31 maggio 2008

Lo Stato di Israele sempre in pericolo?


Lo spirito di sopravvivenza, il più forte che uccide il più debole. Una spirale ancestrale che si ripete da molti anni.
Il popolo ebraico è sempre in pericolo e la sua sopravvivenza è condizionata da quella dello Stato d’Israele. Su questa base, questo Stato può intraprendere qualsiasi cosa, affrancandosi dalle regole morali, sino a quando lo giudichi necessario per la sopravvivenza del popolo ebraico.Quindi, «l’argomento della Shoah» dispensa lo lo Stato d’Israele dal rispettare il diritto internazionale.



Poche persone non convengono con il fatto che tutti i dirigenti ebraici, tutte le organizzazioni ebraiche, tutte le comunità ebraiche, e tutti i singoli ebrei hanno il dovere di assumersi la continuità del popolo ebraico. Ma, in un mondo dove l’esistenza nel lungo periodo dello Stato d’Israele è lontana dall’essere garantita, l’imperativo di esistere dà luogo, inevitabilmente, a domande difficili.

La principale è la seguente: quando la sopravvivenza del polopolo ebraico entra in conflitto con la morale del popolo ebraico, la sua esistenza vale la candela, o anche, questa esistenza è possibile?

L’esistenza fisica, tenderei ad arguire, ha la precedenza. L’esistenza fisica è necessariamente un preambolo, per quanto morale una società aspiri ad essere.

Israele, in quanto Stato ebraico, è minacciato da pericoli manifesti, sia interni che esterni. E’ molto verosimile che il crollo d’Israele o la sua perdita d’identità ebraica, avrebbe come conseguenza lo scalzamento del popolo ebraico nel suo insieme. Anche nell’esistenza stessa di uno Stato ebraico, dei pericoli meno evidenti, ma non meno fatali, minacciano l’esistenza durevole della diaspora nel lungo termine. Quando le necessità per l’esistenza entrano in conflitto con altri valori, conseguentemente, la Realpolitik dovrebbe avere la precedenza.

Dopo la minaccia di un conflitto disastroso con dei protagonisti islamici quale l’ Iran, fino alla necessità di mantenere dei distinguo tra «noi» e gli «altri» in modo da limitare l’assimilazione, questo imperativo dovrebbe servire da guida per i decisionisti politici.

Sfortunatamente, la storia umana rigetta l’affermazione idealista che, uno Stato, una società o il suo popolo, per soppravivere debbano avere un atteggiamento morale. Date le realtà prevedibili del 21° secolo e anche quelle future, sono inevitabili delle scelte corneliane , per le quali le necessità esistenziali contraddicono spesso, altri valori importanti.

Alcuni potrebbero arguire che dare la priorità all’esistenza, potrebbe al fine divenire controproducente per la stessa, in quanto quello che puo’ essere giudicata un azione immorale potrebbe scalzarne il sostegno, tanto interno quanto esterno, essenziale per lo Stato d’Israele. Comunque la logica propria della Realpolitik dà il primato all’esistenza,
relegando agli ultimi posti una qualsiasi considerazione etica.

La triste realtà è, che il popolo ebraico rischia di essere confrontato con delle scelte tragiche, per le quali devono essere sacrificati valori importanti, nell’interesse di quelli ancora più importanti. Decisioni responsabili, in situazioni così difficili, richiedono una presa di conoscenza senza ambiguità riguardo alle questioni morali in causa, soppesando con cura tutti i valori e tutte le assunzioni di responsabilità nel formare un proprio giudizio autonomo. Queste decisioni esigono anche uno sforzo, e per quanto sia possibile, la violazione di valori morali.

Ciononostante, il popolo ebraico confrontato con tali dilemmi, non si deve far ingannare dal politicamente corretto, né da altre mode suscettibili di ostacolarne il pensiero.

Trattandosi della Cina, per esempio, certi sforzi tendenti a rafforzare i legami tra la superpotenza e il popolo ebraico, dovrebbero mettere la sordina alle campagne ben intenzionate tendenti a interferire con la politica interna di Pechino, in modo specifico nel suo modo di gestire la questione del Tibet. Lo stesso discorso vale per la Turchia, dato il ruolo cruciale di pacificatore che esso ha in Medio Oriente: il dibattito sulla questione armena dovrebbe essere lasciato agli storici, di preferenza non ebrei.

Questo non significa necessariamente sostenere la politica cinese, né denigrare quella armena, ma tener presente che il popolo ebraico deve pensare in primo luogo alla sua esistenza, per quanto morali o immorali queste prese di posizioni possano essere.

E’ richiesta una valutazione dei valori a priori, in modo da poter disporre di guide pronte per formare un giudizio nei contesti specifici, o in condizioni di crisi. Più globalmente si tratta di stabilire se, l’imperativo per il popolo ebraico consista nell’esistere, al punto da superare la quasi totalità degli altri valori, oppure se si tratti di un imperativo confuso ad altri di rango similare. Data sia la storia che la situazione attuale del popolo ebraico, sarei propenso a dire che l’imperativo sia il primo e precede tutti gli alti.

Lasciamo da parte tutti i discorsi di natura trascendentale, i comandamenti biblici, e le parole sagge, che sono le une come le altre soggette a interpretazioni diverse. La giustificazione della priorità che deve essere accordata alla necessità dell’ esistenza è quadrupla:

Primo, il popolo ebraico ha un diritto inerente all’esistenza, esattamente come qualsiasi altro popolo o altra civilizzazione.

Secondo, un popolo che è stato regolarmente perseguitato da più di mille anni è moralmente autorizzato, in termini di giustizia distributiva, a essere particolarmente impietoso quando si tratta di prendersi cura della propria esistenza specialmente in materia di diritto morale, che dico, di dovere di uccidere e essere ucciso, se questo è essenziale per garantire la sua esistenza; anche al costo di altri valori e altre persone. Questo argomento è tanto più imparabile, alla luce di tutte le uccisioni senza precedenti di qualche decennio fa, di un terzo del popolo ebreo; un crimine di massa che è stato sostenuto direttamente e indirettamente, o almeno non è stato impedito quando era possibile, da delle larghe frange del mondo civile.

Terzo, in base alla storia dell’ ebraismo e la storia del suo popolo, ci sono delle forti possibilità che noi continueremo a dare all’ umanità dei contributi etici particolarmente necessari. Tuttavia per poterlo fare, abbiamo bisogno di una esistenza stabile.

Quarto, lo Stato d’Israele è il solo paese democratico la cui stessa esistenza è messa in pericolo da personaggi particolarmente ostili, senza che, ancora una volta, il mondo prenda delle contromisure decisive, che si impongono. Questo giustifica, anzi lo implica. Delle misure non solo inutili, ma potenzialmente immorali in altre circostanze.
Il popolo ebraico deve accordare molto più peso a quello che è il proprio imperativo, per garantire la sua sopravvivenza.

Ci sono beninteso dei limiti; niente potrebbe giustificare un genocidio. Ma, a parte delle rare eccezioni, o essere uccisi e distrutti , la trasgressione di norme assolute e totalizzanti è preferibile. L’esistenza del popolo ebraico compreso quello dello Stato d’Israele, deve essere considerata la prima priorità.

La sicurezza di Israele è sostenuta in maniera significativa dalle buone relazioni con la Turchia e la Cina. Alcuni argomentano che la Turchia è colpevole di genocidio contro gli Armeni in passato, e che la Cina oggi sta reprimendo i Tibetani e la sua opposizione interna ; che i dirigenti e le organizzazioni ebraiche devono sostenere i due Paesi, o almeno restare neutri nei loro confronti. Come minimo i dirigenti ebraici non devono accodarsi alle organizzazioni umanitarie che condannano la Turchia e la Cina.

Nello stesso modo, i dirigenti ebraici devono sostenere invece le durissime misure prese contro dei terroristi che, potenzialmente mettono gli ebrei in pericolo, fosse anche al prezzo di violazioni dei Diritti dell’ Uomo e del Diritto Umanitario Internazionale.

Se la minaccia è sufficientemente grave, il ricorso a armi di distruzione di massa da parte di Israele sarebbe giustificato, dal momento in cui sarebbe manifestamente necessario per assicurare la sopravvivenza di Israele, qualsiasi sia il numero imponente di vittime civili innocenti.

Non c’è dubbio, il dibattito sul sapere cosa sia veramente necessario all’esistenza resta aperto. Il fatto di donare la priorità all’ imperativo di esistere non implica necessariamente che si sostenga dalla A alla Z la politica di Israele.

Infatti è vero il contrario; i dirigenti, le organizzazioni e gli individui della diaspora hanno il dovere di criticare la politica israeliana, che, dal loro punto di vista, mette in pericolo lo Stato ebraico e l’esistenza del suo popolo. Essi hanno il dovere di proporre politiche alternative che ne garantiscano l’esistenza.

Ma in fin dei conti, non c’è nessun modo per aggirare le implicazioni pratiche, impietose e dolorose, di dare la priorità all’ esistenza, in quanto norma morale superiore, per il fatto di essere morali sotto altri aspetti. Quando questo è importante per l’esistenza del popolo ebraico, la violazione dei diritti altrui deve essere accettata, con disappunto certamente, ma con determinazione. Il sostegno o la condanna di altri Paesi e delle loro rispettive politiche devono essere eliminati prima di tutto, alla luce delle probabili conseguenze su questo giudizio per l’esistenza del popolo ebraico.

Riassumendo: gli imperativi per l’esistenza devono essere accordati con la priorità su altre condizioni per quanto importanti possano essere tra le quali i valori progressisti e umani, o ancora il sostegno dei Diritti dell’Uomo e la democratizzazione. Questa conclusione tragica, pertanto finale, non è facile da accettare, ma è essenziale per il futuro del popolo ebraico.

Una volta garantita la nostra esistenza, ciò che include la sicurezza fondamentale per Israele, molto può e deve essere sacrificato sull’altare del tikkun olam ( ebr. “riparazione del mondo” n.d.t.). Ma stante le realtà prevedibili presenti e future, la garanzia dell’esistenza è la priorità delle priorità.

Yehezkel Dror

Presidente fondatore del Jewhis People Policicy Planning Institute, e professore emerito in scienze politiche all’ Università ebraica di Gerusalemme. Vincitore del Premio Israele nel 2005, ha fatto parte della commissione d’inchiesta Winograd, sulla guerra israeliana contro il Libano nell’estate del 2006
Poche persone non convengono con il fatto che tutti i dirigenti ebraici, tutte le organizzazioni ebraiche, tutte le comunità ebraiche, e tutti i singoli ebrei hanno il dovere di assumersi la continuità del popolo ebraico. Ma, in un mondo dove l’esistenza nel lungo periodo dello Stato d’Israele è lontana dall’essere garantita, l’imperativo di esistere dà luogo, inevitabilmente, a domande difficili.

La principale è la seguente: quando la sopravvivenza del polopolo ebraico entra in conflitto con la morale del popolo ebraico, la sua esistenza vale la candela, o anche, questa esistenza è possibile?

L’esistenza fisica, tenderei ad arguire, ha la precedenza. L’esistenza fisica è necessariamente un preambolo, per quanto morale una società aspiri ad essere.

Israele, in quanto Stato ebraico, è minacciato da pericoli manifesti, sia interni che esterni. E’ molto verosimile che il crollo d’Israele o la sua perdita d’identità ebraica, avrebbe come conseguenza lo scalzamento del popolo ebraico nel suo insieme. Anche nell’esistenza stessa di uno Stato ebraico, dei pericoli meno evidenti, ma non meno fatali, minacciano l’esistenza durevole della diaspora nel lungo termine. Quando le necessità per l’esistenza entrano in conflitto con altri valori, conseguentemente, la Realpolitik dovrebbe avere la precedenza.

Dopo la minaccia di un conflitto disastroso con dei protagonisti islamici quale l’ Iran, fino alla necessità di mantenere dei distinguo tra «noi» e gli «altri» in modo da limitare l’assimilazione, questo imperativo dovrebbe servire da guida per i decisionisti politici.

Sfortunatamente, la storia umana rigetta l’affermazione idealista che, uno Stato, una società o il suo popolo, per soppravivere debbano avere un atteggiamento morale. Date le realtà prevedibili del 21° secolo e anche quelle future, sono inevitabili delle scelte corneliane , per le quali le necessità esistenziali contraddicono spesso, altri valori importanti.

Alcuni potrebbero arguire che dare la priorità all’esistenza, potrebbe al fine divenire controproducente per la stessa, in quanto quello che puo’ essere giudicata un azione immorale potrebbe scalzarne il sostegno, tanto interno quanto esterno, essenziale per lo Stato d’Israele. Comunque la logica propria della Realpolitik dà il primato all’esistenza,
relegando agli ultimi posti una qualsiasi considerazione etica.

La triste realtà è, che il popolo ebraico rischia di essere confrontato con delle scelte tragiche, per le quali devono essere sacrificati valori importanti, nell’interesse di quelli ancora più importanti. Decisioni responsabili, in situazioni così difficili, richiedono una presa di conoscenza senza ambiguità riguardo alle questioni morali in causa, soppesando con cura tutti i valori e tutte le assunzioni di responsabilità nel formare un proprio giudizio autonomo. Queste decisioni esigono anche uno sforzo, e per quanto sia possibile, la violazione di valori morali.

Ciononostante, il popolo ebraico confrontato con tali dilemmi, non si deve far ingannare dal politicamente corretto, né da altre mode suscettibili di ostacolarne il pensiero.

Trattandosi della Cina, per esempio, certi sforzi tendenti a rafforzare i legami tra la superpotenza e il popolo ebraico, dovrebbero mettere la sordina alle campagne ben intenzionate tendenti a interferire con la politica interna di Pechino, in modo specifico nel suo modo di gestire la questione del Tibet. Lo stesso discorso vale per la Turchia, dato il ruolo cruciale di pacificatore che esso ha in Medio Oriente: il dibattito sulla questione armena dovrebbe essere lasciato agli storici, di preferenza non ebrei.

Questo non significa necessariamente sostenere la politica cinese, né denigrare quella armena, ma tener presente che il popolo ebraico deve pensare in primo luogo alla sua esistenza, per quanto morali o immorali queste prese di posizioni possano essere.

E’ richiesta una valutazione dei valori a priori, in modo da poter disporre di guide pronte per formare un giudizio nei contesti specifici, o in condizioni di crisi. Più globalmente si tratta di stabilire se, l’imperativo per il popolo ebraico consista nell’esistere, al punto da superare la quasi totalità degli altri valori, oppure se si tratti di un imperativo confuso ad altri di rango similare. Data sia la storia che la situazione attuale del popolo ebraico, sarei propenso a dire che l’imperativo sia il primo e precede tutti gli alti.

Lasciamo da parte tutti i discorsi di natura trascendentale, i comandamenti biblici, e le parole sagge, che sono le une come le altre soggette a interpretazioni diverse. La giustificazione della priorità che deve essere accordata alla necessità dell’ esistenza è quadrupla:

Primo, il popolo ebraico ha un diritto inerente all’esistenza, esattamente come qualsiasi altro popolo o altra civilizzazione.

Secondo, un popolo che è stato regolarmente perseguitato da più di mille anni è moralmente autorizzato, in termini di giustizia distributiva, a essere particolarmente impietoso quando si tratta di prendersi cura della propria esistenza specialmente in materia di diritto morale, che dico, di dovere di uccidere e essere ucciso, se questo è essenziale per garantire la sua esistenza; anche al costo di altri valori e altre persone. Questo argomento è tanto più imparabile, alla luce di tutte le uccisioni senza precedenti di qualche decennio fa, di un terzo del popolo ebreo; un crimine di massa che è stato sostenuto direttamente e indirettamente, o almeno non è stato impedito quando era possibile, da delle larghe frange del mondo civile.

Terzo, in base alla storia dell’ ebraismo e la storia del suo popolo, ci sono delle forti possibilità che noi continueremo a dare all’ umanità dei contributi etici particolarmente necessari. Tuttavia per poterlo fare, abbiamo bisogno di una esistenza stabile.

Quarto, lo Stato d’Israele è il solo paese democratico la cui stessa esistenza è messa in pericolo da personaggi particolarmente ostili, senza che, ancora una volta, il mondo prenda delle contromisure decisive, che si impongono. Questo giustifica, anzi lo implica. Delle misure non solo inutili, ma potenzialmente immorali in altre circostanze.
Il popolo ebraico deve accordare molto più peso a quello che è il proprio imperativo, per garantire la sua sopravvivenza.

Ci sono beninteso dei limiti; niente potrebbe giustificare un genocidio. Ma, a parte delle rare eccezioni, o essere uccisi e distrutti , la trasgressione di norme assolute e totalizzanti è preferibile. L’esistenza del popolo ebraico compreso quello dello Stato d’Israele, deve essere considerata la prima priorità.

La sicurezza di Israele è sostenuta in maniera significativa dalle buone relazioni con la Turchia e la Cina. Alcuni argomentano che la Turchia è colpevole di genocidio contro gli Armeni in passato, e che la Cina oggi sta reprimendo i Tibetani e la sua opposizione interna ; che i dirigenti e le organizzazioni ebraiche devono sostenere i due Paesi, o almeno restare neutri nei loro confronti. Come minimo i dirigenti ebraici non devono accodarsi alle organizzazioni umanitarie che condannano la Turchia e la Cina.

Nello stesso modo, i dirigenti ebraici devono sostenere invece le durissime misure prese contro dei terroristi che, potenzialmente mettono gli ebrei in pericolo, fosse anche al prezzo di violazioni dei Diritti dell’ Uomo e del Diritto Umanitario Internazionale.

Se la minaccia è sufficientemente grave, il ricorso a armi di distruzione di massa da parte di Israele sarebbe giustificato, dal momento in cui sarebbe manifestamente necessario per assicurare la sopravvivenza di Israele, qualsiasi sia il numero imponente di vittime civili innocenti.

Non c’è dubbio, il dibattito sul sapere cosa sia veramente necessario all’esistenza resta aperto. Il fatto di donare la priorità all’ imperativo di esistere non implica necessariamente che si sostenga dalla A alla Z la politica di Israele.

Infatti è vero il contrario; i dirigenti, le organizzazioni e gli individui della diaspora hanno il dovere di criticare la politica israeliana, che, dal loro punto di vista, mette in pericolo lo Stato ebraico e l’esistenza del suo popolo. Essi hanno il dovere di proporre politiche alternative che ne garantiscano l’esistenza.

Ma in fin dei conti, non c’è nessun modo per aggirare le implicazioni pratiche, impietose e dolorose, di dare la priorità all’ esistenza, in quanto norma morale superiore, per il fatto di essere morali sotto altri aspetti. Quando questo è importante per l’esistenza del popolo ebraico, la violazione dei diritti altrui deve essere accettata, con disappunto certamente, ma con determinazione. Il sostegno o la condanna di altri Paesi e delle loro rispettive politiche devono essere eliminati prima di tutto, alla luce delle probabili conseguenze su questo giudizio per l’esistenza del popolo ebraico.

Riassumendo: gli imperativi per l’esistenza devono essere accordati con la priorità su altre condizioni per quanto importanti possano essere tra le quali i valori progressisti e umani, o ancora il sostegno dei Diritti dell’Uomo e la democratizzazione. Questa conclusione tragica, pertanto finale, non è facile da accettare, ma è essenziale per il futuro del popolo ebraico.

Una volta garantita la nostra esistenza, ciò che include la sicurezza fondamentale per Israele, molto può e deve essere sacrificato sull’altare del tikkun olam ( ebr. “riparazione del mondo” n.d.t.). Ma stante le realtà prevedibili presenti e future, la garanzia dell’esistenza è la priorità delle priorità.

Yehezkel Dror

Presidente fondatore del Jewhis People Policicy Planning Institute, e professore emerito in scienze politiche all’ Università ebraica di Gerusalemme. Vincitore del Premio Israele nel 2005, ha fatto parte della commissione d’inchiesta Winograd, sulla guerra israeliana contro il Libano nell’estate del 2006

Nessun commento:

31 maggio 2008

Lo Stato di Israele sempre in pericolo?


Lo spirito di sopravvivenza, il più forte che uccide il più debole. Una spirale ancestrale che si ripete da molti anni.
Il popolo ebraico è sempre in pericolo e la sua sopravvivenza è condizionata da quella dello Stato d’Israele. Su questa base, questo Stato può intraprendere qualsiasi cosa, affrancandosi dalle regole morali, sino a quando lo giudichi necessario per la sopravvivenza del popolo ebraico.Quindi, «l’argomento della Shoah» dispensa lo lo Stato d’Israele dal rispettare il diritto internazionale.



Poche persone non convengono con il fatto che tutti i dirigenti ebraici, tutte le organizzazioni ebraiche, tutte le comunità ebraiche, e tutti i singoli ebrei hanno il dovere di assumersi la continuità del popolo ebraico. Ma, in un mondo dove l’esistenza nel lungo periodo dello Stato d’Israele è lontana dall’essere garantita, l’imperativo di esistere dà luogo, inevitabilmente, a domande difficili.

La principale è la seguente: quando la sopravvivenza del polopolo ebraico entra in conflitto con la morale del popolo ebraico, la sua esistenza vale la candela, o anche, questa esistenza è possibile?

L’esistenza fisica, tenderei ad arguire, ha la precedenza. L’esistenza fisica è necessariamente un preambolo, per quanto morale una società aspiri ad essere.

Israele, in quanto Stato ebraico, è minacciato da pericoli manifesti, sia interni che esterni. E’ molto verosimile che il crollo d’Israele o la sua perdita d’identità ebraica, avrebbe come conseguenza lo scalzamento del popolo ebraico nel suo insieme. Anche nell’esistenza stessa di uno Stato ebraico, dei pericoli meno evidenti, ma non meno fatali, minacciano l’esistenza durevole della diaspora nel lungo termine. Quando le necessità per l’esistenza entrano in conflitto con altri valori, conseguentemente, la Realpolitik dovrebbe avere la precedenza.

Dopo la minaccia di un conflitto disastroso con dei protagonisti islamici quale l’ Iran, fino alla necessità di mantenere dei distinguo tra «noi» e gli «altri» in modo da limitare l’assimilazione, questo imperativo dovrebbe servire da guida per i decisionisti politici.

Sfortunatamente, la storia umana rigetta l’affermazione idealista che, uno Stato, una società o il suo popolo, per soppravivere debbano avere un atteggiamento morale. Date le realtà prevedibili del 21° secolo e anche quelle future, sono inevitabili delle scelte corneliane , per le quali le necessità esistenziali contraddicono spesso, altri valori importanti.

Alcuni potrebbero arguire che dare la priorità all’esistenza, potrebbe al fine divenire controproducente per la stessa, in quanto quello che puo’ essere giudicata un azione immorale potrebbe scalzarne il sostegno, tanto interno quanto esterno, essenziale per lo Stato d’Israele. Comunque la logica propria della Realpolitik dà il primato all’esistenza,
relegando agli ultimi posti una qualsiasi considerazione etica.

La triste realtà è, che il popolo ebraico rischia di essere confrontato con delle scelte tragiche, per le quali devono essere sacrificati valori importanti, nell’interesse di quelli ancora più importanti. Decisioni responsabili, in situazioni così difficili, richiedono una presa di conoscenza senza ambiguità riguardo alle questioni morali in causa, soppesando con cura tutti i valori e tutte le assunzioni di responsabilità nel formare un proprio giudizio autonomo. Queste decisioni esigono anche uno sforzo, e per quanto sia possibile, la violazione di valori morali.

Ciononostante, il popolo ebraico confrontato con tali dilemmi, non si deve far ingannare dal politicamente corretto, né da altre mode suscettibili di ostacolarne il pensiero.

Trattandosi della Cina, per esempio, certi sforzi tendenti a rafforzare i legami tra la superpotenza e il popolo ebraico, dovrebbero mettere la sordina alle campagne ben intenzionate tendenti a interferire con la politica interna di Pechino, in modo specifico nel suo modo di gestire la questione del Tibet. Lo stesso discorso vale per la Turchia, dato il ruolo cruciale di pacificatore che esso ha in Medio Oriente: il dibattito sulla questione armena dovrebbe essere lasciato agli storici, di preferenza non ebrei.

Questo non significa necessariamente sostenere la politica cinese, né denigrare quella armena, ma tener presente che il popolo ebraico deve pensare in primo luogo alla sua esistenza, per quanto morali o immorali queste prese di posizioni possano essere.

E’ richiesta una valutazione dei valori a priori, in modo da poter disporre di guide pronte per formare un giudizio nei contesti specifici, o in condizioni di crisi. Più globalmente si tratta di stabilire se, l’imperativo per il popolo ebraico consista nell’esistere, al punto da superare la quasi totalità degli altri valori, oppure se si tratti di un imperativo confuso ad altri di rango similare. Data sia la storia che la situazione attuale del popolo ebraico, sarei propenso a dire che l’imperativo sia il primo e precede tutti gli alti.

Lasciamo da parte tutti i discorsi di natura trascendentale, i comandamenti biblici, e le parole sagge, che sono le une come le altre soggette a interpretazioni diverse. La giustificazione della priorità che deve essere accordata alla necessità dell’ esistenza è quadrupla:

Primo, il popolo ebraico ha un diritto inerente all’esistenza, esattamente come qualsiasi altro popolo o altra civilizzazione.

Secondo, un popolo che è stato regolarmente perseguitato da più di mille anni è moralmente autorizzato, in termini di giustizia distributiva, a essere particolarmente impietoso quando si tratta di prendersi cura della propria esistenza specialmente in materia di diritto morale, che dico, di dovere di uccidere e essere ucciso, se questo è essenziale per garantire la sua esistenza; anche al costo di altri valori e altre persone. Questo argomento è tanto più imparabile, alla luce di tutte le uccisioni senza precedenti di qualche decennio fa, di un terzo del popolo ebreo; un crimine di massa che è stato sostenuto direttamente e indirettamente, o almeno non è stato impedito quando era possibile, da delle larghe frange del mondo civile.

Terzo, in base alla storia dell’ ebraismo e la storia del suo popolo, ci sono delle forti possibilità che noi continueremo a dare all’ umanità dei contributi etici particolarmente necessari. Tuttavia per poterlo fare, abbiamo bisogno di una esistenza stabile.

Quarto, lo Stato d’Israele è il solo paese democratico la cui stessa esistenza è messa in pericolo da personaggi particolarmente ostili, senza che, ancora una volta, il mondo prenda delle contromisure decisive, che si impongono. Questo giustifica, anzi lo implica. Delle misure non solo inutili, ma potenzialmente immorali in altre circostanze.
Il popolo ebraico deve accordare molto più peso a quello che è il proprio imperativo, per garantire la sua sopravvivenza.

Ci sono beninteso dei limiti; niente potrebbe giustificare un genocidio. Ma, a parte delle rare eccezioni, o essere uccisi e distrutti , la trasgressione di norme assolute e totalizzanti è preferibile. L’esistenza del popolo ebraico compreso quello dello Stato d’Israele, deve essere considerata la prima priorità.

La sicurezza di Israele è sostenuta in maniera significativa dalle buone relazioni con la Turchia e la Cina. Alcuni argomentano che la Turchia è colpevole di genocidio contro gli Armeni in passato, e che la Cina oggi sta reprimendo i Tibetani e la sua opposizione interna ; che i dirigenti e le organizzazioni ebraiche devono sostenere i due Paesi, o almeno restare neutri nei loro confronti. Come minimo i dirigenti ebraici non devono accodarsi alle organizzazioni umanitarie che condannano la Turchia e la Cina.

Nello stesso modo, i dirigenti ebraici devono sostenere invece le durissime misure prese contro dei terroristi che, potenzialmente mettono gli ebrei in pericolo, fosse anche al prezzo di violazioni dei Diritti dell’ Uomo e del Diritto Umanitario Internazionale.

Se la minaccia è sufficientemente grave, il ricorso a armi di distruzione di massa da parte di Israele sarebbe giustificato, dal momento in cui sarebbe manifestamente necessario per assicurare la sopravvivenza di Israele, qualsiasi sia il numero imponente di vittime civili innocenti.

Non c’è dubbio, il dibattito sul sapere cosa sia veramente necessario all’esistenza resta aperto. Il fatto di donare la priorità all’ imperativo di esistere non implica necessariamente che si sostenga dalla A alla Z la politica di Israele.

Infatti è vero il contrario; i dirigenti, le organizzazioni e gli individui della diaspora hanno il dovere di criticare la politica israeliana, che, dal loro punto di vista, mette in pericolo lo Stato ebraico e l’esistenza del suo popolo. Essi hanno il dovere di proporre politiche alternative che ne garantiscano l’esistenza.

Ma in fin dei conti, non c’è nessun modo per aggirare le implicazioni pratiche, impietose e dolorose, di dare la priorità all’ esistenza, in quanto norma morale superiore, per il fatto di essere morali sotto altri aspetti. Quando questo è importante per l’esistenza del popolo ebraico, la violazione dei diritti altrui deve essere accettata, con disappunto certamente, ma con determinazione. Il sostegno o la condanna di altri Paesi e delle loro rispettive politiche devono essere eliminati prima di tutto, alla luce delle probabili conseguenze su questo giudizio per l’esistenza del popolo ebraico.

Riassumendo: gli imperativi per l’esistenza devono essere accordati con la priorità su altre condizioni per quanto importanti possano essere tra le quali i valori progressisti e umani, o ancora il sostegno dei Diritti dell’Uomo e la democratizzazione. Questa conclusione tragica, pertanto finale, non è facile da accettare, ma è essenziale per il futuro del popolo ebraico.

Una volta garantita la nostra esistenza, ciò che include la sicurezza fondamentale per Israele, molto può e deve essere sacrificato sull’altare del tikkun olam ( ebr. “riparazione del mondo” n.d.t.). Ma stante le realtà prevedibili presenti e future, la garanzia dell’esistenza è la priorità delle priorità.

Yehezkel Dror

Presidente fondatore del Jewhis People Policicy Planning Institute, e professore emerito in scienze politiche all’ Università ebraica di Gerusalemme. Vincitore del Premio Israele nel 2005, ha fatto parte della commissione d’inchiesta Winograd, sulla guerra israeliana contro il Libano nell’estate del 2006
Poche persone non convengono con il fatto che tutti i dirigenti ebraici, tutte le organizzazioni ebraiche, tutte le comunità ebraiche, e tutti i singoli ebrei hanno il dovere di assumersi la continuità del popolo ebraico. Ma, in un mondo dove l’esistenza nel lungo periodo dello Stato d’Israele è lontana dall’essere garantita, l’imperativo di esistere dà luogo, inevitabilmente, a domande difficili.

La principale è la seguente: quando la sopravvivenza del polopolo ebraico entra in conflitto con la morale del popolo ebraico, la sua esistenza vale la candela, o anche, questa esistenza è possibile?

L’esistenza fisica, tenderei ad arguire, ha la precedenza. L’esistenza fisica è necessariamente un preambolo, per quanto morale una società aspiri ad essere.

Israele, in quanto Stato ebraico, è minacciato da pericoli manifesti, sia interni che esterni. E’ molto verosimile che il crollo d’Israele o la sua perdita d’identità ebraica, avrebbe come conseguenza lo scalzamento del popolo ebraico nel suo insieme. Anche nell’esistenza stessa di uno Stato ebraico, dei pericoli meno evidenti, ma non meno fatali, minacciano l’esistenza durevole della diaspora nel lungo termine. Quando le necessità per l’esistenza entrano in conflitto con altri valori, conseguentemente, la Realpolitik dovrebbe avere la precedenza.

Dopo la minaccia di un conflitto disastroso con dei protagonisti islamici quale l’ Iran, fino alla necessità di mantenere dei distinguo tra «noi» e gli «altri» in modo da limitare l’assimilazione, questo imperativo dovrebbe servire da guida per i decisionisti politici.

Sfortunatamente, la storia umana rigetta l’affermazione idealista che, uno Stato, una società o il suo popolo, per soppravivere debbano avere un atteggiamento morale. Date le realtà prevedibili del 21° secolo e anche quelle future, sono inevitabili delle scelte corneliane , per le quali le necessità esistenziali contraddicono spesso, altri valori importanti.

Alcuni potrebbero arguire che dare la priorità all’esistenza, potrebbe al fine divenire controproducente per la stessa, in quanto quello che puo’ essere giudicata un azione immorale potrebbe scalzarne il sostegno, tanto interno quanto esterno, essenziale per lo Stato d’Israele. Comunque la logica propria della Realpolitik dà il primato all’esistenza,
relegando agli ultimi posti una qualsiasi considerazione etica.

La triste realtà è, che il popolo ebraico rischia di essere confrontato con delle scelte tragiche, per le quali devono essere sacrificati valori importanti, nell’interesse di quelli ancora più importanti. Decisioni responsabili, in situazioni così difficili, richiedono una presa di conoscenza senza ambiguità riguardo alle questioni morali in causa, soppesando con cura tutti i valori e tutte le assunzioni di responsabilità nel formare un proprio giudizio autonomo. Queste decisioni esigono anche uno sforzo, e per quanto sia possibile, la violazione di valori morali.

Ciononostante, il popolo ebraico confrontato con tali dilemmi, non si deve far ingannare dal politicamente corretto, né da altre mode suscettibili di ostacolarne il pensiero.

Trattandosi della Cina, per esempio, certi sforzi tendenti a rafforzare i legami tra la superpotenza e il popolo ebraico, dovrebbero mettere la sordina alle campagne ben intenzionate tendenti a interferire con la politica interna di Pechino, in modo specifico nel suo modo di gestire la questione del Tibet. Lo stesso discorso vale per la Turchia, dato il ruolo cruciale di pacificatore che esso ha in Medio Oriente: il dibattito sulla questione armena dovrebbe essere lasciato agli storici, di preferenza non ebrei.

Questo non significa necessariamente sostenere la politica cinese, né denigrare quella armena, ma tener presente che il popolo ebraico deve pensare in primo luogo alla sua esistenza, per quanto morali o immorali queste prese di posizioni possano essere.

E’ richiesta una valutazione dei valori a priori, in modo da poter disporre di guide pronte per formare un giudizio nei contesti specifici, o in condizioni di crisi. Più globalmente si tratta di stabilire se, l’imperativo per il popolo ebraico consista nell’esistere, al punto da superare la quasi totalità degli altri valori, oppure se si tratti di un imperativo confuso ad altri di rango similare. Data sia la storia che la situazione attuale del popolo ebraico, sarei propenso a dire che l’imperativo sia il primo e precede tutti gli alti.

Lasciamo da parte tutti i discorsi di natura trascendentale, i comandamenti biblici, e le parole sagge, che sono le une come le altre soggette a interpretazioni diverse. La giustificazione della priorità che deve essere accordata alla necessità dell’ esistenza è quadrupla:

Primo, il popolo ebraico ha un diritto inerente all’esistenza, esattamente come qualsiasi altro popolo o altra civilizzazione.

Secondo, un popolo che è stato regolarmente perseguitato da più di mille anni è moralmente autorizzato, in termini di giustizia distributiva, a essere particolarmente impietoso quando si tratta di prendersi cura della propria esistenza specialmente in materia di diritto morale, che dico, di dovere di uccidere e essere ucciso, se questo è essenziale per garantire la sua esistenza; anche al costo di altri valori e altre persone. Questo argomento è tanto più imparabile, alla luce di tutte le uccisioni senza precedenti di qualche decennio fa, di un terzo del popolo ebreo; un crimine di massa che è stato sostenuto direttamente e indirettamente, o almeno non è stato impedito quando era possibile, da delle larghe frange del mondo civile.

Terzo, in base alla storia dell’ ebraismo e la storia del suo popolo, ci sono delle forti possibilità che noi continueremo a dare all’ umanità dei contributi etici particolarmente necessari. Tuttavia per poterlo fare, abbiamo bisogno di una esistenza stabile.

Quarto, lo Stato d’Israele è il solo paese democratico la cui stessa esistenza è messa in pericolo da personaggi particolarmente ostili, senza che, ancora una volta, il mondo prenda delle contromisure decisive, che si impongono. Questo giustifica, anzi lo implica. Delle misure non solo inutili, ma potenzialmente immorali in altre circostanze.
Il popolo ebraico deve accordare molto più peso a quello che è il proprio imperativo, per garantire la sua sopravvivenza.

Ci sono beninteso dei limiti; niente potrebbe giustificare un genocidio. Ma, a parte delle rare eccezioni, o essere uccisi e distrutti , la trasgressione di norme assolute e totalizzanti è preferibile. L’esistenza del popolo ebraico compreso quello dello Stato d’Israele, deve essere considerata la prima priorità.

La sicurezza di Israele è sostenuta in maniera significativa dalle buone relazioni con la Turchia e la Cina. Alcuni argomentano che la Turchia è colpevole di genocidio contro gli Armeni in passato, e che la Cina oggi sta reprimendo i Tibetani e la sua opposizione interna ; che i dirigenti e le organizzazioni ebraiche devono sostenere i due Paesi, o almeno restare neutri nei loro confronti. Come minimo i dirigenti ebraici non devono accodarsi alle organizzazioni umanitarie che condannano la Turchia e la Cina.

Nello stesso modo, i dirigenti ebraici devono sostenere invece le durissime misure prese contro dei terroristi che, potenzialmente mettono gli ebrei in pericolo, fosse anche al prezzo di violazioni dei Diritti dell’ Uomo e del Diritto Umanitario Internazionale.

Se la minaccia è sufficientemente grave, il ricorso a armi di distruzione di massa da parte di Israele sarebbe giustificato, dal momento in cui sarebbe manifestamente necessario per assicurare la sopravvivenza di Israele, qualsiasi sia il numero imponente di vittime civili innocenti.

Non c’è dubbio, il dibattito sul sapere cosa sia veramente necessario all’esistenza resta aperto. Il fatto di donare la priorità all’ imperativo di esistere non implica necessariamente che si sostenga dalla A alla Z la politica di Israele.

Infatti è vero il contrario; i dirigenti, le organizzazioni e gli individui della diaspora hanno il dovere di criticare la politica israeliana, che, dal loro punto di vista, mette in pericolo lo Stato ebraico e l’esistenza del suo popolo. Essi hanno il dovere di proporre politiche alternative che ne garantiscano l’esistenza.

Ma in fin dei conti, non c’è nessun modo per aggirare le implicazioni pratiche, impietose e dolorose, di dare la priorità all’ esistenza, in quanto norma morale superiore, per il fatto di essere morali sotto altri aspetti. Quando questo è importante per l’esistenza del popolo ebraico, la violazione dei diritti altrui deve essere accettata, con disappunto certamente, ma con determinazione. Il sostegno o la condanna di altri Paesi e delle loro rispettive politiche devono essere eliminati prima di tutto, alla luce delle probabili conseguenze su questo giudizio per l’esistenza del popolo ebraico.

Riassumendo: gli imperativi per l’esistenza devono essere accordati con la priorità su altre condizioni per quanto importanti possano essere tra le quali i valori progressisti e umani, o ancora il sostegno dei Diritti dell’Uomo e la democratizzazione. Questa conclusione tragica, pertanto finale, non è facile da accettare, ma è essenziale per il futuro del popolo ebraico.

Una volta garantita la nostra esistenza, ciò che include la sicurezza fondamentale per Israele, molto può e deve essere sacrificato sull’altare del tikkun olam ( ebr. “riparazione del mondo” n.d.t.). Ma stante le realtà prevedibili presenti e future, la garanzia dell’esistenza è la priorità delle priorità.

Yehezkel Dror

Presidente fondatore del Jewhis People Policicy Planning Institute, e professore emerito in scienze politiche all’ Università ebraica di Gerusalemme. Vincitore del Premio Israele nel 2005, ha fatto parte della commissione d’inchiesta Winograd, sulla guerra israeliana contro il Libano nell’estate del 2006

Nessun commento: