11 maggio 2008

I PIRATI DELLA SPAZZATURA


Un articolo un po scomodo. Uno schiaffo alla nuova generazione di consumatori. Un sistema entrato in un vortice in moto perpetuo? Almeno per definizione è impossibile. Ma come se ne esce?

La crisi dei rifiuti nel napoletano sconvolge l’Italia e le agghiaccianti eco si fanno sentire anche all’estero e Berlusconi decide di governare da Napoli tre volte la settimana fino alla risoluzione della crisi. All’estero qualcuno mormora che il governo non tornerà mai più a Roma perché le pile dei rifiuti nascondono l’ennesimo racket miliardario del crimine organizzato. E probabilmente hanno ragione, ma la gestione dei rifiuti in Europa e nel mondo non è cosi limpida come si crede.

Quanti consumatori del mercato globale sanno che dai cellulari vecchi alle batterie scariche, i nostri rifiuti tossici finiscono nelle discariche del mondo, e cioè i paesi poveri, contaminandone l’ambiente? Quanti sanno che si tratta di un’ attività illegale, un business multimiliardario che coinvolge tutti i paesi industrializzati? Chi fisicamente gestisce questo disgustoso commercio è una nuova generazione di fuorilegge della globalizzazione: i pirati della spazzatura.

I paesi ricchi hanno detto no ai rifiuti ‘scomodi’, quelli che contamino l’ambiente, e la globalizzazione gli ha permesso di liberarsene facilmente. I motivi sono due: costo e ambiente. Seguendo le direttive dell’Unione Europea decontaminare e disporre dei residui tossici viene a costare più di 1,000 dollari alla tonnellata, i pirati della spazzatura offrono prezzi di un decimo più bassi incluso il trasporto fuori dai confini nazionali. Ecco spiegato perché il 47 per cento delle scorie europee, cioè quello tossico, come i rifiuti elettronici, dai vecchi computer ai macchinari ospedalieri, viene per la quasi totalità spedito per mare ai paesi in via di sviluppo, spesso a bordo di navi sospette, navi pirate.
Per sfuggire ai controlli, le navi pirata spazzatura usano bandiere di comodo, che spesso cambiano durante la rotta. Sebbene il diritto internazionale specifichi che il paese a cui appartiene la bandiera di una nave è responsabile del controllo delle sue attività, alcuni stati permettono ai bastimenti di usare la loro bandiera per poche centinaia o migliaia di dollari, ignorando ogni reato commesso. Tra questi c’e’ la Sierra Leone, in mano ai signori della guerra, ma anche l’Uzbekistan, nazione priva di sbocco al mare.
Il business dei rifiuti tossici è globale. Secondo l’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, la produzione annua mondiale di rifiuti elettronici va dai 20 ai 50 milioni di tonnellate. Questo materiale tossico viene diviso in rifiuti riciclabili e non riciclabili. I primi partono per l’India e la Cina dove vengono venduti all’asta ai nascenti capitalisti asiatici, i secondi finiscono nelle mani dei pirati della spazzatura.

La pirateria moderna ha tutte le caratteristiche della pirateria classica, quindi ha poco a che fare con l’immagine contemporanea e romanzata dei pirati. Dimenticate i film di cassetta come I pirati dei Caraibi e pensate invece al modello della criminalità organizzata globalizzata che opera a livello mondiale ed applicatelo al mare, che copre l’80 per cento della superficie della terra, dove regna l’anarchia. Nell’ultimo decennio, la pirateria sui mari è cresciuta del 168 per cento e gli attacchi sono sempre più violenti, ammonisce la commissione trasporti del Parlamento britannico nel luglio del 2006. E il rapporto sulla pirateria arriva proprio dopo due attacchi a navi britanniche che trasportano aiuti per le vittime dello tsunami in Indonesia. Ma è il business della spazzatura tossica che dall’inizio degli anni ’90 cresce a ritmi mai visti prima d’ora. Le moderne Tortughe sono ubicate nel Baltico e nel Mar della Cina. Il racket della pirateria del Baltico e del Mare del Nord è gestito dalla mafia russa, che ha assunto il controllo del mercato dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La criminalità organizzata si impossessa della flotta mercantile sovietica e comincia a razziare i mari dal porto di Murmansk, il vecchio fiore all’occhiello della flotta mercantile sovietica. Murmansk apparteneva alla Northern Sea Route (la rotta marina nordica), un’autostrada commerciale di circa 5000 chilometri che dal Baltico si spingeva fino alle miniere di nichel di Norilsk. Al suo apice, nel 1987, oltre sette milioni di tonnellate di merci transitavano nelle sue acque gelide. Oggi Murmansk ospita i fuorilegge dei mari del nord.

I pirati della spazzatura del ventunesimo secolo navigano tutti i mari. A parte i russi, la maggior parte opera nello Stretto di Malacca, un corridoio di 800 chilometri che separa l’Indonesia dalla Malesia (dove si verifica il 42 per cento degli attacchi dei pirati nel mondo), nel Mare Arabico, nella Cina meridionale e in Africa occidentale. I pirati moderni dispongono delle tecnologie più sofisticate. “Un’imbarcazione pirata catturata [nel 1999] in Indonesia era attrezzata con falsi timbri d’immigrazione, strumenti per contraffare i documenti delle navi, sofisticati sistemi radar e attrezzature per le comunicazioni e la localizzazione satellitari,” si legge in uno dei rapporti dell’Organizzazione Marittima Internazionale (OMI). Le loro basi si trovano prevalentemente lungo le coste del Mare della Cina meridionale. Soprattutto, i pirati moderni sono imprenditori dediti al commercio internazionale di merce rubata, con un guadagno di circa 16 miliardi di dollari l’anno, ed alla discarica dei rifiuti tossici.

Uno dei migliori clienti è il Giappone che detiene il record dell’esportazione di materiale tossico in Asia. Le destinazioni più frequenti sono la Tailandia, l’India, la Cina ed Hong Kong. Nel 2006, i pirati della spazzapura cinesi hanno gettato a mare 195 milioni di kili di polvere tossica lungo le coste della Tailandia ed esportato illegalmente in Cina 400 tonnellate di materiale tossico giapponese proveniente da ospedali, impianti chimici ed elettronici.
Ma è l’Africa la destinazione più popolare dei rifiuti scomodi dei paesi ricchi. L’organizzazione non governativa Basel Action Network rivela che il 75 per cento del materiale elettronico che arriva in Nigeria non può essere riciclato e diventa agente inquinante. La Somalia riceve regolarmente tonnellate di rifiuti elettronici e radioattivi. Spesso, approfittando dell’assenza di un governo centrale, i pirati della spazzatura riversano in mare i loro carichi letali: alcuni sono riemersi dopo lo tsunami del dicembre 2005 e hanno provocato un’ondata ipocrita di pubblico sconcerto.

Da un’indagine del Times di Londra emerge che tra quei rifiuti ci sono scorie di uranio radioattivo, cadmio, mercurio e piombo ed anche materiale chimico, industriale ed ospedaliero altamente tossico proveniente dall’Europa. La spedizione, si pena, risale al 1992, quando una gruppo di società europee assolda la società svizzera la Archair Partners e l’italiana Progresso, ambedue specializzate nell’esportazione di spazzatura scomoda. Tra il 1997 ed il 1998, il settimanale Famiglia Cristiana e la sezione italiana di Greenpeace denunciano l’accaduto in una serie di articoli. Greenpeace riesce persino ad impossessarsi della copia dell’accordo firmato dall’allora presidente Ali Mahdi Mohamed dove accettava 10 milioni di tonnellate di rifiuti tossici in cambio di 80 milioni di dollari. Cio’ equivale a circa 8 dollari la tonnellata contro un costo di riciclaggio e smantellamento in Europa di 1.000 dollari la tonnellata.

L’Africa è la pattumiera del mondo perché è il continente più povero, ed i poveri hanno fame. Negli anni novanta, carne radioattiva proveniente dall’ex Unione Sovietica viene seppellita in Zambia dopo che la popolazione ne aveva mangiata una parte. Affamata, la gente la riesumò. Nel 2000 la Zambia riceve in “dono” dei barattoli di carne contaminata dalla Cecoslovacchia. Dopo la scoperta, i 2.880 barattoli vengono seppelliti a 3,5 metri sottoterra e coperti con una colata di cemento nel villaggio di Chongwe, a est della capitale Lusaka. Da allora, gli abitanti affamati hanno fatto di tutto pur di arrivare alla carne. Due anni dopo un giornale belga Gazet van Antwerpen rende noto che alla fine sono riusciti a riesumarla e l’hanno mangiata.

La crisi dei rifiuti del napoletano è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno canaglia globale di cui noi, i consumatori ricchi del villaggio globale. Siamo gli inconsapevoli soci in affari.

Loretta Napoleoni
Fonte: www.nazioneindiana.com

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11 maggio 2008

I PIRATI DELLA SPAZZATURA


Un articolo un po scomodo. Uno schiaffo alla nuova generazione di consumatori. Un sistema entrato in un vortice in moto perpetuo? Almeno per definizione è impossibile. Ma come se ne esce?

La crisi dei rifiuti nel napoletano sconvolge l’Italia e le agghiaccianti eco si fanno sentire anche all’estero e Berlusconi decide di governare da Napoli tre volte la settimana fino alla risoluzione della crisi. All’estero qualcuno mormora che il governo non tornerà mai più a Roma perché le pile dei rifiuti nascondono l’ennesimo racket miliardario del crimine organizzato. E probabilmente hanno ragione, ma la gestione dei rifiuti in Europa e nel mondo non è cosi limpida come si crede.

Quanti consumatori del mercato globale sanno che dai cellulari vecchi alle batterie scariche, i nostri rifiuti tossici finiscono nelle discariche del mondo, e cioè i paesi poveri, contaminandone l’ambiente? Quanti sanno che si tratta di un’ attività illegale, un business multimiliardario che coinvolge tutti i paesi industrializzati? Chi fisicamente gestisce questo disgustoso commercio è una nuova generazione di fuorilegge della globalizzazione: i pirati della spazzatura.

I paesi ricchi hanno detto no ai rifiuti ‘scomodi’, quelli che contamino l’ambiente, e la globalizzazione gli ha permesso di liberarsene facilmente. I motivi sono due: costo e ambiente. Seguendo le direttive dell’Unione Europea decontaminare e disporre dei residui tossici viene a costare più di 1,000 dollari alla tonnellata, i pirati della spazzatura offrono prezzi di un decimo più bassi incluso il trasporto fuori dai confini nazionali. Ecco spiegato perché il 47 per cento delle scorie europee, cioè quello tossico, come i rifiuti elettronici, dai vecchi computer ai macchinari ospedalieri, viene per la quasi totalità spedito per mare ai paesi in via di sviluppo, spesso a bordo di navi sospette, navi pirate.
Per sfuggire ai controlli, le navi pirata spazzatura usano bandiere di comodo, che spesso cambiano durante la rotta. Sebbene il diritto internazionale specifichi che il paese a cui appartiene la bandiera di una nave è responsabile del controllo delle sue attività, alcuni stati permettono ai bastimenti di usare la loro bandiera per poche centinaia o migliaia di dollari, ignorando ogni reato commesso. Tra questi c’e’ la Sierra Leone, in mano ai signori della guerra, ma anche l’Uzbekistan, nazione priva di sbocco al mare.
Il business dei rifiuti tossici è globale. Secondo l’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, la produzione annua mondiale di rifiuti elettronici va dai 20 ai 50 milioni di tonnellate. Questo materiale tossico viene diviso in rifiuti riciclabili e non riciclabili. I primi partono per l’India e la Cina dove vengono venduti all’asta ai nascenti capitalisti asiatici, i secondi finiscono nelle mani dei pirati della spazzatura.

La pirateria moderna ha tutte le caratteristiche della pirateria classica, quindi ha poco a che fare con l’immagine contemporanea e romanzata dei pirati. Dimenticate i film di cassetta come I pirati dei Caraibi e pensate invece al modello della criminalità organizzata globalizzata che opera a livello mondiale ed applicatelo al mare, che copre l’80 per cento della superficie della terra, dove regna l’anarchia. Nell’ultimo decennio, la pirateria sui mari è cresciuta del 168 per cento e gli attacchi sono sempre più violenti, ammonisce la commissione trasporti del Parlamento britannico nel luglio del 2006. E il rapporto sulla pirateria arriva proprio dopo due attacchi a navi britanniche che trasportano aiuti per le vittime dello tsunami in Indonesia. Ma è il business della spazzatura tossica che dall’inizio degli anni ’90 cresce a ritmi mai visti prima d’ora. Le moderne Tortughe sono ubicate nel Baltico e nel Mar della Cina. Il racket della pirateria del Baltico e del Mare del Nord è gestito dalla mafia russa, che ha assunto il controllo del mercato dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La criminalità organizzata si impossessa della flotta mercantile sovietica e comincia a razziare i mari dal porto di Murmansk, il vecchio fiore all’occhiello della flotta mercantile sovietica. Murmansk apparteneva alla Northern Sea Route (la rotta marina nordica), un’autostrada commerciale di circa 5000 chilometri che dal Baltico si spingeva fino alle miniere di nichel di Norilsk. Al suo apice, nel 1987, oltre sette milioni di tonnellate di merci transitavano nelle sue acque gelide. Oggi Murmansk ospita i fuorilegge dei mari del nord.

I pirati della spazzatura del ventunesimo secolo navigano tutti i mari. A parte i russi, la maggior parte opera nello Stretto di Malacca, un corridoio di 800 chilometri che separa l’Indonesia dalla Malesia (dove si verifica il 42 per cento degli attacchi dei pirati nel mondo), nel Mare Arabico, nella Cina meridionale e in Africa occidentale. I pirati moderni dispongono delle tecnologie più sofisticate. “Un’imbarcazione pirata catturata [nel 1999] in Indonesia era attrezzata con falsi timbri d’immigrazione, strumenti per contraffare i documenti delle navi, sofisticati sistemi radar e attrezzature per le comunicazioni e la localizzazione satellitari,” si legge in uno dei rapporti dell’Organizzazione Marittima Internazionale (OMI). Le loro basi si trovano prevalentemente lungo le coste del Mare della Cina meridionale. Soprattutto, i pirati moderni sono imprenditori dediti al commercio internazionale di merce rubata, con un guadagno di circa 16 miliardi di dollari l’anno, ed alla discarica dei rifiuti tossici.

Uno dei migliori clienti è il Giappone che detiene il record dell’esportazione di materiale tossico in Asia. Le destinazioni più frequenti sono la Tailandia, l’India, la Cina ed Hong Kong. Nel 2006, i pirati della spazzapura cinesi hanno gettato a mare 195 milioni di kili di polvere tossica lungo le coste della Tailandia ed esportato illegalmente in Cina 400 tonnellate di materiale tossico giapponese proveniente da ospedali, impianti chimici ed elettronici.
Ma è l’Africa la destinazione più popolare dei rifiuti scomodi dei paesi ricchi. L’organizzazione non governativa Basel Action Network rivela che il 75 per cento del materiale elettronico che arriva in Nigeria non può essere riciclato e diventa agente inquinante. La Somalia riceve regolarmente tonnellate di rifiuti elettronici e radioattivi. Spesso, approfittando dell’assenza di un governo centrale, i pirati della spazzatura riversano in mare i loro carichi letali: alcuni sono riemersi dopo lo tsunami del dicembre 2005 e hanno provocato un’ondata ipocrita di pubblico sconcerto.

Da un’indagine del Times di Londra emerge che tra quei rifiuti ci sono scorie di uranio radioattivo, cadmio, mercurio e piombo ed anche materiale chimico, industriale ed ospedaliero altamente tossico proveniente dall’Europa. La spedizione, si pena, risale al 1992, quando una gruppo di società europee assolda la società svizzera la Archair Partners e l’italiana Progresso, ambedue specializzate nell’esportazione di spazzatura scomoda. Tra il 1997 ed il 1998, il settimanale Famiglia Cristiana e la sezione italiana di Greenpeace denunciano l’accaduto in una serie di articoli. Greenpeace riesce persino ad impossessarsi della copia dell’accordo firmato dall’allora presidente Ali Mahdi Mohamed dove accettava 10 milioni di tonnellate di rifiuti tossici in cambio di 80 milioni di dollari. Cio’ equivale a circa 8 dollari la tonnellata contro un costo di riciclaggio e smantellamento in Europa di 1.000 dollari la tonnellata.

L’Africa è la pattumiera del mondo perché è il continente più povero, ed i poveri hanno fame. Negli anni novanta, carne radioattiva proveniente dall’ex Unione Sovietica viene seppellita in Zambia dopo che la popolazione ne aveva mangiata una parte. Affamata, la gente la riesumò. Nel 2000 la Zambia riceve in “dono” dei barattoli di carne contaminata dalla Cecoslovacchia. Dopo la scoperta, i 2.880 barattoli vengono seppelliti a 3,5 metri sottoterra e coperti con una colata di cemento nel villaggio di Chongwe, a est della capitale Lusaka. Da allora, gli abitanti affamati hanno fatto di tutto pur di arrivare alla carne. Due anni dopo un giornale belga Gazet van Antwerpen rende noto che alla fine sono riusciti a riesumarla e l’hanno mangiata.

La crisi dei rifiuti del napoletano è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno canaglia globale di cui noi, i consumatori ricchi del villaggio globale. Siamo gli inconsapevoli soci in affari.

Loretta Napoleoni
Fonte: www.nazioneindiana.com

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