26 luglio 2008

I giudici del fisco


Tempo è potere. E loro lo sanno bene. Gestiscono un potere immenso: possono far sparire le tasse. O meglio, possono cancellare le multe inflitte a chi evade il fisco. Si chiamano commissioni tributarie, termine ignoto ai più ma citato con venerazione da professionisti, commercianti e imprenditori: per il popolo delle partite Iva sono delle divinità. E non solo per loro: hanno in mano fascicoli da milioni di euro. Ma questi cinquemila giudici delle tasse, chiamati a pronunciarsi sulle bastonate inflitte dalla Guardia di finanza e dagli ispettori delle Entrate, non sono nemmeno tutti magistrati. Nelle corti dei tributi le toghe sono una minoranza, il resto sono docenti, commercialisti, avvocati, ragionieri e qualche volta persino architetti. Professionisti chiamati a pronunciarsi sul lavoro di loro colleghi: un paradosso nell'Italia del nero dilagante. La differenza tra le multe milionarie inflitte agli evasori e gli importi spesso magri realmente incassati e soprattutto l'età geologica che trascorre dalla sanzione al versamento dipendono da loro. Perché per loro decidere le controversie fiscali è un secondo lavoro o addirittura un terzo. Volete una cifra? L'arretrato è di circa 593 mila ricorsi pendenti al dicembre 2006: se anche si trattasse di duemila euro a fascicolo - nessuno fa ricorso per cifre inferiori - si potrebbe stimare che siedano su un tesoro potenziale da un miliardo. Ma c'è chi stima in oltre 5.000 milioni il valore del contenzioso chiuso nei loro cassetti. Niente male per le finanze statali in crisi: bisognerebbe imporre ritmi serrati per fare cassa. Magari recuperando anche i 44 miliardi accertati agli evasori e iscritti a ruolo e di cui nel 2007 l'amministrazione finanziaria è riuscita a riscuotere solo il 7 per cento (circa 3 miliardi).



Tasse ingolfate

Invece la produttività delle commissioni è in calo. In appello, per esempio, si passa dalle dodici pratiche trattate in ogni udienza nel 2000 a solo otto nel 2005. Mentre il tempo fa svanire per decorrenza pile di multe e dissolve il recupero dei bottini in nero. E altre cause si accumulano: nel 2005 ne vengono presentate 300 mila. Le corti si impegnano, ne affrontano 364 mila: un ottimo risultato, che elimina un decimo dell'arretrato. Ma quando si passa dalla quantità alla qualità, la situazione cambia. Anzitutto emerge una corsa al ricorso, sperando in esiti migliori. Davanti alle commissioni provinciali, dove si impugnano le multe più sostanziose, nel 2005 i ricorsi sono stati 255 mila: ottantamila in più rispetto all'anno precedente. In questo caso, i procedimenti chiusi non riescono a intaccare l'arretrato. E quando si cerca di capire le cause di questa lentezza, spuntano spiegazioni sorprendenti. Udienze saltate a Imperia perché il 'giudice' Eugenio Donato è andato a Modena per gli impegni assunti "in quanto presidente della fondazione Orchestra sinfonica di Sanremo"; o a Bologna dove Paolo Angeli, avvocato e 'giudice' emiliano, attribuisce la sua defaillance alla "necessità di studio gravoso di un procedimento penale". Se poi alle agende fitte dei commissari si aggiungono i ritardi nel deposito delle sentenze si comprende perché lo Stato fatica nella lotta all'evasione. Un processo tributario dura mediamente 766 giorni: è un giudizio che si fa sulle carte, un ricorso rispetto alle decisioni già prese. Ma c'è chi ci mette molto di più. Il giudice Giovanni Scalese di Latina che solo nel 2004-2005 ha mancato di consegnare 141 sentenze. O il collega Nicolino Tamilia, commercialista, che giustifica le dimenticanze nelle sentenze con l'angoscia per "un problema economico legato a un investimento sbagliato".



'L'espresso' per la prima volta ha messo il naso nelle anomalie della giustizia tributaria, un settore che da anni si vuole riformare. Oggi è facile trovare storie di commissari che sfruttano la carica per fare favori o che sembrano dedicare a questa attività solo briciole di tempo, come se si trattasse di un hobby. In tutto sono cinquemila, che rivendicano la parificazione con i magistrati 'veri'. Ma la verità, visto "il livello scarso di preparazione culturale di alcuni giudici che ancora non riescono a scrivere una sentenza in modo decente", come sostiene Salvatore Paracampo, presidente della commissione tributaria regionale Puglia, "è che ci vorrebbe un giudice tributario togato". Magari con maggiori verifiche sulle attività delle commissioni "così come avviene nella magistratura ordinaria". E se si scartabellano i verbali del Consiglio di presidenza, l'organo di autogoverno della categoria, si comprende l'urgenza di questi controlli sui controllori fiscali più importanti.

Giudice ma imputato


A differenza dei riflettori sempre accesi sui magistrati ordinari o amministrativi, dei giudici tributari si conosce pochissimo. Anche degli scandali passati al vaglio del Consiglio di presidenza (11 membri di cui 4 di nomina parlamentare), che li esamina con grande calma. Una storia esemplare è quella di Vittorio



Metta, l'ex magistrato della corte di appello di Roma. Nel 1996 Metta finisce sotto inchiesta con l'accusa di corruzione per avere venduto a Berlusconi la sentenza del Lodo Mondadori. Tre anni dopo viene rinviato a giudizio, ma lui può ancora giudicare le tasse degli altri: solo nel 2003 (quando subisce la prima condanna a 13 anni di carcere) viene sospeso dall'incarico, mentre per la radiazione bisogna aspettare addirittura il marzo 2008. E Metta non è l'unico giudice-imputato. L'avvocato Paolo Valeri, della commissione regionale (ctr) Emilia Romagna, è finito in carcere a Cuba dove è stato condannato a 7 anni per induzione alla prostituzione minorile; Franco Nobili (Livorno), condannato a 4 mesi di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici per corruzione in atti giudiziari; Tullio Steno (Trieste), denunciato per evasione fiscale; Ercole Navarra ( Roma), finito agli arresti domiciliari per il fallimento del Perugia calcio di Luciano Gaucci, società della quale era sindaco. Felicia Genovese, pm della direzione antimafia di Potenza e vicepresidente della Commissione Basilicata, indagata nell'inchiesta 'toghe lucane'. E l'elenco potrebbe continuare.

Casta Fiscale
I magistrati tributari sbarcano anche in Parlamento come Felice Belisario, avvocato potentino, capogruppo dell'Idv al Senato, o Donatella Ferranti, giudice presso la ctr Lazio, eletta deputata del Pd. Per non parlare di Giacomo Caliendo che è appena diventato sottosegretario alla Giustizia. La carica è infatti molto ambita tra i dipendenti pubblici, sia per il trattamento economico (tra compenso fisso e quello variabile legato al numero delle sentenze definite si può arrivare a 72 mila euro l'anno) che per il prestigio che comporta. Per diventarlo non è necessario superare concorsi: basta dare la propria disponibilità e non aver riportato condanne per delitti non colposi e reati tributari. La scelta si basa sui titoli: vengono arruolati docenti universitari, avvocati, notai, ragionieri, commercialisti; ufficiali della Guardia di finanza in congedo; ex avvocati dello Stato; ma soprattutto magistrati ordinari, amministrativi o militari in servizio o a riposo, ai quali toccano le presidenze delle commissioni. I nomi illustri reclutati sono tantissimi: in passato Francesco Saverio Borrelli, il procuratore di Milano, che è stato presidente di sezione alla commissione Lombardia; mentre tra quelli in carica spiccano Giovanni Tinebra, procuratore generale a Catania e presidente della commissione della stessa città, e Bruno Tinti, procuratore aggiunto a Torino. Sulla base dei titoli presentati è il Consiglio di presidenza a stilare le graduatorie d'ingresso che permettono al presidente della Repubblica di emettere i decreti di nomina. Si presta il giuramento e si entra in carica, senza limiti di scadenza se non quello dei 75 anni di età.

Ci sono magistrati che per decenni hanno unito la guida della procura penale e quella della commissione tributaria: un doppio potere, che diventa schiacciante nelle piccole città di provincia. L'appeal della poltrona invece non è così forte per professionisti di fama che possono ben guadagnare con i loro studi: per questo c'è un buco mostruoso nell'organico, con quasi tremila commissari in meno registrati nel 2005. In Lombardia ne mancano 450, in Piemonte 300, in Liguria metà dell'organico è sguarnito.

Le regole
Ci sono ferree norme per garantire moralità, terzietà e soprattutto evitare casi di incompatibilità: non si può essere parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali; dipendenti dell'amministrazione finanziaria, membri della Guardia di finanza. Ma, soprattutto, l'accesso è vietato a coloro che esercitano consulenza tributaria, assistenza e rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l'amministrazione finanziaria o nei processi tributari. E, ancora, a coniugi o parenti fino al secondo grado di coloro che sono iscritti negli albi professionali nella sede della commissione o che esercitano la professione dinanzi alla stessa. In questi casi è prevista la decadenza dall'incarico (nel 2006 ne sono state decretate otto). Una cosa seria, insomma. Se le regole venissero rispettate.

Affari loro
'L'espresso' ha scoperto che molti giudici delle norme se ne infischiano. E ci provano: sfruttando la carica per rimpinguare la clientela dei loro studi privati di commercialisti o avvocati. Emblematico il caso dell'avvocato Gaetano Dell'Acqua (decaduto), della commissione di Roma. Nell'aprile 2007 è stata l'agenzia delle Entrate a presentare un esposto al Consiglio di presidenza con la copia di un ricorso indirizzato alla commissione romana in cui il contribuente dichiara di "essere elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell'avvocato Gaetano Dell'Acqua, difeso e rappresentato dagli avvocati Giuseppe Dell'Acqua e Barbara Sabatino". Chi sono costoro? Il padre del giudice e un altro avvocato che lavora nello studio. Allegata all'esposto c'è anche copia della sentenza che ha deciso la vertenza. Come? Ovviamente, a favore del protettissimo contribuente. Anche Gian Paolo Porcu (decaduto pure lui) è stato pizzicato dall'Agenzia delle entrate. Commercialista e titolare di uno studio, Porcu è risultato sindaco di ben 10 società. Ma, soprattutto, mentre lui emetteva sentenze, nei suoi uffici svolgeva consulenza tributaria la ragioniera Maria Louise Pinna. A lei Porcu aveva girato alcune società: Sella e Mosca, Agrisarda, eccetera. E non solo: Pinna faceva anche assistenza dei contribuenti dinanzi alle commissione di Cagliari, la stessa di cui Porcu era vicepresidente. In più, elargiva al giudice "continui ed elevati compensi".

Procedimento di decadenza anche per Vittorino Tedde, della ctr Sardegna, sezione di Sassari. Pure a suo carico è arrivata una segnalazione delle Entrate: rivela che Tedde è un commercialista che cura fallimenti; che è rappresentante di una società estera con contenzioso tributario in Italia: che nello studio Tedde svolge attività il commercialista Lisi che riceve compensi da Tedde. Come si difende il giudice? Ribattendo di essere oggetto di inquisizione da parte dell'Agenzia delle entrate perché nella sua sezione "l'esito negativo dei ricorsi per l'amministrazione sarebbe di numero più elevato rispetto ad altre sezioni della commissione". Clamoroso poi il caso di Antonino Arizia, che in qualità di presidente della commissione di Messina nel gennaio 2005 ha emesso sentenza favorevole nei confronti della Loma srl della quale nel gennaio 2006 è poi diventato procuratore generale.

Gli sfacciati
Un lavoraccio, insomma, quello del Consiglio di presidenza davanti a tanti giudici che cercano in ogni modo di aggirare le regole. Stefano Pantezzi, avvocato e presidente della commissione di Trento, è risultato firmatario di tre ricorsi contro cartelle esattoriali: assegnati a due sezioni diverse, "come difensore dei ricorrenti Pantezzi è intervenuto in entrambe le camere di consiglio". Poi ci sono i casi di incompatibilità per le attività vietate ma sfacciatamente svolte dai familiari. Qualche perla: il giudice Orlando Navarra (Aosta) ha la moglie, Manuela Ghillino, avvocato, che fa assistenza tributaria in commissione; Giuseppina Potestà (Sicilia) ha sia il marito Francesco Grande che il figlio Antonio (commercialista) che esercitano assistenza fiscale e giurisdizionale a Ragusa: Aldo Paci ( Palermo), segnalato nel 2007 dall'allora direttore delle Entrate Massimo Romano, perché titolare dello 'studio legale associato Paci' con la moglie tributarista, le cui cause vengono discusse dalla stessa commissione di Palermo.

In questa palude, per la verità, c'è anche qualche presidente che prova a fare rispettare le regole. È il caso di Aldo Scola, consigliere di Stato e presidente della ctr Emilia Romagna che nel 2005 ha denunciato al Consiglio di presidenza e alla magistratura due casi clamorosi. Il primo riguarda Vitaliano Brasini, giudice a Forlì, che era riuscito a partecipare ad appena 18 udienze in circa dieci anni. La seconda addirittura il procuratore della Repubblica di Ferrara, Severino Messina, presidente di commissione nella stessa città. Scola ha accusato Messina di avere tenuto "un comportamento lesivo dell'immagine e del decoro della funzione di presidente di una commissione": un comportamento che si è concretizzato in assenze dalle udienze che avrebbe dovuto presiedere e in un consistente danno erariale avendo pure Messina continuato a percepire il compenso fisso mensile. Da esperto magistrato Messina si è ben difeso ed è a ancora saldamente in carica. Il caso Serpico
Alcuni sembrano essere dei serial killer del conflitto di interessi. Come Graziano Serpico, commercialista di Nola. Il suo è un caso da manuale: nel maggio 2000 decade da giudice tributario di Napoli per incompatibilità. La ragione? Lui stesso, nel 1999, aveva ammesso di svolgere attività in campo fiscale. Fine della storia? Cacciato nel 2000 a Serpico è riuscito il miracolo di farsi rinominare a Napoli dopo aver vinto un nuovo 'concorso'. Solo che nel 2007 l'Agenzia delle entrate ha segnalato di nuovo le sue irregolarità: è risultato depositario di scritture contabili di 11 società e presidente del collegio sindacale della Nusco Porte di Nola, società con una vertenza fiscale in corso. Piccole storie? No, milioni e milioni di euro di multe. Anni di indagini delle Fiamme Gialle e degli ispettori delle Entrate. Che si perdono così nel nulla.

Stato masochista
Il campione di illeciti apre la strada a cattivi pensieri. Perché lo Stato perde così spesso nei ricorsi? Sì. Fisco e Finanza vengono sconfitti in primo grado nel 57 per cento dei casi, risultato che si ripete in appello. Una pagina nera con punte scandalose in alcune commissioni provinciali (vedere tabella a pag. 55). Ma i giudici tributari accusano: è colpa dell'amministrazione finanziaria che cura male le cause. Recita la relazione 2006 del Consiglio di presidenza al ministro dell'Economia: "La difesa dell'amministrazione appare carente o insufficente. Sembrano frequenti i casi in cui non si costituisce in giudizio o non compare in udienza". Sei multe su dieci vengono cancellate, altre si dissolvono per decorrenza, altre ancora vengono incassate dopo anni. Ed ecco perché la lotta all'evasione resta solo uno slogan. In attesa di una delle tante riforme che tutti ritengono indispensabile ma che non arriva mai.

di Primo di Nicola

ha collaborato Chiara Andreola

Nessun commento:

26 luglio 2008

I giudici del fisco


Tempo è potere. E loro lo sanno bene. Gestiscono un potere immenso: possono far sparire le tasse. O meglio, possono cancellare le multe inflitte a chi evade il fisco. Si chiamano commissioni tributarie, termine ignoto ai più ma citato con venerazione da professionisti, commercianti e imprenditori: per il popolo delle partite Iva sono delle divinità. E non solo per loro: hanno in mano fascicoli da milioni di euro. Ma questi cinquemila giudici delle tasse, chiamati a pronunciarsi sulle bastonate inflitte dalla Guardia di finanza e dagli ispettori delle Entrate, non sono nemmeno tutti magistrati. Nelle corti dei tributi le toghe sono una minoranza, il resto sono docenti, commercialisti, avvocati, ragionieri e qualche volta persino architetti. Professionisti chiamati a pronunciarsi sul lavoro di loro colleghi: un paradosso nell'Italia del nero dilagante. La differenza tra le multe milionarie inflitte agli evasori e gli importi spesso magri realmente incassati e soprattutto l'età geologica che trascorre dalla sanzione al versamento dipendono da loro. Perché per loro decidere le controversie fiscali è un secondo lavoro o addirittura un terzo. Volete una cifra? L'arretrato è di circa 593 mila ricorsi pendenti al dicembre 2006: se anche si trattasse di duemila euro a fascicolo - nessuno fa ricorso per cifre inferiori - si potrebbe stimare che siedano su un tesoro potenziale da un miliardo. Ma c'è chi stima in oltre 5.000 milioni il valore del contenzioso chiuso nei loro cassetti. Niente male per le finanze statali in crisi: bisognerebbe imporre ritmi serrati per fare cassa. Magari recuperando anche i 44 miliardi accertati agli evasori e iscritti a ruolo e di cui nel 2007 l'amministrazione finanziaria è riuscita a riscuotere solo il 7 per cento (circa 3 miliardi).



Tasse ingolfate

Invece la produttività delle commissioni è in calo. In appello, per esempio, si passa dalle dodici pratiche trattate in ogni udienza nel 2000 a solo otto nel 2005. Mentre il tempo fa svanire per decorrenza pile di multe e dissolve il recupero dei bottini in nero. E altre cause si accumulano: nel 2005 ne vengono presentate 300 mila. Le corti si impegnano, ne affrontano 364 mila: un ottimo risultato, che elimina un decimo dell'arretrato. Ma quando si passa dalla quantità alla qualità, la situazione cambia. Anzitutto emerge una corsa al ricorso, sperando in esiti migliori. Davanti alle commissioni provinciali, dove si impugnano le multe più sostanziose, nel 2005 i ricorsi sono stati 255 mila: ottantamila in più rispetto all'anno precedente. In questo caso, i procedimenti chiusi non riescono a intaccare l'arretrato. E quando si cerca di capire le cause di questa lentezza, spuntano spiegazioni sorprendenti. Udienze saltate a Imperia perché il 'giudice' Eugenio Donato è andato a Modena per gli impegni assunti "in quanto presidente della fondazione Orchestra sinfonica di Sanremo"; o a Bologna dove Paolo Angeli, avvocato e 'giudice' emiliano, attribuisce la sua defaillance alla "necessità di studio gravoso di un procedimento penale". Se poi alle agende fitte dei commissari si aggiungono i ritardi nel deposito delle sentenze si comprende perché lo Stato fatica nella lotta all'evasione. Un processo tributario dura mediamente 766 giorni: è un giudizio che si fa sulle carte, un ricorso rispetto alle decisioni già prese. Ma c'è chi ci mette molto di più. Il giudice Giovanni Scalese di Latina che solo nel 2004-2005 ha mancato di consegnare 141 sentenze. O il collega Nicolino Tamilia, commercialista, che giustifica le dimenticanze nelle sentenze con l'angoscia per "un problema economico legato a un investimento sbagliato".



'L'espresso' per la prima volta ha messo il naso nelle anomalie della giustizia tributaria, un settore che da anni si vuole riformare. Oggi è facile trovare storie di commissari che sfruttano la carica per fare favori o che sembrano dedicare a questa attività solo briciole di tempo, come se si trattasse di un hobby. In tutto sono cinquemila, che rivendicano la parificazione con i magistrati 'veri'. Ma la verità, visto "il livello scarso di preparazione culturale di alcuni giudici che ancora non riescono a scrivere una sentenza in modo decente", come sostiene Salvatore Paracampo, presidente della commissione tributaria regionale Puglia, "è che ci vorrebbe un giudice tributario togato". Magari con maggiori verifiche sulle attività delle commissioni "così come avviene nella magistratura ordinaria". E se si scartabellano i verbali del Consiglio di presidenza, l'organo di autogoverno della categoria, si comprende l'urgenza di questi controlli sui controllori fiscali più importanti.

Giudice ma imputato


A differenza dei riflettori sempre accesi sui magistrati ordinari o amministrativi, dei giudici tributari si conosce pochissimo. Anche degli scandali passati al vaglio del Consiglio di presidenza (11 membri di cui 4 di nomina parlamentare), che li esamina con grande calma. Una storia esemplare è quella di Vittorio



Metta, l'ex magistrato della corte di appello di Roma. Nel 1996 Metta finisce sotto inchiesta con l'accusa di corruzione per avere venduto a Berlusconi la sentenza del Lodo Mondadori. Tre anni dopo viene rinviato a giudizio, ma lui può ancora giudicare le tasse degli altri: solo nel 2003 (quando subisce la prima condanna a 13 anni di carcere) viene sospeso dall'incarico, mentre per la radiazione bisogna aspettare addirittura il marzo 2008. E Metta non è l'unico giudice-imputato. L'avvocato Paolo Valeri, della commissione regionale (ctr) Emilia Romagna, è finito in carcere a Cuba dove è stato condannato a 7 anni per induzione alla prostituzione minorile; Franco Nobili (Livorno), condannato a 4 mesi di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici per corruzione in atti giudiziari; Tullio Steno (Trieste), denunciato per evasione fiscale; Ercole Navarra ( Roma), finito agli arresti domiciliari per il fallimento del Perugia calcio di Luciano Gaucci, società della quale era sindaco. Felicia Genovese, pm della direzione antimafia di Potenza e vicepresidente della Commissione Basilicata, indagata nell'inchiesta 'toghe lucane'. E l'elenco potrebbe continuare.

Casta Fiscale
I magistrati tributari sbarcano anche in Parlamento come Felice Belisario, avvocato potentino, capogruppo dell'Idv al Senato, o Donatella Ferranti, giudice presso la ctr Lazio, eletta deputata del Pd. Per non parlare di Giacomo Caliendo che è appena diventato sottosegretario alla Giustizia. La carica è infatti molto ambita tra i dipendenti pubblici, sia per il trattamento economico (tra compenso fisso e quello variabile legato al numero delle sentenze definite si può arrivare a 72 mila euro l'anno) che per il prestigio che comporta. Per diventarlo non è necessario superare concorsi: basta dare la propria disponibilità e non aver riportato condanne per delitti non colposi e reati tributari. La scelta si basa sui titoli: vengono arruolati docenti universitari, avvocati, notai, ragionieri, commercialisti; ufficiali della Guardia di finanza in congedo; ex avvocati dello Stato; ma soprattutto magistrati ordinari, amministrativi o militari in servizio o a riposo, ai quali toccano le presidenze delle commissioni. I nomi illustri reclutati sono tantissimi: in passato Francesco Saverio Borrelli, il procuratore di Milano, che è stato presidente di sezione alla commissione Lombardia; mentre tra quelli in carica spiccano Giovanni Tinebra, procuratore generale a Catania e presidente della commissione della stessa città, e Bruno Tinti, procuratore aggiunto a Torino. Sulla base dei titoli presentati è il Consiglio di presidenza a stilare le graduatorie d'ingresso che permettono al presidente della Repubblica di emettere i decreti di nomina. Si presta il giuramento e si entra in carica, senza limiti di scadenza se non quello dei 75 anni di età.

Ci sono magistrati che per decenni hanno unito la guida della procura penale e quella della commissione tributaria: un doppio potere, che diventa schiacciante nelle piccole città di provincia. L'appeal della poltrona invece non è così forte per professionisti di fama che possono ben guadagnare con i loro studi: per questo c'è un buco mostruoso nell'organico, con quasi tremila commissari in meno registrati nel 2005. In Lombardia ne mancano 450, in Piemonte 300, in Liguria metà dell'organico è sguarnito.

Le regole
Ci sono ferree norme per garantire moralità, terzietà e soprattutto evitare casi di incompatibilità: non si può essere parlamentari, consiglieri regionali, provinciali e comunali; dipendenti dell'amministrazione finanziaria, membri della Guardia di finanza. Ma, soprattutto, l'accesso è vietato a coloro che esercitano consulenza tributaria, assistenza e rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l'amministrazione finanziaria o nei processi tributari. E, ancora, a coniugi o parenti fino al secondo grado di coloro che sono iscritti negli albi professionali nella sede della commissione o che esercitano la professione dinanzi alla stessa. In questi casi è prevista la decadenza dall'incarico (nel 2006 ne sono state decretate otto). Una cosa seria, insomma. Se le regole venissero rispettate.

Affari loro
'L'espresso' ha scoperto che molti giudici delle norme se ne infischiano. E ci provano: sfruttando la carica per rimpinguare la clientela dei loro studi privati di commercialisti o avvocati. Emblematico il caso dell'avvocato Gaetano Dell'Acqua (decaduto), della commissione di Roma. Nell'aprile 2007 è stata l'agenzia delle Entrate a presentare un esposto al Consiglio di presidenza con la copia di un ricorso indirizzato alla commissione romana in cui il contribuente dichiara di "essere elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell'avvocato Gaetano Dell'Acqua, difeso e rappresentato dagli avvocati Giuseppe Dell'Acqua e Barbara Sabatino". Chi sono costoro? Il padre del giudice e un altro avvocato che lavora nello studio. Allegata all'esposto c'è anche copia della sentenza che ha deciso la vertenza. Come? Ovviamente, a favore del protettissimo contribuente. Anche Gian Paolo Porcu (decaduto pure lui) è stato pizzicato dall'Agenzia delle entrate. Commercialista e titolare di uno studio, Porcu è risultato sindaco di ben 10 società. Ma, soprattutto, mentre lui emetteva sentenze, nei suoi uffici svolgeva consulenza tributaria la ragioniera Maria Louise Pinna. A lei Porcu aveva girato alcune società: Sella e Mosca, Agrisarda, eccetera. E non solo: Pinna faceva anche assistenza dei contribuenti dinanzi alle commissione di Cagliari, la stessa di cui Porcu era vicepresidente. In più, elargiva al giudice "continui ed elevati compensi".

Procedimento di decadenza anche per Vittorino Tedde, della ctr Sardegna, sezione di Sassari. Pure a suo carico è arrivata una segnalazione delle Entrate: rivela che Tedde è un commercialista che cura fallimenti; che è rappresentante di una società estera con contenzioso tributario in Italia: che nello studio Tedde svolge attività il commercialista Lisi che riceve compensi da Tedde. Come si difende il giudice? Ribattendo di essere oggetto di inquisizione da parte dell'Agenzia delle entrate perché nella sua sezione "l'esito negativo dei ricorsi per l'amministrazione sarebbe di numero più elevato rispetto ad altre sezioni della commissione". Clamoroso poi il caso di Antonino Arizia, che in qualità di presidente della commissione di Messina nel gennaio 2005 ha emesso sentenza favorevole nei confronti della Loma srl della quale nel gennaio 2006 è poi diventato procuratore generale.

Gli sfacciati
Un lavoraccio, insomma, quello del Consiglio di presidenza davanti a tanti giudici che cercano in ogni modo di aggirare le regole. Stefano Pantezzi, avvocato e presidente della commissione di Trento, è risultato firmatario di tre ricorsi contro cartelle esattoriali: assegnati a due sezioni diverse, "come difensore dei ricorrenti Pantezzi è intervenuto in entrambe le camere di consiglio". Poi ci sono i casi di incompatibilità per le attività vietate ma sfacciatamente svolte dai familiari. Qualche perla: il giudice Orlando Navarra (Aosta) ha la moglie, Manuela Ghillino, avvocato, che fa assistenza tributaria in commissione; Giuseppina Potestà (Sicilia) ha sia il marito Francesco Grande che il figlio Antonio (commercialista) che esercitano assistenza fiscale e giurisdizionale a Ragusa: Aldo Paci ( Palermo), segnalato nel 2007 dall'allora direttore delle Entrate Massimo Romano, perché titolare dello 'studio legale associato Paci' con la moglie tributarista, le cui cause vengono discusse dalla stessa commissione di Palermo.

In questa palude, per la verità, c'è anche qualche presidente che prova a fare rispettare le regole. È il caso di Aldo Scola, consigliere di Stato e presidente della ctr Emilia Romagna che nel 2005 ha denunciato al Consiglio di presidenza e alla magistratura due casi clamorosi. Il primo riguarda Vitaliano Brasini, giudice a Forlì, che era riuscito a partecipare ad appena 18 udienze in circa dieci anni. La seconda addirittura il procuratore della Repubblica di Ferrara, Severino Messina, presidente di commissione nella stessa città. Scola ha accusato Messina di avere tenuto "un comportamento lesivo dell'immagine e del decoro della funzione di presidente di una commissione": un comportamento che si è concretizzato in assenze dalle udienze che avrebbe dovuto presiedere e in un consistente danno erariale avendo pure Messina continuato a percepire il compenso fisso mensile. Da esperto magistrato Messina si è ben difeso ed è a ancora saldamente in carica. Il caso Serpico
Alcuni sembrano essere dei serial killer del conflitto di interessi. Come Graziano Serpico, commercialista di Nola. Il suo è un caso da manuale: nel maggio 2000 decade da giudice tributario di Napoli per incompatibilità. La ragione? Lui stesso, nel 1999, aveva ammesso di svolgere attività in campo fiscale. Fine della storia? Cacciato nel 2000 a Serpico è riuscito il miracolo di farsi rinominare a Napoli dopo aver vinto un nuovo 'concorso'. Solo che nel 2007 l'Agenzia delle entrate ha segnalato di nuovo le sue irregolarità: è risultato depositario di scritture contabili di 11 società e presidente del collegio sindacale della Nusco Porte di Nola, società con una vertenza fiscale in corso. Piccole storie? No, milioni e milioni di euro di multe. Anni di indagini delle Fiamme Gialle e degli ispettori delle Entrate. Che si perdono così nel nulla.

Stato masochista
Il campione di illeciti apre la strada a cattivi pensieri. Perché lo Stato perde così spesso nei ricorsi? Sì. Fisco e Finanza vengono sconfitti in primo grado nel 57 per cento dei casi, risultato che si ripete in appello. Una pagina nera con punte scandalose in alcune commissioni provinciali (vedere tabella a pag. 55). Ma i giudici tributari accusano: è colpa dell'amministrazione finanziaria che cura male le cause. Recita la relazione 2006 del Consiglio di presidenza al ministro dell'Economia: "La difesa dell'amministrazione appare carente o insufficente. Sembrano frequenti i casi in cui non si costituisce in giudizio o non compare in udienza". Sei multe su dieci vengono cancellate, altre si dissolvono per decorrenza, altre ancora vengono incassate dopo anni. Ed ecco perché la lotta all'evasione resta solo uno slogan. In attesa di una delle tante riforme che tutti ritengono indispensabile ma che non arriva mai.

di Primo di Nicola

ha collaborato Chiara Andreola

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