14 luglio 2008

Tutti i segnali della crisi


Quanto detto da Maria Turchetto sull'origine dell’impennata generalizzata dei prezzi - che ha spinto la BCE ad optare per un ulteriore incremento dei tassi di uno 0,25% - comprova il gioco a “nascondino” fatto dai banchieri centrali europei e dai loro “parasubordinati” nostrani (come il governatore della Banca d’Italia Draghi) i quali stanno occultando, ai popoli del continente, le reali responsabilità della crisi in atto.


La maggior parte dei provvedimenti adottati dalla Bce sono soluzioni di comodo e di puro galleggiamento, volte a coprire le spalle ai saprofiti bancari che, a causa delle innumerevoli scorribande speculative degli ultimi anni, hanno provocato lo squilibrio di tutto il sistema finanziario. L’attestazione lapalissiana di tale stato di fatto sta nel grado di sospetto che le stesse banche nutrono tra loro, tanto che hanno praticamente smesso di prestarsi i soldi, nonostante si affannino a richiamare gli “altri” alla tranquillità e alla certezza che il peggio sarebbe finalmente passato. L’indice che testimonia della malafede delle banche (se tra consimili c’è inequivocabile sfiducia non vedo perché noi dovremmo essere più disposti alla credenza!) è il tasso interbancario (cioè il tasso al quale queste sono disposte a prestarsi denaro reciprocamente), vero e proprio termometro dello stato di salute della finanza che, in questo periodo, fa segnare costantemente una “febbre” da liquidità.


Se il tasso interbancario continua a salire significa che gli operatori del settore hanno ben presente la portata della crisi. Ciò implica che le dichiarazioni rilasciate dagli esperti per rassicurare le piazze - ampiamente supportati nelle loro menzogne dal coro pappagallesco degli organismi europei e nazionali (appunto Bce e Banche centrali nazionali) - non trovano riscontro nei comportamenti effettivi che le banche intrattengono tra loro. Di fatti, il tasso interbancario in Europa (Euribor) ha raggiunto un livello di discrepanza con i tassi ufficiali, come non si vedeva da 10 anni a questa parte. Con il tasso portato dalla BCE al 4,25% l’Euribor è schizzato al 5,39%, con un differenziale dell’1,14%. Se si tiene conto che, in periodi di “normalità” finanziaria, questo gap non va oltre lo 0,3%-0,5%, si comprende bene su quale bomba ad orologeria le banche sanno di essere sedute.


Ma i nostri illustri Trichet e Draghi continuano a ribadire che la preoccupazione principale riguarda l’inflazione e la crescita dei salari, nel tenativo maldestro di aggirare le questioni strutturali dalle quali la crisi prende corpo.


Lorsignori sono stati capaci di cambiare idea nel giro di qualche giorno (prima Draghi, si era detto certo che la crisi dei mutui avesse ormai raggiunto il suo picco salvo affermare, qualche giorno appresso, che la situazione sui mercati finanziari era invece “improvvisamente” peggiorata) facendo crescere i sospetti sulla validità degli strumenti di cui si servono per tamponare l’emorragia in corso. Verrebbe da dire “ci sono o ci fanno”? Ormai anche l’uomo comune percepisce che vi è una navigazione a vista di fronte a tali problemi, ma non dobbiamo farci trarre in inganno. L'ipotesi più valida e realistica resta quella del “depistaggio”, con l’obiettivo di favorire quelle banche (quasi tutte) che hanno operato disinvoltamente con i subprime e con le scommesse sul rialzo dei prezzi del petrolio e dei beni alimentari. In questo gioco al raggiro, i banchieri si fanno assistere dalle classi politiche nazionali, le quali non perdono occasione per approvare i discorsi arzigogolati dei fantomatici tecnici. Così il provvedimento più scontato da prendere (quello di scuola, tanto per intenderci), era proprio l’innalzamento dei tassi, la qual cosa non avrà però alcun effetto sull’inflazione, come enuncia giustamente la Turchetto, essendo la stessa non determinata dalla domanda superiore all’offerta o dalla ricorsa prezzi-salari (dando valore anche a ciò che diceva Marx, ovvero che il più delle volte l’aumentare del salario è una conseguenza del rialzo del prezzo delle merci e non viceversa, Il Capitale Libro II, sez. II).


Ma il continuo innalzamento dei tassi provocherà ben altri disagi e questi cominciano a stagliarsi all’orizzonte sotto forma di stagflazione (economia che non cresce e consumi che si riducono); in altri termini siamo in presenza di un pericolo totalmente opposto a quello spacciato da Trichet & compagnia europea.


Qualcuno ipotizza che un nuovo ’29 sia ormai alle porte poiché sussisterebbe una coincidenza, di non poco conto, tra i fattori economici che scatenarono quella crisi ed elementi in ballo in quella attuale.


Nel ’29 il crollo improvviso dell’economia americana (nonchè delle principali economie europee) fu determinato, come affermato da Galbraith (Il Grande crollo), dalla concomitanza di cinque cause di debolezza strutturale: distribuzione del reddito, struttura del sistema finanziario, struttura del sistema bancario, eccesso di speculazione, decisioni inadeguate di politica economica. Senza entrare nella specificità di ognuno di questi fattori, possiamo dire che, anche ora, si tratta di quelli maggiormente implicati nella crisi, con l’aggravio dell’aumento dei prezzi del petrolio e dei cereali. I paesi produttori continuano a ripetere che la produzione del greggio non può essere spinta oltre i livelli raggiunti e che, comunque, questa copre abbondantemente la domanda. Peraltro, la speculazione non sembra arrestarsi e il gigante energetico Gazprom prevede che, a questi ritmi, presto il barile arriverà a toccare i 250 dollari. Se le cose stanno realmente come avanzato vuol dire che è la speculazione il vero dato sul quale bisogna intervenire con una certa urgenza. Tremonti pare averlo capito, i suoi amici del governo molto meno, visto che già si premurano di attenuare la portata della Robin Tax (con la scusa che i petrolieri finirebbero per scaricare gli aggravi economici sui consumatori finali).


Stessa cosa per i cereali. La volatilità dei prezzi delle commodities agroalimentari, dipende, in gran parte, dall’incremento della domanda per i biocarburanti. Più cresce il prezzo del petrolio più aumenta quello dei cereali per produrre bioetanolo a fini palliativi. Il problema è che i cereali sono destinati anche all’alimentazione umana e animale. Per il 2008 la produzione cerealicola mondiale raggiungerà 2.168 milioni di tonnellate ma meno di 1000 milioni saranno destinati ad uso alimentare. Avremo forse un pianeta con meno emissioni di CO2, tuttavia il pane ci costerà maledettamente caro.


La morale della storia è che qualcuno ci sta fregando per coprire gli alti profitti degli speculatori. Che fanno le classi politiche europee di fronte a tutto ciò? Parlano di astrazioni economiche pur di non prendere decisioni di maggiore impatto. Ma badate che quelle analizzate sono solo le motivazioni superficiali della crisi. Sotto di essa covano problemi sistemici che riguardano non solo l'impianto generale dell’economia internazionale, quanto il cambiamento dei rapporti di forza (che generano instabilità) a livello delle differenti aree del pianeta. Non dimentichiamo che dalla crisi del 1929 si uscì grazie alla guerra e all’emersione di una nuova potenza mondiale.


di G. Petrosillo

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14 luglio 2008

Tutti i segnali della crisi


Quanto detto da Maria Turchetto sull'origine dell’impennata generalizzata dei prezzi - che ha spinto la BCE ad optare per un ulteriore incremento dei tassi di uno 0,25% - comprova il gioco a “nascondino” fatto dai banchieri centrali europei e dai loro “parasubordinati” nostrani (come il governatore della Banca d’Italia Draghi) i quali stanno occultando, ai popoli del continente, le reali responsabilità della crisi in atto.


La maggior parte dei provvedimenti adottati dalla Bce sono soluzioni di comodo e di puro galleggiamento, volte a coprire le spalle ai saprofiti bancari che, a causa delle innumerevoli scorribande speculative degli ultimi anni, hanno provocato lo squilibrio di tutto il sistema finanziario. L’attestazione lapalissiana di tale stato di fatto sta nel grado di sospetto che le stesse banche nutrono tra loro, tanto che hanno praticamente smesso di prestarsi i soldi, nonostante si affannino a richiamare gli “altri” alla tranquillità e alla certezza che il peggio sarebbe finalmente passato. L’indice che testimonia della malafede delle banche (se tra consimili c’è inequivocabile sfiducia non vedo perché noi dovremmo essere più disposti alla credenza!) è il tasso interbancario (cioè il tasso al quale queste sono disposte a prestarsi denaro reciprocamente), vero e proprio termometro dello stato di salute della finanza che, in questo periodo, fa segnare costantemente una “febbre” da liquidità.


Se il tasso interbancario continua a salire significa che gli operatori del settore hanno ben presente la portata della crisi. Ciò implica che le dichiarazioni rilasciate dagli esperti per rassicurare le piazze - ampiamente supportati nelle loro menzogne dal coro pappagallesco degli organismi europei e nazionali (appunto Bce e Banche centrali nazionali) - non trovano riscontro nei comportamenti effettivi che le banche intrattengono tra loro. Di fatti, il tasso interbancario in Europa (Euribor) ha raggiunto un livello di discrepanza con i tassi ufficiali, come non si vedeva da 10 anni a questa parte. Con il tasso portato dalla BCE al 4,25% l’Euribor è schizzato al 5,39%, con un differenziale dell’1,14%. Se si tiene conto che, in periodi di “normalità” finanziaria, questo gap non va oltre lo 0,3%-0,5%, si comprende bene su quale bomba ad orologeria le banche sanno di essere sedute.


Ma i nostri illustri Trichet e Draghi continuano a ribadire che la preoccupazione principale riguarda l’inflazione e la crescita dei salari, nel tenativo maldestro di aggirare le questioni strutturali dalle quali la crisi prende corpo.


Lorsignori sono stati capaci di cambiare idea nel giro di qualche giorno (prima Draghi, si era detto certo che la crisi dei mutui avesse ormai raggiunto il suo picco salvo affermare, qualche giorno appresso, che la situazione sui mercati finanziari era invece “improvvisamente” peggiorata) facendo crescere i sospetti sulla validità degli strumenti di cui si servono per tamponare l’emorragia in corso. Verrebbe da dire “ci sono o ci fanno”? Ormai anche l’uomo comune percepisce che vi è una navigazione a vista di fronte a tali problemi, ma non dobbiamo farci trarre in inganno. L'ipotesi più valida e realistica resta quella del “depistaggio”, con l’obiettivo di favorire quelle banche (quasi tutte) che hanno operato disinvoltamente con i subprime e con le scommesse sul rialzo dei prezzi del petrolio e dei beni alimentari. In questo gioco al raggiro, i banchieri si fanno assistere dalle classi politiche nazionali, le quali non perdono occasione per approvare i discorsi arzigogolati dei fantomatici tecnici. Così il provvedimento più scontato da prendere (quello di scuola, tanto per intenderci), era proprio l’innalzamento dei tassi, la qual cosa non avrà però alcun effetto sull’inflazione, come enuncia giustamente la Turchetto, essendo la stessa non determinata dalla domanda superiore all’offerta o dalla ricorsa prezzi-salari (dando valore anche a ciò che diceva Marx, ovvero che il più delle volte l’aumentare del salario è una conseguenza del rialzo del prezzo delle merci e non viceversa, Il Capitale Libro II, sez. II).


Ma il continuo innalzamento dei tassi provocherà ben altri disagi e questi cominciano a stagliarsi all’orizzonte sotto forma di stagflazione (economia che non cresce e consumi che si riducono); in altri termini siamo in presenza di un pericolo totalmente opposto a quello spacciato da Trichet & compagnia europea.


Qualcuno ipotizza che un nuovo ’29 sia ormai alle porte poiché sussisterebbe una coincidenza, di non poco conto, tra i fattori economici che scatenarono quella crisi ed elementi in ballo in quella attuale.


Nel ’29 il crollo improvviso dell’economia americana (nonchè delle principali economie europee) fu determinato, come affermato da Galbraith (Il Grande crollo), dalla concomitanza di cinque cause di debolezza strutturale: distribuzione del reddito, struttura del sistema finanziario, struttura del sistema bancario, eccesso di speculazione, decisioni inadeguate di politica economica. Senza entrare nella specificità di ognuno di questi fattori, possiamo dire che, anche ora, si tratta di quelli maggiormente implicati nella crisi, con l’aggravio dell’aumento dei prezzi del petrolio e dei cereali. I paesi produttori continuano a ripetere che la produzione del greggio non può essere spinta oltre i livelli raggiunti e che, comunque, questa copre abbondantemente la domanda. Peraltro, la speculazione non sembra arrestarsi e il gigante energetico Gazprom prevede che, a questi ritmi, presto il barile arriverà a toccare i 250 dollari. Se le cose stanno realmente come avanzato vuol dire che è la speculazione il vero dato sul quale bisogna intervenire con una certa urgenza. Tremonti pare averlo capito, i suoi amici del governo molto meno, visto che già si premurano di attenuare la portata della Robin Tax (con la scusa che i petrolieri finirebbero per scaricare gli aggravi economici sui consumatori finali).


Stessa cosa per i cereali. La volatilità dei prezzi delle commodities agroalimentari, dipende, in gran parte, dall’incremento della domanda per i biocarburanti. Più cresce il prezzo del petrolio più aumenta quello dei cereali per produrre bioetanolo a fini palliativi. Il problema è che i cereali sono destinati anche all’alimentazione umana e animale. Per il 2008 la produzione cerealicola mondiale raggiungerà 2.168 milioni di tonnellate ma meno di 1000 milioni saranno destinati ad uso alimentare. Avremo forse un pianeta con meno emissioni di CO2, tuttavia il pane ci costerà maledettamente caro.


La morale della storia è che qualcuno ci sta fregando per coprire gli alti profitti degli speculatori. Che fanno le classi politiche europee di fronte a tutto ciò? Parlano di astrazioni economiche pur di non prendere decisioni di maggiore impatto. Ma badate che quelle analizzate sono solo le motivazioni superficiali della crisi. Sotto di essa covano problemi sistemici che riguardano non solo l'impianto generale dell’economia internazionale, quanto il cambiamento dei rapporti di forza (che generano instabilità) a livello delle differenti aree del pianeta. Non dimentichiamo che dalla crisi del 1929 si uscì grazie alla guerra e all’emersione di una nuova potenza mondiale.


di G. Petrosillo

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