13 giugno 2008

La super speculazione del Petrolio



Al New York Mercantile Exchange vengono scambiati ogni giorno contratti
futures per 850 milioni di barili, 10 volte la produzione giornaliera di
greggio (che ammonta a 85 milioni di barili). «E' una mega bolla, ma non è
detto che scoppierà tanto presto».

È sempre più difficile sostenere che l'impennata del prezzo del
petrolio non è dovuta in gran parte alla speculazione finanziaria,
soprattutto dopo il balzo di 10 dollari il barile registrato nella giornata
di venerdì.
Questi violenti movimenti, che hanno spinto il prezzo del greggio ad un
soffio dai 140 dollari il barile, sono la manifestazione inequivocabile
della bolla finanziaria che si è formata nel mercato delle materie prime e
dei prodotti alimentari. Alcune cifre confermano questa tesi.

Come ha scritto sul «Financial Times» Lord Desai, docente alla London School
of Economics, nello scorso mese di maggio, al New York Mercantile Exchange
sono stati scambiati ogni giorno contratti per circa 850 milioni di barili,
ossia un volume corrispondente a dieci volte la produzione giornaliera di
petrolio (che ammonta a 85 milioni di barili). Questi semplici dati
confermano che ha ragione il finanziere George Soros, il quale, in una
recente audizione davanti al Senato statunitense, ha dichiarato: «Ci sono
tutti i segnali di una bolla, ma non è detto che essa scoppierà tanto
presto».

I segnali di una bolla ci sono in effetti tutti. Il prezzo del petrolio è
più che raddoppiato negli ultimi 12 mesi ed è salito quest'anno dai 90
dollari il barile dello scorso mese di febbraio ai 139 dollari di venerdì
scorso.

Nell'economia reale non è successo nulla che possa giustificare un
incremento superiore al 9%. La domanda cinese ed indiana, additata spesso
come causa principe del rialzo del greggio, non ha subito negli ultimi
cinque mesi alcun balzo. Inoltre, la richiesta di greggio di Cina e di India
non influisce direttamente sulle quotazioni di breve termine del greggio,
poiché avviene fuori dal mercato, con contratti a lungo termine firmati con
i paesi esportatori.

Anche i termini dei problemi produttivi dei paesi esportatori di greggio non
sono cambiati negli ultimi mesi. Anzi, l'aneddotica indica - come ha
sottolineato «Il Sole 24 Ore» - che si moltiplicano le petroliere che vagano
per gli Oceani in cerca di attracchi, cioè di acquirenti, cui vendere a
sconto il loro carico di greggio.

Il problema è che i mercati a termine sui combustibili non obbediscono alle
leggi della domanda e dell'offerta, ma alle aspettative sul prezzo futuro. E
in questo mercato di carta si sono fiondate le istituzioni finanziarie, le
quali negli ultimi anni hanno investito 260 miliardi di dollari. È quindi
evidente che quando la Goldman Sachs, la banca di investimento più attiva in
questo mercato, prevede che entro la fine dell'anno il barile supererà i 200
dollari, non fa una previsione, ma in buona sostanza dice alla concorrenza
di continuare a scommettere sul rialzo del greggio.

Ciò induce a ritenere che la corsa del prezzo del petrolio potrebbe ancora
continuare e quindi decurtare ancor di più il reddito di famiglie ed
imprese. Non sorprende che si moltiplichino le proposte di trattare con gli
arabi, affinché aumentino la produzione; oppure di detassare il prezzo del
petrolio per calmare la rabbia crescente di consumatori, pescatori ed
autotrasportatori. È pure difficilmente spiegabile come non si reagisca a
questa corsa del greggio che sta intaccando la crescita di economie già
sotto stress a causa della crisi dei mutui subprime e che sta favorendo il
ritorno dell'inflazione.

Comunque è incomprensibile che rispetto alle numerose idee in circolazione
nessuna proposta miri ad aggredire la causa prima di questa enorme bolla
finanziaria attorno al prezzo del petrolio. Eppure basterebbe una regola
semplice per far cadere il castello costruito sul greggio dai «maghi della
carta straccia».

La regola è la seguente: coloro che comprano a termine il greggio devono
alla scadenza del contratto comprare il petrolio fisico e non possono più
evitare di farlo pagando una piccola compensazione monetaria, come invece
avviene oggi. In pratica, si tratterebbe di ripristinare le leggi dei
mercati a termine. Nessuno però sembra avere il coraggio di rovinare l'ultimo
giocattolo, che frutta ancora soldi, creato da Wall Street.
Così dopo la bolla delle borse, scoppiata all'inizio del decennio, e quella
del mercato immobiliare americano, esplosa l'anno scorso, ora abbiamo la
«mania» del petrolio. Anche questa bolla è certamente destinata prima o poi
a scoppiare, ma nel frattempo rischia di aggravare pesantemente le
condizioni di un'economia mondiale che già stenta a fare i conti con la
crisi dei mutui subprime.
di Alfonso Tuor

2 commenti:

Anonimo ha detto...

la storia del miliardo di barili scambiato in un singolo giorno al nymex è una bufala.
infatti come già ampiamente dibattuto su http://petrolio.blogosfere.it/2008/06/servizio-smentita-bufale-un-miliardo-di-barili-in-futures.html
il miliardo di barili (meno di due settimane di consumi mondiali, comunque) è relativo a tutti i contratti con scadenza da qui al 2016, mentre i contratti a scadenza luglio 2008 movimentano poco più di 100 milioni di barili. Altro che ondata speculativa!
ciao

Leon ha detto...

Bravo sbis, hai colto le sfumature.
Certe volte un giornalista finanziario mischia mele e pere e poi somma. Spero che il senso dell'articolo ti soddisfi . Poi, c'è il caso Londra. Ma, questo è un altro articolo.
Ad maiora
Leon

13 giugno 2008

La super speculazione del Petrolio



Al New York Mercantile Exchange vengono scambiati ogni giorno contratti
futures per 850 milioni di barili, 10 volte la produzione giornaliera di
greggio (che ammonta a 85 milioni di barili). «E' una mega bolla, ma non è
detto che scoppierà tanto presto».

È sempre più difficile sostenere che l'impennata del prezzo del
petrolio non è dovuta in gran parte alla speculazione finanziaria,
soprattutto dopo il balzo di 10 dollari il barile registrato nella giornata
di venerdì.
Questi violenti movimenti, che hanno spinto il prezzo del greggio ad un
soffio dai 140 dollari il barile, sono la manifestazione inequivocabile
della bolla finanziaria che si è formata nel mercato delle materie prime e
dei prodotti alimentari. Alcune cifre confermano questa tesi.

Come ha scritto sul «Financial Times» Lord Desai, docente alla London School
of Economics, nello scorso mese di maggio, al New York Mercantile Exchange
sono stati scambiati ogni giorno contratti per circa 850 milioni di barili,
ossia un volume corrispondente a dieci volte la produzione giornaliera di
petrolio (che ammonta a 85 milioni di barili). Questi semplici dati
confermano che ha ragione il finanziere George Soros, il quale, in una
recente audizione davanti al Senato statunitense, ha dichiarato: «Ci sono
tutti i segnali di una bolla, ma non è detto che essa scoppierà tanto
presto».

I segnali di una bolla ci sono in effetti tutti. Il prezzo del petrolio è
più che raddoppiato negli ultimi 12 mesi ed è salito quest'anno dai 90
dollari il barile dello scorso mese di febbraio ai 139 dollari di venerdì
scorso.

Nell'economia reale non è successo nulla che possa giustificare un
incremento superiore al 9%. La domanda cinese ed indiana, additata spesso
come causa principe del rialzo del greggio, non ha subito negli ultimi
cinque mesi alcun balzo. Inoltre, la richiesta di greggio di Cina e di India
non influisce direttamente sulle quotazioni di breve termine del greggio,
poiché avviene fuori dal mercato, con contratti a lungo termine firmati con
i paesi esportatori.

Anche i termini dei problemi produttivi dei paesi esportatori di greggio non
sono cambiati negli ultimi mesi. Anzi, l'aneddotica indica - come ha
sottolineato «Il Sole 24 Ore» - che si moltiplicano le petroliere che vagano
per gli Oceani in cerca di attracchi, cioè di acquirenti, cui vendere a
sconto il loro carico di greggio.

Il problema è che i mercati a termine sui combustibili non obbediscono alle
leggi della domanda e dell'offerta, ma alle aspettative sul prezzo futuro. E
in questo mercato di carta si sono fiondate le istituzioni finanziarie, le
quali negli ultimi anni hanno investito 260 miliardi di dollari. È quindi
evidente che quando la Goldman Sachs, la banca di investimento più attiva in
questo mercato, prevede che entro la fine dell'anno il barile supererà i 200
dollari, non fa una previsione, ma in buona sostanza dice alla concorrenza
di continuare a scommettere sul rialzo del greggio.

Ciò induce a ritenere che la corsa del prezzo del petrolio potrebbe ancora
continuare e quindi decurtare ancor di più il reddito di famiglie ed
imprese. Non sorprende che si moltiplichino le proposte di trattare con gli
arabi, affinché aumentino la produzione; oppure di detassare il prezzo del
petrolio per calmare la rabbia crescente di consumatori, pescatori ed
autotrasportatori. È pure difficilmente spiegabile come non si reagisca a
questa corsa del greggio che sta intaccando la crescita di economie già
sotto stress a causa della crisi dei mutui subprime e che sta favorendo il
ritorno dell'inflazione.

Comunque è incomprensibile che rispetto alle numerose idee in circolazione
nessuna proposta miri ad aggredire la causa prima di questa enorme bolla
finanziaria attorno al prezzo del petrolio. Eppure basterebbe una regola
semplice per far cadere il castello costruito sul greggio dai «maghi della
carta straccia».

La regola è la seguente: coloro che comprano a termine il greggio devono
alla scadenza del contratto comprare il petrolio fisico e non possono più
evitare di farlo pagando una piccola compensazione monetaria, come invece
avviene oggi. In pratica, si tratterebbe di ripristinare le leggi dei
mercati a termine. Nessuno però sembra avere il coraggio di rovinare l'ultimo
giocattolo, che frutta ancora soldi, creato da Wall Street.
Così dopo la bolla delle borse, scoppiata all'inizio del decennio, e quella
del mercato immobiliare americano, esplosa l'anno scorso, ora abbiamo la
«mania» del petrolio. Anche questa bolla è certamente destinata prima o poi
a scoppiare, ma nel frattempo rischia di aggravare pesantemente le
condizioni di un'economia mondiale che già stenta a fare i conti con la
crisi dei mutui subprime.
di Alfonso Tuor

2 commenti:

Anonimo ha detto...

la storia del miliardo di barili scambiato in un singolo giorno al nymex è una bufala.
infatti come già ampiamente dibattuto su http://petrolio.blogosfere.it/2008/06/servizio-smentita-bufale-un-miliardo-di-barili-in-futures.html
il miliardo di barili (meno di due settimane di consumi mondiali, comunque) è relativo a tutti i contratti con scadenza da qui al 2016, mentre i contratti a scadenza luglio 2008 movimentano poco più di 100 milioni di barili. Altro che ondata speculativa!
ciao

Leon ha detto...

Bravo sbis, hai colto le sfumature.
Certe volte un giornalista finanziario mischia mele e pere e poi somma. Spero che il senso dell'articolo ti soddisfi . Poi, c'è il caso Londra. Ma, questo è un altro articolo.
Ad maiora
Leon