligenza involontaria, in autodistruzione finanziaria, economica e sociale. Il profilarsi minaccioso del collasso globale, unitamente alle incertezze poliche e strategiche, rappresentano il nostro inevitabile destino.

La speculativa Ponzi-mania ha preso piede specialmente nei Paesi Anglosassoni, e in modo minore in altri paesi sviluppati. L’Australia si è precipitata verso i “liberi” mercati, il “libero” commercio, la libera circolazione di valuta, la deregulation, la privatizzazione, la globalizzazione, i derivati, i fondi hedge, le private equity, i mutui selvaggi e il leverage-senza-limite come un’anatra si precipita verso l’acqua. Il consumismo si è incattivito. L’industria è stata sventrata. I debiti gonfiati. Il valore della valuta è precipitato, in patria e all’estero. Nonostante le importazione low-cost, l’inflazione prosperava. Nel 2008, il dollaro autraliano può forse comprare quanto in termini reali potevano comprare 10 centesimi nel 1969.

Una situazione in cui l’investimento reale pubblico e privato è stato sostituito da ownership investments, leverage massivo e finanza speculativa, in cui il consumo è aumentato e i debiti si espandono; una situazione del genere non poteva durare, o meglio, è durata sino a quando ancora più denaro è stato versato a sostenere l’insostenibile. Nel momento in cui il flusso è rallentato, o si è fermato, un collasso del tipo Ponzi è stato inevitabile.

Ma pochi l’hanno visto in questo modo. Con un po’ di ritardo, Warren Buffet [imprenditore statunitense, probabilmente l’uomo più ricco del mondo. N.d.t.] ha definito i derivati come armi di distruzione di massa; ma i più hanno considerato le strategie finanziarie come frutto di una “nuova era”. Rappresentavano un “nuovo paradigma”. Lontani dall’essere considerati una minaccia ad una crescita stabile all’interno di un sistema finanziario stabile, hanno “propagato, allargato il rischio” e reso tutti più sicuri e naturalmente più ricchi.

L’effetto ricchezza era una caratteristica particolare del residential mortgage business [indebitamento sostenibile residenziale, n.d.t.]. I fondi provenivano da molte nuove fonti bancarie e non, inclusi i fondi hedge e attività di private equity, così come i fondi pensione e fondi comuni di investimento. Tutte risorse che, per la loro dimensione, erano assolutamente nuove, proprio come il carry trade [pratica speculativa consistente nel prendere a prestito del denaro in paesi con tassi di interesse più bassi, per cambiarlo in valuta di paesi con un rendimento degli investimenti maggiore in modo sia da ripagare il debito contratto sia da ottenere un guadagno con la medesima operazione finanziaria, Wikipedia. N.d.T.]. Fondi immessi sul mercato all’ingrosso, e indebitamento al dettaglio. Il vincolo di responsabilità poteva essere spostato anche o soprattutto per debito nella più profonda accezione di subprime. I mortgage, inoltre, permettono a chi possiede una casa di aumentare i consumi attraverso il sistema dei Mortgage Equity Withdrawals (MEW), [in buona sostanza la possibilità di finanziare i consumi con la rinegoziazione dei mutui (www.borsamonitor.it) – N.d.T.]. In senso reale, i MEW erano sintomatici di moltitudini di individui – e in effetti di intere società – che vivevano al di sopra delle proprie possibilità. Tutto ciò ha dato il via a un processo di crescita che era allo stesso tempo irresistibile ed insostenibile.

Comunque, lo schema Ponzi potrebbe ancora riservare il suo colpo di grazia. Un commentatore ha attirato l’attenzione sulla “cattiva notizia del mercato dei derivati pari a 500 trilioni di dollari americani”. Cito: “Questa è un’area di cui le persone comuni non conoscono neanche l’esistenza. Pochi addetti ai lavori comprendono questo mercato. Non c’è regolamentazione e il governo lascia correre… e così ha fatto. Vi dovete aspettare il 5% dovuto a problemi di inadempienza, pari a 25 trilioni di dollari… Può creare istituioni insolventi in tutto il mondo… E’ la creazione della prima depressione globale. Il mondo non è pronto”.

Impreparati alla depressione

Anche l’Australia non è pronta. Il Primo Ministro Kevin Rudd ci ha detto a Marzo che le prospettive economiche australiane rimangono “solide, forti e buone”. La Reserve Bank australiana condivide questa visione. Misteriosamente, fanno eco alle parole che ebbe a dire nel 1929 il Presidente statunitense Herbert Hoover, immediatamente prima del disastro del mercato azionario di quello stesso anno.

La situazione australiana presenta aspetti positivi. I prezzi alti, si potrebbe sostenere, è facile che persistano, almeno nel breve periodo, sebbene in modo instabile. Un membro della banca centrale Islandese ha recentemente affermato che “i timori di uno scioglimento della mia patria sub-artica sono ampiamente artificiosi. In verità, l’anno scorso il current account deficit era il 16% del prodotto interno lordo (GDP), ma vi è stato un miglioramento dall’oltre 25% rilevato nel 2006. E mentre il debito netto del settore privato è di circa il 120% del GDP, virtualmente in Islanda non vi è debito pubblico. Questo è in larga parte il risultato di una ineguagliabile stabilità e continuità politica”.

La situazione australiana potrebbe non essere grave come quella Islandese; o indubbiamente grave come quella degli Stati Uniti o della Nuova Zelanda; ma ognuno di noi tre presenta aspetti negativi simili a quelli dell’Islanda.

Come tutti i boom di tali dimensioni e dall’aspetto speculativo, il boom australiano legato all’edilizia abitativa dovrà presto presentare il conto. Dal loro picco massimo, i prezzi potrebbero scendere dal 30 al 50%. Il ricercatore industriale BIS Shrapnel non è d’accordo; ma dobbiamo aspettarci che il nostro boom edilizio, anche più robusto di quello americano, collasserà sulle stesse linee generali della rovina che si sta verificando oggi negli Stati Uniti.

L’alta percentuale del “non potersi permettere una casa” della persona comune che cerca casa, che lo rende diverso dallo speculatore edilizio, suggerisce che il fallimento, la rovina, sarà brutale. Le proprietà immobiliari, i costruttori edili e le industrie associate verranno colpite in modo grave con un’enorme perdita di lavoro. Nel contempo, le opportunità di investimenti proficui da qualche altra parte potrebbero essere spariti con il collasso esteso dell’ “industria dei servizi finanziari” .

Quanto è ipotizzabile questo collasso? Fino ad oggi, nonostante alcune istituzioni finanziarie non-banking abbiano avuto la peggio, le quattro banche principali sembrano esserne largamente immuni. “La ripresa dell’economia australiana è ancora buona”, ha detto Rudd a New York la scorsa settimana. Ha aggiunto che l’Australia ha avuto “un’esposizione limitata” alle disgrazie dei subprime mortgage che sono esplose negli Stati Uniti nell’anno passato. “Le nostre principali aziende e anche le banche hanno eccellenti bilanci annuali… Secondo gli standard della Organization for Economic Cooperation and Development, in Australia il tasso di inadempienza è minuscolo”.

Non sappiamo quanto le banche e altri soggetti istituzionali potenzialmente esposti abbiamo nascosto i loro debiti, e fino a che punto, e quanto presto saranno obbligati a rivelare chissà quale brutta notizia. Contestualmente a quest’enorme domanda, non sappiamo neanche fino a che punto siano esposte a perdite dovute alla massiva ed ancora ampiamente misteriosa minaccia dei derivati.

In qualche misura, le più importanti banche australiane sono state coinvolte nell’ampia gamma dei titoli strutturati – CDO, SIV, ecc. Una relazione del 4 aprile 2008 che riportava che i local council del New South Wales hanno perso 200 milioni di dollari americani e forse fino a 400 milioni in investimenti in CDS, è un segno preoccupante; altre e forse maggiori perdite potrebbero ancora venire alla luce e coinvolgere tutta una serie di istituzioni, comprese le banche. Sembra poco credibile che un’economia che per così tanti anni ha assorbito così tanto della pratica e della teoria americana – così tanto del suo carattere – possa essere completamente immune dalle punizioni inflitte al modello americano.

La crisi del modello subprime ha colpito in prima battuta gli Stati Uniti in seguito ad un dietro front dell’edilizia residenziale, cominciato nel 2005-2006. Non si è ancora verificata in Australia una flessione dell’edilizia residenziale che possa essere definita inequivocabile; ma quei soggetti non bancari che normalmente concedono prestiti, stanno ritirando i soldi dal mercato. Chi concedeva prestiti su vasta scala stà chiudendo bottega, forse quale preludio ad un brusco declino dell’edilizia.

Il carry trade, che probabilmente ha fornito fondi per i mutui e altri servizi finanziari in Australia, per qualche tempo è stato variabile. Se dovesse fermarsi completamente, non solo potrebbe intensificare i problemi legati ai mutui (prestiti ipotecari), ma anche avere un impatto sui bilanci esterni dell’Australia. Fino ad ora il trend dei nostri deficit è stato quello di mantenersi ad un livello di salute minore rispetto a quanto il boom dei consumi possa averci incoraggiato a sperare. Si dice che l’ammontare del nostro debito complessivo estero sia nell’ordine di mezzo trilione di dollari. A fronte di un tale background, l’attuale deprezzamento del dollaro statunitense potrebbe far prevedere ciò che attende la nostra stessa valuta.

Impatto ritardato

Il cambiamento economico e finanziario degli Stati Uniti tende ad avere un impatto ritardato sull’Australia. Una seria consapevolezza della gravità della nostra crisi potrebbe quindi non emergere prima della seconda metà del 2008.

E quando accadrà, cosa farà il governo Rudd? Attualmente, l’impressione è che sia assolutamente ignaro della sfida che dovrà affrontare, proprio come è stato per il governo di James Sculling nel 1929. Di conseguenza, quando sarà il momento di agire, di fare qualcosa, l’attuale governo potrebbe ritrovarsi impreparato come Scullin e muoversi a tentoni ed in modo inefficace.

Negli anni ’30 avevamo ascoltato discorsi simili da parte di Otto Niemeyer del British Treasury, che era anche Direttore della Bank of England. Questa volta, il governo Rudd, presterà ascolto agli Americani e alle stese cose che dice Ben Bernanke, chairman della Federal Reserve Bank? Se non lo fanno, i risultati catastrofici potrebbero non essere pochi.

La nostra unica speranza reale risiede nel pensiero chiaro ed indipendente di coloro che non sono ancora troppo immersi nei meccanismi e nelle politiche corrotte che hanno portato alla nostra attuale crisi. Dobbiamo prendere atto in modo chiaro che è necessaria e imperativa una riforma economica e finanziaria che sia capitale e globale, che comprenda tutto. Dobbiamo adattare quella riforma fondamentale ai nostri bisogni, come fecero i governi di John Curtin e Ben Chifley tra il 1941 e il 1949. Come abbiamo fatto a quei tempi, dobbiamo nel contempo cercare di far uscire la comunità globale dal percorso calamitoso che ha preso piede dal 1969 per riportarla a quell’obiettivo di cambiamento globale pacifico e stabile che, tra il 1945 e il 1969, ha rappresentato il nostro scopo primario.

E mentre intraprendiamo questo viaggio, a Camberra non manca un alto livello di instabilità politica. Rudd potrebbe vincere, avere successo; ma il Labour Party ed il governo potrebbero dividersi in 2, 3 parti come fecero tra il 1929 e il 1932. Potrebbe emergere un altro Joe Lyons, Primo Ministro dal 1932 al 1939. Chiunque potrà essere, le differenze sono tali da far pensare che sarà ancora più difficile per lui trovare soluzioni facili o veloci di quanto non lo fu per Lyons durante i lunghi ed amari anni della depressione. Quegli anni terminarono soltanto nella tragedia ancor più profonda della Guerra Mondiale.

NOTE DEL TRADUTTORE

[1] Prestiti che vengono concessi ad un soggetto che non può accedere ai tassi di interesse di mercato, in quanto ha avuto problemi pregressi nella sua storia di debitore. I prestiti subprime sono rischiosi sia per i creditori sia per i debitori, vista la pericolosa combinazione di alti tassi di interesse, cattiva storia creditizia e situazioni finanziarie poco chiare, associate a coloro che hanno accesso a questo tipo di credito. […] La tipologia subprime comprende un'ampia varietà di strumenti di credito, quali i mutui subprime, i prestiti d'auto subprime, le carte di credito subprime. Wikipedia.

[2] Il private equity è un'attività finanziaria mediante la quale un investitore istituzionale rileva quote di una società sia acquisendo le azioni, che apportando nuovi capitali all'interno di una società (target). Gli investimenti in Private Equity raggruppano un ampio spettro di operazioni, in funzione sia della fase nel ciclo di vita aziendale che l'azienda target attraversa durante l'operazione di private equity, sia della tecnica di investimento usata.

James Cumes è stato Ambasciatore Australiano all’Unione europea e ha rappresentato l’Australia alle Nazioni Unite. Tra gli altri, è autore di: The Human Mirror: The Narcissistic Imperative in Human Behaviour.

Nessun commento:

06 giugno 2008

La morte nera della finanza globale



La crisi economica e finanziaria che attualmente ci affligge è di gran lunga la più pericolosa dell’ultimo secolo – anche più grave della Grande Depressione degli anni ’30. Non è soltanto una crisi subprime[1]; si tratta di una crisi sistemica, che affligge l’intero sistema finanziario. E’ anche globale: colpisce vari Paesi in modi diversi ma li colpisce tutti. Raggiungendo un certo grado di “globalizzazione”, abbiamo avuto successo soltanto nel globalizzare il collasso, il caos e l’infelicità. E’ un tipo di globalizzazione che nella nostra miope negligenza non avevamo mai considerato o previsto.

In questa crisi, anche una nazione come l’Australia non è niente di più che una dipendenza subordinata, neocoloniale, finanziaria ed economica. In buona sostanza, siamo regrediti a ciò che eravamo prima e durante la Grande Depressione degli anni ’30 quando Whitehall, Westminster e la Banca d’Inghilterra suonavano la musica che abbiamo ballato. Poi, dal 1945 al 1969, per la prima volta, abbiamo suonato la nostra musica, quella della crescita economica e della piena occupazione. I radicali più estremi come Eddie Ward, Ministro dei governi di John Curtin (1941-1945) e Ben Chifly (1945-1949) ci aveva avvisato di stare in guardia con Wall Street.

I cinici potrebbero dire ora che Eddie, morto nel 1963, aveva ragione. Dopo il 1969 abbiamo dimenticato il suo avvertimento. Per la verità, gli stessi Americani si sono dimenticati di stare in guardia dagli inganni, dai trucchi, di Wall Street, quando la parola d’ordine dovrebbe essere “vigilanza perenne”. Hanno dimenticato cosa può fare la mania di Wall Street alla realtà di Main Street; e noi abbiamo condiviso questa stessa amnesia.

Dal 1969 ed in particolare dal 1971, quando gli Stati Uniti hanno interrotto il collegamento tra dollaro e oro, l’Australia ha rinunciato ad ogni tipo di indipendenza nel suo pensiero economico e finanziario. Abbiamo inghiottito la formula finanziaria ed economica Americana, anche se eravamo accademici o politologi, imprenditori industriali, banche, o provider di servizi finanziari.

Non abbiamo spento completamente la musichetta suonata dall’Inghilterra, ancora di più quando il suo Primo Ministro Margaret Thatcher ha messo in piedi la farsa con il presidente statunitense Ronald Reagan per alimentare i supporti a “liberi” mercati, “libero” commercio, privatizzazione, globalizzazione e la libera circolazione di quasi tutto, incluso il capitale frutto di speculazione, nella ricerca inqualificabile del profitto personale.

L’ingordigia delle Corporiation e del consumatore marciavano quindi in armonia, di pari passo, andando incontro al disastro globale.

L’economia razionale basata sull’investimento reale, la produttività e la produzione sono morti per lasciare spazio alle ambizioni speculative, e spesso al metodo Ponzi [tipica truffa finanziaria, N.d.r.].

I mercanti cowboy dei titoli spazzatura (junk-bond) degli anni ’80 si sono trasformati in rispettabili e, per la maggior parte, giovani ed idolatrati maghi finanziari che hanno “perfezionato” e confezionato sistemi di credito molto complessi e sofisticati. A partire dagli anni ’90 questi strumenti molto potenti hanno preso la forma di derivati, “private-equity” [2], fondi hedge [fondi a rischio coperto che risiedono in paradisi fiscali, n.d.t.] e mortgage securities, abbreviati con l’acronimo CDOs (Collateralized Debt Obligations), SIVs (Structured Investment Vehicles), e via discorrendo.

Alleati dei mercati “liberi”, della deregulation a della libera circolazione di tutti i tipi di finanza, quei sistemi finanziari hanno distrutto industrie e l’occupazione che ne derivava. Con indifferenza disinvolta, hanno anche distrutto il lavoratore autonomo e la middle class che fino ad allora rappresentavano la tipica e robusta economia della libera impresa.

La loro non è stata la “distruzione creativa” di Joseph Schumpeter [economista austriaco del XX secolo, n.d.t.] ma una distruzione all’ingrosso della loro stessa economia e, alla fine, del loro stesso “sistema” finanziario. Hanno disintegrato i risparmi personali e creato un indebitamento di massa. Hanno eroso il potere e la sicurezza degli stessi Stati Uniti nel momento in cui hanno “esportato” stabilità e forza economica reale in altri Paesi, ed in modo particolare in Asia.

Le Tigri Asiatiche, la Cina e le altre, sono diventate dei veri e propri motori dell’economia, uno sviluppo che storicamente avrebbe richiesto generazioni. Il nostro scopo altamente credibile di un cambiamento pacifico attraverso lo sviluppo delle economie emergenti è stato distorto, fondamentalmente per negligenza involontaria, in autodistruzione finanziaria, economica e sociale. Il profilarsi minaccioso del collasso globale, unitamente alle incertezze poliche e strategiche, rappresentano il nostro inevitabile destino.

La speculativa Ponzi-mania ha preso piede specialmente nei Paesi Anglosassoni, e in modo minore in altri paesi sviluppati. L’Australia si è precipitata verso i “liberi” mercati, il “libero” commercio, la libera circolazione di valuta, la deregulation, la privatizzazione, la globalizzazione, i derivati, i fondi hedge, le private equity, i mutui selvaggi e il leverage-senza-limite come un’anatra si precipita verso l’acqua. Il consumismo si è incattivito. L’industria è stata sventrata. I debiti gonfiati. Il valore della valuta è precipitato, in patria e all’estero. Nonostante le importazione low-cost, l’inflazione prosperava. Nel 2008, il dollaro autraliano può forse comprare quanto in termini reali potevano comprare 10 centesimi nel 1969.

Una situazione in cui l’investimento reale pubblico e privato è stato sostituito da ownership investments, leverage massivo e finanza speculativa, in cui il consumo è aumentato e i debiti si espandono; una situazione del genere non poteva durare, o meglio, è durata sino a quando ancora più denaro è stato versato a sostenere l’insostenibile. Nel momento in cui il flusso è rallentato, o si è fermato, un collasso del tipo Ponzi è stato inevitabile.

Ma pochi l’hanno visto in questo modo. Con un po’ di ritardo, Warren Buffet [imprenditore statunitense, probabilmente l’uomo più ricco del mondo. N.d.t.] ha definito i derivati come armi di distruzione di massa; ma i più hanno considerato le strategie finanziarie come frutto di una “nuova era”. Rappresentavano un “nuovo paradigma”. Lontani dall’essere considerati una minaccia ad una crescita stabile all’interno di un sistema finanziario stabile, hanno “propagato, allargato il rischio” e reso tutti più sicuri e naturalmente più ricchi.

L’effetto ricchezza era una caratteristica particolare del residential mortgage business [indebitamento sostenibile residenziale, n.d.t.]. I fondi provenivano da molte nuove fonti bancarie e non, inclusi i fondi hedge e attività di private equity, così come i fondi pensione e fondi comuni di investimento. Tutte risorse che, per la loro dimensione, erano assolutamente nuove, proprio come il carry trade [pratica speculativa consistente nel prendere a prestito del denaro in paesi con tassi di interesse più bassi, per cambiarlo in valuta di paesi con un rendimento degli investimenti maggiore in modo sia da ripagare il debito contratto sia da ottenere un guadagno con la medesima operazione finanziaria, Wikipedia. N.d.T.]. Fondi immessi sul mercato all’ingrosso, e indebitamento al dettaglio. Il vincolo di responsabilità poteva essere spostato anche o soprattutto per debito nella più profonda accezione di subprime. I mortgage, inoltre, permettono a chi possiede una casa di aumentare i consumi attraverso il sistema dei Mortgage Equity Withdrawals (MEW), [in buona sostanza la possibilità di finanziare i consumi con la rinegoziazione dei mutui (www.borsamonitor.it) – N.d.T.]. In senso reale, i MEW erano sintomatici di moltitudini di individui – e in effetti di intere società – che vivevano al di sopra delle proprie possibilità. Tutto ciò ha dato il via a un processo di crescita che era allo stesso tempo irresistibile ed insostenibile.

Comunque, lo schema Ponzi potrebbe ancora riservare il suo colpo di grazia. Un commentatore ha attirato l’attenzione sulla “cattiva notizia del mercato dei derivati pari a 500 trilioni di dollari americani”. Cito: “Questa è un’area di cui le persone comuni non conoscono neanche l’esistenza. Pochi addetti ai lavori comprendono questo mercato. Non c’è regolamentazione e il governo lascia correre… e così ha fatto. Vi dovete aspettare il 5% dovuto a problemi di inadempienza, pari a 25 trilioni di dollari… Può creare istituioni insolventi in tutto il mondo… E’ la creazione della prima depressione globale. Il mondo non è pronto”.

Impreparati alla depressione

Anche l’Australia non è pronta. Il Primo Ministro Kevin Rudd ci ha detto a Marzo che le prospettive economiche australiane rimangono “solide, forti e buone”. La Reserve Bank australiana condivide questa visione. Misteriosamente, fanno eco alle parole che ebbe a dire nel 1929 il Presidente statunitense Herbert Hoover, immediatamente prima del disastro del mercato azionario di quello stesso anno.

La situazione australiana presenta aspetti positivi. I prezzi alti, si potrebbe sostenere, è facile che persistano, almeno nel breve periodo, sebbene in modo instabile. Un membro della banca centrale Islandese ha recentemente affermato che “i timori di uno scioglimento della mia patria sub-artica sono ampiamente artificiosi. In verità, l’anno scorso il current account deficit era il 16% del prodotto interno lordo (GDP), ma vi è stato un miglioramento dall’oltre 25% rilevato nel 2006. E mentre il debito netto del settore privato è di circa il 120% del GDP, virtualmente in Islanda non vi è debito pubblico. Questo è in larga parte il risultato di una ineguagliabile stabilità e continuità politica”.

La situazione australiana potrebbe non essere grave come quella Islandese; o indubbiamente grave come quella degli Stati Uniti o della Nuova Zelanda; ma ognuno di noi tre presenta aspetti negativi simili a quelli dell’Islanda.

Come tutti i boom di tali dimensioni e dall’aspetto speculativo, il boom australiano legato all’edilizia abitativa dovrà presto presentare il conto. Dal loro picco massimo, i prezzi potrebbero scendere dal 30 al 50%. Il ricercatore industriale BIS Shrapnel non è d’accordo; ma dobbiamo aspettarci che il nostro boom edilizio, anche più robusto di quello americano, collasserà sulle stesse linee generali della rovina che si sta verificando oggi negli Stati Uniti.

L’alta percentuale del “non potersi permettere una casa” della persona comune che cerca casa, che lo rende diverso dallo speculatore edilizio, suggerisce che il fallimento, la rovina, sarà brutale. Le proprietà immobiliari, i costruttori edili e le industrie associate verranno colpite in modo grave con un’enorme perdita di lavoro. Nel contempo, le opportunità di investimenti proficui da qualche altra parte potrebbero essere spariti con il collasso esteso dell’ “industria dei servizi finanziari” .

Quanto è ipotizzabile questo collasso? Fino ad oggi, nonostante alcune istituzioni finanziarie non-banking abbiano avuto la peggio, le quattro banche principali sembrano esserne largamente immuni. “La ripresa dell’economia australiana è ancora buona”, ha detto Rudd a New York la scorsa settimana. Ha aggiunto che l’Australia ha avuto “un’esposizione limitata” alle disgrazie dei subprime mortgage che sono esplose negli Stati Uniti nell’anno passato. “Le nostre principali aziende e anche le banche hanno eccellenti bilanci annuali… Secondo gli standard della Organization for Economic Cooperation and Development, in Australia il tasso di inadempienza è minuscolo”.

Non sappiamo quanto le banche e altri soggetti istituzionali potenzialmente esposti abbiamo nascosto i loro debiti, e fino a che punto, e quanto presto saranno obbligati a rivelare chissà quale brutta notizia. Contestualmente a quest’enorme domanda, non sappiamo neanche fino a che punto siano esposte a perdite dovute alla massiva ed ancora ampiamente misteriosa minaccia dei derivati.

In qualche misura, le più importanti banche australiane sono state coinvolte nell’ampia gamma dei titoli strutturati – CDO, SIV, ecc. Una relazione del 4 aprile 2008 che riportava che i local council del New South Wales hanno perso 200 milioni di dollari americani e forse fino a 400 milioni in investimenti in CDS, è un segno preoccupante; altre e forse maggiori perdite potrebbero ancora venire alla luce e coinvolgere tutta una serie di istituzioni, comprese le banche. Sembra poco credibile che un’economia che per così tanti anni ha assorbito così tanto della pratica e della teoria americana – così tanto del suo carattere – possa essere completamente immune dalle punizioni inflitte al modello americano.

La crisi del modello subprime ha colpito in prima battuta gli Stati Uniti in seguito ad un dietro front dell’edilizia residenziale, cominciato nel 2005-2006. Non si è ancora verificata in Australia una flessione dell’edilizia residenziale che possa essere definita inequivocabile; ma quei soggetti non bancari che normalmente concedono prestiti, stanno ritirando i soldi dal mercato. Chi concedeva prestiti su vasta scala stà chiudendo bottega, forse quale preludio ad un brusco declino dell’edilizia.

Il carry trade, che probabilmente ha fornito fondi per i mutui e altri servizi finanziari in Australia, per qualche tempo è stato variabile. Se dovesse fermarsi completamente, non solo potrebbe intensificare i problemi legati ai mutui (prestiti ipotecari), ma anche avere un impatto sui bilanci esterni dell’Australia. Fino ad ora il trend dei nostri deficit è stato quello di mantenersi ad un livello di salute minore rispetto a quanto il boom dei consumi possa averci incoraggiato a sperare. Si dice che l’ammontare del nostro debito complessivo estero sia nell’ordine di mezzo trilione di dollari. A fronte di un tale background, l’attuale deprezzamento del dollaro statunitense potrebbe far prevedere ciò che attende la nostra stessa valuta.

Impatto ritardato

Il cambiamento economico e finanziario degli Stati Uniti tende ad avere un impatto ritardato sull’Australia. Una seria consapevolezza della gravità della nostra crisi potrebbe quindi non emergere prima della seconda metà del 2008.

E quando accadrà, cosa farà il governo Rudd? Attualmente, l’impressione è che sia assolutamente ignaro della sfida che dovrà affrontare, proprio come è stato per il governo di James Sculling nel 1929. Di conseguenza, quando sarà il momento di agire, di fare qualcosa, l’attuale governo potrebbe ritrovarsi impreparato come Scullin e muoversi a tentoni ed in modo inefficace.

Negli anni ’30 avevamo ascoltato discorsi simili da parte di Otto Niemeyer del British Treasury, che era anche Direttore della Bank of England. Questa volta, il governo Rudd, presterà ascolto agli Americani e alle stese cose che dice Ben Bernanke, chairman della Federal Reserve Bank? Se non lo fanno, i risultati catastrofici potrebbero non essere pochi.

La nostra unica speranza reale risiede nel pensiero chiaro ed indipendente di coloro che non sono ancora troppo immersi nei meccanismi e nelle politiche corrotte che hanno portato alla nostra attuale crisi. Dobbiamo prendere atto in modo chiaro che è necessaria e imperativa una riforma economica e finanziaria che sia capitale e globale, che comprenda tutto. Dobbiamo adattare quella riforma fondamentale ai nostri bisogni, come fecero i governi di John Curtin e Ben Chifley tra il 1941 e il 1949. Come abbiamo fatto a quei tempi, dobbiamo nel contempo cercare di far uscire la comunità globale dal percorso calamitoso che ha preso piede dal 1969 per riportarla a quell’obiettivo di cambiamento globale pacifico e stabile che, tra il 1945 e il 1969, ha rappresentato il nostro scopo primario.

E mentre intraprendiamo questo viaggio, a Camberra non manca un alto livello di instabilità politica. Rudd potrebbe vincere, avere successo; ma il Labour Party ed il governo potrebbero dividersi in 2, 3 parti come fecero tra il 1929 e il 1932. Potrebbe emergere un altro Joe Lyons, Primo Ministro dal 1932 al 1939. Chiunque potrà essere, le differenze sono tali da far pensare che sarà ancora più difficile per lui trovare soluzioni facili o veloci di quanto non lo fu per Lyons durante i lunghi ed amari anni della depressione. Quegli anni terminarono soltanto nella tragedia ancor più profonda della Guerra Mondiale.

NOTE DEL TRADUTTORE

[1] Prestiti che vengono concessi ad un soggetto che non può accedere ai tassi di interesse di mercato, in quanto ha avuto problemi pregressi nella sua storia di debitore. I prestiti subprime sono rischiosi sia per i creditori sia per i debitori, vista la pericolosa combinazione di alti tassi di interesse, cattiva storia creditizia e situazioni finanziarie poco chiare, associate a coloro che hanno accesso a questo tipo di credito. […] La tipologia subprime comprende un'ampia varietà di strumenti di credito, quali i mutui subprime, i prestiti d'auto subprime, le carte di credito subprime. Wikipedia.

[2] Il private equity è un'attività finanziaria mediante la quale un investitore istituzionale rileva quote di una società sia acquisendo le azioni, che apportando nuovi capitali all'interno di una società (target). Gli investimenti in Private Equity raggruppano un ampio spettro di operazioni, in funzione sia della fase nel ciclo di vita aziendale che l'azienda target attraversa durante l'operazione di private equity, sia della tecnica di investimento usata.

James Cumes è stato Ambasciatore Australiano all’Unione europea e ha rappresentato l’Australia alle Nazioni Unite. Tra gli altri, è autore di: The Human Mirror: The Narcissistic Imperative in Human Behaviour.

Nessun commento: